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venerdì 11 marzo 2022

Guerra Ucraina, l’ex generale Camporini: “Armare Kiev era e resta l’unica alternativa possibile. Non è il tempo di dissertazioni filosofiche”. Ed evoca il Vietnam. - Thomas Mackinson

 

Nei giorni scorsi alcuni analisti ed ex generali hanno messo in dubbio la strategia dell'Europa di fornire armi a Kiev, evidenziandone i rischi e le contraddizioni. L’ex capo di Stato Maggiore della Difesa, che fa parte del direttivo di Azione, rivendica quella scelta. Senza escludere però il rischio di un "pantano Ucraina" e le responsabilità storiche di Francia, Germania e Italia.

Evocare oggi il Vietnam o una Sarajevo non rassicura più di tanto, ma vallo a spiegare ai generali. Alcuni, non tacciabili di “retorica pacifista”, nei giorni scorsi hanno espresso pubblicamente dubbi sulla scelta dell’Europa di armare l’esercito ucraino per una resistenza “senza partita”, che costerà più vittime alla popolazione civile e in futuro spingerà ancor di più la Russia verso l’Asia e la Cina, con tutti i rischi del caso. Così l’ex generale Fabio Mini, su questo stesso sito, e ancora due giorni fa Mario Bertolini, già capo del Comando operativo interforze e presidente dell’associazione dei parà, intervistato dal Messaggero e LaVerità. Ce n’è uno che, in qualche modo, risponde al dilemma nei panni sia dell’esperto militare che dell’uomo politico, difendendo a spada tratta la scelta di leader e colleghi che, ai venti di guerra, han risposto indossando (in senso molto figurato) la mimetica.

È l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa Vicenzo Camporini, ex generale dell’Aeronautica e oggi nel direttivo di Azione, il partito di Calenda che – come tutti i gruppi parlamentari – ha votato “sì” in Parlamento all’invio di armi dall’Italia a Kiev. Non solo, Camporini è anche nel direttivo dello IAI, acronimo che sta per Istituto Affari Internazionali, quello fondato da Altiero Spinelli, padre nobile dell’Europa, che profeticamente scrisse: “L’Europa non cade dal cielo”. La figlia, Barbara Spinelli, è stata tra i primi a soffiare in direzione contraria allo “spirito belligerante” dell’Unione, ed è stata additata per questo come “amica di Putin”, per il solo fatto d’aver ricordato ai lettori una serie di impegni mancati da parte dell’Europa e di Washington, per effetto dei quali nel 2022 si è piombati in uno scenario da guerra fredda incendiato dal fuoco delle munizioni e dall’incubo/ricatto di una guerra nucleare.

Generale, l’avanzata russa continua, i negoziati sembrano inconcludenti, si palesa il rischio di un “pantano ucraino”: non le viene qualche dubbio sulla scelta di armare l’Ucraina?
“No, nessun dubbio. Capisco che ora è difficile guardare gli effetti di quella decisione, ma che alternativa avevamo? Se un despota attacca uno stato sovrano alle porte dell’Europa, potevamo lasciarglielo fare? Ritengo che porre oggi “problemi filosofici” sia quantomeno inappropriato. Poi è vero, alcune cose stanno andando diversamente da come si sperava, ma non era preventivabile. Penso ad esempio ai negoziati in corso”.

Appunto. Le pare stiano portando da qualche parte?
Al momento sono purtroppo più il segnale della buona volontà da parte di qualcuno, ma ritengo abbiano poche chance di successo, anche perché la Russia si presenta al tavolo ribadendo sempre la sua posizione: che negoziato è quello in cui uno si presenta e dice “sono disposto a negoziare, basta che accetti le mie condizioni”? Per altro lo fa in luoghi che di per sé suonano come una provocazione o un’umiliazione bella e buona: non solo quelli al confine con la Bielorussia, che spalleggia l’esercito di Mosca, ma a Brest, dove 100 anni fa ci fu l’armistizio zarista. Non si può non cogliere in questa scelta lo spirito di revanscismo che trapela dai discorsi di Putin”.

Ecco, le reali intenzioni della Russia. Alcuni analisti richiamano l’attenzione sul fatto che ufficialmente il Cremlino non voglia conquistare l’Ucraina ma reclami garanzie di neutralità rispetto alla Nato e sicurezza dei propri confini, comprese le “repubbliche” filorusse. Lei come la pensa?
“Vedo che nei dispacci ufficiali di Mosca si dice questo, poi ascolto Putin e sento tutta un’altra storia. E purtroppo a comandare è lui. Ha detto che l’Ucraina non avrà più un governo suo, che la vuole schiacciare e far tornare parte dell’impero. Credo non ci siano dubbi sulle sue intenzioni. Può darsi, e me lo auguro vivamente, che all’interno della dirigenza russa qualcuno si stia ponendo il problema e che sia in qualche modo l’espressione di una visione diversa. In quel modo se ne può discutere, però tenendo conto che non bisogna stabilire precedenti. Perché abbiamo situazioni simili al Donbass, sto parlando della Transnitria: nel momento in cui si cede su quello è naturale per Mosca rivendicare quell’altro, e poi magari le ex repubbliche sovietiche che fanno parte dell’Europa. E’ una valanga che non si ferma più”.

E le armi la stanno fermando?
Se stiamo alle operazioni di questi giorni, mi pare indubbio che l’avanzata dell’esercito stia subendo vistosi rallentamenti. Le notizie di ieri parlano di cinque bombardieri abbattuti, e a tirar giù quei Sukhoi 25 sono stati i missili spalleggiabili che fanno parte delle nostre forniture. Sono sistemi che possono mettere davvero in seria difficoltà l’attaccante che si muove con forze convenzionali, soprattutto se come pare non sono addestrate e testate coi metodi di supporto reciproco tra fanteria e mezzi corazzati, e in particolar modo se i militari come sembra sono ragazzi di leva. La storia militare ha dei precedenti importanti, pensi solo al Vietnam. Il rapporto era indubbiamente a favore degli Usa, ma la resistenza vietnamita grazie ai rifornimenti russi ha costretto gli Usa a desistere. Può succedere lo stesso.

Sì, ma dopo 20 anni di guerriglia e 300mila morti: quanto può durare un conflitto a media intensità?
Si spera il meno possibile, ma non si capisce la scelta di fornire armi a Zelensky se non si tengono insieme i due pilastri delle strategia di difesa: quello delle forniture militari e delle sanzioni. Certo, il loro difetto intrinseco è che chi le subisce ne paga il prezzo sul medio periodo e chi le impone subito. E’ uno strumento di delicato, ma è altrettanto vero che un’economia come quella russa non gode di ottima salute ed è possibile che qualcuno a Mosca inizi a fare pressioni che anche Putin non può sostenere. La storia è piena di guerre perse per “default”: l’esercito imperiale tedesco sul terreno poteva resistere a lungo, ma è crollato quando è crollata l’economia del Reich.

L’aggressione militare dei russi sta generando una crisi umanitaria nel cuore dell’Europa. E’ tutta colpa dei russi? Non abbiamo proprio nulla da rimproverare a noi stessi?
Non è così, non sarebbe onesto negare alcuni “errori” e responsabilità. Io stesso ero presente a Bucarest nell’aprile del 2008, quando ci fu l’intenzione iniziale di alcuni di invitare formalmente la Georgia e l’Ucraina a entrare nella Nato, così da togliere l’oggetto del contendere ai russi. Allora ci fu una valutazione non concorde di altri membri dell’alleanza atlantica, in particolare la Francia, la Germania e l’Italia, in rigoroso ordine alfabetico. Ne uscì un documento in cui si diceva genericamente che le porte rimanevano aperte e che in futuro indefinito anche questi paesi avrebbe fatto parte dell’Alleanza. Fu una formulazione molto blanda che dispiacque molto a Mosca e purtroppo diede adito all’allora leader georgiano di avviare una campagna disastrosa contro la Russia nell’agosto 2008. Questo fu sicuramente un errore, ma oggi dico un peccato veniale contro uno mortale.

Si guarda alla guerra in corso, all’accoglienza dei profughi. Ma c’è anche un futuro che si sta decidendo oggi. Per alcuni generali la nostra posizione spinge la Russia sempre più verso l’Asia e la Cina, rischia di isolarla ancora di più ampliando il rischio di nuovi conflitti futuri?
A questa obiezione replico dicendo che proprio la risposta così coesa dei governi europei, forse inattesa da tutti, crea le premesse concrete per un sistema di difesa a autonomia strategica di cui si parla da tanto tempo. Per qualcuno dovrebbe essere del tutto indipendente, io penso non possa che nascere facendo parte della grande famiglia occidentale della Nato che ha permesso ai nostri paesi di prosperare in sicurezza. Ma certamente dovrà avere pari dignità e peso perché non accada più che ogni decisione presa a Washington debba essere trangugiata a Parigi e a Roma.

C’è un’altra asimmetria nello sforzo Nato: i costi della guerra che stiamo armando li pagherà l’Europa, fin da subito visto che a differenza degli Usa si sta facendo carico dei profughi.
Anche questo è un banco di prova, non c’è dubbio. Perché in situazioni come questa qualcuno paga prezzi più alti di altri ed è giusto si trovino gli strumenti per far si che gli oneri siano equamente distribuiti. E’ un bel test della reale possibilità del mondo occidentale di agire in modo organico, insieme, condividendo costi e oneri. Io auspico che le cose andranno così. ma non è scontato, perché effettivamente gli egoismi nazionali ci sono, lo vediamo con gli immigrati nel Mediterraneo. Ci sono grosse faglie e vediamo se in questo caso gli eventi faranno sì che si ricompongano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/10/guerra-ucraina-lex-generale-camporini-armare-lucraina-era-e-resta-lunica-alternativa-possibile-non-e-il-tempo-di-dissertazioni-filosofiche-ed-evoca-il-vietnam/6519514/#

giovedì 9 luglio 2020

Appalti e mazzette nelle forze armate col tariffario al 10 per cento. Coinvolti anche generali. - Maria Elena Vincenzi

Appalti e mazzette nelle forze armate col tariffario al 10 per cento. Coinvolti anche generali

La polizia di Stato, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Antonio Clemente, ha eseguito un'ordinanza nei confronti di 31 persone: 7 agli arresti domiciliari tra imprenditori e ufficiali, 19 divieti di contrattare con la pubblica amministrazione, cinque sospensione di servizio per appartenenti alle forze dell'ordine. Ma l'indagine è molto più ampia e conta 64 indagati.

giovedì 21 maggio 2020

Generali, l'utile paga il Covid ma cresce il risultato operativo. - Laura Galvagni

(Bloomberg)

Decisivo l’impatto delle svalutazioni di portafoglio per 655 milioni dovuto alle turbolenze di mercato innescate dalla pandemia.

Il gruppo Generali paga lo scotto del Covid nel primo trimestre 2019 e accusa un calo dell'utile dell'84% a 113 milioni anche se - sottolinea il gruppo assicurativo - vede «confermata la buona redditività del business con il risultato operativo in crescita a 1,44 miliardi (+7,6%) e una solida posizione di capitale».
L'utile netto ha risentito invece di tre fattori: «di 655 milioni di svalutazioni nette sugli investimenti legate all'impatto del Covid-19 sui mercati finanziari, del contributo di 100 milioni stanziati dal Gruppo per il Fondo Straordinario Internazionale per l'emergenza da pandemia e del contributo nullo delle dismissioni, che l'anno scorso avevano generato plusvalenze per 128 milioni».
L'attuale situazione ha un fortissimo grado di incertezza, Generali sarà meno impattata dei competitor europei per il diverso mix di business - ha precisato il general manager Frederic de Courtois in conference call con i giornalisti - ma prevede che il proprio risultato operativo lordo sia in calo nel 2019 con l'utile che verrà impattato negativamente dalla debolezza dei mercati finanziari.
In ogni caso, Generali farà il punto sul piano al 2021 e sul rispetto dei target da esso previsti in un Investor Day previsto a novembre. «È importante dire che siamo molto fiduciosi della nostra strategia e dei pilastri che sono alla sua base e che siamo entrati in questa crisi in una condizione di forza dal punto della redditivita' e della liquidita', molto alte, e della Solvency che è a un ottimo livello» ha precisato de Courtois. Tuttavia - ha aggiunto - siamo in un momento «senza precedenti» e «riteniamo ci vorranno un po' di mesi per avere visibilità».
Tra gli altri numeri della trimestrale, in netto miglioramento il combined ratio a 89,5% (-2 punti percentuale). I premi lordi complessivi salgono dello 0,3% a 19,2 miliardi con un positivo andamento del segmento Danni (+4,0%). Nel Vita la raccolta netta cala del 25,2% a 3,1 miliardi. Infine, il gruppo sottolinea “la solida posizione di capitale” con un Solvency Ratio al 196% dal 224% di fine anno. Al proposito, ha precisato il Cfo di gruppo Cristiano Borean, l'indicatore al 19 maggio era vicino al 200% mentre il portafoglio di Btp è sempre attorno a 60 miliardi.
Lo stesso Borean, interpellato sul dividendo, ha precisato che sul pagamento della seconda tranche Generali ha previsto delle regole molto chiare. Essa arriverà dopo una «valutazione del cda nel rispetto del nostro risk capital framework, uno stringente requisito di capitale di gruppo, alla luce della sua evoluzione e di quella del business al 30 settembre».
«Tutte le condizioni verranno valutate, allo stato attuale stiamo rispettando il nostro risk capital framework» ha concluso il manager, sottolineando anche che il recupero dei mercati (avvenuto ad aprile) potrebbe contribuire a ridurre le svalutazioni nella semestrale.

lunedì 24 febbraio 2014

Generali, indagati Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti,


   


L’ex amministratore delegato e l’ex direttore generale nel mirino per presunte irregolarità nei confronti della governance interna rispetto ad alcuni investimenti in private equity e fondi alternativi.

Un avviso di garanzia è stato emesso dalla Procura di Trieste nei confronti di Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti, rispettivamente ex amministratore delegato ed ex direttore generale di Generali. Il provvedimento, emesso in dicembre, contesterebbe loro l’aver ostacolato l’esercizio delle autorità pubbliche di vigilanza.  

L’indagine è conseguenza delle segnalazioni di Consob e Ivass su presunte irregolarità nei confronti della governance interna rispetto ad alcuni investimenti in private equity e fondi alternativi, decisi o gestiti direttamente da Perissinotto e Agrusti, senza le necessarie deleghe, o senza perizie o strumenti di monitoraggio e di protezione. 

Generali aveva dichiarato di aver iscritto a bilancio su sette investimenti 234 milioni di perdite. Ma da un’analisi interna condotta da Kpmg a suo tempo, le operazioni controverse avrebbero però avuto un valore per 660 milioni. Tutte erano accomunate dal fatto di essere collegabili alla merchant bank Finint di Enrico Marchi e Andrea De Vido, a Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e al gruppo Valbruna della famiglia Amenduni, soci veneti in Generali tramite Ferak ed Effeti. Da qui la segnalazione all’autorità giudiziaria sul versante penale. 

Sulla vicenda il Cda di Generali si era espresso una prima volta, dopo un parere legale, decidendo di non procedere contro Perissinotto. L’Ivass aveva però chiesto alla compagnia di sottoporre nuovamente la decisione al comitato Controllo e rischi e quindi al Cda. In quella sede, la compagnia aveva escluso «qualsiasi profilo di rilevanza penale» nei comportamenti emersi. 
Il 19 febbraio scorso il consiglio di amministrazione del leone aveva quindi dato mandato al Group Ceo Mario Greco di ricorrere in sede giuslavoristica contro gli accordi risolutivi dei rapporti di lavoro di Perissinotto e Agrusti, ed eventualmente di intraprendere «ogni altra iniziativa volta al ristoro di tutti i danni subiti». 


giovedì 20 settembre 2012

Mediobanca paga il conto del salotto buono e l’utile crolla del 78%. - Mauro Del Corno


mediobanca interna new


L'istituto di Piazzetta Cuccia distribuisce 43 milioni di dividendi contro i 146 del 2011. La linea è non vendere partecipazioni che assicurano potere (ma non profitti) come Generali, Telecom o Rcs.

Il nuovo motto che rimbomba nelle salette ovattate di Mediobanca deve’essere qualcosa del tipo: “Resistere, resistere, resistere”. Tenere duro senza vendere neppure un’azione delle partecipazioni chiave come Generali, Telecom o Rcs che una volta garantivano potere e profitti mentre oggi assicurano solo il primo. E pazienza se la prova di forza diventa sempre più faticosa per i conti, l’utile crolla del 78% passando da 369 a 81 milioni di euro (con l’ultimo trimestre in rosso di 24 milioni), gli azionisti si trovano in mano un titolo che vale il 22% in meno di un anno fa e il dividendo si rimpicciolisce da 17 a 5 centesimi per azione. Agli azionisti andranno insomma 43 milioni contro i 146 dello scorso anno o i 144 del 2010.
I conti annuali, che per Mediobanca si aprono e chiudono a giugno, confermano una tendenza in atto da tempo: l’attività bancaria tradizionale (prestiti, commissioni, etc) porta fieno nella cascina di Piazzetta Cuccia mentre le partecipazioni azionarie tenute in portafoglio se lo stanno mangiando poco a poco. L’escalation del 2012 fa impressione: per far fronte alla perdita di valore delle varie quote in società chiave per il sistema, nel primo trimestre dell’anno vengono messi da parte 70 milioni di euro, nel secondo trimestre 161, nel terzo 117, nel quarto e ultimo trimestre, quello in cui si fanno le ‘pulizie finali’, altri 256 milioni per un totale di 573 milioni. E’ più del doppio rispetto ai 275 milioni “pagati” nel 2011.
Nel frattempo l’attività bancaria classica non ha mai smesso di macinare ricavi. Un miliardo e 989 milioni gli incassi del 2012 che fa seguito ai risultati solo di poco più bassi registrati negli ultimi quattro anni. Persino nel terribile 2009 la divisione bancaria aveva generato introiti per più di 1 miliardo e 700 milioni. I costi risultano in calo e scendono da 824 milioni del 2011 a 789 milioni. Anche se, a far brillare i conti della divisione bancaria hanno certamente aiutato pure i 7,5 miliardi presi in prestito dalla Banca Centrale Europea con tasso agevolato dell1% annuo nell’ambito delle operazioni LTRO (Long Term Refinancing Operation) varate da Mario Draghi tra il 2011 e il 2012.
Tornado alle società che “scottano”, il valore complessivo delle partecipazioni di Piazzetta Cuccia in società quotate è passato dagli oltre 2,8 miliardi di marzo ai 2,7 di fine giugno . La quota in Telco (la finanziaria che controlla Telecom Italia) è stata svalutata di 113 milioni, ipotizzando un valore del titolo Telecom di 1,5 euro. Oggi l’azione ne vale in realtà 0,8, se le cose non cambiano nei prossimi mesi questa voce è destinata a generare altre perdite. Il valore della partecipazione nella società che controlla il Corriere della Sera,  Rcs (14,3%) è stato invece tagliato di quasi 78 milioni ipotizzando una quotazione del titolo pari a un euro. Svalutazioni per 34 milioni anche su Delmi, la cabina di comando di Edison e quasi 29 milioni sulla partecipazione del 9% in Santé, cliniche privati francesi riconducibili ad Antonino Ligresti, fratello di Salvatore.
Il risultato avrebbe potuto essere ancora peggiore se fosse stato ritoccato il valore della partecipazione più pregiata. Quel 14% di Generali che vale quasi 2,4 miliardi e fa di Mediobanca il primo azionista del gruppo assicurativo triestino. In realtà l’andamento del titolo del Leone alato nel periodo aprile – giugno avrebbe suggerito un comportamento diverso. L’azione è stata quasi sempre al di sotto di quei 10 euro che per Piazzetta Cuccia rappresentano una sorta di linea del Piave. Se i titoli Generali stanno sopra questa soglia la partecipazione di Mediobanca vale di più di quanto è stata pagata, al di sotto si inizia invece a perdere.
Per ora si è preferito far finta di niente confidando in una pronta risalita del titolo Generali che attualmente quota 11,8 euro, non certo in una zona di sicurezza. Una valutazione improntata unicamente a criteri di massimizzazione dei profitti avrebbe consigliato di disfarsi tempo fa almeno di una parte delle partecipazioni. Hanno evidentemente prevalso considerazioni di altra natura e indietro non si può più tornare. Vendere ora vorrebbe dire farlo in perdita, si può solo sperare che la ripresa dei corsi azionari rimetta le cose in ordine. E intanto l’ad di Mediobanca mette le mani avanti. ”Siamo convinti che dovremmo ridurre la nostra esposizione sui titoli azionari perchè danno troppa volatilità al nostro risultato netto. Nei prossimi mesi, quando la situazione dell’euro sarà un pò più chiara, una volta deciso, daremo indicazioni al mercato su cosa vogliamo fare sulla nostra esposizione nell’equity”, ha detto oggi Alberto Nagel agli analisti in risposta a una domanda su una eventuale riduzione della quota in Generali.
Sta di fatto che Mediobanca paga un prezzo sempre più salato per la sua natura da ‘centauro’, metà banca tradizionale, metà cassaforte di partecipazioni. E occupare un posto a sedere in quello che viene ancora considerato il ‘salotto buono’ del capitalismo italiano sta diventando sempre più oneroso. Un anno fa il titolo valeva 5,5 euro oggi ne vale 4,3. Grandi soci come Unicredit, Benetton, Fonsai o Fininvest hanno rettificato il valore delle azioni Mediobanca nei loro portafogli portandole a 6/7 euro e incamerando così perdite per decine o centinai di milioni. E se il titolo non recupera valori più rassicuranti prima o poi dovranno arrivare altre sforbiciate.
Cui prodest?