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martedì 14 maggio 2019

Conflitto di interessi, salta il divieto per i ricchi. - Luca De Carolis



INCOMINCIA IL SUO ITER LA NORMA VOLUTA DAI 5 STELLE. DI MAIO, ALLA FINE, TOGLIE IL TETTO DEI 10 MILIONI DI PATRIMONIO PER CHI GOVERNA.


Quella tagliola per chi possiede patrimoni mobiliari o immobiliari sopra ai dieci milioni di euro era certamente incostituzionale, gli hanno spiegato. Ma soprattutto avrebbe irritato tanti imprenditori e in generale l’alta borghesia, attirando sul Movimento l’accusa di essere pauperisti e fomentatori dell’odio sociale. Un problema, soprattutto al Nord, dove già il M5S non vanta percentuali da primato, e dove il reddito di cittadinanza conta diversi avversari. Così ieri Luigi Di Maio ha abiurato. E ha fatto togliere dalla proposta di legge sul conflitto d’interessi, che oggi verrà calendarizzata in commissione Affari costituzionali alla Camera, il riferimento ai più ricchi, quelli con patrimoni da dieci milioni in su.
E in serata lo ha annunciato lui stesso a Quarta Repubblica: “La norma sui 10 milioni di euro non c’è, è un’indiscrezione che non troverete nella legge”. E chissà che ne pensa Silvio Berlusconi, a tutt’oggi la prima, possibile vittima del provvedimento, che proprio ieri sera aveva battuto un colpo in tv a Povera Patria: “Non sono preoccupato della legge sul conflitto di interessi perché se non ci pensa la Lega, ci penserà la Corte costituzionale a fermarla. Non sono affatto preoccupato”. E sono sillabe che testimoniano il contrario, ossia l’irritazione del capo di Forza Italia, che ascolta minacce di norme apposite da quando discese in politica nel 1994: e ogni volta si sono dimostrate chiacchiere. Oltre 25 anni dopo, il M5S giura di voler fare sul serio con la proposta di legge che ha come prima firmataria la deputata Anna Macina. E la norma cardine è l’articolo 5, quello che stabilisce come qualsiasi titolare di cariche di governo nazionali o locali, compresi i presidenti delle Authority, “si trovi in una condizione di conflitto d’interessi qualora sia proprietario, possessore o abbia la disponibilità di partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale sociale” di società o imprese che “svolgono la propria attività in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti locali” o che operino “nei settori della radiotelevisione e dell’editoria o della diffusione tramite Internet”. E il conflitto scatta anche se le società elencate sono riferibili al coniuge o a parenti o affini entro “il 2° grado”, nonchè a persone “conviventi stabilmente”. Questa in pillole la proposta del Movimento, depositata in commissione insieme a una sulle incompatibilità parlamentari a prima firma di Fabiana Dadone. Sul conflitto d’interessi c’è anche una proposta del Pd. Però la domanda resta sempre quella, cosa ne pensi la Lega, tenuto conto anche che una nuova normativa sul conflitto d’interessi è prevista anche dal contratto di governo tra Carroccio e 5Stelle. E Matteo Salvini continua a mostrarsi quanto mai gelido: “L’unica vera emergenza è il lavoro: di tutto il resto si può parlare, ma prima bisogna aiutare chi assume”.
Però è quanto mai improbabile che oggi la Lega faccia storie in commissione. Piuttosto qualche problema il Movimento ce l’ha in casa propria, visto che il conflitto d’interessi fa riemergere i dissidenti, pochi ma combattivi alla Camera. Al punto da minacciare un emendamento alla legge che tira in ballo nientemeno che la Casaleggio Associati, ossia l’azienda di Davide Casaleggio, patron della piattaforma web del M5S Rousseau. Così ecco Gloria Vizzini: “Bisogna vedere se il conflitto di interessi coinvolga Casaleggio, un privato che influenza le decisioni di un gruppo parlamentare e gestisce una piattaforma web che determina le scelte dei parlamentari”. E a Radio Cusano Campus morde anche la senatrice Elena Fattori: “Abbiamo una piattaforma che decide le sorti del Parlamento, detenuta da una srl privata”. Prosit.
Alla Vizzini ed alla Fattori io rispondo così:
Davide Casaleggio, intanto, non è in politica, e questo è un fatto. 
Inoltre, in Italia, chiunque possieda una piattaforma virtuale può liberamente metterla a disposizione di chi ne vuole usufruire. Siamo in  democrazia, non dimentichiamolo, e non confondiamo il conflitto di interessi con la commercializzazione di un qualsiasi prodotto che sia virtuale o concreto. Mi pare che si stia facendo troppa confusione in materia. 
C.

sabato 9 gennaio 2016

Banca Etruria, perquisite 14 società. Anche del settore outlet, in cui ex presidente Rosi era in affari con papà Renzi.

Banca Etruria, perquisite 14 società. Anche del settore outlet, in cui ex presidente Rosi era in affari con papà Renzi

Le aziende riconducibili a Rosi e all’ex consigliere Luciano Nataloni, indagati per conflitto di interesse, hanno ricevuto dall'istituto di credito finanziamenti che non sono poi stati restituiti. Contribuendo ad allargare il buco di bilancio. Ora si profila l'apertura, ad Arezzo, di un nuovo fascicolo: stavolta per bancarotta fraudolenta.

Blitz della Guardia di Finanza di Arezzo in quattordici società con sede in ToscanaEmilia Romagna e Lombardia riconducibili all’ex presidente di Banca EtruriaLorenzo Rosi e all’ex consigliere Luciano Nataloni, e nella sede della banca. Le aziende avevano ricevuto finanziamenti dall’istituto di credito e sono risultate “assegnatarie di affidamenti deteriorati, ovvero interessate a qualsiasi titolo all’erogazione di essi”. Vale a dire che non hanno restituito i prestiti ottenuti, contribuendo così al buco di bilancio da 3 miliardi di euro che ha affossato l’Etruria. Queste perquisizioni potrebbero dunque aprire per gli ex vertici un nuovo fronte giudiziario, stavolta per bancarotta fraudolentaRosi e Nataloni sono già indagati per conflitto di interessi ed è nell’ambito di questa inchiesta che la procura aretina ha disposto le perquisizioni.
Le società visitate dalle Fiamme Gialle sono la cooperativa di costruzioni La Castelnuovese, Casprini Holding, Casprini gruppo industriale, Praha Invest, Gianosa srl, Immofin, Cd Holding, Cdg srl, Consorzio Etruria srl, Etruria Investimenti, Td Group, Naos srl,Città Sant’Angelo sviluppo Città Sant’Angelo outlet
Della Castelnuovese Rosi è stato presidente fino a luglio 2014, quando è stato chiamato ai vertici dell’istituto. La cooperativa è tra gli azionisti di un’altra società di cui è amministratore Rosi: la Egnazia Shopping Mall. Tra i soci della Egnazia figura anche la Nikila Invest, che controlla il 40 per cento nella Party srl di cui è socio Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, e amministratore unico la madre del premier Laura Bovoli (leggi l’inchiesta di ilfattoquotidiano.it sugli affari di Tiziano Renzi nel settore degli outlet). Renzi senior ha lavorato anche come “consulente per il marketing” per la stessa Egnazia, nata per costruire e gestire l’outlet The Mall a Fasano, nonché per la realizzazione di un outlet a Sanremo e per il raddoppio di quello di Leccio Reggello.
Perquisita anche la sede di Banca Etruria, per accertare, anche attraverso i verbali, la regolarità delle sedute del consiglio di amministrazione in cui sono stati decisi gli affidamenti alle altre aziende perquisite. L’obiettivo dei pm è acquisire documenti e materiale utile a ricostruire i collegamenti tra le società e la banca salvata dal governo, i cui obbligazionisti subordinati, oltre che gli azionisti, hanno perso tutti i risparmi investiti. E accertare gli incarichi ricoperti dall’ex presidente e dell’ex consigliere nelle aziende alle quali sono stati concessi gli affidamenti.
I fidi alle società collegate per un totale di 185 milioni – I due avrebbero infatti approvato finanziamenti a società in qualche modo a loro riconducibili senza fare la necessaria comunicazione agli organi dell’istituto. Dal verbale dell‘ultima ispezione della Banca d’Italia, quella terminata il 27 febbraio di quest’anno e sfociata nel commissariamento dell’istituto, emerge che 13 amministratori e cinque sindaci cumulavano 198 posizioni di fido per un totale di 185 milioni di euro. In particolare a Rosi sarebbe riconducibile l’esposizione nei confronti della Castelnuovese e a Nataloni, stando al verbale ispettivo, “nove posizioni, di cui due a sofferenza per una perdita totale per la banca di 5,4 milioni”. Di qui la nuova procedura sanzionatoria avviata, a danno fatto, da Palazzo Koch nei confronti del vecchio consiglio di amministrazione, in cui sedeva con il ruolo di vicepresidente Pier Luigi Boschi.
E i pm ora possono indagare per bancarotta fraudolenta – Ma ora appare anche più vicina l’apertura da parte dei pm aretini, che hanno già chiuso le indagini per ostacolo alla vigilanza (a breve partiranno le richieste di rinvio a giudizio) e per false fatturazioni e continuano a lavorare sul fascicolo per truffa, di una nuova inchiesta, questa volta per il reato di bancarotta fraudolenta. Le informazioni raccolte, rende noto la procura di Arezzo, “saranno comparate con quelle già acquisite, al fine di valutare la sussistenza di condotte omissive tese a celare interessi sottostanti fra i soggetti interessati e le società che hanno ricevuto affidamenti, non restituiti, che hanno generato una sofferenza o una perdita per la banca”. Il 28 dicembre il commissario liquidatore Giuseppe Santoni ha firmato la dichiarazione d’insolvenza per la “vecchia” Banca Etruria. Un atto formale e previsto, che però fornisce appunto alla Procura la pezza d’appoggio per procedere per bancarotta. E la stessa legge fallimentare prevede che la sua relazione sia esaminata per verificare se ci siano state “condotte distrattive” che hanno causato il crac.
Dal 28 dicembre sono scattati i 45 giorni che, come da prassi, il collegio del Tribunale di Arezzo ha a disposizione per riunirsi, verificare il ricorso e dichiarare lo stato di insolvenza. La riunione del collegio non sarebbe in programma prima del mese di febbraio. A quel punto il collegio trasmetterà gli atti al procuratore Roberto Rossi che verificherà se siano ravvisabili gli estremi per il reato.

lunedì 27 aprile 2015

Parlamentari, il duro (doppio) lavoro. Tra assenze record e conflitti d’interesse. - Giorgio Velardi e Lea Vendramel

Parlamentari, il duro (doppio) lavoro. Tra assenze record e conflitti d’interesse

Avvocati, imprenditori e medici possono continuare a esercitare, al contrario dei dipendenti. Con accumulo di retribuzioni e possibili cortocircuiti (che la legge non sanziona). C'è chi "dorme meno di notte", chi sacrifica i weekend, chi si affida a uno staff. E chi, come Ghedini, Longo e Tremonti, alle votazioni non si vede quasi mai.

Molti di loro hanno superato la tagliola della Giunta per le elezioni di Montecitorio e Palazzo Madama: nessuna incompatibilità. Ma a ben guardare restano dubbi di un conflitto di interessi latente. La certezza, però, sono i tanti soldi in tasca. Almeno stando alle dichiarazioni dei redditi depositate in Parlamento. Molti dei nostri deputati e senatori non si accontentano, infatti, di occupare lo scranno. E continuano a svolgere indisturbati l’attività in cui erano impegnati prima dell’elezione. Soprattutto avvocati, commercialisti, imprenditori e medici dividono le giornate tra i corridoi dei Palazzi e i loro uffici. Circondandosi spesso di fidati collaboratori, ma incassando gli utili a fine anno. Al contrario di chi, come i dipendenti pubblici (docenti universitari, magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine, solo per citare alcuni casi) è costretto per legge a fare un momentaneo passo indietro. Insomma, se suscita qualche perplessità la nuova attività di viticoltore di Massimo D’Alema (che pure non ha più incarichi pubblici né di partito), non può non essere così per i parlamentari in carica. Per carità: nessuna violazione della legge. Ma qualche problema sorge quando il Parlamento si trova a legiferare su materie che li riguardano direttamente.
È così, per esempio, per Niccolò Ghedini e Piero Longo. Storici avvocati di Silvio Berlusconi che dividono uno studio a Padova e che, nonostante il mandato parlamentare, continuano a frequentare assiduamente le aule di tribunale. Capirlo non è così difficile. Basta soffermarsi sulle percentuali di assenza al momento delle votazioni calcolate da Openpolis: il 99% per Ghedini, recordman dei parlamentari “assenteisti”, e l’86% per Longo. E sulle loro dichiarazioni dei redditi, visto che nel 2014 il primo ha guadagnato oltre 2 milioni di euro e il secondo più di 900mila. Percentuale di assenze simile la fa registrare anche Giulio Tremonti, che ha saltato l’85% delle votazioni (e ha un reddito di quasi 3 milioni e mezzo di euro). L’ex ministro dell’Economia risulta socio dello studio legale “Tremonti Vitali Romagnoli Piccardi e Associati” con sedi a Milano e Roma. Su di lui al momento pende una richiesta di autorizzazione a procedere che la Procura di Milano ha inviato al Senato. Tremonti, infatti, è indagato per corruzione per il presunto versamento di 2,4 milioni di euro al suo studio da parte di Finmeccanica, nell’ambito dell’acquisto della statunitense Drs, azienda produttrice di supporti militari, quando era ministro.
Da inizio legislatura Gregorio Gitti, invece, è passato da Scelta civica al Partito democratico. Ciò però non gli ha impedito di continuare a svolgere la professione di avvocato nello studio legale “Pavesi Gitti Verzoni”. Il genero di Giovanni Bazoli (Intesa Sanpaolo), contattato da ilfattoquotidiano.it, spiega che da dopo l’elezione “gli impegni professionali variano a seconda di quelli parlamentari. Di solito – spiega Gitti – dal martedì al giovedì sono a Montecitorio”. Il deputato del Pd rigetta comunque qualsiasi ipotesi di conflitto di interessi. Anzi, dice, “trovo vantaggioso il fatto che oggi in Parlamento ci siano figure con una loro indipendenza professionale”. E proprio questa gli ha permesso di dichiarare un reddito di 3,9 milioni di euro, complici anche le numerose partecipazioni nonché le cariche ricoperte nei consigli di amministrazione di diverse società, che lo rendono il secondo parlamentare più ricco di tutti.
Circostanze, queste, che per il presidente del Gruppo Misto Pino Pisicchio forniscono più di uno spunto di criticità. “Pur avendo da sempre un peso specifico molto forte in Parlamento, soprattutto in commissione Giustizia, situazione che pone un’evidente dimensione di prossimità rispetto ai temi ordinistici, gli avvocati non hanno alcun tipo di incompatibilità”, fa notare Pisicchio. Il quale ricorda come “in passato ci sono state delle proposte per renderla formale, ma sono cadute tutte nel dimenticatoio, sintomo che da un punto di vista politico e dell’etica pubblica è un tema sempre molto attuale. Gli avvocati – conclude Pisicchio – sono un elemento della giurisdizione al pari dei magistrati, ma mentre questi ultimi sono obbligati ad andare in aspettativa per legge, come è giusto che sia, i primi non hanno nessuna costrizione”. Una discrepanza singolare.
Anche gli imprenditori possono vantare un record. Quello del parlamentare con la dichiarazione dei redditi più importante:Antonio Angelucci con oltre 5,3 milioni di euro. Ma il “re delle cliniche”, esponente di Forza Italia, detiene anche un altro primato, stavolta meno edificante: è il deputato più assente, con sole 86 presenze sulle quasi 9mila votazioni (0,99%). Cifre che fanno capire come le sue aziende abbiano la precedenza rispetto alla cosa pubblica. Pur di non lasciare la propria attività c’è chi, addirittura, arriva a “sacrificare” la famiglia. Come il forzista Bernabò Bocca, numero uno di Federalberghi e presidente di Sina Hotels (gruppo di hotel di lusso). “Sommando tutti gli impegni, le ore della giornata e della settimana che restano per i miei due figli, di 4 e 6 anni, sono poche, cerco di ritagliarmi la domenica per stare con loro”. Fra le due, l’attività principale di Bocca resta quella imprenditoriale: “Rappresenta il mio futuro e quindi non potevo permettermi di abbandonarla – spiega il senatore –. Dedico alle aziende due giorni e mezzo a settimana, spesso anche il sabato e la sera al termine dell’attività parlamentare”. Conflitto di interessi? Nemmeno a parlarne. E casomai, se c’è, questo “è solo di tipo temporale perché non ho incarichi di governo. Cerco di mettere il mio know-how di imprenditore al servizio del mondo delle imprese in genere, sicuramente non la mia”.
Paolo Vitelli ha, invece, delegato a un manager la gestione di Azimut Benetti, il più grande gruppo privato del settore nautico al mondo, che egli stesso ha fondato 40 anni fa. Il deputato di Scelta civica continua però a dedicare tempo alla sua azienda. “Seguire il Ceo, fornire il mio know-how e garantire un briciolo di rappresentanza mi porta ad essere in ufficio il sabato e la domenica – racconta Vitelli – il lunedì e il venerdì gli dedico un terzo della giornata, mentre ogni sera, finita l’attività parlamentare, leggo e rispondo alle e-mail”.
A un altro esponente montiano, Gianfranco Librandi, “piace tantissimo essere parlamentare, forse più che fare l’imprenditore”. Ma ciò non è comunque bastato per lasciare del tutto la Tci srl, azienda che ha fondato nel 1987 e che opera nel campo dell’illuminazione. Di solito “sto in azienda il sabato, il lunedì e quando ci sono dei clienti troppo importanti”, dice Librandi. Per conciliare le due attività, il deputato di Scelta civica ha preso in affitto un ufficio privato a Roma dove, racconta, invita spesso i suoi clienti. Oltretutto Librandi è anche il tesoriere del partito: un ulteriore impegno che “a volte non mi permette di essere presente alle votazioni”.
C’è poi chi per fare tutto non dorme più. “Da quando sono parlamentare ho scoperto purtroppo che di notte si può fare anche altro oltre che dormire”, afferma Paolo Galimberti, ex presidente dei giovani di Confcommercio (incarico lasciato a causa dell’ingresso a Palazzo Madama), oggi senatore di Forza Italia. Il quale rivela che, per prepararsi al meglio sui temi da trattare in aula e in commissione, ha “drammaticamente” ridotto le ore di sonno: non più di quattro a notte. Galimberti è vicepresidente dell’azienda che porta il suo nome, specializzata nella vendita al dettaglio e all’ingrosso di elettrodomestici e di elettronica di consumo. Così sicuro dell’elezione da nominare prima del voto del 2013 un direttore generale a cui affidare la gestione ordinaria dell’azienda, a cui comunque dedica in genere il lunedì per occuparsi della parte strategica. “Non lavoro con il pubblico, non partecipo ad appalti, non ho mai avuto rapporti con lo Stato, quindi – conclude – non c’è nessun conflitto di interessi”.
Ha mantenuto a tutti gli effetti la presidenza della sua Brembo, invece, Alberto Bombassei. Il quale oltretutto, come verificato da ilfattoquotidiano.it, siede ancora nel consiglio di amministrazione di Nuovo trasporto viaggiatori (Ntv). Pur continuando a sedere nel Cda della Piaggio in qualità di vice presidente, il ruolo di Roberto Colaninno (Pd) non è più esecutivo. Tanto che lui stesso tiene a precisare che “la mia presenza in aula è significativa, basta guardare le statistiche”. Le quali dicono che è stato presente a quasi il 70% delle votazioni.
Si dividono tra le aule parlamentari e il loro studio privato Pasquale Maietta (Fratelli d’Italia) e Giuseppe Marinello (Nuovo centrodestra). Anche se, dicono, l’attività parlamentare è comunque il loro primo impegno. Maietta, commercialista e al tempo stesso presidente del Latina Calcio, spiega che “la nomina a deputato ha sottratto la quasi totalità della mia presenza presso lo studio del quale sono titolare, ma ciò non ha minimamente compromesso l’andamento delle sue attività in quanto sin dai tempi della mia entrata in politica ho provveduto a circondarmi di uno staff in grado di gestirne le funzioni in piena autonomia”. Marinello, invece, medico e socio all’1% di uno studio dentistico a Menfi, racconta che “fino al 2012 ero direttamente coinvolto, mentre nel 2013 e 2014 ho svolto prevalentemente attività di consulenza, cosa che farò probabilmente anche nel 2015. Sono un libero professionista, quindi devo mantenere la professione”.
Qualcuno, però, ha fatto volontariamente un passo indietro. “Da quando sono senatore ho sostanzialmente azzerato l’attività forense, salvo portare a compimento quegli incarichi che non potevo interrompere senza fare un danno al cliente”, rivela Pietro Ichino (Pd). Che negli ultimi sette anni, cioè da quando è parlamentare, ha dato “soltanto tre pareri”. Stessa cosa è avvenuta anche per quanto riguarda la docenza universitaria. “Ho sospeso l’attività didattica limitandomi a tenere qualche lezione quando me lo chiede un collega”. A differenza di altri, per Ichino “la mia attività professionale e l’attività parlamentare sono di fatto incompatibili, perché soprattutto in materia di lavoro l’assistenza giudiziale comporta la presenza in udienza dell’avvocato e se ci si fa sostituire si fa un cattivo servizio al cliente”. Un parlamentare, aggiunge il senatore del Pd, “non può garantire questa presenza a meno che non sacrifichi l’impegno in Parlamento al lavoro forense, ma questo sarebbe scorretto per un altro verso, quindi o si fa una cosa o si fa l’altra”. Deputato “full time” anche Carlo Dell’Aringa (Pd), docente di Economica politica alla Cattolica di Milano (università privata): “Da dopo l’elezione non ho più svolto nessuna attività né di consulenza né di insegnamento”. C’è, infine, chi è stato “costretto” a doversi dividere tra i due impegni. È il caso di Michela Marzano, deputata del Pd e professore ordinario di filosofia morale all’Università René Descartes di Parigi. “Ho chiesto l’aspettativa – dice Marzano – ma il sistema francese la prevede solo per i professori associati e non per gli ordinari. Quindi, il sabato e la domenica ricevo gli studenti a casa, mentre il lunedì faccio otto ore di lezione e la sera torno a Roma con l’ultimo aereo. È faticoso, ma è anche una boccata d’ossigeno visto che il lavoro in commissione Giustizia è incentrato sugli stessi temi di cui insegno”.

giovedì 3 gennaio 2013

Le Impresentarie. - Marco Travaglio



Le primarie sono un’ottima cosa, l’unico antidoto a una delle porcate del Porcellum: le liste bloccate che consentono ai partiti di nominarsi i parlamentari. Grillo, temendo la piena degli opportunisti last minute, ha inventato le parlamentarie web, ma ha ristretto troppo la platea dei votanti: appena 20mila. Alle primarie di Capodanno del Pd han votato un milione di elettori. Bene anche i volti nuovi o seminuovi, premiati per le loro facce pulite e si spera anche per le loro capacità. Ma in alcune regioni d’Italia, dove il voto è militarmente controllato non solo dalle mafie, ma anche da cricche clientelari che comprano preferenze con favori e lavori, le primarie sono finte se non vengono accompagnate da ferrei sbarramenti per garantire il ricambio.
Se si lascia candidare Mirello Crisafulli nella sua Enna, di cui da una vita è signore e padrone a suon di posti e prebende, oltre a essere amicone del boss Raffaele Bevilacqua (con cui fu filmato e intercettato), è ovvio che faccia il pieno di voti. Non bastavano i suoi 15 anni in Assemblea Regionale, le due legislature in Parlamento e il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio con l’accusa di aver fatto pavimentare a spese della provincia la strada comunale che porta alla sua villa, per mandarlo in pensione?
Idem a Messina, dove spopola un altro ras: Francantonio Genovese, che divenne sindaco sebbene azionista della Caronte, la società dei traghetti nello Stretto controllata da Pietro Franza (perciò ribattezzato ‘Franzantonio’) in pieno conflitto d’interessi. Il resto l’ha raccontato la puntata di Report sugli enti di formazione finanziati dalla Regione. Tipo la Lumen, presieduta da Franco Rinaldi, deputato regionale, cognato di Genovese e soprattutto marito di Elena Schirò che lavora dove? Ma alla Lumen, naturalmente. Rinaldi e Genovese sono pure soci nella Training Service, che sta per ricevere 390mila euro di contributi. Invece la Nt Soft fa capo ai nipoti di Genovese e Rinaldi. L’Esofop ha come presidente la cognata di Rinaldi e come consigliere Chiara Schirò, moglie di Genovese. E una società in cui compare Genovese affitta la sede all’Enaip e all’Aram. A che servono a questo punto le primarie? Chi mai riuscirà a prendere più voti di un Genovese? Il conflitto d’interessi, anziché un handicap, diventa un elisir di lunga vita, anzi di immortalità.
Alle primarie di Trapani trionfa Antonino Papania: nel 2002 ha patteggiato 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio in un processo per compravendita di posti di lavoro in cambio di soldi. Il suo factotum Filippo Di Maria è stato arrestato tre anni fa per mafia, con l’accusa di essere l’autista, il cassiere e il braccio destro del boss di Alcamo, Nicolò Melodia detto ‘il macellaio’. Per la Mobile, “Di Maria si muoveva incessantemente per procurare posti di lavoro ad amici e conoscenti grazie anche al diretto interessamento di collaboratori e personale di segreteria del senatore”, attivissimo “in occasione di alcune competizioni elettorali”: come “le primarie 2005 per il candidato premier” del centrosinistra. “Lo staff del sen. Papania – scrive il gip – e altri politici contattavano ripetutamente il Di Maria per indurlo a sostenere iniziative politiche… con tutte le persone di sua conoscenza”.
In Calabria invece stravince le primarie l’ottimo Nicodemo Oliverio, imputato da tre anni al Tribunale di Roma con altre 14 persone per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale aggravata, in uno dei processi sullo scandalo del megapatrimonio immobiliare della Dc, ovviamente scomparso. A Crotone, Oliverio ha raccolto 8.257 preferenze su 8.547 (il 97%). Chissà se arriverà prima la sentenza, prevista per febbraio, o la rielezione in Parlamento, prevista per febbraio. E chissà se Piero Grasso lo sa.

lunedì 29 ottobre 2012

L’Ue approva petizione su trasparenza dei media. Per evitare futuri Berlusconi. - Alessio Pisanò


L’Ue approva petizione su trasparenza dei media. Per evitare futuri Berlusconi


Le firme raccolte in base al "diritto d'iniziativa dei cittadini europei". Ora il parlamento di Strasburgo è obbligato a legiferare. Nel testo, tra gli esempi negativi di concentrazione e conflitti d'interesse politici ci sono il Cavaliere, Murdoch e il premier ungherese Orbàn.

Mentre il Parlamento italiano lavora al bavaglio da mettere all’informazione con effetti potenzialmente letali sul panorama editoriale del Paese, l’Europa chiede più trasparenza ai media. Una delle ultime petizioni popolari arrivate sul tavolo della Commissione Ue nell’ambito del nuovo strumento che consente a un milione di cittadini del Vecchio Continente di chiedere di legiferare su un argomento di rilevanza comunitaria, riguarda proprio il pluralismo dei media.
Il 5 ottobre è stata infatti ufficialmente approvata la raccolta firme che chiede “la parziale armonizzazione delle legislazioni nazionali relative alla proprietà e alla trasparenza, al conflitto di interesse con incarichi politici e all’indipendenza degli organismi di regolamentazione”. In parole povere una serie di standard europei che limitino la concentrazione mediatica nelle mani di pochi, specie se questi “pochi” hanno incarichi politici. In concreto viene chiesta l’adozione di una nuova direttiva, che protegga il pluralismo informativo in tutti i 27 Paesi Ue.
Tre i nomi che vengono fatti a titolo di esempio (negativo) dalla petizione: Viktor OrbánRupert Murdoch e Silvio Berlusconi. Il Premier ungherese tuttora in carica ha cercato in tutti i modi di mettere il giogo statale all’informazione del Paese; Murdoch è l’artefice della scalata ai media britannici tanto da arrivare ad influenza direttamente il governo di Londra (vedasi lo scandalo News International); e poi veniamo a Silvio Berlusconi.
Giovanni Melogli, responsabile affari europei dell’Alliance Internationale de Journalistes, una delle due organizzazioni all’origine della petizione (insieme ad European Altervatives), è categorico: “Il caso Berlusconi deve diventare un antidoto per le future generazioni affinché in nessun Stato dell’Unione ci possa più essere una simile concentrazione di potere mediatico e potere politico”.
Non è la prima volta che si chiede all’Europa di regolamentare e proteggere il pluralismo dei media. Nell’ottobre 2009 il Parlamento europeo si spaccò letteralmente in due in occasione di un voto su una risoluzione, presentata da liberalisinistre e verdi, che chiedeva un intervento Ue per tutelare il pluralismo in Europa. Alla fine la risoluzione non era stata approvata per soli tre voti a causa del blocco del Gruppo Popolare (maggioritario al Parlamento e nel quale rientrano i 35 deputati italiani Pdl) e anche per l’inaspettato voto contrario dei deputati liberali irlandesi, che in seguito confesseranno ad alcuni colleghi italiani di “aver subito pressioni da Dublino” (governo di destra).
Bisognerà vedere cosa succederà ora che la richiesta arriva in base al “Diritto di iniziativa dei cittadini europei”, la novità normativa introdotta dal trattato di Lisbona ed entrata in vigore lo scorso aprile, che permette alla società civile di chiedere alla Commissione europea di legiferare su una certa materia di interesse comunitario e non contraria ai principi fondanti dell’Unione stessa, raccogliendo (anche online) almeno un milione di firme in almeno 7 Stati Ue. Una volta ricevute e controllate le firme, i servizi della Commissione sono obbligati a lavorare sulla richiesta popolare qualora siano rispettati tutti i requisiti di base, iniziando in questo modo un ordinario processo legislativo.