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sabato 22 maggio 2021

La Legge Obiettivo di Draghi: grandi opere, zero controlli. - Carlo Di Foggia e Marco Palombi

 

La bozza - Aggirati i Comuni, tutto in deroga e di corsa.

Manca meno di una settimana e l’Italia avrà il decreto Semplificazioni – l’ennesimo visto che l’ultimo è solo dell’agosto scorso – che tutti invocano per far correre il Paese e, soprattutto, rispettare i tempi del Pnrr imposti da Bruxelles. Bene, ma l’ultima bozza che Il Fatto ha potuto visionare agli articoli 27 e 28 comprende una semplificazione che col Pnrr ha poco o nulla a che fare. Ricorda piuttosto la Legge Obiettivo di Silvio Berlusconi e Pietro Lunardi (“criminogena”, la definì l’ex presidente dell’Anac Raffaele Cantone), poi parzialmente bocciata dalla Consulta che disse – in sostanza – va bene autorizzare e costruire in deroga, ma mi dovete spiegare razionalmente perché queste opere e non altre.

Ecco, i due articoli partoriti dal ministero delle Infrastrutture oggi guidato da Enrico Giovannini sono dedicati a 10 grandi opere (una lista che potrebbe cambiare nei prossimi giorni e ampliarsi ulteriormente in Parlamento): 4 sono già state commissariate (l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria e quella in Sicilia, la linea Fortezza-Verona e la diga di Pietra Rossa), due sono citate nel Fondo di investimenti complementare che il governo ha affiancato al Pnrr (l’acquedotto del Peschiera e gli interventi di elettrificazione delle banchine portuali) e il resto – tipo il sistema tranviario di Palermo – non si sa bene da dove venga fuori (c’è però anche la diga foranea di Genova, opera da quasi un miliardo).

Nessuna delle dieci opere, comunque, dovrebbe essere sottoposta alla rigida tempistica dei fondi europei, eppure si meritano due articoli e 12 commi che realizzano una completa riscrittura del processo autorizzativo nell’ambito di un decreto per il Pnrr: sono le “Semplificazioni procedurali in materia di opere pubbliche di particolare complessità o di rilevante impatto”.

La ratio, in buona sostanza, è aggirare – e di corsa – qualunque ostacolo possa frapporsi alla realizzazione di queste grandi opere, in special modo il dibattito pubblico (obbligatorio in caso di infrastrutture invasive), gli organi collegiali di natura politica e le assemblee elettive: partecipazione, conflitti e trasparenza non sono i benvenuti. La procedura è abbastanza inquietante. Intanto si parte con la creazione di un Comitato Speciale dei lavori pubblici con tre magistrati, sei dirigenti di vari ministeri e un po’ di esperti che non mancano mai: questo Comitato, in massimo 45 giorni compresi di richieste di modifiche ai progetti, deve dare il via libera, sennò si va di silenzio-assenso (per opere di “particolare complessità” e “rilevante impatto”…).

Le Soprintendenze – a proposito, ce ne sarà una “Speciale” per il Pnrr – e il parere della commissione per la Valutazione d’impatto ambientale (Via) arriveranno direttamente in Conferenza dei servizi, la cui “determinazione conclusiva (…) ha effetto di variante degli strumenti urbanistici vigenti” (tradotto: un voto a maggioranza in Conferenza dei servizi basta ad aggirare consigli comunali e regionali).

E se ci dovesse essere qualche problema? Tipo che le amministrazioni coinvolte non sono d’accordo tra loro? Nessun problema: entro 15 giorni “il Comitato speciale esprime un parere” con le modifiche approvate e quelle che eventualmente potrebbero mettere a tacere i dissenzienti, la faccenda va chiusa entro un mese. Poi, “qualora non si pervenga ad una soluzione condivisa”, la palla passa a una segreteria tecnica che sarà creata dal decreto “governance” (anch’esso atteso entro una settimana) e di lì al Consiglio dei ministri che dovrà decidere “compatibilmente con le preminenti esigenze di appaltabilità dell’opera e della sua realizzazione entro i termini previsti dal Pnrr ovvero, in relazione agli interventi finanziati con le risorse del Piano per gli investimenti complementari”.

A quel punto, “le decisioni del Consiglio dei ministri sono immediatamente efficaci” e “non sono sottoposte al controllo preventivo della Corte dei Conti”. Da lì in poi “la verifica del progetto definitivo e del progetto esecutivo (…) accerta altresì l’ottemperanza alle prescrizioni impartite in sede di conferenza di servizi e di Via” e “la stazione appaltante procede direttamente all’approvazione del progetto definitivo ovvero del progetto esecutivo direttamente”. Decorsi infine 90 giorni – dopo aver smantellato qualunque sistema di controlli – l’opera deve essere assegnata al costruttore. Si chiederà il lettore: e se non funziona neanche questo? Facile: si commissariano pure i lotti già commissariati qualche mese fa. Viva le semplificazioni.

IlFQ

martedì 16 marzo 2021

Terzo Valico, gare truccate e mazzette ad alta velocità: in 30 a giudizio. Anche l’ad di WeBuild Pietro Salini e il supermanager Ercole Incalza. - Marco Grasso

 

L’idea di affidarsi ai campioni nazionali dell’industria è stato il sogno della stagione in cui tramontava la Prima Repubblica: la convinzione era che i privati, con leggi speciali, potessero fare meglio, in modo più rapido, onesto ed efficiente del settore pubblico, travolto da Tangentopoli. Anche quella strada però ha portato alle aule di giustizia. Con la Cassazione che ha ribadito che il general contractor, sostituito allo Stato, risponde degli stessi reati, corruzione e turbativa d’asta, come incaricato di pubblico servizio. Per l’accusa, dietro all’Alta velocità c’è un campionario ricorrente in altre vicende italiane: appalti truccati, mazzette, serate con escort, commistioni di alto livello tra politica e imprenditoria, costi gonfiati.

Ieri il giudice per le indagini preliminari di Genova, Filippo Pisaturo, ha rinviato a giudizio oltre trenta persone. Il nome più noto è Pietro Salini: amministratore delegato di We Build, uomo della ricostruzione del Ponte di Genova e a capo del consorzio che vorrebbe costruire il Ponte sullo Stretto di Messina. Prosciolto per uno dei capi di imputazione perché prescritto, è stato mandato a giudizio per vari episodi di turbativa d’asta sui tunnel del Terzo Valico ferroviario, la nuova linea fra Genova e Milano, arrivati a costare oltre 6 miliardi. Insieme a lui sono indagati, fra gli altri: il grand commis dei lavori pubblici italiani Ercole Incalza; l’ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio e il figlio Gian Domenico (quest’ultimo indagato anche per corruzione); Michele Longo, ex presidente di Cociv, general contractor del Terzo Valico, partecipato a maggioranza da Impregilo; l’imprenditore Stefano PerottiDuccio Astaldi, patron di Condotte d’Acqua Spa. Assolto Alberto Rubegni, presidente del Gruppo Gavio.

La busta bianca “Ingegne’, ecco la paghetta”.

Il rischio concreto, però, è che la montagna partorisca il proverbiale topolino. L’operazione Amalgama, una delle indagini più dirompenti sulla pubblica amministrazione degli ultimi anni, si sviluppa fra il 2014 e il 2016. Ci lavorano tre Procure: Firenze indaga sui rapporti degli imprenditori impegnati nell’Alta velocità in Toscana con i palazzi romani; Roma su corruzione e il sospetto di infiltrazioni di uomini considerati vicini ai clan; Genova sul filone del Terzo Valico. La parte toscana viene spezzettata e in parte archiviata. Il procedimento romano è da tre anni in un limbo di competenza territoriale: se lo sono passati il tribunale della capitale, Terni, Bolzano e Alessandria. L’unico filone che va a dibattimento è quello ligure. Ma andrà poco lontano: sempre che non arrivino assoluzioni nel merito, le turbative si prescrivono fra la metà 2021 e l’inizio del 2022.

Nella loro richiesta, i pm Paola Calleri e Francesco Cardona Albini descrivono così il sistema Terzo Valico: “Le gare venivano aggiudicate non applicando o comunque distorcendo le norme del codice degli appalti per favorire una determinata impresa a discapito di altre, per ragioni a volte correlate a patti corruttivi, oppure per motivi di interesse aziendale inerenti i rapporti con i due azionisti di riferimento del Cociv, Salini Impregilo Spa e Condotte d’Acqua”. Alcune tangenti vengono filmate in diretta dalla Guardia di finanza. È il 16 dicembre 2014. L’imprenditore campano Antonio Giugliano entra nell’ufficio dell’ex direttore generale Cociv Pietro Marcheselli. Ha una busta bianca in mano. In silenzio fa il segno del numero dieci con la mano: “Ingegnè, ecco la paghetta”. Di paghette, per gli investigatori, ne giravano parecchie. A volte erano definite “mozzarelle”. Per quei fatti hanno patteggiato in quattro, tutte pene sotto a i due anni: Marcheselli, il suo collega Maurizio Dionisi, Giugliano e il suo collaboratore. Un altro funzionario del consorzio, Giulio Frulloni, accusato di essere stato corrotto con escort, è deceduto a inchiesta in corso.

Le liti familiari “Questi si sono presi a bottigliate”.

Le gare erano costantemente truccate, per la Procura, anche dove non sono state trovate tracce di corruzione. Alle imprese amiche venivano svelate le offerte in anticipo, escamotage che consentiva di offrire anche “50 euro in meno”. “I vertici del Cociv – scrivo i pm – facevano riferimento a Pietro Salini, per ogni decisione di rilievo attinente a Cociv”. Nell’inchiesta va in scena anche una sorta di dinasty familiare. A Pietro Salini (assistito dall’avvocato Grazia Volo) viene contestata l’esclusione del cugino Claudio (poi morto in un incidente stradale), e della sua azienda, la Salc. “Si sono presi a bottigliate, lui non lo vuole vedere”, commentano alcuni funzionari Cociv. “Mi raccomando in tutti i modi di evitare che possa avere qualcosa”, dice lo stesso Salini a Longo, in una delle intercettazioni. “Non ci sono state turbative d’asta, tuttalpiù si trattava di scelte sull’affidabilità – commenta l’avvocato Giuseppe Zanalda, che assiste molti degli indagati col figlio Emanuele – siamo soddisfatti dell’assoluzione dell’ingegnere Rubegni (difeso con Fabio Fossati), il giudice ha sconfessato i pm”.

Il filone romano rimbalzato tra pm.

L’inchiesta di Genova ha acquisito in parte anche degli altri fascicoli. Quello romano, da cui emerge la figura di Domenico Gallo, imprenditore calabrese nei cui confronti la Procura di Reggio Calabria ha eseguito un sequestro antimafia da 200 milioni di euro. Sarebbe stato socio occulto di un funzionario, Giampiero De Michelis, anche lui indagato: “Abbiamo creato un mostro”, dicono di lui i funzionari di Cociv. C’è infine la vicenda che coinvolte Giampiero Monorchio, figlio di Andrea, ex ragioniere dello Stato.

In una delle telefonate registrate è l’ex potentissimo capo dei Consiglio dei lavori pubblici Angelo Balducci a chiedere a Ercole Incalza di “dare una mano al figlio di Monorchio”. Monorchio junior e l’imprenditore Stefano Perotti sono accusati di aver corrotto con “due oggetti di valore” l’ex presidente di Cociv Michele Longo.

Ed è Gallo ad aver battezzato l’indagine. Intercettato dai carabinieri del Ros spiega: “Tra la stazione appaltante e chi fa i lavori deve crearsi l’amalgama, sennò non si va avanti”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/16/terzo-valico-gare-truccate-e-mazzette-ad-alta-velocita/6134686/

mercoledì 26 ottobre 2016

Corruzione in Grandi Opere e Terzo Valico, decine di arresti in tutta Italia.



Operazione dei Carabinieri di Roma in varie regioni nei confronti di 21 persone per le Grandi Opere. In un'altra inchiesta, ma collegata alla prima, 14 ordinanze cautelari per la costruzione del Terzo Valico ferroviario Genova-Milano.


Decine di arresti in tutta Italia  per corruzione in due distinte inchieste sulle Grandi Opere e sul Terzo Valico ferroviario. Quattro le persone arrestate che legano le due operazioni rispettivamente quella dei Carabinieri di Roma e quella della Guardia di Finanza di Genova. L'indagine dei Carabinieri nasce da uno stralcio dell'inchiesta su Mafia Capitale e riguarda appunto anche quattro soggetti che avrebbero avuto a che fare con i lavori del Tav ligure e che sono anche destinatari del provvedimento della procura di Genova nell'inchiesta sul Terzo valico. 
La consegna di una tangente è stata documentata dagli investigatori della Guardia di Finanza all'interno di alcuni uffici del Consorzio Cociv, un colosso di cui fanno parte Salini Impregilo, Condotte e Civ che sta realizzando i sei lotti della linea ad Alta Velocità Genova-Milano. Lo scambio della 'bustarella' avviene tra un dirigente generale del Consorzio e un imprenditore: le immagini delle telecamere nascoste posizionate dagli uomini della Guardia di Finanza riprendono infatti in un primo momento un soggetto che oscura l'ufficio abbassando le tapparella; successivamente si vede una seconda persona che consegna la 'bustarella'. I due parlano per qualche minuto dopodiché, secondo gli investigatori, il secondo soggetto si allontana e il primo conta il denaro contenuto all'interno della
L'OPERAZIONE DELLA GDF SUL TERZO VALICO - La Guardia di Finanza sta eseguendo 14 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di imprenditori e dirigenti, coinvolti nei lavori per la costruzione del Terzo Valico ferroviario Genova-Milano. Agli indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di corruzione, concussione e turbativa d'asta.
La linea ad alta velocità denominata "Terzo Valico di Giovi" è stata definita di "interesse strategico nazionale": collegherà Genova a Milano e dovrebbe essere pronta per il 2021. Il Tav ligure è un'opera che vale 6,2 miliardi e ha l'obiettivo di potenziare i collegamenti del sistema portuale della Liguria con le principali linee ferroviarie del nord Italia e il resto d'Europa. Si sviluppa lungo 53 chilometri, di cui 37 in galleria. Il Cipe ha fissato un limite di spesa di 6,2 miliardi per il consorzio Cociv - un colosso di cui fanno parte Salini Impregilo, Condotte e Civ - che dovrà realizzare i sei lotti.
Oltre alle misure cautelari, emesse dal Gip del Tribunale di Genova, gli uomini della Guardia di Finanza stanno eseguendo alcune decine di perquisizioni in diverse regioni italiane. Complessivamente, secondo quanto si apprende, sarebbero oltre 20 gli indagati.
Gli indagati nell'inchiesta, nei vari ruoli ricoperti negli anni, avrebbero compiuto una serie di atti di corruzione, concussione e turbativa d'asta in relazione all'aggiudicazione di commesse per un valore di 324 milioni.
Nei mesi scorsi, l'indagine di Genova si è incrociata con un'analoga attività avviata dai Carabinieri del comando provinciale di Roma su input della procura della Capitale: l'inchiesta è così proseguita con una collaborazione sia a livello investigativo che giudiziario. E dall'attività investigativa è emerso che ad alcuni dirigenti cui spettava seguire lo svolgimento delle gare indette dal general contractor, per pilotare l'assegnazione dei lotti ad alcune società ed escluderne altre, hanno fatto in modo, in alcuni casi, che offerte 'anomale' divenissero regolari e, in altri, hanno utilizzato dei 'concorrenti di comodo' che in realtà non erano minimamente interessati all'aggiudicazione della gara, per indirizzare direttamente l'assegnazione all'unico concorrente interessato. Almeno in occasione di una turbativa, gli investigatori della Guardia di Finanza hanno documentato il pagamento di una tangente. I militari delle Fiamme Gialle stanno eseguendo una serie di perquisizioni finalizzate all'acquisizione di diversa documentazione in Liguria, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Molise e Campania.
L'OPERAZIONE DEI CARABINIERI SUGLI APPALTI NELLE GRANDI OPERE - I carabinieri del Comando Provinciale di Roma stanno eseguendo misure cautelari in diverse regioni nei confronti di 21 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere, corruzione e tentata estorsione. Gli investigatori ipotizzano un'associazione per delinquere che ha compiuto condotte corruttive per ottenere contratti di subappalto nei lavori di una tratta della TAV Milano-Genova; 6° Macrolotto dell'A3 Salerno-Reggio Calabria e della PEOPLE MOVER di Pisa. 
L'attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma e condotta dai carabinieri del nucleo investigativo del Comando provinciale di Roma, è denominata "Amalgama" e ha fatto scattare arresti nel Lazio, Lombardia, Piemonte, Liguria, Toscana, Abruzzo, Umbria e Calabria. L'indagine avrebbe ricostruito condotte illecite di un gruppo di persone costituito, organizzato e promosso dalla persona che, fino al 2015, è stato il direttore dei lavori nell'ambito delle tre opere pubbliche interessate e dal suo socio di fatto, un imprenditore calabrese del ramo delle costruzioni stradali, che si è avvalso del contributo di altre 9 persone, tra le quali anche alcuni funzionari del consorzio COCIV. Gli investigatori ipotizzano un'associazione a delinquere finalizzata a compiere condotte corruttive per ottenere contratti di subappalto nell'ambito dei lavori per la realizzazione della tratta TAV "A.V./A.C Milano-Genova-Terzo Valico Ferroviario dei Giovi" (Alta Velocità Milano-Genova); 6° Macrolotto dell'Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e della PEOPLE MOVER di Pisa.

domenica 26 aprile 2015

Corruzione: “Miliardi della Banca europea in opere segnate da sprechi e mazzette”. - Lorenzo Bagnoli

Corruzione: “Miliardi della Banca europea in opere segnate da sprechi e mazzette”

Il dossier dell'associazione Re:Common sull'utilizzo dei fondi dell'istituzione che nel 2015 ha stanziato per l'Italia 10,9 miliardi. Dal passante di Mestre al Mose, dal rigassisficatore Iren alla Salerno-Reggio Calabria. Tra costi esplosi e inchieste della magistratura.


L’Unione Europea ha contribuito ad alimentare il sistema corruttivo in Italia, erogando fondi senza verificare a dovere che fine facessero. 
E se chi li riceveva sperperava invece di investire. 
È quanto sostiene l’associazione Re:Common nel suo dossier Malaffare italianodenaro europeo, che ilfattoquotidiano.it ha avuto in anteprima. L’investigazione mette in fila i dati ufficiali degli investimenti della Banca europea per gli investimenti (Bei), istituto che concede prestiti a un basso tasso d’interesse per finanziare progetti volti a migliorare le infrastrutture, l’approvvigionamento energetico o la sostenibilità ambientale. È facile provare come l’elargizione non porti progressi alla grande opera. E i costi, invece, schizzano sempre alle stelle. 
Se è vero che il Rapporto 2014 di Transparency International relega l’Italia al 69esimo posto nel mondo per trasparenza, è lecito porsi la domanda: dove sono scomparsi i soldi. Soprattutto se da novembre 2014 il piano targato Junker per uscire dalla crisi della zona euro prevede 315 miliardi per investimenti pubblico-privati. 
“Non c’è corruzione che tenga – notano i ricercatori di Re:Common – Le grandi opere si faranno perché si devono fare”.
Per il 2015 il finanziamento all’Italia della Bei è di 10,9 miliardi di euro, a cui si aggiungono 500 milioni provenienti dal Fondo europeo per gli investimenti. In un cimitero di segni meno per i flussi di cassa da Bruxelles a Roma (in particolare nel settore agricoltura), la Bei viaggia in direzione ostinata e contraria: +4% sul 2013. “Dallo scoppio della crisi nel 2008 la Bei ha fatto nuovi prestiti in Italia per 63 miliardi di euro che hanno attivato circa 180 miliardi di euro. Nello stesso periodo sono state finanziate circa 77.000 Pmi, di cui 6.700 nel solo 2014″, dichiarava ai giornalisti il vicepresidente della Bei Dario Scannapieco il 19 gennaio 2015, a bilancio appena chiuso. 
Sarebbe un’ottima notizia. 
Se non fosse per quei soldi spesi per non realizzare niente.

IL SISTEMA VENETO
Per primo fu il Passante di Mestre, i 32 chilometri che collegano Dolo e Quarto d’Altino. Il viaggio comincia da qui. Nel 2003 costava 750 milioni di euro, lievitati a 1,34 miliardi quando si è arrivati all’apertura

All’inizio doveva essere realizzata da un consorzio di società (tra cui ImpregiloMantovaniCmc e altre aziende note alla magistratura), poi subentra loro la Cav (Concessioni autostradali venete), partecipata di Anas e Regione Veneto. Nel 2011 la Corte dei Conti segnala un aumento dei costi sospetto e un’anomalia nella struttura societaria. Il commissario Silvano Vernizzi è anche amministratore delegato di Veneto Strade e uomo chiave dell’assessorato alle Infrastrutture. Vernizzi è indagato per turbativa d’asta legata ad un altro progetto. Nonostante tutto questo, ricordano i ricercatori di Re:Common, la Bei presta soccorso alla compagnia che sta realizzando il passante con 350 milioni di euro, erogati nel 2013. A gennaio 2014 Re:Common, insieme al comitato cittadino Opzione Zero e alla rete europea Counter Balance, ha scritto all’Olaf, l’ufficio europeo anticorruzione per segnalare le irregolarità.

La Bei insiste sulla sua linea: Scannapieco in un’audizione in commissione Politiche Ue del Senato il 16 aprile ha garantito che il Passante sarà sostenuto con un project bond emesso dalla Bei a partire dall’estate, con la quale la Banca europea garantirà finanziatori stranieri per l’opera. 
Anas nel passante di Mestre, nota l’associazione, è committente ed esecutore dei lavori, controllore e controllato. 
E affida i subappalti per la realizzazione dell’opera, tra gli altri, alla Mantovani spa. La dirigenza nel febbraio 2013 è in carcere per associazione a delinquere finalizzata alle false fatture, inchiesta che poi si svilupperà nel caso Mose e coinvolgerà il parlamentare Giancarlo Galan, che dal Consorzio, a quanto è emerso dall’inchiesta, riceveva uno stipendio
La Mantovani fa parte del Consorzio Venezia Nuova, stazione appaltante. Una storia infinita, cominciata nel 1991 e che (forse) si chiuderà nel 2016. “La spesa – ricorda Re:Common – ha raggiunto i 5,49 miliardi di euro. Per completare il tutto serviranno almeno altri 220 milioni di euro, a cui si stima vada aggiunto un altro miliardo e mezzo per la manutenzione ordinaria”. Ovviamente la Bei contribuisce. Con 1,5 miliardi di euro, uno stanziamento mai visto prima.

L’IREN
Tra i maggiori azionisti conta i Comuni di ParmaTorino,Genova e Reggio Emilia. La multiutility Iren spa possiede quote importanti del rigassificatore di Livorno e dell’inceneritore di Parma. Due opere inutili, per Re:Common. “Il privato sente puzza di bruciato, ma il pubblico dà lo stesso il suo sostegno”, sottolineano i ricercatori. La Banca europea per gli investimenti garantisce all’Iren il solito salvagente: 860 milioni di euro. Il bilancio fa acqua da tutte le parti: l’esposizione debitoria della multiutility è di 2,525 miliardi di dollari. 

Per uscire dal guado, la società si ricapitalizza in borsa, attraverso uno strumento chiamato dividend lending (prestito dividendi) e per i dividendi agli azionisti si affida ai rabbocchi di istituzioni amiche, come la Bei. 
Tutto a posto? 
Non proprio. 
Il debito è stato ridotto solo di 30 milioni e nel contempo la magistratura di Parma (era il 2013) accusa Luigi Giuseppe Villani, vicepresidente di Iren e di Iren Mercato, e l’ex sindaco di Parma Pietro Vignali di essersi appropriati di fondi del Comune di Parma, utilizzandoli per spese elettorali e per effettuare assunzioni pilotate nelle strutture pubbliche. Con i soldi dell’Iren. Anche la Commissione europea nel 2010 ha aperto un’indagine per vederci chiaro, sulla base di un esposto rivolto alla stessa e all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, ora in corso di assorbimento nell’Autorità nazionale anticorruzione. I costi dell’impianto sarebbero 180 milioni nelle stime del progetto, e 265 milioni di euro nella richiesta alla Bei. 
Perché? 
A Livorno, invece, in questi anni non si è mosso nulla: il rigassificatore costruito con i fondi Bei giace inutilizzato in mezzo al mare.

LA SALERNO-REGGIO CALABRIA
La Bei ha immesso denaro anche nella madre di tutte le opere incompiute italiane, i 440 chilometri della Salerno-Reggio Calabria. I lavori cominciarono nel 1964, la data d’inaugurazione dovrebbe essere il 2018: 54 anni dopo. 

E l’Europa paga da tempo immemore: la Bei 530 miliardi di lire nel 1998, Bruxelles con fondi strutturali da 400 milioni di euro. 
Ma ancora l’autostrada mangia-fondi non è sazia. 
Servono altri 2,9 miliardi di euro e 1,1 sarà di provenienza Bei con il Piano Juncker. Finiranno nelle tasche di qualche azienda in odor di mafia? 
Persino l’ufficio anticorruzione europeo, l’Olaf, nel 2011 ha dimostrato un’irregolarità nella gestione dei fondi e ha chiesto alla Regione Calabria di restituire 381,9 milioni di euro, ovvero i fondi attribuiti alla regione Calabria tra il 1994 e il 2006 per un’autostrada mai terminata. 
La ‘ndrangheta quei soldi li ha già incassati: lo sostengono le inchieste Tamburo (2002-2013), Arca (2007) e Cosa Mia (2010). A mettere le mani sull’autostrada, le cosche Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano e Bruzzise-Parrello. Al momento sono state emanate 109 informative interdittive, di cui 62 contrattualizzate. Chi è il general contractor dell’appalto? Un nome noto: Impregilo. La stazione appaltante è Anas.

sabato 21 marzo 2015

Miliardi alle Grandi Opere e gli alluvionati abbandonati. - Andrea Cioffi




"Incalza fece pressioni per evitare che i fondi del "Terzo Valico" andassero agli alluvionati di Genova, Toscana e Parma. 

E Lupi rassicurò Incalza. 

Guarda un po' le proposte avanzate dal Movimento 5 Stelle al Senato e bocciate da Pd e Ndc in Senato in data 4 novembre 2014. 
Dalle intercettazioni e le carte dell'inchiesta sulle Grandi Opere, emerge come Incalza temesse che i fondi per il Terzo Valico venissero dirottati per aiutare le zone colpite dell'alluvione di novembre. 
Fu proprio il Movimento 5 Stelle a proporre questa soluzione di buonsenso durante la discussione di quello scellerato provvedimento che è lo "Sblocca Italia" tanto voluto da Renzi, Lupi e Incalza. 

Prima con un emendamento trasformato in un ordine del giorno a prima firma del senatore Marco Scibona, si proponeva di destinare 2 miliardi di euro dei fondi per il "Terzo Valico" alle zone alluvionate liguri, toscane ed emiliane.

Si trattava di 2 miliardi di risorse già disponibili, che anziché ingrossare le casse dell'ennesima grande opera inutile, avversata dagli ambientalisti , potevano essere impiegate per interventi necessari e urgenti in favore delle popolazione colpite. 

La seconda proposta era invece un emendamento a mia prima firma che proponeva di stanziare 110 milioni di euro per Genova, Toscana e Parma attingendo le risorse dal Fondo Revoche per infrastrutture e Trasporti e dal Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio. 

Il 4 novembre 2014 in Commissione Lavori Pubblici al Senato entrambe le proposte del Movimento 5 Stelle furono bocciate da Pd e Ncd.

Il tutto per la grande gioia immaginiamo di Ercolino Incalza. 
I suoi amici al governo avevano di nuovo fermato i "rompicoglioni" del Movimento 5 Stelle. Tutto sulla pelle dei cittadini di Genova, Toscana e Parma. 
Vergogna!" Andrea Cioffi, capogruppo M5S Senato

http://www.beppegrillo.it/2015/03/miliardi_alle_grandi_opere_e_gli_alluvionati_abbandonati.html

giovedì 19 marzo 2015

La #corruzione paga.

villa_galan.jpg

Di cosa parliamo, di cosa parlano tutti in questi giorni? 
Di un Rolex regalato al figlio di Lupi e di un biglietto aereo di circa 400 euro per sua moglie? Roba forte, che cattura l'immaginazione. 
Ma del 40% di maggiorazione su un giro di appalti di 25 miliardi gestiti dal ministero delle infrastrutture nessuno parla. 
Fanno circa 10 miliardi di tasse dei cittadini a cui vengono chiesti sacrifici, girate ai ladri di Stato e ai loro complici. 
A chi sono finiti questi 10 miliardi? 
Questa è la vera domanda da farsi. 
Il Rolex è un'informazione di distrazione di massa. 
Quanto fatturano i partiti attraverso le Grandi Opere? 
Qual è la tariffa base per la Tav o per il Mose per un partito di governo? 
E' evidente che Incalza, dopo vent'anni di permanenza nel ministero delle Infrastrutture (salvo un breve periodo quando fu cacciato da Di Pietro, allora ministro) può ricattare chiunque, mettere nella merda qualunque partito. Il silenzio è la sua migliore assicurazione. 
Sono più interessanti i 10 miliardi di euro fottuti agli italiani o un Rolex? 

Dalla vicenda che fa capo a Incalza emerge una struttura delinquenziale collaudata, che funziona dal livello comunale a quello regionale a quello nazionale. 
Il malloppo sono i soldi dei cittadini. 
I ladri a norma di legge sono i partiti, anzi il partito della Nazione, la fusione del Pd con FI. 
Gli aiutanti, quelli che aiutano a portare fuori i soldi, sono imprenditori corrotti, in particolare cooperative bianche e rosse e criminalità assortita. 
I pali sono i giornalisti.
Che si tratti di Mafiacapitale, dell'Expo o di una qualunque Grande Opera, il modello è quello del ladrocinio spartitorio in cui ci si copre il culo uno con l'altro con leggi ad hoc. 
Si è passati da Tangentopoli a Partitopoli. 
Apriamo le galere per questa gente. 
Non è tempo di Rolex, ma di restituzione del maltolto. 

A proposito, Galan dove si trova ora? Nella sua sontuosa villa.L'ex ministro ed ex governatore del Veneto è accusato di corruzione nell'ambito dell'inchiesta Mose, ma l'80% dei suoi reati è prescritto
A ottobre scorso i 5 Stelle hanno chiesto la sua rimozione dalla guida dell'organo parlamentare. 
La Boldrini disse: "Non è mia competenza". Brunetta aggiunse: "Sarebbero pressioni indebite". Galan resta quindi presidente della Commissione cultura anche se agli arresti domiciliari.
Oggi, 19 marzo, festa del papà, da Andrea Cioffi, capogruppo al Senato del M5S:
"La farsa è servita. 

Il governo annuncia un passo avanti e ne fa due indietro. 
Sul Ddl anticorruzione in Senato, i tempi si allungheranno a causa di un emendamento. Perché Nitto Palma prima ha ammesso l'emendamento del governo, e due giorni dopo dice che è inammissibile, e riferisce che purtroppo ci saranno lunghe discussioni in Aula su questo punto? 
E perché il governo scrive un emendamento inammissibile? 
Incompetenza o dolo politico? 
Si sono sbagliati sia Palma che il governo, o si sono messi d'accordo per far slittare ancora la legge anticorruzione, magari a dopo le prossime elezioni?"

http://www.beppegrillo.it/2015/03/la_corruzione_paga.html

Incalza fa emendamenti, Ncd li presenta. E se non passano “cazziatone ai deputati”. - Giorgio Meletti e Carlo Tecce

Incalza fa emendamenti, Ncd li presenta. E se non passano “cazziatone ai deputati”

LE CARTE - Il superburocrate al telefono con Vito Bonsignore discute del testo per la Orte-Mestre (10 miliardi) bocciato in Commissione. "Quei tre sono tutti di Ncd, si può intervenire, no? Sto chiamando Lupi". La risposta: "Bernardo e Pagano si sono presi il cazziatone. Vignali mi ha raccontato una palla, lo vado a beccare e gli faccio il culo". Pochi giorni dopo Vignali non sarà più tesoriere del Nuovo Centrodestra.

“Abbiamo fatto un emendamento, ricordi? L’hanno reso inammissibile”, dice Ercole Incalza, il controllore, all’amico Vito Bonsignore, il controllato. Sono allarmati. “Adesso vedo di parlarne con Capezzone e Epifani, mi sto muovendo”, replica il controllato. Bisogna manovrare i lavori parlamentari. Una storia esemplare di come si sfascia l’Italia. La nuova autostrada Orte-Mestre è un affare da 10 miliardi di euro, almeno due dei quali pubblici. Il promotore dell’ambizioso project-financing è Bonsignore, ex europarlamentare Udc, oggi vicino a Ncd, ma soprattutto potente uomo d’affari, indagato dalla Procura di Firenze per induzione indebita: avrebbe promesso a Incalza (arrestato lunedì scorso) la direzione lavori della nuova arteria per Stefano Perotti (arrestato anche lui) in cambio della promessa da parte del superburocrate del ministero delle Infrastrutture di “un favorevole iter delle procedure amministrative relative al finanziamento dell’opera”. La fotografia del verminaio di Porta Pia dove non si capisce più chi è guardia e chi ladro, ma è chiaro solo che nessuno difende l’interesse pubblico, è affidata dai pm fiorentini alla ricostruzione di un giro di telefonate con cui si tenta di modificare nientemeno che il Codice degli appalti.
Nel pomeriggio di martedì 28 gennaio 2014 Daniele Capezzone e Guglielmo Epifani, presidenti delle commissioni Finanze e Attività produttive della Camera, dichiarano inammissibili alcune centinaia di emendamenti al decreto legge “Destinazione Italia”del governo Letta. Tra questi c’è quello scritto da Incalza e presentato da tre parlamentari Ncd, Alessandro PaganoNino Minardo e Maurizio Bernardo: serve ad agevolare il percorso della Orte-Mestre modificando l’articolo 175 del Codice degli appalti, che riguarda la cosiddetta “bancabilità” del project- financing. E qui ricordiamoci che stiamo parlando di miliardi di euro. Un affare enorme, tanto che il piano di sostenibilità economico-finanziaria, approvato dal Cipe a novembre 2013 ma da allora fermo alla Corte dei conti, è per legge segretato.
La bocciatura dell’emendamento stranamente agita Incalza più di Bonsignore. È il superburocrate a dare la notizia all’imprenditore. “Abbiamo fatto fare ricorso all’inammissibilità da… come tu sai… tre parlamentari… che sono Pagano, Minardo e Bernardo… ne conosci qualcuno di questi tre?”. Bonsignore: “Come no?! Pagano è uno dei nostri, anche Bernardo”. Incalza, allora, incalza l’amico: “Sono tutti e tre di Ncd, puoi intervenire?.. no? … Si vota tra un’ora … un’ora e mezza… sto chiamando Lupi … tutti sto chiamando (…) basterebbe sentire… o Vignali che è il relatore.”Raffaello Vignali, uomo di Cl, è in quel momento tesoriere del neonato partito di Angelino Alfano, di cui Bonsignore è finanziatore. E suggeritore: “Ah Vignali , e come no ?!… è un altro dei nostri … vabbè… vado io alla Camera adesso… vabbè”.
A questo punto Incalza chiama Antonio Bargone, ex proconsole dalemiano a Brindisi, sottosegretario ai Lavori pubblici nel governo Prodi che nel 1999 privatizzò la società Autostrade. Adesso è manager autostradale (noblesse oblige) e presiede la Sat, che deve costruire la nuova Livorno-Civitavecchia. Incalza è disperato, come se la Orte-Mestre fosse sua: “Non si è mosso nessuno per ora… solo noi… vabbè… (…) Non so che cazzo può fare”. Bargone lo rassicura: “Io mo’ vado alla Camera vediamo che succede.” Arrivano i nostri. Bargone è indagato con Bonsignore.
Nel frattempo Bonsignore ha parlato con Vignali, e riferisce a Incalza che il relatore si sente impotente, pare addirittura che alla Camera ci sia qualcuno che difende la legalità: “Proprio mi ha detto guarda… ‘gli uffici sono irremovibili sono spaventati dalla Presidenza della Repubblica per queste cose qui… hanno un orientamento molto rigido’”. Ma niente paura. Se il Quirinale non vuole nuove norme fantasiose infilate come emendamenti in leggi che non c’entrano niente, Bonsignore vuole fortissimamente farlo lo stesso: “Vediamo quale può essere il veicolo dove lo mettiamo (…) Voi ne avete qualcuno in preparazione?”. Incalza è pronto come un autonoleggio: “E adesso vediamo… ce ne stanno otto, dieci, ce ne stanno no uno, dieci! Però se l’atteggiamento è questo mi preoccupa”. Intanto Bonsignore lo rassicura: “Bernardo e Pagano si son presi il cazziatone… hanno lasciato Vignali da solo”. Poi tocca anche a Vignali il cazziatone. Incalza spiega a Bonsignore che il relatore del “Destinazione Italia” gli ha raccontato un sacco di balle. Bonsignore si incazza: “Allora mi ha raccontato una palla… è scemo allora (…) ecco fammi una cortesia … perché io domani (…) lo vado a beccare e gli faccio il culo… e infatti… è inutile allora… una persona inutile“. Pochi giorni dopo Vignali non sarà più tesoriere di Ncd.
Ma entra in scena un nuovo controllore, Alessandra Dal Verme, dirigente del ministero dell’Economia che si occupa del Cipe, il rubinetto da cui escono i miliardi per le grandi opere. È un controllore gallonato, sindaco revisore di Poste Italiane e di Anas, mica poco. Eccola al telefono con Incalza: “La questione è molto complicata … e non faranno fare altri emendamenti (…) o noi siamo in grado di riformulare quelli esistenti… allora… in quelli per Expo si può mettere Rho-Monza (…) perché bene o male lo riformulo (…) però mandateli gli emendamenti (…) e quell’altro di Orte-Mestre… mandatemi questi due (…) che io provo a riformulare quelli esistenti … (inc.)”.
Con questo livello di rigore e trasparenza il sistema Incalza si preparava a spendere 10 miliardi di euro per la Orte-Mestre.
Da Il Fatto Quotidiano del 19 marzo 2015

mercoledì 18 marzo 2015

Inchiesta Grandi opere, l'accusa: "Incalza scriveva il programma di Ncd e ha sponsorizzato la nomina di Nencini nel ministero di Lupi"

Inchiesta Grandi opere, l'accusa: "Incalza scriveva il programma di Ncd e ha sponsorizzato la nomina di Nencini nel ministero di Lupi"

Ercole Incalza era così influente all'interno del ministero delle Infrastrutture da aggiornare il ministro Maurizio Lupi, in procinto di farsi intervistare da un quotidiano, sullo stato dei lavori e dei finanziamenti delle Grandi Opere, da buttare giù il programma di governo che il Nuovo Centro Destra avrebbe dovuto presentare e da ottenere la nomina del senatore Riccardo Nencini a sottosegretario, dietro sua sponsorizzazione. E' quanto emerge dalle 268 pagine di ordinanza cautelare scritta dal gip di Firenze nell'inchiesta che ha portato all'arresto di quattro persone tra cui lo stesso Incalza e che avrebbe portato alla luce il rapporto stretto tra il ministro Lupi e alcuni imprenditori, con tanto di abito sartoriale regalato all'esponente di Ncd e lavoro dato al figlio Luca insieme a un Rolex da 10mila euro per la laurea.

"Incalza scrive il programma di Ncd" - Il magistrato si sofferma, anzitutto, sullo strettissimo legame tra Ercole Incalza e il ministro Lupi. "Una relazione - scrive - che ha sicuramente contribuito, da ultimo, all'affermazione del potere di Incalza nei rapporti con i dirigenti delle imprese e anche con altri soggetti istituzionali". Il 28 dicembre del 2013 è significativa per gli investigatori del Ros una conversazione tra i due che esalta "l'effettiva importanza" rivestita dall'ingegnere all'interno del dicastero delle Infrastrutture. Sul Corriere della Sera del 29 dicembre 2013 viene pubblicata l'intervista concessa dal ministro Lupi proprio sui temi trattati il giorno prima con Incalza. Ma era stretto anche il legame che Incalza aveva, più in generale, con il Nuovo Centro Destra: in una telefonata tra l'ingegnere e una tal Daniela il primo "afferma di aver trascorso la notte a redigere il programma di governo che Ncd avrebbe dovuto presentare e di essere in attesa del benestare di Angelino Alfano e di Maurizio Lupi". C'è poi una telefonata del 17 febbraio 2014 indicativa dei rapporti tra il ministro e Incalza: in questa conversazione Lupi - scrive il gip - "si lamenta con l'altro per essere stato da lui abbandonato. Incalza contesta tale affermazione dicendogli di aver scritto anche il programma". 

La sponsorizzazione per Nencini - Altro esempio dell'influenza che Incalza "sembra avere sulle decisioni del ministro si trae - evidenzia sempre il giudice di Firenze - il 28 febbraio 2014 quando Maurizio Lupi ha telefonato al primo e lo ha informato che, in seguito alla sponsorizzazione di quest'ultimo, avevano nominato viceministro per le infrastrutture il senatore Riccardo Nencini". Lupi - si legge ancora nell'ordinanza - "invita quindi Incalza a parlargli per dirgli che non rompa i coglioni. Nel corso di alcune successive telefonate Ercole Incalza fa presente che al ministero per le Infrastrutture sono arrivati due suoi compagni socialisti facendo riferimento a Nencini e a Umberto Del Basso De Caro. Il suo amico commenta tali nomine dicendo complimenti... sempre più coperto...". 

martedì 6 novembre 2012

Tav, in Francia la Corte dei conti boccia il progetto: “Costi alti e ricavi a rischio”. - Andrea Giambartolomei


Tav, in Francia la Corte dei conti boccia il progetto: “Costi alti e ricavi a rischio”


Nel parere fornito al primo ministro Ayrault, i magistrati rilevano il raddoppio dei costi della linea ferroviaria Torino-Lione. E citano studi secondo i quali l'opera non produrrà profitti neppure in uno scenario di ripresa economica. Il 3 dicembre vertice Monti-Hollande.

costi sono aumentati troppo, da 12 a 26 miliardi di euro, e il flusso delle merci è diminuito. Sono alcune delle critiche al progetto dell’Alta velocità Torino-Lione espresse dalla Corte dei Conti francese. Ieri i magistrati contabili di Parigi hanno pubblicato il parere, fornito al primo ministro Jean-Marc Ayrault a inizio agosto, in cui vengono elencati i dubbi sul progetto. Si tratta di un documento importante in vista del vertice sul Tav tra Mario Monti e François Hollande a Lione il prossimo 3 dicembre.
“Il carattere internazionale del progetto, la sua anzianità e la sua complessità rendono difficile esprimere delle raccomandazioni”, scrive il presidente della Corte Didier Migaud, che chiede di non trascurare soluzioni alternative, cioè i miglioramenti della linea esistente, e di considerare delle misure per spostare il traffico transalpino dalla strada alla ferrovia. I costi del progetto vanno considerati in maniera sistematica, consiglia, tenendo conto della situazione finanziaria del Paese, della rendita dell’opera e della sua capacità di far crescere l’economia. Il documento della Corte ripercorre diverse obiezioni sollevate dai No Tav sul versante italiano
I costi. Nel documento di quattro pagine, la Corte rivede l’aumento del budget del programma di studio e dei lavori preliminari, “stimato inizialmente a 320 milioni, poi a 371, è stato portato a 534,5 a partire dal marzo 2002, in seguito a 628,8 milioni nel programma del 2006. Le stime presentate alla conferenza intergovernativa del 2 dicembre 2010 l’hanno portato a 901 milioni”. Questo costo, quasi triplicato è dovuto alla realizzazione delle discenderie (gallerie), ai problemi geologici e, sul versante italiano, alle proteste e alla variazione del tracciato (da Venaus a Chiomonte), ricorda il presidente Migaud.
Per la parte comune del progetto, i dati del giugno 2010 prevedevano 10,259 miliardi di euro “senza spese finanziarie, manodopera e studi preliminari”, quasi due miliardi in più rispetto al 2003. Nel complesso, la stima del costo globale del progetto è passato da 12 miliardi nel 2002 a venti miliardi nel 2009 e poi a 26 miliardi “secondo gli ultimi dati comunicati dalla direzione generale del Tesoro”.
I flussi. Il progetto è stato “concepito in un contesto di forte crescita dei traffici attraverso l’arco alpino”, scrive Migaud, per questo ora bisognerebbe rivalutare i flussi. Nel 1991, negli anni in cui venne lanciata l’idea della Torino-Lione, il rapporto Legrand prevedeva che i passaggi di mercisarebbero più che raddoppiati tra il 1987 e il 2010, ma già nel 1993 uno studio riteneva che quel rapporto sovrastimasse i passaggi e la crescita. Poi, dal 1999, i traffici sono diminuiti: da una parte la chiusura temporanea del Monte Bianco, dall’altra l’apertura di nuove vie in Svizzera, la fine dei transiti notturni e la crisi. Tutti i passaggi tra Francia e Italia ne hanno risentito, fatta eccezione di Ventimiglia su cui arrivano i flussi dalla Spagna. Solo nel 2035, ricorda la Corte citando uno studio dei flussi voluto da Ltf (Lyon-Turin ferroviaire, società che gestisce l’opera), è prevista la saturazione della linea storica.
Per queste ragioni, tra costi eccessivi e dubbi incassi dei pedaggi, la Corte dei conti ritiene che il progetto abbia una rendita poco certa. Anzi, sottolinea Migaud, “secondo gli studi economici voluti nel febbraio 2011 da Ltf sul progetto preliminare modificato, il valore attuale netto è negativo in tutti gli scenari”, che siano di crisi o di ripresa.
Tuttavia la politica non sembra turbata dal documento. Nella sua risposta a Migaud, il premier Ayrault ribadisce le intenzioni politiche del governo, gli impegni internazionali e in particolare gli accordi con l’Italia. Domani saranno invece i senatori delle regioni francesi interessate dalla linea, Rhones-Alpes e Savoia, a lanciare un appello a sostegno del Tav.