mercoledì 1 settembre 2021

Gian Carlo Caselli - “Limitare le misure cautelari? Nelle corde dei radicali, meno del carroccio”. - Gianni Barbacetto

Gian Carlo Caselli - “Limitare le misure cautelari? Nelle corde dei radicali, meno del carroccio”.

Gian Carlo Caselli, già procuratore della Repubblica a Torino e a Palermo, prevede un effetto boomerang, a proposito dei referendum radicali e leghisti sulla giustizia: “Possibili effetti negativi per l’amministrazione della giustizia e per l’interesse generale, ma anche un boomerang per i promotori”.

Dottor Caselli, si riferisce al quesito sulla custodia cautelare?

Non solo a quello. Il quinto quesito prevede che i potenziali autori seriali di gravi reati, se questi non sono commessi con armi o con violenza, non possano più essere assoggettati a misure cautelari in base – come avviene ora – alla previsione della possibile ripetizione dei reati. Si possono riscrivere le norme sulla custodia cautelare riducendone gli spazi: è un’operazione nelle corde dei radicali, assai meno della Lega. Se passa il referendum, ci saranno casi delicati e complessi, in cui sarebbe utile se non necessario ricorrere alla custodia cautelare, che non potrà invece scattare, in forza della nuova normativa. L’opinione pubblica, la piazza, rifiuteranno questa situazione, si genererà sconcerto, ci saranno proteste sul funzionamento della giustizia, che sarà accusata di lassismo. Gli effetti, per la magistratura, già in profondissima crisi dopo lo scandalo Palamara, saranno devastanti. Ancora una volta si darà la colpa di tutto ai giudici. Un boomerang per la giustizia. Ma anche per la Lega che è tra i promotori del referendum e che ha sempre chiesto massima severità per chi compie certi reati, come lo stalking.

In difesa del referendum è intervenuta anche Giulia Bongiorno, in passato sostenitrice di misure dure per chi compie reati contro le donne.

Proprio sul Fatto, la senatrice ha sostenuto che questo referendum vuole evitare gli abusi, ma non riduce le tutele, perché “per applicare le misure cautelari sarà sufficiente che il giudice ravvisi nella condotta dello stalker elementi sintomatici di una personalità incline al compimento di atti di violenza” e il giudice dovrebbe cercare “i sintomi” di una possibile violenza futura. È una forzatura della legge che genera un cortocircuito. La prognosi astratta di futura effettiva violenza è, se non impossibile, almeno molto difficile, opinabile, sicura rampa di lancio di incertezze, discussioni interminabili e polemiche feroci.

Strana alleanza, quella tra i Radicali e la Lega?

Ognuno in politica si allea con chi vuole, ma in questo caso tra i due ci sono enormi differenze. L’area radicale comprende l’associazione “Nessuno tocchi Caino” e ha una filosofia opposta a quella della Lega incentrata sul classico “legge e ordine”. Due mondi così diversi, al punto da far temere un’alleanza strumentale: in un momento difficile per la magistratura, sull’orlo del baratro per una crisi terribile, questo per qualcuno potrebbe sembrare il momento giusto per sferrare l’attacco finale, per fare i conti definitivi con i giudici. Ma vorrei segnalare, a questo proposito, un quesito referendario ancor più pericoloso.

Quello sulla separazione delle carriere?

Sì. Si basa sull’affermazione che i giudici sono appiattiti sul pm, dunque bisogna separarli. È una prospettazione sostanzialmente falsa. In tutti i Paesi in cui la separazione c’è, la conseguenza è sempre una sola: il pm prende ordini o direttive dal potere esecutivo. Fine dell’indipendenza della magistratura, fine della speranza che la legge possa essere uguale per tutti. Così torneremmo indietro rispetto a una situazione che in molti Paesi europei viene invidiata: in un articolo di Le Monde del giugno 2020, autorevoli rappresentanti della magistratura francese indicavano di fatto la situazione italiana come traguardo da raggiungere, per liberare i magistrati d’accusa francesi dal peso di dover analizzare gli affari “sensibili” in base ai possibili interventi del potere. E noi invece in Italia vogliamo fare il contrario.

ILFQ

Stagionali, ecco i veri numeri del boom. Il Reddito e la bufala “divanisti”. - Roberto Rotunno

 

Le cifre Inps dal 2019 - La misura anti-povertà non ha mai frenato le assunzioni, che sono sempre aumentate.

Se davvero – come raccontano mezzo arco parlamentare e certa stampa interessata – il Reddito di cittadinanza ha reso introvabili i lavoratori stagionali, allora le imprese italiane devono spiegare come è possibile che, dopo l’entrata in vigore del sussidio, le assunzioni siano aumentate e di tanto. Questo dicono i dati: nei mesi successivi all’introduzione della misura anti-povertà – vale a dire aprile 2019 – i contratti di lavoro stagionale sottoscritti sono sistematicamente aumentati, almeno fino a quando le chiusure dovute alla pandemia non hanno giocoforza comportato un crollo che comunque, alla lunga, è stato meno drastico di come si potrebbe percepire dalle urla di dolore emanate a reti unificate. Tanto che, giusto per citarne una, i rapporti avviati in tutto il 2020 sono stati 656 mila, praticamente lo stesso numero registrato nel 2018, penultimo anno di “normalità”.

Insomma, dai report Inps emerge chiaramente che nelle ultime tre estati, pur con molte famiglie sostenute dal Rdc, le aziende turistiche hanno continuato a beneficiare di un vasto esercito di addetti. Con buona pace di Matteo Renzi, Matteo Salvini, Vincenzo De Luca, di ristoratori, albergatori e titolari di stabilimenti balneari che continuano a ottenere grande spazio sui media per portare avanti una narrazione accettata per fede dal centrodestra e parte dell’opinione pubblica, sebbene smentita dalle statistiche. Un dibattito così delicato, come quello che alcuni partiti di maggioranza stanno cercando con forza di inserire nell’agenda del governo al fine di abolire lo strumento o quantomeno colpirlo duramente, non può prescindere dai numeri. Partiamo quindi, come detto, da aprile 2019, quando le prime 564 mila famiglie hanno ricevuto la carta acquisti associata al Reddito di cittadinanza. Nello stesso mese, le assunzioni di lavoratori stagionali hanno visto un incremento molto robusto: 114 mila contro le 76 mila dell’anno prima. Si tratta di un mese dell’anno in cui i datori compiono la prima infornata per preparare la stagione estiva e, nonostante nel 2019 sia coinciso con l’arrivo dell’aiuto statale, si è riusciti persino ad aumentare di molto gli arruolamenti. Questa crescita di assunzioni è proseguita per quasi tutti i successivi mesi dell’anno, tanto che il 2019 ha chiuso con un totale di 733 mila contratti a fronte dei 661 mila del 2018. Se per il confronto ci limitiamo a considerare solo il periodo tra aprile e dicembre, quindi solo quello con il Reddito di cittadinanza già operativo, abbiamo 637 mila contratti nel 2019 e 558 mila nel 2018. Conclusione: nei primi nove mesi di Rdc i rapporti stagionali sono saliti di circa il 13%.

Parliamo dell’ultimo anno prima della pandemia. Quando, a fine febbraio del 2020, l’Italia ha iniziato a fare i conti con il Covid, la situazione è inevitabilmente cambiata. Tra marzo, aprile e una parte di maggio il Paese si è fermato, in particolar modo il comparto turistico. A giugno ha dovuto riaprire in fretta e le assunzioni sono tornate a volare: 166 mila, quasi perfettamente in linea con il dato nel 2019. Ma è soprattutto a luglio che le imprese hanno recuperato gli ingressi non effettuati durante la primavera, tanto che in quel mese l’Inps ne segna 178 mila contro i 97 mila di luglio 2018. E ancora ad agosto con 72 mila avviamenti, quasi il doppio dei 43 mila del 2019. Alla fine, il 2020 ha chiuso con 656 mila assunzioni, a spanne l’11% in meno del 2019. Si tratta di una contrazione ampiamente giustificata dai mesi di lockdown. Con le riaperture, invece, non c’è stato alcun effetto divano, pur denunciato dalle imprese come conseguenza non solo del Reddito di cittadinanza, ma anche della mole di interventi pubblici approvati per far fronte all’emergenza (bonus da 600 euro e Reddito di emergenza, per fare due esempi). Semmai ci sono state difficoltà di reperimento, andrebbero imputate all’effetto “collo di bottiglia” creato dalle misure pandemiche. Cioè al fatto che, come mostrano chiaramente i dati, le aziende hanno concentrato in soli due mesi le assunzioni che di solito spalmano in un periodo più lungo e questo ha reso un po’ meno agevole trovare i candidati. Molti disoccupati, tra l’altro, si erano già verosimilmente reinventati in altri settori, per esempio nella logistica, per sopperire alla mancata assunzione. Questo a voler tacere su tutti gli altri fattori che hanno reso strutturalmente meno attrattivo il lavoro nel turismo: le basse paghe, le condizioni indecenti spesso offerte, i sussidi molto deboli nei mesi di inattività forzata.

Arriviamo infine al 2021. Anche qui, le chiusure natalizie e pasquali hanno ridotto le assunzioni stagionali, che fino ad aprile sono cresciute rispetto al 2020 ma tenendosi sempre ben lontane dai periodi pre-pandemici. Già con i primi allentamenti delle restrizioni, i contratti hanno vissuto un boom: a maggio sono stati oltre 142 mila, un record rispetto a tutti gli anni precedenti presenti in archivio. Tra alcune settimane l’Inps pubblicherà quelli di giugno e potremo vedere quanto sia stato robusto il recupero. Ma, intanto, anche l’esplosione di maggio dimostra che si è di nuovo creato un collo di bottiglia.

Chi prende il Reddito di cittadinanza si offre spesso nelle attività stagionali, tanto che l’ultima rilevazione Anpal (di ottobre 2020, poi non sono più state aggiornate dal ministero, non si sa perché) diceva che – dei 350 mila percettori che avevano trovato un impiego – 48 mila hanno operato nella ristorazione e 44 mila nell’agricoltura. Il fatto che il Reddito disincentivi il lavoro è smentito da ogni dato ufficiale. A dirla tutta, per capirlo basterebbe la semplice logica: come si può rifiutare uno stipendio da 1.200 euro in cambio di un sostegno statale che vale in media 548 euro per l’intera famiglia? Questo è quanto “intascano” i nuclei beneficiari: si va dalla media di 447 euro per i single ai 700 euro per le famiglie con quattro bocche da sfamare. Come queste cifre possano indurre la gente a rifiutare una regolare retribuzione da lavoro (che tra l’altro può garantire una pensione futura) resterà un mistero e, prima o poi, gli imprenditori che hanno approfittato dell’eco concessa dai giornali per instillare questo racconto dovranno dare spiegazioni. A meno che non vogliano spiegarlo i vari Renzi, Salvini e De Luca, dato che in tutti questi mesi si sono fatti imperterriti portavoce di quelle stesse imprese.

ILFQ

Lombardia Film Commission, le motivazioni delle condanne ai due contabili della Lega: “Usarono il loro ruolo politico per arricchirsi”.

 

Il capannone di Cormano acquistato da Lombardia Film Commission, scrive il gup di Milano Guido Salvini, "rischiava di rimanere invenduto e di deteriorarsi e solo la decisione degli imputati di acquistarlo" gli ha attribuito il valore gonfiato di 800mila euro. Soldi che poi furono spartiti tra Di Rubba e Manzoni (condannati rispettivamente a 5 anni e 4 anni e 4 mesi per peculato), il venditore Michele Scillieri e l'imprenditore Francesco Baracchetti

Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, revisori contabili della Lega in Parlamento, hanno usato “la loro attività di origine politica” per “ottenere arricchimenti personali”, mettendo in pratica un “modello davvero deteriore”. Sono le dure valutazioni espresse dal gup di Milano Guido Salvini nelle motivazioni della sentenza con cui il 3 giugno scorso ha condannato Di Rubba a 5 anni di reclusione e Manzoni a 4 anni e 4 mesi per il caso del capannone di Cormano, nel Milanese, acquistato dalla Lombardia Film Commission in una compravendita con cui sarebbero stati drenati 800mila euro di fondi pubblici. Per il giudice – si legge nelle oltre 100 pagine del provvedimento – non si è trattato “di un peculato piccolo piccolo, come quello dell’impiegato comunale o del dipendente delle Poste che si appropria di beni”, bensì di un “piano costruito nel tempo“, già dal 2017, “che si è avvalso, per la sua realizzazione, delle competenze di Di Rubba (che all’epoca era presidente di Lfc, ndr) e Manzoni, inseriti ad alto livello in enti pubblici”, e di quelle di Michele Scillieri, commercialista esperto e di successo”, che ha patteggiato 3 anni e 4 mesi lo scorso febbraio. Per Di Rubba e Manzoni, finiti ai domiciliari, di recente la misura cautelare è stata convertita in quella più lieve dell’obbligo di dimora.

Insediarsi “in un Ente regionale e sfruttare tale posizione” per “dirottare su se stessi denaro pubblico – scrive il giudice – è un pessimo esempio perché aggiunge sfiducia e rifiuto da parte dei cittadini nei confronti delle amministrazioni territoriali e nella attività politica in genere”. Nell’inchiesta, coordinata dall’aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi, gli imputati hanno anche mostrato reticenza. “È immediato notare come quelle di Di Rubba – si legge – siano dichiarazioni confuse, incerte, imbarazzate e in parte contraddittorie. Tutto avviene per caso, ogni avvenimento è sfocato, indistinto, come immerso in una nebbia lombarda”. Un intero capitolo è dedicato al concetto di prezzo come proprietà “non intrinseca” di un bene mobile o immobile. “Un immobile – scrive il giudice – è un ente fisico, ma il suo valore non è intrinseco ad esso, non è una sua proprietà, non fa parte della sua “sostanza” ma è determinato “dalle relazioni soggettive tra il proprietario e i possibili acquirenti”. Il capannone di Cormano “rischiava di rimanere invenduto e di deteriorarsi per un tempo indefinito, gravato in più dal debito erariale, e solo la decisione degli imputati, nei loro diversi ruoli, di acquistarlo” ha “attribuito in concreto il valore di 800.000 euro” a un bene “che altrimenti poteva non valere nulla“.

A vendere il capannone a Lfc fu Andromeda, società riconducibile a Scillieri: i commercialisti si spartirono il prezzo pagato dall’ente assieme all’imprenditore Francesco Barachetti (ancora a processo), sulla carta impegnato nella ristrutturazione. In più, nelle motivazioni, sono riportati passaggi di interrogatori nei quali Scillieri ha parlato di “prassi adottate dalla Lega Nord e di cui aveva avuto conoscenza personalmente, relative agli incarichi pubblici e alla successiva parziale retrocessione degli emolumenti (il “sistema del 15%” raccontato dal Fattondr)“. Prassi “condivise e collaudate” da Di Rubba e Manzoni. Per quanto riguarda i filoni d’indagine ancora aperti, infine, dovrebbero presto arrivare a Milano gli atti dell’inchiesta sulla sparizione dei 49 milioni di euro della Lega, una parte della quale è stata trasferita dalla Procura di Genova ai colleghi lombardi, mentre l’altra (su un presunto riciclaggio di dieci milioni in Lussemburgo) va verso l’archiviazione.

ILFQ

Il giuramento di Ipocrita. - Marco Travaglio

 

Diceva La Rochefoucauld che l’ipocrisia è la tassa che il vizio paga alla virtù. Infatti ormai è l’unica tassa che nessuno evade. Una specie di Green Pass obbligatorio per fare politica. Ipocrita Conte che attacca i due decreti Sicurezza del suo ex ministro dell’Interno Salvini senza fare autocritica: il premier che li avallò era lui. Ma ancor più ipocrita chi seguita a definirli fascisti e incostituzionali, scordandosi che a firmarli fu Mattarella (sono “decreti del presidente della Repubblica”, senza il quale non esistono). Super-ipocriti Salvini e gli altri leghisti che nel 2018 elogiarono e votarono in Parlamento il Reddito di cittadinanza e ora ne reclamano a gran voce l’abolizione. Per non parlare del Pd che, più a destra della Lega, riuscì financo a votare contro il più massiccio intervento mai visto contro la povertà, e ora lo difende senza una parola di contrizione per quel No che avrebbe potuto affossarlo. Maxi-ipocriti i giornaloni che continuano a menarla su Conte per aver detto ciò che ora ripetono tutti i leader e gli osservatori con la testa sul collo: bisogna trattare coi talebani (e con chi, se no, visto che sono l’unico potere rimasto a Kabul: con mia zia?) e coinvolgere Russia e Cina (se lo dice SuperMario è un genio della geopolitica, se lo dice Giuseppi è un servo di Mosca e Pechino).

Molti lettori hanno la fortuna di non leggere le cronache romane, sennò scoprirebbero di quali ipocrisie e bugie grondi la campagna elettorale nella Capitale. Siccome la Raggi, data per morta dal 2016, gode discreta salute, non passa giorno senza che i giornaloni inventino una balla. Il Corriere-Roma sbatte in copertina uno scandalo mondiale: “L’ultima offesa a Spelacchio” (l’albero di Natale rinsecchito del 2016 che continua a fornire legna al rogo per la strega Virginia). Quale offesa? Tenetevi forte: “La casetta dedicata ai bambini e al fasciatoio per le mamme installata nel 2018 a Villa Borghese non è mai stata aperta. Eppure doveva essere un esempio virtuoso del riciclo del legno di Spelacchio”. Perbacco. Non è uno scherzo: è il Corriere della sera. Meglio ancora Repubblica: “Raggi, cena con show e la doppia morale 5S. Bufera sull’appuntamento a Ostia: ‘Spettacolo pirotecnico pagato dal Municipio’”, “‘Cena elettorale senza Green Pass’, nuova bufera su Raggi”. La bufera consiste nel fatto che ieri, come ogni anno, Ostia ha chiuso la stagione balneare con una festa in piazza alle 23.30 coi fuochi d’artificio. Sempre ieri, alle 19, la Raggi presenziava a una cena elettorale sulla terrazza di un ristorante da cui i botti neppure si vedono e dove, trattandosi di un locale all’aperto, la legge non prevede il Green Pass. Capito lo scandalo, la bufera, la doppia morale? Ma andé a ciapà i ratt (che fra l’altro a Roma abbondano).

ILFQ

martedì 31 agosto 2021

Reddito di cittadinanza, un diritto inalienabile.


Il reddito di cittadinanza ha abolito paghe in nero e da fame che furbi esercenti offrivano ai lavoratori per rimpinguare le proprie tasche.

Chi vuole abolirlo è solo un sostenitore dell'illegalità e dell'evasione fiscale. Il lavoro, quel poco che c'è, è appannaggio degli addetti ai centri di lavoro e dei loro referenti politici e sindacali che favoriscono parenti, amici e conoscenti.

Ormai in Italia, la raccomandazione è l'unica risorsa disponibile per ottenere ciò che dovrebbe essere un diritto ottenere, vedi il riconoscimento dell'indennità di invalidità concesso a chi è in forma perfetta e negato a chi ha seri problemi fisici.

La constatazione, poi, che a chiedere l'abolizione del rdc siano esimi politici che hanno entrate fisse di denaro pubblico, quindi pagati da noi, che legiferano solo per agevolare se stessi, rende la faccenda ancor più incomprensibile e deprecabile.

Se potessi me ne andrei da questa Italia martoriata da ingiustizie perpetrate da chi dovrebbe amministrarci con onestà e responsabilità.

Il mondo, ormai, è nelle mani dei furbi e degli arroganti.

cetta.

Reddito, così parlavano: Lega (e Pd) hanno cambiato idea. - Giacomo Salvini

 

Il vestito era quello delle grandi occasioni, il tono anche. Il 19 gennaio 2019, Matteo Salvini non riusciva a contenere l’entusiasmo per l’approvazione del decreto che introduceva il Reddito di cittadinanza e Quota 100: “Quello di oggi è un passaggio storico. Fra Reddito di cittadinanza, flat tax, Quota 100 e pace fiscale saranno almeno 10 milioni gli italiani che riceveranno un aiuto: Giuseppe e Luigi, io vi dico grazie per i sette mesi entusiasmanti e i prossimi 10 anni lo saranno altrettanto”. Dieci giorni dopo il leader della Lega e ministro dell’Interno ribadiva il concetto senza paura di diventare pomposo: “Sono estremamente felice e orgoglioso”. E sul Reddito cittadinanza voluto dal Movimento 5 Stelle Salvini diceva: “Aiutare 5 milioni di poveri e i 3 milioni di disoccupati è un atto di giustizia sociale”. Dall’altra parte c’era il Pd, all’opposizione del governo gialloverde, che ogni giorno tirava bombe a mano contro il Reddito di cittadinanza, misura chiesta da anni dal Forum sulle Diseguaglianze e dall’Alleanza contro la Povertà: dal segretario reggente Maurizio Martina a Nicola Zingaretti passando per Andrea Orlando e Matteo Renzi, tutti si prodigavano in dichiarazioni, interviste e uscite chiedendo di cambiare, abolire o addirittura abrogare con un referendum il reddito grillino. Due anni, e molta acqua sotto i ponti, più tardi il mondo si è rovesciato: oggi Salvini, sempre al governo ma con Draghi a Palazzo Chigi, sostiene che “il Reddito di cittadinanza disincentiva il sacrificio” e va “cancellato”, mentre il Pd, alleato con il M5S, ha cambiato idea e si esercita nell’arte di difendere l’aiuto ai più poveri, sebbene proponendo qualche piccola modifica. Fatto sta che oggi la modifica del Reddito di cittadinanza sembra essere diventata la priorità della politica italiana. E dunque è utile tornare al 2019 per ricordare come in soli due anni tutto si sia ribaltato.

Lega da svolta storica a legge per i fannulloni.

Il voltafaccia più evidente è quello di chi quella misura la volle, la condivise e la votò nel Consiglio dei ministri del 19 gennaio 2019: cioè la Lega di Matteo Salvini. Una norma contenuta nel cosiddetto “decretone” che conteneva anche Quota 100. Le dichiarazioni di allora del vicepremier Salvini si sprecano: “Una svolta storica” (19.01), “coronamento di anni di battaglie” e “una misura che mette il lavoro al centro” (29.01). Anche i parlamentari e ministri leghisti condividevano la posizione del capo. L’allora sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon si preoccupava addirittura di estenderlo a “invalidi e famiglie numerose” (21.01) mentre il suo omologo all’Economia, Massimo Bitonci, spiegava che “dare soldi alle persone povere va bene, è giusto, perché il povero consuma tutto e questa è una misura di crescita dei consumi” (22.02). Anche la ministra della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno sosteneva in pieno il Reddito: “Condividiamo questa misura – diceva alla vigilia dell’approvazione – l’abbiamo sicuramente migliorata e certamente la voteremo” (18.01). Durante il dibattito in Parlamento il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo addirittura si travestiva da grillino della prima ora: “Se questo meccanismo (il Reddito di cittadinanza, ndr) esiste in molti Paesi europei, evidentemente una ragione ci sarà. Noi consideriamo che sia giusto aiutare i cinque milioni di poveri e tre milioni di disoccupati: per noi è un atto di giustizia sociale”. (27.02). Salvini rispondeva anche a chi, nella Lega, come Giancarlo Giorgetti, si preoccupava per le proteste degli imprenditori del Nord: “È giusto pensare agli imprenditori ma dobbiamo pensare anche a chi non ce la fa. Aiutare gli ultimi, i disoccupati, i dimenticati è un atto di giustizia di cui vado fiero (22.02). E poi, col tono da celerino, rispondeva così ai critici secondo cui il Reddito di cittadinanza avrebbe favorito il lavoro nero: “Faremo l’impossibile per evitare i furbetti, so che qualche fenomeno fa cambi di residenza, divorzia o altro: ‘Amico mio ti arriva la Finanza se pensi di prendermi per scemo’”. (24.01).

Due anni dopo, è tutto cambiato. Oggi nonostante sia stato un aiuto fondamentale in tempi di pandemia, Salvini dice questo del Reddito di cittadinanza: “È un insulto a chi lavora”, “favorisce il lavoro nero”, “disincentiva sacrificio e passione”. E quindi? “Va cancellato” e “deve sparire” a costo di presentare un emendamento a sua firma in legge di Bilancio.

Pd da iniquità a legge giusta.

Il Pd invece ha fatto il percorso inverso. Due anni fa, dall’opposizione al governo gialloverde, faceva le barricate contro la misura grillina, ma dopo pochi mesi ha cambiato idea: da quando i dem sono al governo con il M5S hanno sempre difeso il Reddito di cittadinanza come norma fondamentale per il contrasto alla povertà. Anche allora, com’è solito nella storia del partito, il Pd si divideva tra le sue molteplici correnti. I renziani, per bocca di Roberto Giachetti, iniziarono a far balenare l’ipotesi di raccogliere le firme per un referendum abrogativo (oggi proposto proprio da Matteo Renzi) con Maria Elena Boschi che twittava sulla “vita in vacanza” degli italiani col Reddito, mentre la minoranza diceva “no” al referendum ma opponendosi alla misura. Il segretario reggente Maurizio Martina parlava di “errore” e per lui quei 10 miliardi si potevano “spendere meglio” (20.01) mentre Andrea Orlando, leader della sinistra dem e oggi ministro del Lavoro, andava all’attacco: “La finalità è giusta ma il rischio di assistenzialismo c’è perché non è legato a percorsi di reinserimento al lavoro. Il decreto è sbagliato e rischia di screditare lo strumento stesso” (20.01). Al Fatto Orlando ribadiva: “La finalità è giusta, ma produrrà gli effetti contrari”. E giù dichiarazioni durissime: “Un capolavoro di incoerenza e bugie” (Debora Serracchiani), “una misura iniqua e a volte paradossale” (Edoardo Patriarca), “una corsa a dare i soldi prima delle elezioni, lo avrà anche il piccolo camorrista” (Vincenzo De Luca), “Reddito e Quota 100 sono fuffa e truffa” (Andrea Marcucci). L’allora capogruppo Graziano Delrio nella sua dichiarazione di voto alla Camera parlava di “meccanismo di risorse che esclude i più poveri” (21.03). Anche Nicola Zingaretti, che da lì a pochi giorni sarebbe diventato segretario del Pd, criticava il Reddito: “Sono favorevole a sussidi per la povertà, ma lo cambierei radicalmente e farei investimenti per creare posti di lavoro”. Oggi i dem difendono a spada tratta la norma e propongono piccole ma limitate “modifiche”. L’unico coerente è il segretario Enrico Letta. Nel 2019, in esilio da Parigi, criticò l’opposizione del suo partito e abbracciò la misura del M5S: “È nel Dna del centrosinistra”. Oggi può difenderla senza paura di guardarsi allo specchio.

ILFQ.

Affamare gli affamati. - Marco Travaglio

 

Che il Matteo minor, ormai ridotto politicamente all’accattonaggio, si eserciti nella disciplina olimpica dell’estate – affamare gli affamati – per strappare un primato almeno lì, è comprensibile: gli elettori non sono più un suo problema, gliene basta uno a Riyad. Ciò che stupisce è che ad accanirsi sui 3,6 milioni di percettori del Reddito di cittadinanza per levargli pure quei 580 euro medi al mese sia il Matteo maior. Reduce dai trionfi di Durigon e scavalcato dalla Meloni, che alle Amministrative ne farà polpette, Salvini potrebbe rivendicare il voto della Lega al Rdc voluto dai 5Stelle nel 2018, quando anche il Pd lo contrastava. E sperare che qualcuno dei poveri usciti dalla miseria più nera si ricordi di lui nelle urne. Invece si impegna allo spasimo per regalarli tutti a Conte. Parliamo di un esercito di emarginati sociali e politici che hanno cose più serie a cui pensare che votare. Ma che ora, additati ogni giorno dai due Matteo come truffatori e fannulloni da divano, potrebbero trascinarsi alle urne per difendere chi li tratta da esseri umani con la loro dignità e da cittadini con i loro diritti. Il tutto per 7-8 miliardi l’anno: una goccia nel mare della spesa pubblica, quasi tutta riservata ai ricconi. Tipo i signori di Confindustria, seduti su 120 miliardi di sussidi da Covid.

Il Sole 24 Ore scrive, restando serio, che i poveri “imprenditori in crisi di organico” sono ora costretti a “pagare di più il personale”: han dovuto financo rinunciare alla pretesa di far lavorare la gente per meno di 580 euro al mese. Il che, in un Paese decente, sarebbe considerato non una magagna, ma un successo del Rdc. Mai, nemmeno per le leggi vergogna di B., s’era registrato un simile attacco concentrico di fake news e frasi fatte. Tipo che il Rdc non dà lavoro (oh bella: se ci fosse lavoro per tutti, nessuno avrebbe bisogno del Rdc) o che lo prendono finti poveri e lavoratori in nero (che infatti vengono scoperti e denunciati, ma esistono in tutte le misure di Welfare e nessuno pensa di abolire i semafori perché c’è chi passa col rosso); o che frena i disoccupati dal cercare lavoro (bugia smentita da tutti i dati ufficiali). Nessuno dice che le Regioni hanno intascato 1 miliardo per navigtor e centri per l’impiego, salvo poi boicottarli. E che a ottobre 2020, malgrado la pandemia, in meno di un anno e mezzo di Rdc 350mila beneficiari avevano già firmato almeno un contratto: il 32% su 1,1 milioni tenuti al Patto per il lavoro. Gli altri 2,5 sono minorenni o inabili o anziani. Ma forse le nostre Marie Antoniette vogliono mandare a lavorare i minori, gli invalidi e i nonnetti: da loro c’è da aspettarsi questo e altro.

ILFQ