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sabato 9 aprile 2022

Coglione sì, bimbominkia no. Ecco il tariffario degli insulti. - Ilaria Proietti

 

LE SENTENZE, I POLITICI E I POVERI CRISTI - Dire o non dire. “Rompiballe” va bene, che Salvini non abbia mai lavorato pure. Renzi “ebetino” invece no. 

“Rompiballe” si può dire, per quanto sia assai “inurbano”. E pure “coglione”, ma sempre che si sia voluto dare alla parola il significato bonario di “sprovveduto”. “Talebano” non è lesivo della onorabilità, ma a patto “che rimanga nell’ambito di un dibattito politico”. Con “Bimbominkia” scatta la diffamazione aggravata, come ha invece stabilito l’altro giorno la Cassazione decidendo sul caso di Mavie Cattoi, colpevole di aver offeso la reputazione di Enrico Rizzi, segretario del Partito animalista europeo. Altro che fallo di reazione, per il Rizzi in questione neppur lui un amante del tiro al fioretto: quando è morto Diego Moltrer, presidente del consiglio regionale della Regione Trentino-Alto Adige e appassionato di caccia, dalla sua bocca non erano esattamente usciti petali di rosa, ma tant’è: non meritava di essere comunque “additato come mentalmente ipodotato”, ossia come un “bimbominkia”. Ancorché sull’insulto c’è dottrina: anche per i giudici, per dire, ormai un “vaffanculo” non si nega a nessuno, anche se esistono pronunce di segno opposte a quella del 2007 per la quale l’espressione è sì ingiuriosa, ma ormai entrata nell’uso comune, e quindi pace. Sulle offese a sfondo razziale sono stati scritti fiumi di inchiostro: “Sporco negro” si può dire più o meno impunemente o è solo un’aggravante razziale che scatta in presenza di un altro reato come in quel caso di Palermo in cui ci fu un’aggressione col cric? Sul termine “frocio” e/o “frocio schifoso” invece si va a sbattere di sicuro: ne sa qualcosa Bal Efe “transessuale esercente la prostituzione”, come scrivono gli Ermellini, che si è beccata una condanna per diffamazione per aver sostenuto su Facebook l’omosessualità di un suo presunto amante, apostrofato appunto “frocio” e “schifoso”. A scorrere le sentenze, “cornuto” resta un grande classico che fa il paio con “fedifraga” – pardon – “mignotta”: per i giudici specie se riferito a donna e moglie è tabù e integra il reato di diffamazione attribuire una storia extraconiugale con un altro uomo che non sia il legittimo consorte, perché “elemento intrinsecamente idoneo a vulnerare non l’opinione che la persona offesa ha di sé, bensì, oggettivamente, l’apprezzamento da parte della storicizzata comunità di riferimento del complesso dei valori e delle qualità che la vittima esprime, quale dinamica sintesi della sua dignità personale, apprezzamento cui si correla la lesione dell’altrui reputazione”.

E quando c’è di mezzo la politica? Nel 2006 la Cassazione stabilì per esempio che era diffamazione dire dell’avversario “Giuda Escariota” in un comizio elettorale. O descrivere nei volantini il tal candidato come “gaglioffo” e “azzeccagarbugli”. Il che fa ben sperare chi querela a tutto spiano anche per le intemperanze via social: nel 2014 Ilda Iadanza, una signora friulana, raccontò di esser stata denunciata da Matteo Renzi per diffamazione per un “ebetino” che le era scappato sul blog di Grillo. Matteo Salvini ha di recente avuto soddisfazione contro Oliviero Toscani che lo aveva dileggiato per il servizio fotografico apparso sul settimanale Oggi, in cui il Capitano leghista si era fatto ritrarre a letto, coperto da un piumino e rivestito della sola cravatta verde: “Una pompinara da due soldi” lo aveva apostrofato, salvo poi precisare che non aveva voluto gettare discredito sulla sua persona, ma stigmatizzarne i comportamenti politici e l’inclinazione a offrire in vendita persino il suo corpo agli ingenui elettori del suo partito. Ma niente: la Cassazione ha stabilito nel 2021 che la fellatio sarà stata pure una metafora politica, ma il fotografo aveva esagerato assai. Ma in altri casi gli è andata peggio: nel 2016 ad esempio il Tribunale di Bergamo ha stabilito che dire che Salvini non ha mai lavorato non è reato perché nonostante la querela al Fatto Quotidiano che lo ha definito “politico di professione” effettivamente “non svolge e non ha mai svolto nessuna attività civile”.

Sempre nel 2016, il Tribunale di Milano aveva archiviato una sua querela nei confronti dell’ex sindacalista Marco Bentivogli, che lo aveva preso di petto in tv: “Ma lei ha l’autoblu pagata dallo Stato, di cosa parla? Lei gira in autoblu. È andato una volta a Bruxelles. È il più grande assenteista di Bruxelles e parla delle condizioni delle persone. È andato a Bruxelles l’altro giorno e gli uscieri neanche si ricordavano di lei. Sono sicuro che da 25 anni mantengo lei con le mie tasse. Di questo sono sicuro. Lei fa politica da 25 anni mantenuto dai contribuenti italiani”. Gli è andata male anche con Carlo De Benedetti, che durante il Festival di Dogliani non era stato tenero: “Salvini? È il peggio. Antisemita, xenofobo e antieuropeo e finanziato da Putin”. Il Tribunale di Cuneo pochi giorni fa ha assolto De Benedetti con tanti saluti ai 100 mila euro di risarcimento chiesti dal leghista anche se ancora non sono note le motivazioni. Certe invece quelle del Tribunale di Milano che nel 2021 ha archiviato la querela di Salvini contro Ilaria Cucchi che lo ha aveva definito uno “sciacallo che fa politica di basso livello sulla morte di mio fratello”: è diritto di critica.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/09/coglione-si-bimbominkia-no-ecco-il-tariffario-degli-insulti/6553856/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3i_Ba5FO4qI_pSVu7LJG37C3FxTN6mZOgZVd_jslJ2rji-aC7QKcdVp5Y#Echobox=1649493310


Quindi, per la Cassazione noi cittadini dobbiamo subire le angherie dei politici, ma non possiamo ribellarci anche solo a parole, insultandoli, perchè i parlamentari, con i nostri soldi, possono difendersi ad oltranza incanalando, dopo aver apportato le opportune modifiche alle loro stesse leggi, le decisioni dei giudici in loro favore. Per noi sempre meno diritti e più doveri, per lor signori più diritti, meno doveri e tanta, tantissima stravaganza e strafottenza da sbandierare a mo' di "io sono io e tu non sei un cabbaso!"

cetta

venerdì 11 marzo 2022

Guerra Ucraina, l’ex generale Camporini: “Armare Kiev era e resta l’unica alternativa possibile. Non è il tempo di dissertazioni filosofiche”. Ed evoca il Vietnam. - Thomas Mackinson

 

Nei giorni scorsi alcuni analisti ed ex generali hanno messo in dubbio la strategia dell'Europa di fornire armi a Kiev, evidenziandone i rischi e le contraddizioni. L’ex capo di Stato Maggiore della Difesa, che fa parte del direttivo di Azione, rivendica quella scelta. Senza escludere però il rischio di un "pantano Ucraina" e le responsabilità storiche di Francia, Germania e Italia.

Evocare oggi il Vietnam o una Sarajevo non rassicura più di tanto, ma vallo a spiegare ai generali. Alcuni, non tacciabili di “retorica pacifista”, nei giorni scorsi hanno espresso pubblicamente dubbi sulla scelta dell’Europa di armare l’esercito ucraino per una resistenza “senza partita”, che costerà più vittime alla popolazione civile e in futuro spingerà ancor di più la Russia verso l’Asia e la Cina, con tutti i rischi del caso. Così l’ex generale Fabio Mini, su questo stesso sito, e ancora due giorni fa Mario Bertolini, già capo del Comando operativo interforze e presidente dell’associazione dei parà, intervistato dal Messaggero e LaVerità. Ce n’è uno che, in qualche modo, risponde al dilemma nei panni sia dell’esperto militare che dell’uomo politico, difendendo a spada tratta la scelta di leader e colleghi che, ai venti di guerra, han risposto indossando (in senso molto figurato) la mimetica.

È l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa Vicenzo Camporini, ex generale dell’Aeronautica e oggi nel direttivo di Azione, il partito di Calenda che – come tutti i gruppi parlamentari – ha votato “sì” in Parlamento all’invio di armi dall’Italia a Kiev. Non solo, Camporini è anche nel direttivo dello IAI, acronimo che sta per Istituto Affari Internazionali, quello fondato da Altiero Spinelli, padre nobile dell’Europa, che profeticamente scrisse: “L’Europa non cade dal cielo”. La figlia, Barbara Spinelli, è stata tra i primi a soffiare in direzione contraria allo “spirito belligerante” dell’Unione, ed è stata additata per questo come “amica di Putin”, per il solo fatto d’aver ricordato ai lettori una serie di impegni mancati da parte dell’Europa e di Washington, per effetto dei quali nel 2022 si è piombati in uno scenario da guerra fredda incendiato dal fuoco delle munizioni e dall’incubo/ricatto di una guerra nucleare.

Generale, l’avanzata russa continua, i negoziati sembrano inconcludenti, si palesa il rischio di un “pantano ucraino”: non le viene qualche dubbio sulla scelta di armare l’Ucraina?
“No, nessun dubbio. Capisco che ora è difficile guardare gli effetti di quella decisione, ma che alternativa avevamo? Se un despota attacca uno stato sovrano alle porte dell’Europa, potevamo lasciarglielo fare? Ritengo che porre oggi “problemi filosofici” sia quantomeno inappropriato. Poi è vero, alcune cose stanno andando diversamente da come si sperava, ma non era preventivabile. Penso ad esempio ai negoziati in corso”.

Appunto. Le pare stiano portando da qualche parte?
Al momento sono purtroppo più il segnale della buona volontà da parte di qualcuno, ma ritengo abbiano poche chance di successo, anche perché la Russia si presenta al tavolo ribadendo sempre la sua posizione: che negoziato è quello in cui uno si presenta e dice “sono disposto a negoziare, basta che accetti le mie condizioni”? Per altro lo fa in luoghi che di per sé suonano come una provocazione o un’umiliazione bella e buona: non solo quelli al confine con la Bielorussia, che spalleggia l’esercito di Mosca, ma a Brest, dove 100 anni fa ci fu l’armistizio zarista. Non si può non cogliere in questa scelta lo spirito di revanscismo che trapela dai discorsi di Putin”.

Ecco, le reali intenzioni della Russia. Alcuni analisti richiamano l’attenzione sul fatto che ufficialmente il Cremlino non voglia conquistare l’Ucraina ma reclami garanzie di neutralità rispetto alla Nato e sicurezza dei propri confini, comprese le “repubbliche” filorusse. Lei come la pensa?
“Vedo che nei dispacci ufficiali di Mosca si dice questo, poi ascolto Putin e sento tutta un’altra storia. E purtroppo a comandare è lui. Ha detto che l’Ucraina non avrà più un governo suo, che la vuole schiacciare e far tornare parte dell’impero. Credo non ci siano dubbi sulle sue intenzioni. Può darsi, e me lo auguro vivamente, che all’interno della dirigenza russa qualcuno si stia ponendo il problema e che sia in qualche modo l’espressione di una visione diversa. In quel modo se ne può discutere, però tenendo conto che non bisogna stabilire precedenti. Perché abbiamo situazioni simili al Donbass, sto parlando della Transnitria: nel momento in cui si cede su quello è naturale per Mosca rivendicare quell’altro, e poi magari le ex repubbliche sovietiche che fanno parte dell’Europa. E’ una valanga che non si ferma più”.

E le armi la stanno fermando?
Se stiamo alle operazioni di questi giorni, mi pare indubbio che l’avanzata dell’esercito stia subendo vistosi rallentamenti. Le notizie di ieri parlano di cinque bombardieri abbattuti, e a tirar giù quei Sukhoi 25 sono stati i missili spalleggiabili che fanno parte delle nostre forniture. Sono sistemi che possono mettere davvero in seria difficoltà l’attaccante che si muove con forze convenzionali, soprattutto se come pare non sono addestrate e testate coi metodi di supporto reciproco tra fanteria e mezzi corazzati, e in particolar modo se i militari come sembra sono ragazzi di leva. La storia militare ha dei precedenti importanti, pensi solo al Vietnam. Il rapporto era indubbiamente a favore degli Usa, ma la resistenza vietnamita grazie ai rifornimenti russi ha costretto gli Usa a desistere. Può succedere lo stesso.

Sì, ma dopo 20 anni di guerriglia e 300mila morti: quanto può durare un conflitto a media intensità?
Si spera il meno possibile, ma non si capisce la scelta di fornire armi a Zelensky se non si tengono insieme i due pilastri delle strategia di difesa: quello delle forniture militari e delle sanzioni. Certo, il loro difetto intrinseco è che chi le subisce ne paga il prezzo sul medio periodo e chi le impone subito. E’ uno strumento di delicato, ma è altrettanto vero che un’economia come quella russa non gode di ottima salute ed è possibile che qualcuno a Mosca inizi a fare pressioni che anche Putin non può sostenere. La storia è piena di guerre perse per “default”: l’esercito imperiale tedesco sul terreno poteva resistere a lungo, ma è crollato quando è crollata l’economia del Reich.

L’aggressione militare dei russi sta generando una crisi umanitaria nel cuore dell’Europa. E’ tutta colpa dei russi? Non abbiamo proprio nulla da rimproverare a noi stessi?
Non è così, non sarebbe onesto negare alcuni “errori” e responsabilità. Io stesso ero presente a Bucarest nell’aprile del 2008, quando ci fu l’intenzione iniziale di alcuni di invitare formalmente la Georgia e l’Ucraina a entrare nella Nato, così da togliere l’oggetto del contendere ai russi. Allora ci fu una valutazione non concorde di altri membri dell’alleanza atlantica, in particolare la Francia, la Germania e l’Italia, in rigoroso ordine alfabetico. Ne uscì un documento in cui si diceva genericamente che le porte rimanevano aperte e che in futuro indefinito anche questi paesi avrebbe fatto parte dell’Alleanza. Fu una formulazione molto blanda che dispiacque molto a Mosca e purtroppo diede adito all’allora leader georgiano di avviare una campagna disastrosa contro la Russia nell’agosto 2008. Questo fu sicuramente un errore, ma oggi dico un peccato veniale contro uno mortale.

Si guarda alla guerra in corso, all’accoglienza dei profughi. Ma c’è anche un futuro che si sta decidendo oggi. Per alcuni generali la nostra posizione spinge la Russia sempre più verso l’Asia e la Cina, rischia di isolarla ancora di più ampliando il rischio di nuovi conflitti futuri?
A questa obiezione replico dicendo che proprio la risposta così coesa dei governi europei, forse inattesa da tutti, crea le premesse concrete per un sistema di difesa a autonomia strategica di cui si parla da tanto tempo. Per qualcuno dovrebbe essere del tutto indipendente, io penso non possa che nascere facendo parte della grande famiglia occidentale della Nato che ha permesso ai nostri paesi di prosperare in sicurezza. Ma certamente dovrà avere pari dignità e peso perché non accada più che ogni decisione presa a Washington debba essere trangugiata a Parigi e a Roma.

C’è un’altra asimmetria nello sforzo Nato: i costi della guerra che stiamo armando li pagherà l’Europa, fin da subito visto che a differenza degli Usa si sta facendo carico dei profughi.
Anche questo è un banco di prova, non c’è dubbio. Perché in situazioni come questa qualcuno paga prezzi più alti di altri ed è giusto si trovino gli strumenti per far si che gli oneri siano equamente distribuiti. E’ un bel test della reale possibilità del mondo occidentale di agire in modo organico, insieme, condividendo costi e oneri. Io auspico che le cose andranno così. ma non è scontato, perché effettivamente gli egoismi nazionali ci sono, lo vediamo con gli immigrati nel Mediterraneo. Ci sono grosse faglie e vediamo se in questo caso gli eventi faranno sì che si ricompongano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/10/guerra-ucraina-lex-generale-camporini-armare-lucraina-era-e-resta-lunica-alternativa-possibile-non-e-il-tempo-di-dissertazioni-filosofiche-ed-evoca-il-vietnam/6519514/#

giovedì 17 febbraio 2022

Referendum, responsabilità diretta dei giudici e cannabis: affondati altri 2 quesiti. - Antonella Mascali

 

VIA AL VOTO - La Corte costituzionale ha finito l’esame: in tutto ha detto sì a cinque richieste sulla Giustizia. Tre i bocciati. Il presidente Amato ha spiegato la formulazione errata su eutanasia e droghe: sono stati scritti male.

Quando si dice è una beffa del destino. A trent’anni esatti da Mani Pulite, a presiedere la Corte costituzionale che ha dato il via libera ai referendum sulla Giustizia, a eccezione di quello sulla responsabilità civile diretta del magistrato, è Giuliano Amato, tra i protagonisti politici della Prima Repubblica al fianco di Bettino Craxi.

Aspirante senatore a vita, Amato forse ancora pensa di essere presidente del Consiglio, dato che ieri ha indetto una conferenza stampa in cui non si tiene neppure alcune critiche ricevute dalla Corte per l’inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente (decisa martedì). “Sentire che non sappiamo cosa significhi soffrire mi ha ferito, ha ferito tutti noi. L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia”. Quanto all’inammissibilità del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati che, ci risulta, lui, invece, avrebbe voluto, spiega: “Essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, diversamente da altri funzionari pubblici, l’introduzione della responsabilità diretta rende il referendum più che abrogativo”.

È lo Stato, aggiungiamo noi, che risarcisce il cittadino che abbia subito un ingiusto danno, per poi rivalersi sul magistrato. Ovvio la ratio della legge: se ci fosse la responsabilità diretta, ogni indagato-imputato, potente, potrebbe intimidire così il magistrato.

Dunque, ieri, la Corte ha dato il via libera ai referendum che chiedono la separazione delle carriere dei magistrati; l’abolizione della legge Severino; lo svuotamento della carcerazione preventiva; la valutazione professionale dei magistrati da parte degli avvocati presenti nei consigli giudiziari; la possibilità per i magistrati di candidarsi al Csm anche senza una raccolta di firme. La Corte con un comunicato spiega il via libera: “Le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario”. Sarà, ma se si va a leggere il quesito che chiede la separazione delle carriere, viene il mal di testa, tante sono le leggi cui fanno riferimento i promotori, altro che quesito chiaro, lineare per gli elettori. Inoltre, come la Corte sa, c’è già la riforma Bonafede, sul punto non modificata dalla ministra Marta Cartabia, che propone di diminuire i possibili passaggi da pm a giudice e viceversa, da 4 a 2, ma non di separare le carriere, di fatto, come vorrebbe, invece, Forza Italia. Se vince il sì non sarà permesso alcun cambio di funzione con buona pace del principio costituzionale dell’unicità dell’ordinamento giudiziario e con un possibile destino per il pm di essere dipendente dal governo.

Via libera anche al referendum che chiede l’abolizione della legge Severino, che vieta l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dei parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna definitiva per reati gravi come mafia, terrorismo e corruzione. Se vince il sì, viene abolito anche l’articolo 11 della stessa legge sulla sospensione per 18 mesi degli amministratori e rappresentanti locali condannati in primo grado per determinati reati. E pensare che la Severino ha retto a tutti i vagli della Consulta.

C’è poi il referendum che si potrebbe ribattezzare “liberi tutti”: si chiede la cancellazione della possibilità di arresto per un reato a “caso”, il finanziamento illecito ai partiti, ma anche per altri reati che prevedono la reclusione “non inferiore nel massimo a cinque anni”, a meno che non ricorra il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove. Sparisce quindi il pericolo di reiterazione del reato. “C’è da rimettersi solo alla saggezza dei cittadini”, osserva Nello Rossi, ex avvocato generale della Cassazione, “sperando che, se voteranno sì all’abrogazione, non imprechino poi contro giudici e pm se i truffatori seriali, gli hacker e i bancarottieri resteranno liberi e in azione sino alle condanne definitive”. Infine, dichiarato inammissibile il referendum sulle droghe perché, ha spiegato Amato “non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze con papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/17/referendum-responsabilita-diretta-dei-giudici-e-cannabis-affondati-altri-2-quesiti/6496818/

sabato 20 novembre 2021

Il Paese di Sottosopra. - Marco Travaglio

 

Nel Paese di Sottosopra, una ministra vota alla Camera contro il suo governo con due partiti della maggioranza, che va in minoranza; ma il premier, anziché salire al Quirinale, fischietta. Nel Paese di Sottosopra tutti applaudirono Renzi quando fece fuori tutti i partiti dalla Rai tranne il suo; oggi, per coerenza, applaudono Draghi perché fa fuori un solo partito, quello che ha vinto le elezioni, per spartirsi la Rai con tutti gli altri, quelli che le hanno perse; e la colpa è del leader dell’unico escluso. Nel Paese di Sottosopra, le Regioni sabotano i centri pubblici per l’impiego che dovevano attivare con 1 miliardo dello Stato; il governo, anziché obbligarle a farlo o riprendersi il miliardo, licenzia i navigator dopo averli formati e s’affida alle agenzie di Confindustria; Chiara Saraceno, consulente del governo, dice che “la stretta del governo sul Reddito non si basa su dati, ma su una narrazione fantasiosa e ideologica sui beneficiari nullafacenti”.

Nel Paese di Sottosopra il governo annuncia per mesi che cercherà “casa per casa” i 3,5 milioni di over 50 non vaccinati (che rischiano più dal Covid che dal vaccino); poi, siccome non riesce a convincerne uno, prova a farlo imponendo il Green Pass per lavorare; ma i non vaccinati, non essendo obbligati dal governo, non si vaccinano e si fanno i tamponi; allora il governo, per fare numero, minaccia di vaccinare i bambini (che rischiano più dal vaccino che dal Covid). Nel Paese di Sottosopra, quando il governo impone il Green Pass per lavorare, le imprese fanno notare che perderanno manodopera con gravi danni all’economia; allora il governo non fa i controlli (mille multe in due mesi), così i No Pass continuano a lavorare senza neppure il fastidio del tampone; ma tutti restano convinti che lavori solo chi ha il Green Pass e l’Italia sia un modello per il mondo intero (che però si guarda bene dall’imitarla). Nel Paese di Sottosopra, deve avere il Green pass chi lavora da solo in un ufficio di 100 mq o a distanze siderali dai colleghi, o viaggia su un vagone Frecciarossa o Italo semivuoto (sennò l’intero convoglio viene fermato in aperta campagna); invece non deve averlo chi si ammucchia nei carnai di bus, metro e treni per pendolari e studenti; e a scuola il metro di distanza è obbligatorio “ove possibile”. Nel Paese di Sottosopra, alcuni spostati che si fanno chiamare “governatori” o “ministri” chiedono il “lockdown per i non vaccinati” (ideona già fallita in Austria), come se questi fossero fosforescenti, distinguibili a occhio nudo dalle decine di milioni di vaccinati, ergo facili da scovare e rinchiudere ai domiciliari. Nel Paese di Sottosopra, questa allegra brigata di buontemponi viene chiamata “Governo dei Migliori”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/20/il-paese-di-sottosopra/6399113/

domenica 21 febbraio 2021

AGORA' SENZA STELLE. - Rino Ingarozza

C'è poco da fare il rospo di Rignano, Rospo Bean è riuscito nel suo intento. Voleva far cadere Conte e c'è riuscito. Voleva spaccare la maggioranza e c'è riuscito. Voleva spaccare il Movimento 5 stelle e c'è riuscito.

Non è tanto questo che mi fa rabbia. Non è tanto lui a farmi pensare. Quello che mi dà da pensare e mi fa arrabbiare di più è il fatto che chi doveva contrastarlo, chi doveva far cerchio per non dargliela vinta, ha fatto il suo gioco. Si sono fatti un numero impressionante di errori e ancora se ne continuano a fare. Da parte di tutti. Nessuno si senta escluso (cantava De Gregori). Ad iniziare da Grillo, passando per Di Maio, Di Battista, Deputati, Senatori, militanti e simpatizzanti. Tutti ci hanno messo del loro. Tutti complici di Rospo Bean, tutti attori dello sfacelo del Movimento. Tutti con soluzioni diverse in tasca. "So io quel che si deve fare". "Di Maio deve andarsene". "Crimi è un dittatore". "'Ma Grillo si è rimbecillito?" "Di Battista deve fare un nuovo Movimento" (addirittura c'è già il nome. Italia dei valori) e pure l'inno (....meno male che Alessandro c'è).
Ma vi rendete conto che state facendo esattamente quello che il rospo e i suoi mandanti (Banche, Finanza, Confpigliatutto) si erano prefissati? Il Movimento unito faceva paura, diviso fa ridere. Unito mostrava i denti, diviso, al massimo, qualche dente cariato. Il Movimento unito ha fatto cose, diviso non può fare niente.
È inutile dire adesso che bisognava fare così o colà. Si è fatto in un certo modo. Si è sbagliato? Si. Non bisognava votare la fiducia? Forse si (forse) ...Ha votato la piattaforma ( della quale io non sono un fan) quella voluta da tutti, la stessa che ha detto che l'alleanza con la Lega andava bene. La stessa che ha detto che l'allenza col PD andava bene. Perché allora non si è gridato allo scandalo? Eppure si era sempre detto ...alleanza con nessuno. Allora tutti zitti. Si, solo due o tre non erano d'accordo, ma due o tre non fanno testo.
Veniamo a "Di Maio e Crimi, dittatori". Dittatori di cosa? Crimi era "obbligato" ad espellere chi non ha votato la fiducia e Di Maio non poteva fare niente. Lo prevede lo statuto del Movimento. Non farlo, sarebbe stato "dittatoriale". Se firmi una cambiale poi la devi onorare, non te ne puoi lamentare. Alcuni hanno votato contro Draghi ma anche contro i 4 Ministri del Movimento. E lo statuto che tutti (e sottolineo tutti) hanno accettato, prevede l'espulsione. Mi dite cosa c'entra tutto questo odio per Crimi? Non sto dicendo che è giusto espellere, anzi ......così si ridimensiona il peso specifico del Movimento, ma il regolamento questo dice. Punto.
"Grillo si è rimbecillito?" Non lo so, non credo. Penso che abbia avuto, certamente, voce in capitolo in tutte le scelte fatte, ora ha fatto questa e giusta o sbagliata che sia, è una scelta. Cosa poteva fare? Una riunione democratica, un'Agorà con tutti i parlamentari pentastellati e decidere se aderire al Governo Draghi o no e le future strategie. E poi, al limite, chiedere il via libera alla piattaforma Rousseau. Invece ha deciso lui e amen. Ed ecco perché son venuti fuori i mal di pancia. Anche il voto sulla piattaforma è stato un po' indirizzato (come ho detto in tempi non sospetti), diciamoci la verità. Mi chiedo: chi ha posto il quesito in quei termini? È stata una scelta collegiale o di due o tre? Ancora una volta non si è deciso insieme.
È stato questo il problema. Ognuno aveva la sua idea e si è comportato di conseguenza. Uno vale uno, certo ma, come diceva Totò, è la somma che fa il totale.
E veniamo a quello che sembra diventato uno sport nazionale:
"Di Battista deve fare un nuovo Movimento". Per fare cosa? Per dividersi i voti, in modo che non servano a nessuno? Fare un partitino personale alla Rospo Bean? Per organizzare un nuovo "Vaffa day?"
Tanti
auguri
.
Credo ci sia in po' di confusione in tutti. Una confusione che ha fatto perdere di mira chi è il vero nemico del popolo e cioè di noi tutti. Lo si poteva combattere dall'opposizione? Può essere. Si deve stare dentro per controllare? Può essere. Una cosa, però, dovrebbe essere lampante: i nemici non sono né Grillo, né Di Maio, né Di Battista. I nemici li conosciamo bene.
Da dentro o da fuori, combattiamo loro.
Rino Ingarozza (21/02/2021)
P.s.: Mi rendo conto perfettamente di aver fatto un post divisivo. Ben vengano quelli che la pensano diversamente ma mi auguro che motivino il dissenso, senza offendere nessuno. La discussione interna è la cosa che è mancata.
Un'Agorà senza stelle.

venerdì 16 ottobre 2020

Governatori peggio del Covid. - Gaetano Pedullà













Mentre litigavamo in tv con quei mattacchioni della destre per cui le mascherine non servono a niente e Conte ci ha imposto una dittatura sanitaria, il virus ha fatto il suo corso e ora che siamo a quasi novemila contagi al giorno la situazione rischia di sfuggire di mano. I più irrequieti sono i governatori, che hanno un’occasione in più per appagare il loro protagonismo, decidendo ciascuno per conto proprio chi va a scuola e chi no (De Luca ha deciso lo stop da oggi in Campania), minacciando di chiudere bar e ristoranti prima di quanto previsto dall’ultimo Dpcm (se n’è discusso in Lombardia, ma Fontana ha poi smentito), oppure di chiuderli dopo (La Provincia di Bolzano si è rifiutata di recepire il decreto del Presidente del Consiglio).

Così si sta generando nuova confusione e un’ulteriore senso di smarrimento nei cittadini, malgrado sia evidente che il Covid non conoscendo confini nazionali a maggior ragione non può conoscere quelli regionali. Dunque a che serve avere regole diverse a distanza talvolta di pochissimi chilometri? Se le opposizioni hanno perso l’opportunità di fare squadra – almeno per una volta – con la maggioranza, dimostrando di mettere il bene del Paese al di sopra delle convenienze politiche di bottega, le autonomie locali stanno offrendo quindi uno spettacolo peggiore, mostrando plasticamente quanto siano pericolosi i loro poteri se usati tanto male come adesso.

D’altra parte, dai trasporti (leggi l’articolo) alla sanità il bilancio delle Regioni non è affatto brillante, e a parte le fughe in avanti, la cosa che sta riuscendo meglio ai presidenti è scaricare la responsabilità delle loro inefficienze sull’amministrazione centrale. Uno scaricabarile fin troppo facile a fronte dei miliardi di euro che ci costano i carrozzoni regionali, che al di là di tante buone intenzioni in realtà servono a garantire una giungla di burocrazia e di poltrone. Oltre a far giocare gli stessi presidenti con la pandemia, propinandoci le loro taumaturgiche ricette quotidiane.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/governatori-peggio-del-covid/

sabato 10 agosto 2019

Di Maio “richiama” i big. Ma ora al bivio c’è il Pd. - Luca De Carolis

Di Maio “richiama” i big. Ma ora al bivio c’è il Pd

Il capo dei 5Stelle raduna Casaleggio, Di Battista e altri maggiorenti e promette “collegialità”. Si punta sul taglio dei parlamentari. Ma le offerte dei dem agitano: “Rischiamo”

Il capo non può più stare solo lassù, non può più decidere da solo o con la sua cerchia ristretta, perché è al bivio che vale tutto. Da una parte c’è la guerra all’orizzonte, la campagna elettorale che mai avrebbe voluto, e dall’altra il Pd, perfino Matteo Renzi e i suoi, che bussano alle sue porte promettendo aiuto per il taglio dei parlamentari e soffiando una parola che può essere dannazione, accordo. Ma da qui in avanti Luigi Di Maio la rotta dovrà deciderla con gli altri, perché è in ballo la sopravvivenza del Movimento, e perché lui non è quello del 33 per cento. Per questo mentre viene giù tutto il tuttora vicepremier raduna a Roma in una casa sul Lungotevere gran parte di quelli che pesano nel Movimento: Davide Casaleggio, i ministri e pretoriani Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, i capigruppo alle Camere Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva, i molto inquieti Nicola Morra e Paola Taverna, quel Max Bugani appena dimessosi da suo vice-caposegretario e ovviamente Alessandro Di Battista, l’ex deputato con cui era furioso ma a cui dovrà chiedere di recuperare entusiasmo e voti.
VOTO SU ROUSSEAU.
Si pensa di far votare gli iscritti sul web sulla ricandidatura degli eletti uscenti
Di fronte a loro ammette (alcuni) errori e soprattutto promette “collegialità”. Ovvero che le decisioni importanti passeranno da lì, da un caminetto con le varie anime del M5S. Per questo Di Maio chiede a tutti di parlare chiaro, di dire come la pensano. Partendo da quella che è la prima urgenza del Movimento, rendere legge il taglio dei parlamentari prima del voto sulla mozione di sfiducia per il premier Giuseppe Conte. Una bandiera che si potrebbe sventolare, ma anche e soprattutto la via per far slittare il voto anticipato, perché tagliare 345 eletti imporrebbe di ridisegnare i collegi elettorali, e sarebbero necessari mesi per farlo. E in quel lasso di tempo chissà cosa potrebbe accadere in Parlamento.
Però il prezzo per i 5Stelle rischia di essere l’anima, perché per realizzare un’impresa quasi impossibile nei numeri e soprattutto nei tempi dovrebbero accordarsi con il Pd delle mille anime e delle mille trappole, che già chiede di più, un patto per un’altra maggioranza di governo. “Ma una cosa del genere potrebbe ucciderci” riassume un big del M5S. Perché lo sanno, i 5Stelle, che i messaggi e le telefonate dei dem (nonostante il niet del segretario Nicola Zingaretti) sono una porta con vista sull’inferno, la via che renderebbe facilissimo a Matteo Salvini gridare all’inciucio.
Per questo il leghista già ammicca: “Sento che ci sono toni simili tra Pd e M5S, ma un governo Renzi-Di Maio sarebbe inaccettabile per la democrazia”. Infatti il Movimento replica con sillabe violente: “Caro Salvini stai vaneggiando, inventatene un’altra per giustificare quello che hai fatto giullare”. E non a caso nella riunione romana, con toni e modi diversi, la maggioranza dei big rifiuta le offerte che lo staff del M5S nega ma che sono evidenti, rumorose. Almeno ora, perché dopo il voto chissà. Ma nell’attesa il taglio degli eletti con il quarto, definitivo passaggio a Montecitorio va rincorso in ogni modo. Lo dicono tutti, all’incontro di ieri. E la linea prevalente è: portiamolo a casa, poi si vedrà. Ovvero, un passo alla volta. Però Roberto Fico, il presidente della Camera, si sente di continuo con Di Maio. E gli ha confermato quanto sia difficile approvare la legge. Perché è vero, un terzo dei deputati basta per convocare d’urgenza l’Aula, e il M5S li ha. Però è necessario che la capigruppo della Camera, convocata per martedì, cambi il calendario a maggioranza. Nel caso lo faccia, bisognerebbe passare in commissione, almeno per mezza giornata, e servirebbero almeno due giorni di lavoro in Aula per approvare il testo. Maledettamente complicato in pieno agosto, per di più prima della votazione in Senato su Conte, che potrebbe svolgersi attorno al 20.
A meno che l’accordo con il Pd non sia granitico. E che Fico utilizzi a fondo i suoi poteri di presidente. Nell’attesa, Di Maio e il gotha del M5S ragionano sui nodi che verranno. A cominciare da come rimettere in gioco una classe di governo su cui grava l’esaurirsi dei due mandati. E la decisione pare già presa. Si voterà sulla piattaforma web Rousseau, dove verrà chiesto agli iscritti se ricandidare i parlamentari uscenti, spingendo sulla leva dei soli 14 mesi di legislatura, caduta per colpa di Salvini. Poi c’è il tema nodale, quello del candidato premier. Non potrà esserlo Di Maio, non più. E neppure Di Battista, trascinatore che si sentirebbe ingabbiato.
Quindi la speranza di molti, di quasi tutti è convincere Conte. Ripartire da lui, che pure lo ha giurato: “Non ho mai votato i 5Stelle”. Ma la politica corre. E può cambiare, tutto.