domenica 29 agosto 2021

Monoclonali: La cura c’è, tutto il resto invece manca. - Thomas Mackinson

 

Autunno. Medicina territoriale e alti costi: perché quella che può essere una svolta stenta a partire.

La sola cura per il Covid-19 fino a oggi ufficialmente riconosciuta è finita dentro un imbuto tipicamente italiano da cui esce col contagocce.

A sette mesi dall’autorizzazione all’uso, i pazienti trattati con farmaci a base di anticorpi monoclonali sono infatti stati soltanto 7.500 sparsi tra tutte le regioni d’Italia.

Alcune come Lazio, Veneto e Toscana svettano nella classifica; altre non brillano affatto come l’Umbria, che in una settimana ha registrato 800 nuovi contagi e un solo monoclonale somministrato.

Usa e Germania corrono Noi siamo in ritardo.

Nel complesso, la via italiana ai monoclonali – unica cura autorizzata al mondo – procede tra strappi e ritardi. Si era aperta l’8 febbraio 2021 quando, superando molte resistenze, l’Agenzia italiana del farmaco ne aveva infine autorizzato l’uso, anche se soltanto in emergenza. Le aspettative però si sono presto infrante sui numeri: in questo lasso di tempo li abbiamo usati cinque volte meno che gli Stati Uniti, tre volte meno della Germania. E vai a sapere quanti pazienti si sarebbero potuti curare e salvare.

Il sottoutilizzo, va detto, non è dovuto alle risorse, perché già a febbraio il ministero della Salute aveva reperito quelle necessarie agli acquisti a valere su un fondo da 400 milioni: con una media di mille-duemila euro a fiala, a seconda del farmaco, si potevano garantire 200 mila infusioni.

La determina dell’Aifa. Si allarga la platea.

Perché in sette mesi ne sono state fatte 26 volte meno? Per quell’imbuto fatto di inerzie, burocrazia e disorganizzazione sanitaria che continua a minare l’uscita dal tunnel. Per tentare di rovesciarlo, l’Agenzia del Farmaco prova oggi ad allargare la platea dei soggetti candidabili all’infusione. Il 4 agosto ha emanato una determina che modifica i registri cui accedono i medici per le prescrizioni. I monoclonali valgono ancora per i pazienti non ospedalizzati ad “alto rischio di progressione a Covid19 severo”, ma i vincoli sui fattori di rischio sono diventati meno stringenti.

Più precisamente, la vecchia formulazione recitava: “Si definiscono ad alto rischio i pazienti che soddisfano almeno uno dei seguenti criteri”, e giù l’elenco delle patologie (immunodeficienza, malattie cardiovascolari, diabete mellito e così via).

Nella nuova, la frase lascia il posto a un più generico “alcuni dei possibili fattori di rischio sono…”, rimettendo così al medico il compito di selezionare il paziente idoneo alla cura.

Il Veneto su tutti Ma i numeri sono bassi.

Esulta per questo il presidente del Veneto Luca Zaia: “Sarà possibile somministrare gli anticorpi monoclonali a tutti, mentre prima, in base alle indicazioni dell’Agenzia italiana del farmaco erano destinati solo a chi aveva anche altre patologie, ora invece le cure con i monoclonali sono aperte a tutti”.

E per una ragione fondata. Zaia sa che il primato della sua regione, che vanta il 50% di tutte le somministrazioni fatte in Italia, è in realtà ben poca cosa in termini assoluti: solo 72 richieste di prescrizione a fronte di 3.873 nuovi contagi in una settimana. Per questo il leghista tiene a far sapere ai veneti di aver informato tutte le aziende ospedaliere della buona novella.

Assistenza domiciliarePunto debole del sistema.

Le somministrazioni a singhiozzo rivelano tutta la debolezza della medicina territoriale, quella che dovrebbe velocemente diagnosticare, valutare l’eleggibilità al trattamento e organizzare l’infusione endovenosa in strutture sanitarie autorizzate.

Su questo fronte, a un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, non si sono registrati miglioramenti, anche se l’ultimo monitoraggio disponibile attesta un aumento delle prescrizioni (389 contro 302 della settimana precedente). Il punto è che va così coi preparati di prima generazione, quelli che richiedono un’infusione di un’ora in strutture ospedaliere organizzate, figurarsi con quelli di seconda generazione, somministrabili attraverso una semplice iniezione intramuscolo direttamente a casa dei pazienti.

Non c’è un protocollo. Nuovo ritardo in vista.

Diverse multinazionali e centri di ricerca, anche italiani, stanno mettendo a punto questi farmaci che, più semplici da somministrare, potrebbero ridare slancio all’arma spuntata che riduce infezioni e ricoveri e funge anche da barriera temporanea al virus e alle sue multiformi variazioni. I primi dovrebbero arrivare in autunno. A oggi però non c’è ancora alcuna determina Aifa relativa alla formulazione intramuscolo o protocolli nazionali per l’uso allargato in via domiciliare. Il prossimo ritardo, dunque, è già dietro l’angolo.

ILFQ

Reddito di cittadinanza, Salvini “scavalca” Renzi: “Un emendamento in manovra per cancellarlo”.

 

Secondo il leader della Lega la misura aveva un senso tre anni fa ma ora non più. Meno perentorio il compagno di partito e ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti secondo cui la misura va modificata ma non cancellata.

“In tutti i posti che ho girato per l’Italia mi hanno chiesto di togliere il reddito di cittadinanza. In manovra economica l’emendamento per farlo lo metto io, avrà la mia prima firma. Poteva avere un senso tre anni fa, ma ora abbiamo visto che non funziona e dobbiamo assolutamente cancellare il redito di cittadinanza”. Lo ha detto il leader della Lega Matteo Salvini a Pinzolo. “La proposta che faremo in piazza e in Parlamento è semplice: con i soldi che si risparmiano sul reddito cittadinanza si rinviano le cartelle esattoriali e si finanzia quota cento. Conto che sul taglio delle tasse, sulle cartelle esattoriali tutto il centro destra sia unito”, ha aggiunto il leader della Lega. Già la scorsa settimana, intervenendo al meeting di Rimini davanti alla platea di Comunione e Liberazione e Compagnia delle Opere, Salvini aveva affermato: “Tornassi indietro non rivoterei il reddito di cittadinanza. E’ una legge che si è dimostrata nei fatti, inidonea”. La misura è stata infatti introdotta nel 2019 con la Lega al governo e Salvini ministro dell’Interno e vice premier. Sempre più solido quindi l’asse tra Italia Viva e Lega, entrambi i partiti a testa bassa contro il Rdc.

Ieri il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, sempre della Lega, aveva usato parole meno lapidarie: “Il reddito di cittadinanza deve essere considerato ma non deve essere un ostacolo alla dinamica del mercato del lavoro”, non deve diventare “una barriera” per la quale “molti preferiscono rinunciare al lavoro, e diventa controproducente. Questo è un meccanismo che deve essere risolto”.

Rimane di diverso avviso però il presidente del Consiglio Mario Draghi che ha affermato di condividere pienamente i principi alla base della misura. Certo, che il reddito di cittadinanza, subirà un “tagliando” dopo la pausa estiva è ormai dato per acclarato. Lo strumento verrà tarato meglio in base alla composizione del nucleo familiare e interventi dovrebbero riguardare anche gli stranieri che risiedono in Italia da meno di dieci anni e che, al momento, sono esclusi dal sussidio. Motivo principale per cui il reddito non raggiunge tutte le persone che versano in povertà secondo i criteri Istat. Possibile anche una separazione tra la componente welfare e quella workfare della misura, ossia tra il sostegno prettamente economico e l’opera di ricollocamento sul mercato del lavoro. Quest’ultima è la parte della misura che ha sinora dato i risultati più deludenti. Difficile, peraltro, attendersi il contrario, visto che le presone da reimmettere nel mercato del lavoro sono in gran parte a bassa o bassissima scolarizzazione e da tempo senza occupazione. Possibile che vegano introdotti anche maggiori vincoli nella possibilità di rifiutare offerte, con l’ipotesi anche di compensare il basso stipendio con l’integrazione del reddito.

Ormai non si contano gli studi, anche da fonti “insospettabili”, che evidenziano gli aspetti positivi di misure come un reddito universale di base. Ma questo provvedimento ha avuto anche l’effetto di prosciugare il bacino di lavoratori a cui era possibile attingere per offerte di lavoro a qualsiasi prezzo e qualsiasi condizione. Ora esiste una sogli minima sotto qui è possibile dire “no”.

ILFQ

sabato 28 agosto 2021

Le mele e le pere. - Marco Travaglio

 

Dal terrificante attentato dell’Isis alle misere vicenduole di casa nostra, è tutto un cianciare a vanvera, violentare la logica, paragonare le mele con le pere. In Afghanistan il fiasco della “lotta al terrorismo” e dell’“esportazione della democrazia” con gli eserciti è sotto gli occhi di tutti: i terroristi sono più forti e motivati, i talebani più potenti e popolari di prima. Ma gli strateghi de noantri non vogliono ammettere di avere detto e fatto fesserie per vent’anni, e fingono di non capire. Non solo Salvini, che non sa neppure dov’è Kabul, ma anche il Giornale e Libero confondono l’Isis (l’aggressore) coi talebani (gli aggrediti, insieme ai profughi e alle truppe occidentali in ritirata): “Kamikaze Isis e talebani”, “I mostri barbuti di Kabul. Altro che trattare, ci bombardano”. Quindi sarebbero i talebani che, accingendosi a governare, hanno avuto la bella idea di organizzarsi una strage di civili in casa propria. Ed è tutta colpa di Conte, che vuole il dialogo coi talebani (proprio in funzione anti-Isis), come Ue, Onu, Nato, Cia, Merkel ecc, mentre gli Usa un anno fa ci hanno financo stretto gli accordi di Doha. Questi poveretti non sanno che la strage imporrà più di prima il dialogo coi talebani, unico potere sul campo in grado di impedire un governo dell’Isis (che li considera dei pericolosi moderati e non è figlio delle loro guerre, ma delle nostre).

Dalla tragedia alla farsa, apprendiamo da Rep che Durigon, il fascioleghista costretto a mollare la poltrona grazie anche al Fatto e ai nostri lettori, non contento di avere riabilitato Mussolini a scapito di Falcone e Borsellino, pretende insieme a Salvini un risarcimento, una specie di riscatto: non solo la promozione a vicesegretario della Lega, ma financo “le dimissioni della Lamorgese e forse anche di Conte”. Il Corriere gli attribuisce questa frase lunare: “C’è chi vuole coprire il Viminale e Conte”. Da cosa debba mai dimettersi Conte, e perché, non è dato sapere. Idem per la Lamorgese che, diversamente da Salvini, non solo è il ministro dell’Interno, ma addirittura lo fa. A proposito di paragoni fra mele e pere, segnaliamo quello fra i nostalgici del Duce e di Rauti e un tizio di FdI che 16 anni fa andò a un party in costume nazista: possibile che nessuno distingua fra una cosa seria e una goliardata? Càpita poi che il Fatto immortali una brigata di renziani che se la spassa a Formentera mentre tenta di scippare ai poveri i 500 euro al mese di reddito di cittadinanza al grido “dovete soffrire e sudare”. La risposta degli scioperati è: “Anche Travaglio è stato a Formentera”. Già, ma non è un parlamentare, non campa di soldi pubblici e soprattutto non ha mai dato lezioni di laboriosità a chi vive in miseria. Se non capiscono la differenza, gli facciamo un disegnino.

ILFQ

Afghanistan: allerta massima di attacchi anche in Usa. -

 

Raid Usa con drone, ucciso un membro dell'Isis-K.


E' "allerta massima" in Usa per il timore di attacchi sul territorio statunitense sulla scia dell'evacuazione dall'Afghanistan e dell'attacco a Kabul. Lo riferisce la Cnn citando una riunione tra i vertici dell'Homeland Security (Dhs) e i responsabili della giustizia federale americana.

In particolare, si stanno tracciando "tre minacce principali", compresa l'infiltrazione di cellule dell'Isis o di al Qaeda nel processo di evacuazione in Usa di profughi afghani. "E' in corso un approfondito screening di chi entra", ha detto nell'incontro il capo dell'intelligence del Dhs, John Cohen.

La risposta americana al sanguinoso attacco all'aeroporto di Kabul non si è fatta attendere. Dopo essersi presentato davanti alla telecamere in lacrime ed aver assicurato che i responsabili dell'attentato l'avrebbero pagata, il presidente Joe Biden ha autorizzato un raid in Afghanistan, nella regione di Nagahar, durante il quale è stata colpita e uccisa una delle menti dell'Isis-K che progettava futuri attacchi.

L'identità del militante non è stata resa nota: il Pentagono lo ha definito un 'planner' dell'organizzazione. Secondo indiscrezioni, l'uomo tramava futuri attacchi ma non sarebbe stato direttamente coinvolto con l'attentato a Kabul. "Riteniamo che questo terrorista fosse coinvolto nella pianificazione di futuri attacchi a Kabul", riferisce un funzionario dell'amministrazione citato dai media americani. L'uomo sarebbe stato sotto osservazione da prima dell'attentato e il personale americano avrebbe atteso che fosse solo prima di lanciare l'attacco con il drone. Il Reaper americano, partito da una base in Medio Oriente, lo avrebbe colpito mentre era a bordo di un veicolo. "Le forze armate americane hanno condotto un'operazione anti terrorismo contro uno degli organizzatori dell'Isis-K. Il raid è avvenuto nella provincia di Nangahar, in Afghanistan. Le indicazioni preliminari segnalano che il target è stato ucciso. Non siamo a conoscenza di vittime civili", si legge in una nota di Bill Urban, portavoce del Central Command. L'ordine di colpire è stato impartito dal ministro della Difesa, Lloyd Austin. Non è chiaro se il raid sia un caso isolato o se sia il primo di una serie in risposta all'attacco a Kabul, durante il quale hanno perso la vita quasi 200 persone di cui 13 militari americani.

L'azione mirata americana segue la nuova allerta lanciata dall'ambasciata Usa a Kabul, che ha invitato gli americani a non recarsi all'aeroporto. A chi si trova già nei pressi dello scalo è stato chiesto di lasciarlo immediatamente alla luce delle minacce per la sicurezza. La autorità Usa ritengono infatti che nuovi attacchi siano probabili in questi ultimi giorni prima del 31 agosto. Una scadenza che si avvicina e che rende sempre più urgente l'evacuazione dal Paese asiatico. Nelle ultime 12 ore sono 4.200 le persone evacuate da Kabul, riferisce la Casa Bianca sottolineando che dal 14 agosto sono state evacuate 109.200 persone, mentre dalla fine di luglio ne sono state evacuate 114.800. Il Dipartimento di Stato ha riferito di essere in contatto con circa 500 americani in Afghanistan che chiedono assistenza per essere evacuati.
Dopo l'attacco all'aeroporto di Kabul, Joe Biden aveva assicurato gli Stati Uniti avrebbero perseguito i responsabili: "Vi prenderemo e ve la faremo pagare", ha detto con le lacrime agli occhi, riportando alla memoria le parole dell'ex presidente George W. Bush dopo gli attacchi dell'11 settembre. La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, è stata ancora più esplicita del presidente: Biden "non vuole" che i responsabili "vivano più sulla Terra".

ANSA

venerdì 27 agosto 2021

Durigon vede Salvini, dimissioni da sottosegretario.

 


"Il mio incarico svolto con orgoglio e serietà".


Il sottosegretario della Lega all'Economia, Claudio Durigon ha incontrato il segretario del suo partito Matteo Salvini e si è dimesso. "Ho deciso di dimettermi dal mio incarico di governo che ho sempre svolto con massimo impegno, orgoglio e serietà". Lo annuncia il sottosegretario leghista all'Economia, Claudio Durigon in una lunga lettera diffusa dal suo partito.

Una decisione presa, aggiunge, "per uscire da una polemica che sta portando a calpestare tutti i valori in cui credo, a svilire e denigrare la mia memoria affettiva, a snaturare il ricordo di ciò che fecero i miei familiari proprio secondo quello spirito di comunità di cui oggi si avverte un rinnovato bisogno".

"Un processo di comunicazione si valuta non in base alle intenzioni di chi comunica, ma al risultato ottenuto su chi riceve il messaggio: è chiaro che, nella mia proposta toponomastica sul parco comunale di Latina, pur in assoluta buona fede, ho commesso degli errori.

Di questo mi dispiaccio e, pronto a pagarne il prezzo, soprattutto mi scuso. Mi dispiace che mi sia stata attribuita un'identità "fascista", nella quale non mi riconosco in alcun modo. Non sono, e non sono mai stato, fascista. E, più in generale, sono e sarò sempre contro ogni dittatura e ogni ideologia totalitaria, di destra o di sinistra: sono cresciuto in una famiglia che aveva come bussola i valori cristiani." 

ANSA

Liberarsi di una presenza imbarazzante come quella di questo triste personaggio è gratificante.
Il suo non saper o voler notare la differenza che passa tra i valori cristiani, ai quali fa riferimento, e la simpatia manifestata verso un personaggio, vicino per vincoli parentali ad un altro personaggio che ha causato grossi problemi al nostro paese, è inaccettabile. 
c.

Isis-K, l’origine e i rapporti con la galassia jihadista degli attentatori di Kabul. - Roberto Buongiorni

 

Forte di circa 1.500 miliziani, è una brigata internazionale del terrore che ha attratto i talebani più vicini ad al Qaeda ed ex foreign fighters siriani.

I terroristi islamici amano farsi pubblicità. Desiderano che le loro carneficine siano riprese e raggiungano la più ampia platea possibile. Poche altre volte come in questi giorni, i riflettori dei media mondiali sono tutti, o quasi, puntati su Kabul. La capitale afghana rappresentava dunque una vetrina forse irripetibile. Un attentato in grande stile avrebbe, per esempio, rispolverato l’immagine del feroce movimento dello Stato Islamico del Khorasan, altrimenti conosciuto come Isis K, messo in ombra dai sorprendenti successi militari dei talebani, i nuovi padroni dell’Afghanistan.

Ex costola di al Qaeda.

Dietro l’attacco kamikaze all’aeroporto di Kabul c’è questa organizzazione guidata da un anno e mezzo dall’ex qaedista Shahab al-Mujari. Ma che cosa è esattamente lo Stato Islamico del Khorasan? Era il 2015, quando iniziarono a comparire le prime rivendicazione da parte di un sedicente gruppo terrorista che si definiva «Provincia del Khorasan dello Stato Islamico» (il grande Khorasan è termine storico che indica i territori degli odierni Afghanistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Pakistan). Apparentemente fu fondato dai talebani pakistani, ovvero i gruppi qaedisti presenti nella regione del Waziristan, una terra di nessuno dove spesso non arriva la mano del governo pakistano, e dove i qaedisti agivano indisturbati (in queste montagne si era nascosto per anni Osama Bin Laden). Da allora gli attentati più crudeli, alcuni rivolti direttamente contro civili inermi, soprattutto a Kabul e nell’Afghanistan centro orientale, sono opera loro. La rottura della fragile alleanza tra gruppi qaedisti e Isis in Siria, e la conseguente guerra civile jihadista per il controllo del territorio, si ripetè anche in Afghanistan. Dove Isis e talebani arrivarono presto allo scontro armato.

Avversari dei talebani.

Dal 2015 al 2018, il movimento era stato particolarmente attivo. Ma il progressivo declino del Califfato siro-iracheno, fino alla sua sconfitta, si sono riflessi anche sul morale, e soprattutto sulle finanze dell’Isis-K. L’Isis afghano cominciò a subire un’involuzione che lo portò a ritirarsi in piccole aree dove sopravviveva grazie al controllo di alcune miniere, tra cui quelle di talco nella provincia di Nangahar ai confini con il Pakistan. Nel 2019 tuttavia, complici anche la decisione di entrare nel business del narco traffico, l’Isis-K ha rialzato la testa. Grazie a maggiori entrate è riuscito a riprendere possesso di diversi territori e oggi la sua presenza si è estesa in diverse province (in Nangarhar, Kunar, Nuristan, Badakhshan).

Una brigata internazionale del terrore.

Difficile conoscere il numero dei suoi combattenti. Si parla di 1.500 miliziani. Una sorta di brigata internazionale del terrore che, se da un lato ha attratto i talebani più vicini ad al Qaeda e contrari a qualsivoglia accordo di pace con Kabul (tra cui Tehrik-e Taliban Pakistan e quel che resta dell’Islamic Movement of Uzbekistan), dall’altro ha funzionato come un magnete per i gruppi estremisti in fuga dalla Siria (soprattutto di jihadisti centro asiatici). Il tentativo della nuova leadership taleban di mostrare un nuovo volto, meno estremo e più colllaborativo con l’Occidente (i fatti devono però ancora seguire alle parole), sta tutt’ora provocando una nuova ondata di defezioni tra i gruppi talebani più vicini ad al Qaeda. La priorità dell’Isis-K non è mai stata un segreto: distruggere l’influenza dei talebani nell’Afghanistan orientale e da lì costruire una nuova grande base del jihadismo globale, quindi anti-occidentale.

L’ideologia del Califfato.

La sua ideologia è la stessa del Califfato. Esportare il jihad nel mondo e fare terra bruciata di apostati ed infedeli, ovvero di tutti coloro che (musulmani o non) siano per qualsivoglia motivo diversi da loro. Ecco perchè gli attacchi più efferati dell’Isis-K sono stati rivolti contro l’etnia Hazara, gli afghani dai tratti mongoli, in larga parte sciiti, che vivono nella regione centrale dell’Hazarajat. Contro di loro, e altre minoranze religiose, hanno raggiunto una brutalità impensabile. Dall’attacco kamikaze in marzo contro un tempio Sikh (25 pellegrini uccisi), a quelli in maggio nell corsie del reparto maternità di un ospedale di Kabul (16 morti tra cui dei bambini) dove operava Medici senza frontiere, all’attentato contro un funerale, fino alla raccapricciante strage delle giovani studentesse, soprattutto hazara, Le vittime furono 55 vittime, quasi tutte avevano tra gli 11 e i 15 anni. Il timore è che non sarà l’ultimo. Nel nuovo afghanistan l’Isis-K ha trovato un terreno fertile.

IlSole24Ore

Università: un miliardo del Pnrr in regalo ai privati. - Alessandro Bonetti

 

La soluzione sul modello dell’housing sociale.

Perdersi nelle centinaia di pagine del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e dei suoi allegati è molto facile e molte scelte del governo, pur assai rilevanti, rischiano di finire in secondo piano nel dibattito pubblico: è passata quasi inosservata, ad esempio, la riforma degli alloggi per gli studenti universitari e invece siamo, di fatto, di fronte a un vero e proprio regalo agli immobiliaristi.

Prima, però, facciamo un passo indietro. Il Covid ha costretto molti cosiddetti “fuorisede” ad abbandonare la città dove studiavano e ancora oggi le incognite restano tante. Certo, il prezzo degli affitti sembra essere leggermente sceso (-2,5%), ma sul ritorno in presenza delle lezioni pesa la mancanza di un’organizzazione condivisa e ben ragionata. Le criticità emerse con la pandemia si sono innestate su problemi strutturali, come i ritardi nell’assegnazione dei posti letto e le disomogeneità fra regioni. La scarsità degli alloggi disponibili fa sì che negli studentati viva solo il 5% degli universitari italiani, contro una media europea del 17% (dati Eurostudent).

In questo contesto di disagio, la versione definitiva del Pnrr prevede lo stanziamento di 960 milioni di euro per la residenzialità studentesca. L’obiettivo? Portare i posti per gli studenti fuorisede dagli attuali 40 mila a oltre 100 mila entro il 2026.

Come raggiungere questo traguardo? Eccoci giunti al punto cruciale: la revisione della legge 338/2000 e del decreto legislativo 68/2012 sulla realizzazione degli alloggi studenteschi. La riforma prevede “l’apertura della partecipazione al finanziamento anche a investitori privati, o partenariati pubblico-privati” e una lunga serie di altre concessioni ai signori del mattone.

Innanzitutto il governo sosterrà la “sostenibilità degli investimenti privati” con un regime di tassazione agevolato (“simile a quello applicato per l’edilizia sociale”). Poi, i nuovi alloggi potranno essere utilizzati dai gestori in modo “flessibile”. In altre parole, quando non serviranno a ospitare studenti, potranno essere affittati a terzi. Non solo: saranno ammorbiditi anche i requisiti sugli spazi comuni minimi. In cambio, i gestori dovranno soltanto provvedere a camere singole “meglio attrezzate”.

Infine, la ciliegina sulla torta. Il ministero dell’Università e della Ricerca coprirà in anticipo (!) ai privati gli “oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture”. In sintesi, il governo riempirà generosamente di soldi pubblici le tasche dei costruttori privati, nella speranza che ciò possa triplicare gli alloggi studenteschi disponibili in Italia. Questa misura, che il Pnrr definisce una “architettura innovativa e originale”, nel migliore dei casi sarà un pasto gratis per gli immobiliaristi. Nel peggiore, non scalfirà il problema dei posti letto. In ogni caso, il percorso legislativo è stato avviato, dato che alcune delle modifiche previste dal Pnrr sono già state inserite nel recente decreto Semplificazioni.

Fra i diretti interessati (ossia gli studenti) inizia a serpeggiare qualche malumore. Giovanni Sotgiu, coordinatore dell’Unione degli Universitari, dice al Fatto: “L’intervento previsto nel Pnrr per aumentare i posti letto nelle residenze universitarie va nella direzione giusta, ma è sicuramente ancora insufficiente se si guarda al numero totale di immatricolazioni e lo si rapporta alla percentuale di beneficiari di posti letto”. Per Sotgiu l’aumento della soglia di cofinanziamento statale è positivo, ma “è necessario che i fondi raddoppino e si lavori sugli standard di qualità degli alloggi, oltre che sul numero”.

Non sono solo queste le preoccupazioni degli universitari. Sotgiu sottolinea che “la possibilità di cofinanziamento da parte dei privati, in un ambito determinante per l’accesso all’università pubblica di tante studentesse e tanti studenti, rischia di conferire una discrezionalità sui criteri di accesso alle residenze – come è già accaduto a Venezia – che può facilmente rivelarsi limitante ed escludente, ampliando le già note disuguaglianze territoriali”. Che fare, allora? “Stato e Regioni dovrebbero stanziare la quantità di finanziamenti sufficienti a coprire in toto il fabbisogno di posti alloggio, così da non dover subordinare i criteri di accesso agli interessi dei privati”.

Non c’è da nascondersi dietro un dito: la torta degli affitti studenteschi fa gola a molti. Nel settore alcuni si stanno già muovendo. Un esempio? Dopo i Giochi di Milano-Cortina del 2026, il villaggio olimpico diventerà in parte uno studentato, di cui si occuperà la Coima sgr dello sviluppatore Manfredi Catella, che gestisce 27 fondi immobiliari e vale 8,4 miliardi di euro di investimenti.

Invece di realizzare un massiccio piano di residenzialità pubblica, nel Pnrr si è insomma deciso di supportare (e garantire) gli investimenti privati. Il diritto allo studio, così, rischia di passare in secondo piano. Su un punto cruciale della vita universitaria, che avrà un impatto su migliaia di giovani, il governo sembra aver rinunciato a intervenire con decisione e coraggio.

ILFQ

Chi ha deciso che io debbo pagare anche le università private? E chi ha deciso che, se voglio mandare mio figlio a studiare nelle università private debbo pagare retta, vitto e alloggio?
Lo hanno deciso gli stessi che approfitteranno, come sempre hanno fatto di tutto, tanto pago io per agevolare loro??
Dimenticavo, abbiamo Draghi a presiedere il Consiglio dei Ministri...
c.