Dichiarazione spontanea del prelato durante un'udienza.
"Lei, lo avrete capito, ha qualcosa contro di me.
Anzi, molto contro di me.
E una delle accuse che smentisco in pieno è quella di aver dato io ordine di arrestarla e di non aver avuto pietà del suo stato di donna incinta. È una bugia, falso, avvenne i primi di novembre 2015. Io ero nel mio Paese, in Sardegna. Chi la interrogò fu il comandante Giani e mi telefonò: ho arrestato la signora Chaouqui. Gli dissi: 'Ma sei matto?'. 'No, avevo tutte le ragioni per farlo'. Poi disse in seguito che era in stato interessante, era di pochi mesi. Come si fa a vedere a tre mesi? La respingo totalmente". Così il card. Becciu su Francesca Chaouqui.
In una dichiarazione spontanea in aula alla fine dell'interrogatorio della testimone Francesca Immacolata Chapuqui, il cardinale Anelo Becciu ha detto di riconoscere "che non mi è facile dopo questa giornata parlare in maniera serena. Avrei voluto dire che nutro quasi un sentimento di gelosia nei suoi confronti, è così facile dire io il Santo Padre, io vado, io ritorno, io a nome del Santo Padre. Io ho fatto il sostituto non ho avuto questa facilità di andare dal Papa, di portare ordini".
"Riferendosi alla Cosea - ha proseguito -, dice che veniva in Segreteria di Stato, si imponeva a Perlasca. Mi pare strano… Di solito chi viene è il presidente della Cosea e chiede prima al sostituto e chiedere se può entrare coi collaboratori e avere documenti dell'ufficio, è strano e non molto veritiero. Com'è possibile che ha del materiale?"
"Io da quando ho lasciato l'ufficio non ho più nulla - ha sottolineato -, non posso mantenere un foglio dell'ufficio, tutti devono andare via con la borsa vuota i doc si lasciano, mi meraviglio che sia in possesso di questi fogli. È contro tutte le regole. Come può, una così disporre di documenti se sono delicati?". "Accennava i messaggi, io ce li ho ancora tutti qui, come può dire che sono della signora Marogna che gestisce i miei account? - ha continuato Becciu - Ce li ho tutti qui, senza una risposta. E sapete perché? Perché quando ne parlavo con il Santo Padre mi diceva le consiglio di non rispondere. Una volta solo ho risposto per Natale, faccina del figliolo, auguri le dissi. Non può dire che sono gestiti chissà da chi". "Sono messaggi in cui fa lodi, in cui mi presenta il migliore di tutti, e messaggi in cui mi distrugge totalmente", ha osservato.
"Invece mi prendo responsabilità di due atti per i quali si può arrabbiare e risentire - ha detto ancora -. Quando nel 2013, fu composta la commissione Cosea e alla Segreteria di Stato fu inviata la lista dei nomi, io a vedere il nome trasalii perché avevo avuto segnalazioni gravi sulla sua persona. Di solito era prassi che la Segreteria di Stato desse il beneplacito alle nomine, per fare il 'de more'. Eravamo a inizi pontificato e le regole stavano saltando. Il nominativo… fummo messi davanti al fatto compiuto. Qualche mese prima ebbi segnalazioni che non deponevano a favore di questa signora, corsi da chi di dovere e dissi: questa signora non è degna di lavorare qui in Vaticano. Non mi ascoltarono" "Altro atto, Vatileaks - ha aggiunto Becciu -, presenziai commissione in SdS che doveva decidere se procedere a denuncia degli autori della pubblicazione dei doc segreti o procedere al licenziamento, in via amministrativa. La commissione, tutti, si pronunciarono per la denuncia ai magistrati. Il comandante portò risultato al Papa e il Papa autorizzò la denuncia. Possono essere motivi di astio, ma sono gli unici con cui mi sono posto con la Chaouqui in Vaticano".
Sulla questione grazia, "è vero lei mi ha mandato Lojudice, il suo parroco che io accolsi, e dissi: 'Presenti formalmente la richiesta e la porterò al Santo Padre'. Io la presentai, la sua risposta fu questa: 'Eccellenza, non mi faccia più questo nome qui dentro'. 'Santo Padre manca poco tempo, accontentiamola'. Lui ripete: 'Non mi faccia più questo nome qui dentro, io non intendo concedere la grazia. E inoltre è ancora valido il biglietto che non entri in Vaticano, questa donna non deve entrare". Eravamo nel 2017".
L'udienza.
E' stata un'udienza molto movimentata, in cui il presidente Giuseppe Pignatone ha fatto molta fatica a tenere il dibattimento sui binari assegnati, tra accenti polemici, proteste delle difese, impulsività ed escandescenze delle due testimoni, quella di oggi al Tribunale vaticano nel processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, in cui sono state sentite le testimoni Genoveffa Ciferri e Francesca Immacolata Chaouqui. In particolare, la prima ha riferito dei suoi rapporti d'amicizia con mons. Alberto Perlasca, ex capo dell'Ufficio amministrativo, cui ha intestato anche una casa e sue proprietà a Greccio (Rieti), dell'averlo voluto aiutare quand'era indagato nell'inchiesta - andando anche a casa del card. Becciu per sostenerne la necessità di scagionarlo, dopo aver temuto per una somministrazione di barbiturici al suo amico e sodale -, del fatto che il porporato, suo superiore come sostituto per gli Affari generali, lo tenesse "in uno stato di soggezione fuori da ogni immaginazione". La donna -, terziaria francescana, ex collaboratrice del Dis come analista e geostratega - ha anche riferito di aver ricevuto a lungo "informazioni ampie e dettagliate sul corso della indagini" dalla stessa Chaouqui, che le vantava "una strategia comune col promotore di giustizia Diddi, col prof. Milano, con la Gendarmeria e persino col Santo Padre". Si è detta al corrente, informata dalla Chaouqui, anche di un progetto per arrestare l'imputata Cecilia Marogna sul suolo vaticano, invitandola in Segreteria di Stato, salvo poi il fatto che il cardinale Pietro Parolin si sarebbe tirato indietro.
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