Visualizzazione post con etichetta Mazzette. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mazzette. Mostra tutti i post

domenica 11 dicembre 2022

Rimozione forzata. - Marco Travaglio

 

Mezzo milione cash nella cassaforte di casa, sacchi di contanti nel soggiorno, un padre che tenta la fuga con valigioni pieni di banconote, ferie da favola a sbafo, carte di credito intestate a prestanome. Le scene svelate dall’inchiesta sugli eurodeputati a libro paga del Qatar non sono che l’antipasto di uno scandalo gigantesco. Salvo pensare che per comprarsi il Mondiale più scandaloso della storia i munifici emiri si siano accontentati di ungere i papaveri della Fifa, un sindacalista italiano, un ex eurodeputato italiano, il suo portaborse e la fidanzata greca di quest’ultimo, vicepresidente del Parlamento europeo, più alcuni socialisti belgi. La destra esulta con la consolazione dei dannati (“Evviva, ruba pure la sinistra!”). E la sinistra, mentre tuona contro il cash libero e le altre salva-evasori meloniane, tace o balbetta. Come sui 24 mila euro nella cuccia del cane di Cirinnà & Montino a Capalbio: nulla di penalmente rilevante, ma eticamente forse sì. Come su Nicola Oddati, membro della direzione nazionale del Pd e responsabile delle “Agorà” di Letta, beccato a gennaio alla stazione Termini dalla Polizia con 14 mila euro in tasca: indagato per associazione per delinquere e corruzione su vari appalti fra la Campania e la Puglia (era pure commissario a Taranto), si dimise dagli incarichi e non se ne parlò più.

Appena evochi la “questione morale” di Berlinguer, salta sempre su qualcuno a irridere la sua “diversità” da Craxi (che lui chiamava “il gangster”) e a parlare dei rubli da Mosca (paralleli ai dollari da Washington a Dc&C). Un modo per buttare la palla in tribuna, perché Berlinguer e i berlingueriani erano davvero “diversi”. Nel 1983 Diego Novelli, sindaco di Torino, appena seppe da un imprenditore che pagava mazzette e mignotte ai suoi assessori socialisti, lo fece scortare in Procura a denunciarli. Scattarono gli arresti, la giunta rossa cadde e Novelli fu cazziato da Giuliano Amato per non aver “risolto politicamente la questione”. “Moralista” e “manettaro” (“giustizialista” ancora non si usava). Fra la linea Berlinguer-Novelli e la linea Amato, a sinistra molto prima che a destra, vinse la seconda. Centinaia di scandali, mai un dibattito serio e autocritico. Tanto, dall’altra parte, c’era B., il grande alibi e parafulmine che oscurava tutti gli scandali della sinistra. La pacchia, per i figli illegittimi di Berlinguer, finì con l’arrivo dei 5Stelle, che la legalità, oltre a predicarla, finora l’hanno praticata nelle leggi e nelle condotte personali; e con il declino del Caimano, che lascia la sinistra affarista e furbastra nuda come mamma l’ha fatta. Chissà se, di qui al congresso, almeno uno dei candidati o degli 87 saggi spenderà due parole o due righe su un dettagliuccio rimosso da oltre 40 anni: la questione morale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/12/11/rimozione-forzata/6901598/

martedì 16 marzo 2021

Terzo Valico, gare truccate e mazzette ad alta velocità: in 30 a giudizio. Anche l’ad di WeBuild Pietro Salini e il supermanager Ercole Incalza. - Marco Grasso

 

L’idea di affidarsi ai campioni nazionali dell’industria è stato il sogno della stagione in cui tramontava la Prima Repubblica: la convinzione era che i privati, con leggi speciali, potessero fare meglio, in modo più rapido, onesto ed efficiente del settore pubblico, travolto da Tangentopoli. Anche quella strada però ha portato alle aule di giustizia. Con la Cassazione che ha ribadito che il general contractor, sostituito allo Stato, risponde degli stessi reati, corruzione e turbativa d’asta, come incaricato di pubblico servizio. Per l’accusa, dietro all’Alta velocità c’è un campionario ricorrente in altre vicende italiane: appalti truccati, mazzette, serate con escort, commistioni di alto livello tra politica e imprenditoria, costi gonfiati.

Ieri il giudice per le indagini preliminari di Genova, Filippo Pisaturo, ha rinviato a giudizio oltre trenta persone. Il nome più noto è Pietro Salini: amministratore delegato di We Build, uomo della ricostruzione del Ponte di Genova e a capo del consorzio che vorrebbe costruire il Ponte sullo Stretto di Messina. Prosciolto per uno dei capi di imputazione perché prescritto, è stato mandato a giudizio per vari episodi di turbativa d’asta sui tunnel del Terzo Valico ferroviario, la nuova linea fra Genova e Milano, arrivati a costare oltre 6 miliardi. Insieme a lui sono indagati, fra gli altri: il grand commis dei lavori pubblici italiani Ercole Incalza; l’ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio e il figlio Gian Domenico (quest’ultimo indagato anche per corruzione); Michele Longo, ex presidente di Cociv, general contractor del Terzo Valico, partecipato a maggioranza da Impregilo; l’imprenditore Stefano PerottiDuccio Astaldi, patron di Condotte d’Acqua Spa. Assolto Alberto Rubegni, presidente del Gruppo Gavio.

La busta bianca “Ingegne’, ecco la paghetta”.

Il rischio concreto, però, è che la montagna partorisca il proverbiale topolino. L’operazione Amalgama, una delle indagini più dirompenti sulla pubblica amministrazione degli ultimi anni, si sviluppa fra il 2014 e il 2016. Ci lavorano tre Procure: Firenze indaga sui rapporti degli imprenditori impegnati nell’Alta velocità in Toscana con i palazzi romani; Roma su corruzione e il sospetto di infiltrazioni di uomini considerati vicini ai clan; Genova sul filone del Terzo Valico. La parte toscana viene spezzettata e in parte archiviata. Il procedimento romano è da tre anni in un limbo di competenza territoriale: se lo sono passati il tribunale della capitale, Terni, Bolzano e Alessandria. L’unico filone che va a dibattimento è quello ligure. Ma andrà poco lontano: sempre che non arrivino assoluzioni nel merito, le turbative si prescrivono fra la metà 2021 e l’inizio del 2022.

Nella loro richiesta, i pm Paola Calleri e Francesco Cardona Albini descrivono così il sistema Terzo Valico: “Le gare venivano aggiudicate non applicando o comunque distorcendo le norme del codice degli appalti per favorire una determinata impresa a discapito di altre, per ragioni a volte correlate a patti corruttivi, oppure per motivi di interesse aziendale inerenti i rapporti con i due azionisti di riferimento del Cociv, Salini Impregilo Spa e Condotte d’Acqua”. Alcune tangenti vengono filmate in diretta dalla Guardia di finanza. È il 16 dicembre 2014. L’imprenditore campano Antonio Giugliano entra nell’ufficio dell’ex direttore generale Cociv Pietro Marcheselli. Ha una busta bianca in mano. In silenzio fa il segno del numero dieci con la mano: “Ingegnè, ecco la paghetta”. Di paghette, per gli investigatori, ne giravano parecchie. A volte erano definite “mozzarelle”. Per quei fatti hanno patteggiato in quattro, tutte pene sotto a i due anni: Marcheselli, il suo collega Maurizio Dionisi, Giugliano e il suo collaboratore. Un altro funzionario del consorzio, Giulio Frulloni, accusato di essere stato corrotto con escort, è deceduto a inchiesta in corso.

Le liti familiari “Questi si sono presi a bottigliate”.

Le gare erano costantemente truccate, per la Procura, anche dove non sono state trovate tracce di corruzione. Alle imprese amiche venivano svelate le offerte in anticipo, escamotage che consentiva di offrire anche “50 euro in meno”. “I vertici del Cociv – scrivo i pm – facevano riferimento a Pietro Salini, per ogni decisione di rilievo attinente a Cociv”. Nell’inchiesta va in scena anche una sorta di dinasty familiare. A Pietro Salini (assistito dall’avvocato Grazia Volo) viene contestata l’esclusione del cugino Claudio (poi morto in un incidente stradale), e della sua azienda, la Salc. “Si sono presi a bottigliate, lui non lo vuole vedere”, commentano alcuni funzionari Cociv. “Mi raccomando in tutti i modi di evitare che possa avere qualcosa”, dice lo stesso Salini a Longo, in una delle intercettazioni. “Non ci sono state turbative d’asta, tuttalpiù si trattava di scelte sull’affidabilità – commenta l’avvocato Giuseppe Zanalda, che assiste molti degli indagati col figlio Emanuele – siamo soddisfatti dell’assoluzione dell’ingegnere Rubegni (difeso con Fabio Fossati), il giudice ha sconfessato i pm”.

Il filone romano rimbalzato tra pm.

L’inchiesta di Genova ha acquisito in parte anche degli altri fascicoli. Quello romano, da cui emerge la figura di Domenico Gallo, imprenditore calabrese nei cui confronti la Procura di Reggio Calabria ha eseguito un sequestro antimafia da 200 milioni di euro. Sarebbe stato socio occulto di un funzionario, Giampiero De Michelis, anche lui indagato: “Abbiamo creato un mostro”, dicono di lui i funzionari di Cociv. C’è infine la vicenda che coinvolte Giampiero Monorchio, figlio di Andrea, ex ragioniere dello Stato.

In una delle telefonate registrate è l’ex potentissimo capo dei Consiglio dei lavori pubblici Angelo Balducci a chiedere a Ercole Incalza di “dare una mano al figlio di Monorchio”. Monorchio junior e l’imprenditore Stefano Perotti sono accusati di aver corrotto con “due oggetti di valore” l’ex presidente di Cociv Michele Longo.

Ed è Gallo ad aver battezzato l’indagine. Intercettato dai carabinieri del Ros spiega: “Tra la stazione appaltante e chi fa i lavori deve crearsi l’amalgama, sennò non si va avanti”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/16/terzo-valico-gare-truccate-e-mazzette-ad-alta-velocita/6134686/

venerdì 11 dicembre 2020

Il Mes tangentario. - Marco Travaglio

 

Al cabaret permanente della politichetta italiota si aggiunge una nuova gag: la campagna del Pd per scongelare il vitalizio a Ottaviano Del Turco, sospeso nei giorni scorsi in base a una norma voluta e approvata nel 2015 da Pd, Sel, Scelta Civica, Fd’I, Lega e contestata dai 5Stelle perché troppo blanda e piena di scappatoie. Cioè alla delibera degli uffici di presidenza di Camera e Senato che, ai tempi del governo Renzi, stabilì di levare la pensione ai parlamentari condannati a più di 2 anni per mafia, terrorismo e reati contro la Pa. Ora si dà il caso che Del Turco, arrestato nel 2008 da presidente Pd dell’Abruzzo, sia stato condannato definitivamente nel 2018 a 3 anni e 11 mesi per induzione indebita (la vecchia concussione) per aver estorto almeno cinque mazzette per un totale di 850mila euro al ras delle cliniche private Vincenzo Angelini. Dunque per due anni ha percepito indebitamente 5.500 euro mensili. Il fatto che la presidenza del Senato abbia posto fine a quell’ulteriore latrocinio di denaro pubblico scandalizza il Riformista, che è un po’ l’ora d’aria dei quotidiani italiani e vaneggia di “grida polpottiane dei 5 Stelle”, come se la norma fosse loro e non di Pd&C.

Segue un esilarante articolo dell’avvocato di Del Turco, Gian Domenico Caiazza che, avendo perso il processo, si rifà sul Riformatorio insultando i pm che l’hanno vinto. Titolo: “È innocentissimo” (infatti è stato condannato). La comica finale viene presa molto sul serio dall’ineffabile capogruppo del Pd Andrea Marcucci, quello che parla come un liderino di opposizione e invece pare stia in maggioranza. Il Marcucci esprime “profondo sgomento per la decisione di privare Del Turco del vitalizio” in base a una norma voluta dal suo partito, perchè il condannato è “gravemente ammalato”. Il che ovviamente dispiace, ma purtroppo la norma non prevede eccezioni per motivi di salute. Fra l’altro, sarebbe interessante sapere se l’ex sgovernatore abbia mai risarcito con i 700mila euro previsti dalla sentenza le parti civili, cioè alla sua Regione e alle Asl abruzzesi. Già, perché oltre alle mazzette ci sono i gravi danni inferti dalle sue politiche sanitarie a quella che ora è guardacaso la Regione peggio messa col Covid. Pochi mesi fa l’Abruzzo ha pagato l’ultima rata dell’enorme buco creato da Del Turco&C. con la folle cartolarizzazione dei crediti farlocchi della sanità, ceduti a banche estere mentre i vertici di Regione e Asl incassavano mazzette sui tagli dei posti letto negli ospedali pubblici e sui regali alle cliniche private. Così, quando certi impuniti invocano con la bava alla bocca i 37 miliardi di Mes sanitario e più soldi alla sanità nel Recovery Plan, possiamo facilmente immaginare cosa vogliono farne.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/11/il-mes-tangentario/6033329/

giovedì 9 luglio 2020

Appalti e mazzette nelle forze armate col tariffario al 10 per cento. Coinvolti anche generali. - Maria Elena Vincenzi

Appalti e mazzette nelle forze armate col tariffario al 10 per cento. Coinvolti anche generali

La polizia di Stato, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Antonio Clemente, ha eseguito un'ordinanza nei confronti di 31 persone: 7 agli arresti domiciliari tra imprenditori e ufficiali, 19 divieti di contrattare con la pubblica amministrazione, cinque sospensione di servizio per appartenenti alle forze dell'ordine. Ma l'indagine è molto più ampia e conta 64 indagati.

martedì 3 marzo 2020

A Messina arresti per corruzione, un trojan svela un giro di mazzette.



Indagine della procura condotta dalla Polizia, in manette anche un autista giudiziario.

Un trojan piazzato nei telefoni di due sospetti ha svelato un giro di mazzette che ha coinvolto, oltre ad alcuni imprenditori, funzionari del genio civile di Messina e Trapani e un dirigente del Comune della Città dello Stretto.

L'inchiesta è nata dall'intimidazione subita da un commerciante, Pietro Ferrante, che ha negato di aver subito estorsioni, ma non ha convinto la polizia che ha iniziato a intercettarlo. Sono emersi così i suoi contatti con un imprenditore pregiudicato, Marcello Tavilla.

I due erano soci nella ditta di import-export di pesce Blu Marine Service. Tavilla, insieme all'amante Cinzia Fiorentino e a Pietro Ferrante, avrebbero corrotto un funzionario del Genio Civile di Messina, perché, in cambio di soldi, favorisse nell'aggiudicazione di lavori pubblici le ditte edili degli imprenditori Giuseppe Micali e Giovanni Francalanza.

Al funzionario erano stati promessi 2mila euro per ogni appalto vinto. Tavilla e i complici avrebbero corrotto anche un ex assessore Giorgio Muscolino amministratore del complesso di edilizia popolare "Sottomontagna", gestito dall'Agenzia per il Risanamento della città (A.Ris.Me.). Senza aver mai effettuato una selezione, e dunque in violazione di legge, Muscolino, che avrebbe intascato 400 euro, ha affidato alla ditta di Tavilla i lavori per la sistemazione del parcheggio di "Sottomontagna".

Dal trojan piazzato nel cellulare di Micali è poi venuta fuori un'altra storia di corruzione: quella di Giuseppe Frigone, funzionario del Comune di Messina in servizio al Dipartimento Immobili Comunali. In cambio di una mazzetta di mille euro il funzionario gli avrebbe affidato in somma urgenza, quindi senza gara, i lavori di manutenzione straordinaria al mercato cittadino Sant'Orsola. Ma l'azione di Micali, sempre ascoltato dalla polizia grazie al trojan, non si sarebbe fermata a Messina. L'imprenditore si sarebbe aggiudicato i lavori di dragaggio nel porto di Mazara del Vallo (TP), per un importo di oltre un milione. Insieme ad altri due imprenditori indagati avrebbe corrotto Giancarlo Teresi, ingegnere capo del Genio Civile di Trapani, responsabile dei lavori nel porto. Per assicurarsi l'appalto del dragaggio del porto-canale Micali avrebbe regalato al funzionario il denaro per l'acquisito di un'auto d'epoca, un soggiorno gratuito in un hotel di Messina e una cena per lui e per altre cinque persone in un ristorante di Milazzo.

E c'è anche un autista giudiziario in servizio al Tribunale di Messina tra gli arrestati. L'uomo, a cui sono stati dati i domiciliari, è accusato di rivelazione di segreti d'ufficio. In cambio di favori a una persona a lui vicina avrebbe dato a uno degli indagati informazioni su indagini in corso e sui movimenti di un magistrato. 

L'autista giudiziario arrestato nell'ambito di un'inchiesta su un giro di mazzette scoperto dalla Polizia di Messina è Angelo Parialò: secondo l'accusa faceva da intermediario tra l'imprenditore Marcello Tavilla, finito in carcere oggi, e impiegati del Tribunale di Messina incaricati della nomina di amministratori di condominio. Il piano era fare avere l'affidamento degli incarichi a persone vicine a Tavilla e alla sua amante, Cinzia Fiorentino. Un meccanismo che avrebbe poi permesso ai due di beneficiare dell'eventuale assegnazione di lavori di manutenzione degli ascensori nei condomini in favore di una ditta riconducibile alla Fiorentino. L'autista in cambio avrebbe avuto l'assunzione, in una delle imprese di Tavilla, di un familiare della donna con cui aveva una relazione. L'arrestato svelava inoltre notizie su indagini in corso e sugli spostamenti di magistrati sottoposti a tutela. 

https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2020/03/03/-corruzionearrestati-imprenditorifunzionari-pubblici-_2b4a6492-be1e-469b-9bfb-c028d2cb6acb.html

lunedì 15 maggio 2017

"Se muoiono 100 persone con questo filtro non va in galera nessuno". Le intercettazioni choc del luminare della Terapia del dolore Guido Fanelli. - Giacomo Talignani



Diceva: "Io procuro i malati e mi prendo il 10%". Le mazzette erano affare di famiglia. Indagati anche moglie e due figli.


Fare soldi con il dolore degli altri era un affare di famiglia. Tale da far dire a Guido Fanelli, luminare delle cure palliative e padre della legge 38, che lui portava "i malati e mi prendo il 10%". Chi soffre è roba da calcolare in percentuali, in volume d'affari, sosteneva il docente di Anestesia e Rianimazione di Parma in una intercettazione con la moglie.

Ed è proprio dalle intercettazioni dei Nas dell'operazione Pasimafi, quella che ha portato a 19 arresti fra dirigenti medici e imprenditori del settore farmaceutico, e 75 indagati, che emerge il ruolo scioccante di Fanelli, insieme a moglie e figli (tutti indagati), e il metodo di corruzione impostato con le case farmaceutiche.
Una frase, contenuta nelle oltre 500 pagine dell'ordinanza, fa capire ancora meglio come ragionava il professore: "Se muoiono 100 persone con questo filtro non va in galera nessuno...". E' datata 2015 e spiega bene come l'organizzazione considerava il ruolo della ricerca scientifica nel delicato campo delle cure palliative.
Lui stesso, che aveva messo in piedi un sistema in cui testava i farmaci su pazienti ignari, creava false relazioni o smentite per promuovere i farmaci e pilotava i convegni medici a favore delle case farmaceutiche amiche spiega come funzionava il modus operandi.
"Non è che faccio il boss, sono io e basta, comando io, ho creato un sistema" dice intercettato dai carabinieri.
"Io prendo soldi dall'uno e dall'altro in maniera uguale e paritaria, sono bravo a tenere il piede in quattro o cinque scarpe. Io ho il centro hub del dolore più grosso di Italia con 19mila interventi all'anno, ho la forza di spostare milioni di euro perchè con la forza scientifica tutti danno credito a ciò che scriviamo"
Dai nuovi dettagli delle indagini si evince che il figlio Roberto era a capo della Crag Up, società di comodo per il riciclaggio del denaro, la stessa che possedeva lo yacht Pasimafi (usato dalla famiglia per le vacanze) sul quale campeggiava il logo di una ditta farmaceutica.
La moglie di Fanelli, Fiorella Edi Nobili, era referente come dirigente medico in Lombardia mentre l'altro figlio, Andrea, avrebbe redatto lavori scientifici richiesti ad hoc dalle case farmaceutiche dall'alto del suo ruolo in una struttura medica di Bologna. Tutti i componenti della famiglia sono indagati.
"Il Pasimafi c'ha il logo della Mundipharma sulla poppa eh!" dice il professore a un altro indagato, azienda che per Fanelli ha incassato "40 milioni col farmaco Targin: sopra ci sono le mie iniziali" dice.
A Parma, dove Fanelli era molto conosciuto sia per le puntuali apparizioni televisive (dalla Rai alle radio), sia per il suo stile di vita (fatevi un giro sul suo profilo Facebook per avere un'idea) il ruolo del medico era chiacchierato da tempo. Tanto che l'Azienda ospedaliero-universitario aveva già sollecitato l'università di Parma a sospenderlo.
Pur di incassare, faceva qualsiasi cosa. "È così io procuro malati e gente per il dolore ... vengono perché ci sei tu e di mezzo ci sono io mollano il 10% e permetti non è che lo facciamo sempre per loro. Loro guadagnano i soldi e noi un cazzo..." si legge sempre nelle intercettazioni del 62enne che definiva i manager delle case farmaceutiche come "marchettari".
In un'altra, sempre parlando con la moglie, dice che "mi sono arrivati dei files bellissimi, notizie scientifiche molto interessanti (che gira su Whatsapp ad amici, ndr). Sai è il mio lavoro lo spionaggio industriale...".
Il gip di Parma, Maria Cristina Sarli, non ha dubbi su Fanelli: "Un uomo che in modo incessante e, a tratti compulsivo, agisce con tutti i mezzi a sua disposizione per realizzare i propri obiettivi".
http://www.huffingtonpost.it/2017/05/09/se-muoiono-100-persone-con-questo-filtro-non-va-in-galera-nessu_a_22077892/

L'uomo è l'essenza dell'intero universo, ha, pertanto, il potere di esprimere quanto di più bello o di più cruento possa essersi verificato nel trascorrere del tempo. In alcuni casi, come questo ad esempio, suscita disgusto, e lo suscita anche nel più incallito degli animi umani.

mercoledì 12 aprile 2017

Agenzia delle Entrate, la difesa disperata del direttore: «Mazzette? No, è lo stipendio...»




Genova - Sulle prime ha provato a negare, non sapendo bene quali prove avessero in mano i finanzieri, aggrappandosi d’istinto a una giustificazione che con il senno di poi fa quasi sorridere: «Ma quali mazzette signori, questo è il mio stipendio...». Walter Pardini, 65 anni, «dirigente di seconda fascia», lavorava a Genova da un anno, come direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate.
Un toscano di Livorno che faceva la spola fra la sua casa a Lucca, una base a Camogli e l’ufficio di via Fiume, e del quale tutti parlano bene: «Una persona deliziosa e non sto scherzando», ribadisce un’impiegata mentre i finanzieri del nucleo di polizia tributaria finiscono di perquisire il suo ufficio. «Non avremmo mai immaginato un fatto tanto grave - aggiunge un collega - il direttore sembrava il ritratto del rigore e dell’onestà».
Mentre lasciano il palazzo per la pausa pranzo, escono anche i militari e con loro portano documenti e il pc di Pardini. Fino all’inizio del 2016 era stato in servizio a Livorno e qui potrebbe essere entrato in contatto con alcuni esponenti della Securpol, l’azienda di sicurezza privata per la quale agli occhi dei pm si stava prodigando in cambio di mazzette.
Il suo stipendio lordo, facilmente desumibile dal sito dell’ente per cui lavora, è stato di 106 mila euro nel 2016 e di 120 mila nel 2015 (netti sono fra i 5.500 e i 6.000 al mese). Gli inquirenti sospettano che Walter Pardini avesse già avuto abboccamenti con i commensali dell’ultima sera, sebbene al momento dell’arresto abbia provato a far finta di nulla. Poi gli hanno spiegato che l’intera serata alla “Manuelina” di Recco era stata registrata e filmata.
L’accusa nei suoi confronti è di corruzione e insieme a lui finiscono in manette tre consulenti della medesima Securpol, pure loro sotto inchiesta per corruzione: Luigi Pelella, 58 anni, avvocato con un passato da funzionario proprio all’Agenzia delle entrate, esponente di Forza Italia già candidato alle Regionali in Campania (nel 2015 prese 3.046 voti e non fu eletto); Francesco Canzano, 65 anni, commercialista di Caserta; Massimo Alfano, 48 anni, commercialista di Napoli.
All’incontro era presente anche il commercialista genovese Stefano Quaglia, indagato per concorso in corruzione, che non è stato fermato dalla Guardia di Finanza, e l’affaire Securpol avrebbe doveva essere discusso formalmente all’Agenzia delle entrate questa mattina. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati e dal sostituto Massimo Terrile, va avanti da mesi e parte dal trasferimento dell’azienda, avvenuto nel pieno delle grane con l’erario.
Per quale motivo, si chiedono gli inquirenti, spostare la sede fiscale nel capoluogo ligure dove la ditta non ha neppure una licenza? E c’è un ulteriore elemento che rende l’intera operazione sospetta: all’indirizzo di via Assarotti 10, che in teoria avrebbe dovuto ospitate gli uffici, non c’è nulla riconducibile alla Securpol.
Secondo le Fiamme gialle la Liguria è stata quindi scelta per ottenere una transazione favorevole e trattare personalmente con Pardini, nominato capo dell’ufficio provinciale delle entrate l’anno scorso, ruolo che gli avrebbe consentito un’ampia discrezionalità nel chiudere compromessi come quello richiesto dalla Securpol. Il trait d’union con il funzionario, secondo le Fiamme Gialle, sarebbe Pelella, grazie al suo passato nell’ente. Quaglia, sempre secondo i pubblici ministeri, sarebbe stato una sorta di facilitatore dell’accordo.
http://ilsecoloxix.it/p/genova/2017/04/12/ASESk1wG-direttore_disperata_stipendio.shtml

martedì 11 aprile 2017

Genova, arrestato il direttore provinciale dell'Agenzia delle entrate mentre intasca mazzetta da 7.500 euro.



Il direttore provinciale dell'Agenzia delle Entrate di Genova, Walter Pardini, è stato arrestato questa mattina dalla Guardia di Finanza mentre prendeva una tangente. Secondo gli investigatori non sarebbe stata la prima volta che Pardini intascava soldi. Il funzionario, il cui ufficio in via Fiume è stato perquisito, è accusato di corruzione. L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati  e dal sostituto procuratore Massimo Terrile.

Nell'inchiesta che ha portato all'arresto del direttore dell'Agenzia delle Entrate di Genova, sono state fermate altre tre persone, rappresentanti di una società di logistica di Napoli da alcuni mesi trasferitasi in Liguria. I tre stavano consegnando una busta al direttore Pardini con 7.500 euro. Le indagini sono partite dopo il trasferimento della sede della società da Napoli a Genova senza alcun apparente motivo. L'azienda aveva un contenzioso fiscale con le Entrate in Campania e, secondo gli investigatori, il cambio di sede sarebbe legato alle promesse ottenute da Pardini per un suo intervento sulla pratica in cambio di soldi. Questa mattina i finanzieri hanno aspettato il momento della consegna dei soldi e hanno fatto scattare l'arresto.

L'Agenzia delle entrate.
«La Direzione regionale della Liguria dell'Agenzia delle Entrate ringrazia e offre la massima collaborazione all'Autorità giudiziaria per far piena luce sulla vicenda che ha portato all'arresto del direttore della Direzione Provinciale di Genova, nell'ambito di un'inchiesta per reato di corruzione». È quanto si legge in una nota spiegando che l'Agenzia ha «immediatamente adottato la sospensione cautelare dal servizio» di Walter Pardini, in attesa del provvedimento dell'autorità giudiziaria «a seguito del quale verranno assunte tutte le misure disciplinari, contrattuali e risarcitorie per tutelare l'istituzione e la dignità dei propri dipendenti che operano onestamente e scrupolosamente». «L'Agenzia delle Entrate condanna con risolutezza i comportamenti disonesti, dinanzi al quale adotta con fermezza e celerità sanzioni disciplinari espulsive, e da anni orienta i propri sistemi di controllo interno nell'individuazione e prevenzione di ogni possibile abuso con particolare riferimento ai potenziali comportamenti fraudolenti», conclude la nota.


http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/genova_arrestato_agenzia_entrate_direttore_corruzione_tangente-2374669.html

venerdì 21 ottobre 2016

Cappellano e i soldi nel trolley Un architetto 'inguaia' la Saguto. - Riccardo Lo Verso

beni confiscati, corruzione, inchiesta, palermo, scandalo, silvana saguto, soldi, trolley, Cronaca
Silvana Saguto

L'amministratore giudiziario, una sera di giugno, avrebbe portato il denaro a casa del magistrato.

PALERMO - Per mesi è stato uno dei punti più controversi dell'indagine. Pubblici ministeri e finanzieri non hanno dubbi: Gaetano Cappellano Seminara, una sera di fine giugno dell'anno scorso, ha consegnato ventimila euro in contanti dentro una valigia a Silvana Saguto.

Gli uomini della Polizia tributaria sono giunti a questa conclusione incrociando conversazioni telefoniche e dati bancari. Poi, è arrivata una conferma inaspettata da un testimone che ha cambiato versione. Altro che documenti, dentro il trolley c'erano soldi. E adesso si scava a ritroso nei conti correnti di Silvana Saguto e Lorenzo Caramma per trovare altri anomali passaggi di denaro.

Non solo incarichi in cambio di consulenze per il marito, ma anche banconote per dare respiro alla famiglia del magistrato che, dicono gli investigatori, spendeva troppo. Cappellano Seminara avrebbe affidato una raffica di consulenze all'ingegnere Caramma. Consulenze che dal 2006 al 2015 hanno consentito al professionista di incassare parcelle per 750 mila euro. Ad un certo punto, però, la crisi finanziaria della famiglia Saguto li avrebbe spinti a commettere un passo falso.

Tra il 2007 e il 2015 sui conti correnti dei coniugi Caramma-Saguto sono state registrate uscite per tre milioni e 154 mila euro, di cui 450 mila euro per pagare mutui e finanziamenti, 40 mila euro trasferiti dai genitori e 140 mila euro versati in contanti. Nello stesso periodo Caramma ha fatturato parcelle per un milione e 200 mila euro. Soldi che non bastano a giustificare le uscite, anche sommandoli allo stipendio percepito dalla moglie magistrato: 5.500 euro al mese.

I finanzieri si sono concentrati su quattro versamenti eseguiti tra il 1 e il 7 luglio 2015 per un importo complessivo di 9 mila e 500 euro. Secondo l'accusa, sarebbero parte dei 20 mila euro che Cappellano Seminara avrebbe consegnato al magistrato dentro una valigia la sera del 30 giugno 2015.

A partire dal 10 giugno  il magistrato e il marito iniziano a mostrare segni di insofferenza. I conti sono in rosso. “Vabbè non vieni pagato, ti campo io come ti ho campato finora. Farai qualche sacrificetto e tiriamo Elio, come stiamo facendo tutti, speriamo che arrivino le cose che devono arrivare”, dice il magistrato al figlio Elio.

L'11 giugno Saguto parla con Cappellano Seminara: “Quei documenti non sono arrivati... è passato un mare di tempo e siamo un poco persi”. Nel frattempo il figlio Elio incalzava, gli servivano i soldi per pagare l'affitto. “Non ho niente da dire a papà, io con altri devo parlare”, le risponde la madre che il 12 giugno chiede all'amministratore giudiziario: “Ascolta, tu le hai guardate quelle cose, quei documenti?”; “Li sto preparando”.

Il 15 giugno la situazione precipita. “Sono disperata, anche se tu mi paghi una tranche da 8.500 per il calcestruzzo io non ho più soldi”. Il 28 giugno la banca, nonostante il deficit, paga lo stesso il conto dell'American Express. Si scende sotto di altri 8 mila, ma “è un miracolo del cielo”. Due giorni dopo la doccia fredda: la banca inizia a pressare, serve un versamento.

Alle 22.35 del 30 giugno Cappellano Seminara arriva con un trolley in via De Cosmi a casa della Saguto. L'1, il 2 e il 7 luglio Lorenzo Caramma versa con il bancomat sul conto aperto a Banca Nuova 8 mila euro in e 1.500 sul conto Unicredit.

Un passo indietro, il 30 giugno entra in gioco un altro personaggio. È un architetto, Giuseppe Caronia,che ha fatto dei progetti per Cappellano Seminara. Ai finanzieri all'inizio dice di avere consegnato davvero dei documenti all'amministratore, anche se le sue dichiarazioni non convincono. A metà settembre del 2015 torna a parlare con gli investigatori. “Rettifica” i suoi precedenti ricordi. Allora era “confuso e frastornato”, ma adesso vuole dire che lui è “estraneo ai fatti”. Lo scandalo giudiziario è esploso. L'ufficio dell'ex presidente è già stato perquisito. E l'architetto spiega che “i documenti” altro non erano somme di denaro. Li ha consegnati a Cappellano Seminara che lo aspettava a bordo della sua Mercedes bianca a piazza Sturzo. Ventimila euro, in banconote da 50 euro, dentro una busta di plastica.


http://livesicilia.it/2016/10/21/cappellano-seminara-soldi-saguto-trolley-corruzione-scandalo-palermo_793575/

Leggi anche:
http://livesicilia.it/2016/10/21/cosi-e-stabilito-e-cosi-si-fa-saguto-virga-e-lex-prefetto_793592/

lunedì 19 settembre 2016

Tangenti in Marina, così truccavano le gare a Taranto: "Non fate la copia o finiamo in galera". - Giuliano Foschini

Tangenti in Marina, così truccavano le gare a Taranto: "Non fate la copia o finiamo in galera"
Il tenente Francesca Mola

Le intercettazioni del tenente Francesca Mola, prima militare donna arrestata, e del capitano Giovanni Di Guardo. "La sintassi, almeno la sintassi", diceva lei agli imprenditori. Lui aveva una condanna per truffa.

TARANTO - "La sintassi, che diavolo non dico tanto, ma almeno la sintassi. (...) Quelli avevano anche l'aroma terapia (...) e voi nemmeno un livello ba-si-co!. (...) E mi raccomando non faccia proprio la copia, altrimenti finiamo tutti in galera". Se si è in cerca di un manuale su come si trucca un appalto, senza troppo pelo sullo stomaco, è il caso di ricordarsi bene queste parole della tenente di Vascello, Francesca Mola, prima militare donna italiana arrestata per mazzette e la storia della gara bandita dalla Marina militare per il servizio di pulizia e sanificazioni per i prossimi tre anni a Taranto e Napoli.

Affidamento che, se non fossero arrivati i militari della Guardia di Finanza, sarebbe andato a finire alla Teoma, ditta dell'imprenditore Vincenzo Pastore. Grazie alle mazzette pagate o promesse al capitano Giovanni Di Guardo, capo della Maricommi della Marina e alla sua assistente, la tenente Molo. Le 30 pagine di intercettazioni telefoniche, registrate grazie a un virus inviato sull'Iphone di Di Guardo che si è dunque trasformato in un registratore telefoniche, offrono uno spettacolo desolante sulla situazione degli uffici militari di Taranto.

E dimostrano come la corruzione sia in Italia ferma ancora ai tempi di Tangentopoli. Ma la storia ha aspetti davvero paradossali. Di Guardo arriva a Taranto per 'moralizzare' lo scorso anno dopo lo scandalo tangenti: la Procura scopre che un giro di ufficiali della Marina applica la 'legge del 10 per cento' su ogni appalto. Cioè, incassano una mazzetta di un decimo del valore dell'affidamento. Vengono arrestati in otto, in un undici (compresi due civili) stanno per affrontare il processo.

La Marina sceglie Di Guardo per la sostituzione, chiedendogli di ripristinare 'chiarezza e trasparenza', sorvolando su un particolare del suo curriculum: una vecchia condanna per truffa. E così il capitano ci ricasca. Giovedì scorso viene arrestato dal pm Maurizio Carbone con in mano una tangente da 2.500 euro, acconto secondo gli inquirenti di una da 200mila, pagata da Pastore.

Di Guardo si è difeso dicendo prima che era il prezzo per la vendita di un'auto e poi di non sapere addirittura cosa ci fosse in quella busta (la mazzetta a sua insaputa). Ma a leggere gli atti ci sono pochi dubbi su quello che è successo. Pastore partecipa alla gara. Ma la sua proposta è molto peggiore di quella delle concorrenti. Arriva così al capitano e cerca di capire cosa si può fare. "Non abbiamo ancora cominciato ed è venuto con questi!" diceva il capitano orgoglioso alla compagna rumena, sventolando la busta, dopo aver incontrato l'imprenditore. "Chiamo mia madre così impazzisce" rispondeva, entusiasta la donna. E così tutti e tre si sono messi a contare le  banconote, tutto a favore di microfono della finanza.

Secondo gli inquirenti l'accordo corruttivo prevedeva una tangente complessiva da 200mila euro. Oltre a un suv dell'Audi. Ma Di Guardo non poteva fare da solo: la commissione giudicatrice della gare era già insediata. Per questo "serve la piccininna", la ragazza. Chi? Francesca Mola, la tenente che Di Guardo aveva portato con sé da Roma per moralizzare. E per questo destinata al delicatissimo ufficio appalti. "Sono tutti convinti che sia la mia amante!" rideva con la fidanzata. "Ma io 'l'ho presa e l'ho messa là' perché ho capito che a questa qua i soldi gli piacciono!". "Lei che ci guadagna?". "Quaranta, cinquantamila euro (...) Su quello che guadagna quello (ndr, l'imprenditore) poi dopo facciamo le parti (...) magari le costruiscono una parte di casa invece di dargli i soldi: che so il soggiorno, la cucina, il tinello". Di Guardo aveva invece grande esperienza su come fare circolare il denaro. Come lui stesso spiega a Pastore: "Ho una fiduciaria a Malta: da lì posso spostare i soldi sul conto corrente della piccina (ndr, la fidanzata) che c'ha in Romania, quindi faccio un'operazione estero su estero. Poi dal suo conto rumeno passa i soldi a se stessa su un conto italiano".

La Mola è parte attiva del piano. Tanto che incontra in un appartamento a Taranto Pastore. E spiega, alla presenza di Di Guardo, che la situazione è difficilissima, perché la proposta concorrente è molto migliore. Trova però la soluzione: consegna all'imprenditore amico il progetto migliore per copiarlo, apportando alcune modifiche. Sarà poi il tenente Mola, "che detiene tutte le offerte tecniche presentate dalle imprese partecipanti alla gara - scrive il gip nell'ordinanza - a provvedere materialmente alla sostituzione, apponendo, la nuova offerta tecnica, in allegato al primo foglio di quella già depositata, in quanto recante la firma apposta da tutti i componenti della commissione il 4 agosto 2016, data di insediamento del seggio". "Voi me ne date uno così" spiega nella riunione operativa il tenente ai due, indicando il progetto dell'imprenditore avversario che Pastore stava fotografando. "Che poi io poi vi do questa, la prima pagina, e la mettete sopra".

Ora i tre sono in galera. Ma l'indagine è tutt'altro che finita. "Gli arresti - scrivono - costituiscono soltanto un 'momento' nell'ambito di una più complessa indagine, dalla quale sono già emersi elementi di prova circa la partecipazione degli indagati ad una vera e propria struttura associativa in grado di 'pilotare' numerosi appalti".


http://bari.repubblica.it/cronaca/2016/09/19/news/tangenti_in_marina_cosi_la_tenente_arrestata_a_taranto_truccava_l_appalto-148062624/?ref=fbpr

mercoledì 14 ottobre 2015

Appalti truccati a Roma, tre arresti: mazzette al funzionario del Comune.

Foto 2


Due imprenditori ai domiciliari. Stessa sorte per il dirigente, sorpreso mentre prendeva una tangente di 2mila euro. Bloccata la prima gara d'appalto del Giubileo.


 - Due imprenditori e un funzionario del dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana di Roma Capitale sono stati destinati agli arresti domiciliari con l'accusa di corruzione e turbata libertà degli incanti. Avrebbero condizionato, con un passaggio di denaro, le gare d'appalto per la manutenzione e la sorveglianza delle strade della Grande Viabilità della città.

I carabinieri per la Tutela dell'Ambiente e del Comando Provinciale di Roma hanno eseguito le ordinanze di custodia cautelare oltre a una serie di perquisizioni e sequestri. L'indagine è coordinata dalla Procura della Repubblica della capitale. Le perquisizioni hanno interessato sia le società ricollegabili agli imprenditori arrestati, Luigi Martella ed Alessio Ferrari, che l'ufficio del funzionario, Ercole Lalli

Dalle indagini compiute a settembre sarebbero emersi "gravi indizi di colpevolezza" - si precisa in una nota del Noe - a carico dei due imprenditori. Questi ultimi sono al centro di una filiera di imprese che il 27 settembre, al fine di turbare le gare d'appalto per la manutenzione e la sorveglianza delle strade della Grande Viabilità della città, hanno consegnato ad Ercole Lalli, funzionario del citato dipartimento di Roma Capitale, 2000 euro in contanti in cambio di informazioni riservate inerenti le imprese invitate alle gare. 

Al momento dell'intervento dei militari, Lalli aveva ancora in mano il denaro incassato, e ha tentato inutilmente di disfarsi della busta contenente 10 banconote da 100 euro e 20 da 50 euro, immediatamente sequestrate.
Le intercettazioni - "Se noi c'avemo quelli stavolta so' morti tutti". Così, in una telefonata intercettata, parlavano i due imprenditori arrestati. I due facevano riferimento alle informazioni sulle gare ottenute corrompendo il funzionario comunale. Per "quelli" intendevano le informazioni sui partecipanti alla gara poiché, come si legge nell'ordinanza, "temevano soprattutto un altro gruppo di imprese, quello controllato dalla famiglia dei Bucci e Marcello Luciani". "Per tale ragione - scrive il gip - desideravano conoscere anzitempo in quale o quali lotti erano state invitate imprese riferibili ai predetti, in modo da presentare offerte più aggressive e ottenere l'aggiudicazione". 

Bloccata la prima gara d'appalto del Giubileo - C'era la prima gara assegnata dal comune per il Giubileo ed era stata bloccata martedì dall'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), tra quelle per cui due imprenditori e un funzionario del dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana di Roma sono stati posti ai domiciliari. Secondo le verifiche dell'Anac, i due imprenditori erano in realtà soci occulti.

mercoledì 4 marzo 2015

Bufera gdf, “30 mila euro al mese” e gite in barca per “pilotare” le verifiche fiscali.

Bufera gdf, “30 mila euro al mese” e gite in barca per “pilotare” le verifiche fiscali

Dai verbali della Procura di Napoli emerge la "dolce vita" del colonnello Mendella, arrestato ieri nel corso di un'indagine su presunte anomalie nelle verifiche fiscali di alcune aziende napoletane. Indagato anche il comandante in seconda delle fiamme gialle generale Bardi. Nella carte anche il nome del generale in pensione Spaziante, al centro del caso Mose.

Fino a 30 mila euro al mese consegnati in scatole di cellulari, vacanze in Sardegna e gite in barca a Capri con i calciatori del Napoli. Sono alcuni dei vantaggi chiesti, secondo l’inchiesta della Procura di Napoli, per “pilotare” le verifiche fiscali in delle aziende napoletane dal comandante provinciale di Livorno della Guardia di Finanza Fabio Massimo MendellaIl colonnello è stato arrestato mercoledì con l’accusa di concussione per induzione nell’indagine dei pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, con il coordinamento dell’aggiunto Alfonso D’Avino
Indagato anche il comandante in seconda, generale Vito Bardi. Sarebbe stato stato lui, secondo i pm, scrive il Corriere della Sera, il referente di un “sistema” di corruzione che potrebbe aver coinvolto, nella spartizione delle “mazzette”, anche altri ufficiali ancora in servizio. Bardi, scrive Il Mattino, un mese fa aveva scelto di ritirarsi, presentando la domanda di pensione anticipata per lasciare il servizio a luglio di quest’anno. Fra gli indagati, in un altro filone dell’inchiesta, anche l’ex numero due delle Fiamme Gialle Emilio Spaziante, il generale in pensione al centro del caso Mose. 
Dall’inchiesta su presunte anomalie nelle verifiche fiscali, delegata alla Digos, emerge che il colonnello Mendella, quando a luglio scorso era in servizio a Napoli, avrebbe omesso di compiere controlli sulle aziende di alcuni imprenditori in cambio di un’elargizione mensile “tra i 15mila e i 30mila euro”. L’accordo tra Mendella e l’imprenditore sarebbe continuato anche quando il colonnello fu trasferito a Roma. Per questo, su suo suggerimento, secondo i pm, la holding “Gotha s.p.a.“, trasferì la propria sede legale nella Capitale. L’indagine si è sviluppata dopo le dichiarazioni dell’imprenditore Giovanni Pizzicato, che il 14 novembre ha scelto di collaborare con i giudici.
“Nel 2005 venni avvicinato da un mio collega Pietro Luigi De Riu (finito in manette mercoledì per questa vicenda ndr.) mi disse che sarebbe stato bene che per la mia attività incontrassi un suo amico  – racconta l’imprenditore, secondo i verbali dell’indagine riportati dal Corriere della Sera -, il maggiore Fabio Massimo Mendella, con il quale fu organizzata una cena presso uno dei locali che all’epoca gestivamo, ‘La Scalinatella’ di Napoli… De Riu ci propose di trovare un accordo economico con Mendella, in misura proporzionale al volume d’affari della società. Mi fu detto che con 15 mila euro al mese avremmo potuto star tranquilli… Cominciai quindi a pagare, ma poi nel tempo i versamenti sono cresciuti a 20 mila e poi fino a 30 mila euro. Non abbiamo avuto mai alcun controllo generale o comunque mirato dalla Guardia di Finanza. Complessivamente avrò versato oltre l milione di euro. Questi versamenti sono stati tutti quanti effettuati a Napoli… in qualche circostanza io avevo messo i soldi contanti in una confezione di un cellulare richiedendo alle mie segretarie di consegnarli al dottor De Riu. L’ultimo dei pagamenti è avvenuto a settembre, ottobre del 2012. Il contante lo abbiamo ritirato in banca in Italia fino al 2011 più o meno, poi ho utilizzato somme che venivano prelevate dai conti presenti in Lituania e Bulgaria”. 
Il finanziere avrebbe ottenuto danaro ma non solo, scrive il Corriere della Sera, anche vacanze pagate in Sardegna, oltre a gite in barca con i calciatori del Napoli. L’imprenditore ha affermato infatti di aver pagato al Colonnello nel 2007 una settimana di soggiorno al residence Smeraldina di Porto Rotondo e di aver organizzato nel 2006 una gita a Capri con Paolo Graziano, attuale presidente degli industriali di Napoli. “La barca di Graziano era un Mangusta – ricorda Pizzicato – e a bordo della stessa c’era l’ex calciatore del Napoli Ciro Ferrara con la famiglia di Fabio Cannavaro, quest’ultimo a bordo della sua barca. La barca del Graziano fu da noi raggiunta con un gommone che era di proprietà di mio cugino, Sergio Reale. Noi partimmo da Ischia dove io ero con la mia barca, a bordo della quale c’era Mendella con la sua compagna, oltre De Riu con la sua fidanzata dell’epoca”. 

I giudici nell’ambito delle indagini hanno intercettato anche l’avvocato Marco Campora, noto penalista napoletano, amico di Mendella e legale di De Riu. Secondo l’accusa, scrive Repubblica.it avrebbe svolto un ruolo di “ponte telefonico” fra il colonnello e il commercialista “facendo da tramite per l’organizzazione degli incontri fra i due”. Il legale è stato raggiunto mercoledì da un decreto di perquisizione firmato dai pm Celeste Carrano e Giusy Loreto. I magistrati ipotizzano nei suoi confronti il reato di rivelazione del segreto d’ufficio. Secondo i pm, riporta Repubblica.it, Mendella e Campora parlavano con un linguaggio criptato, per esempio affermando di una “fantomatica ragazza” che aveva “visto le foto”. Allusione secondo i giudici alle immagini catturate dalla Digos e allegate a un’informativa coperta da segreto, che ritraggono l’avvocato con De Riu e Mendella. A informare l’ufficiale delle intercettazioni in corso sarebbe stato secondo gli inquirenti lo stesso legale. Campora attraverso attraverso i suoi avvocati Domenico Ciruzzi e Anna Ziccardi, ha dichiarato la sua “totale estraneità ad ogni ipotesi di reato”.

giovedì 27 dicembre 2012

Lodi, arrestati due funzionari Asl: chiedevano mazzette a gestore bar.



Milano - (Adnkronos) - Diverse le vittime della coppia e il 20 dicembre scorso i due sono stati sorpresi dalle Fiamme Gialle all'uscita di un bar con una busta contenente alcune centinaia di euro.

Milano, 24 dic. (Adnkronos) - Due funzionari dell'Asl di Lodi, dipendenti del Servizio d'Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, sono stati arrestati dai militari delle radiomobili del Servizio 117 delle Fiamme Gialle lodigiane subito dopo avere intascato una ''mazzetta'' dal gestore di un bar. Il 20 dicembre scorso i due sono stati sorpresi all'uscita dal bar con una busta contenente alcune centinaia di euro. Contestualmente all'arresto le Fiamme gialle hanno perquisito gli uffici dei due tecnici dell'Asl sequestrando una nutrita documentazione grazie alla quale sono state scoperte altre vittime della coppia.

http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/Lombardia/Lodi-arrestati-due-funzionari-Asl-chiedevano-mazzette-a-gestore-bar_314022127297.html