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giovedì 28 maggio 2020

Expo2015, il sindaco di Milano s’inventa l’utile da 40 milioni. - Gianni Barbacetto

Expo: chiesti 13 mesi per sindaco Sala - Lombardia - ANSA.it
A tornare sull’argomento Expo è stato lui, Giuseppe Sala. “La società Expo 2015 in liquidazione presenta dei conti che riassumono dieci anni di percorso con un avanzo, quindi un utile, di 40 milioni”, ha dichiarato qualche giorno fa. “Il tormentone del buco da 200 o 400 milioni è finito. Questa storia per me finisce ieri”. È una storia italiana di successo, di “competenza, onestà e dedizione”. Proprio così: “Vi dico queste cose al di là del fatto che per me è una grande soddisfazione anche perché penso che in momenti difficili come questi bisogna poter dire e poter pensare che pur in un Paese difficile come il nostro, pur in momenti storici a volte anche cattivi come questo, si può fare. Si può fare se si ha competenza, onestà e dedizione, le caratteristiche di chi ha lavorato con me”.
Tutto a posto, tutto bene, dice dunque il commissario Expo diventato sindaco di Milano: la storia di Expo finisce con un “utile” di 40 milioni. Un “utile”? Proviamo allora a spiegare al manager Sala, in maniera facile facile, che cos’è successo davvero, visto che evidentemente non si è ancora ripreso dall’aperitivo sui Navigli di #milanononsiferma e continua a mostrarsi appannato e mal consigliato (vedi foto a braccia conserte sul tetto del Duomo con in cielo le Frecce tricolori).
Metti che un padre consegni al figlio preferito una cifra consistente, diciamo 2 miliardi e 300 milioni di euro, affinché apra un’attività. Il figlio progetta e realizza un grande bazar internazionale provvisorio. Le spese sono molte, i clienti sono meno del previsto, per attirarli è necessario fare prezzi stracciati e alla fine gli incassi non superano i 700 milioni. Chiusa l’attività e fatti i conti, il figlio si ritrova in tasca 40 milioni. Che cosa racconterà? Di aver chiuso l’operazione con 40 milioni di utili?
A Expo è andata esattamente così. Sono stati messi nell’impresa 2 miliardi e 300 milioni di denaro pubblico. Impiegati per la realizzazione dell’evento (1,3 miliardi) e per la sua gestione (circa 1 miliardo). Gli incassi (da biglietti, sponsorizzazioni, royalties) sono stati 700 milioni. A questi si aggiungono 75 milioni pagati da Arexpo per l’urbanizzazione delle aree su cui si è svolta l’esposizione universale. Dunque sono stati spesi 1 miliardo e 525 milioni, da cui vanno tolti i 40 milioni avanzati. So che è brutto chiamarlo “buco” o “rosso”, allora chiamatelo come volete, ma 1 miliardo e 485 milioni non sono mica rientrati nelle casse del padre premuroso.
Poi si puo dire che Expo ha fatto benissimo a Milano e all’Italia, che si sapeva fin dall’inizio che manifestazioni come l’esposizione universale non hanno il fine di chiudere in pareggio ma di sviluppare l’economia, che il famoso indotto ha portato soldi e benefici, che Milano pesa per il 12 per cento del pil nazionale e c’è chi giura che Expo 2015 sia stata la magica svolta che l’ha fatta diventare una delle grandi metropoli del mondo.
Io aspetto pazientemente le prove di questa melassa autocelebrativa, i numeri e gli argomenti capaci di dimostrarlo. Negli ultimi anni è cresciuta a dismisura una retorica stucchevole che ha celebrato in modo irragionevole una città che ha perso le sue fabbriche, indebolito il suo tessuto produttivo, venduto i gioielli di famiglia a cinesi (Pirelli) e arabi (Porta Nuova), ridotto la sua gloria ad aperitivi e food, locali e movida. Ora la pandemia rischia purtroppo di mostrare che il re è nudo, che l’eccellenza lombarda è fragile. La ripartenza andrà realizzata con un po’ più di modestia e senso di realtà. Senza spacciare, per favore, gli avanzi per utili.

venerdì 16 dicembre 2016

Giuseppe Sala tira dritto: "Sospensione dalla carica fino a chiarimento accuse".

Risultati immagini per sala indagato

In qualità di ex ad di Expo, risulta indagato nell'inchiesta sulla 'Piastra dei servizi'. Dai magistrati viene contestata dai magistrati un'ipotesi di falso. Assumerà le sue veci il vice sindaco Scavuzzo.

Giuseppe Sala, il sindaco di Milano, tira dritto. E dopo aver annunciato la sua autosospensione da sindaco si è recato in mattinata in prefettura per formalizzare la sua scelta al Prefetto, Alessandro Marangoni. In mattinata riunione di giunta a Palazzo Marino, dove Sala ha comunicato la sua scelta.  ''Fino al momento in cui mi sarà chiarito il quadro accusatorio - scrive Sala in una lettera inviata al vicesindaco - ritengo di non poter esercitare i miei compiti istituzionali". "Ho appreso da fonti giornalistiche - scrive Sala - di essere iscritto nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla "Piastra Expo". Non ho al momento ricevuto alcuna comunicazione ufficiale; ritengo che l'attuale situazione determini per me un ostacolo temporaneo a svolgere le funzioni" di sindaco del Comune e della Città Metropolitana. "La prossima settimana - fa sapere - mi presenterò al Consiglio del Comune di Milano e della città Metropolitana per riferire in merito".
Il primo cittadino è indagato dalla Procura generale milanese in qualità di ex ad ed ex commissario unico di Expo 2015 spa in un'indagine sulla gara d'appalto più rilevante dal punto di vista economico dell'Esposizione Universale. Dopo l'indiscrezione sull'indagine a suo carico ha subito scelto di autosospendersi dalla carica. "Apprendo da fonti giornalistiche - ha scritto ieri in una nota - che sarei iscritto nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla piastra Expo. Pur non avendo la benché minima idea delle ipotesi investigative, ho deciso di autosospendermi dalla carica di sindaco". 
L'autosospensione "è una scelta che può essere fatta quando ci sono degli impedimenti di varia natura, in questo caso il sindaco ha scelto a caldo, subito dopo le notizie ricevute. Ovviamente a questo punto sarà la vicesindaco Anna Scavuzzo ad assumere le funzioni e le veci del sindaco", ha spiegato il presidente del Consiglio comunale di Milano Lamberto Bertolè. "Nelle prossime ore valuteremo, ci incontreremo con i capigruppo per aggiornarli - ha concluso - alla luce anche dell'incontro che il sindaco avrà con il prefetto". Lo Statuto del Comune di Milano prevede la cessazione della carica di sindaco "per dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza e decesso".
"Ho letto i giornali, così è. Non ho nulla da aggiungere. Vi faccio solo gli auguri di buon Natale". E' quanto si è limitato a dire il Procuratore generale di Milano Roberto Alfonso in merito all'inchiesta sulla 'Piastra dei Servizi' di Expo, avocata ai pm e nella quale il sostituto pg Felice Isnardi ha iscritto con l'accusa di falso anche il sindaco di Milano ed ex ad di Expo 2015 spa Beppe Sala. 
"Ha fatto un gesto di grande e rara sensibilità. Il sindaco ha la fiducia della nostra città", ha detto il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina.
Salvini, non chiediamo le dimissioni di Marra - "I milanesi meritano chiarezza. Non chiediamo le dimissioni di Sala: se ha la coscienza pulita faccia il sindaco a tempo pieno e lavori, se ha la coscienza sporca si dimetta. Un'indagine non vuol dire una condanna". Lo ha detto il segretario della Lega Nord Matteo Salvini ai giornalisti davanti a Palazzo Marino.
I REATI CONTESTATI - "Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici" e "falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici". Sono questi i due reati contestati al sindaco di Milano Beppe Sala nell'inchiesta sull'appalto della Piastra dei servizi di Expo che ha portato l'ex amministratore delegato ad autosospendersi da primo cittadino. Il nome di Sala, con quello dell'imprenditore Paolo Pizzarrotti, compare nella richiesta di proroga indagini, avocate dalla Procura Generale alla Procura, in aggiunta ai nomi dei 5 indagati già noti. Due "verbali" relativi alla "sostituzione" di due componenti della commissione giudicatrice della gara per l'appalto della 'Piastra dei servizi' riporterebbero "circostanze non rispondenti alla realtà" e, in particolare, sarebbero stati retrodatati con "l'intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta" anche per il "ritardo" sui "cronoprogrammi" dell'Expo. Lo scrive la Gdf di Milano in un'informativa del maggio 2013 agli atti anche della 'vecchia' inchiesta dei pm poi avocata dalla Procura Generale che ha indagato Beppe Sala.

giovedì 15 settembre 2016

Renzi e Sala firmano il “Pacco per Milano” (con nuovo buco Expo). - Gianni Barbacetto

Renzi e Sala firmano il “Pacco per Milano” (con nuovo buco Expo)


La Roma di Virginia Raggi, si sa, è il male. La Milano di Giuseppe Sala, invece, è il bene. 
E Matteo Renzi plana sotto la Madonnina a celebrare il bene, a dar manforte all’eroe di Expo e ad annunciare un fantastico “Patto per Milano” che promette investimenti per 1,5 miliardi – che nel corso dell’incontro, ieri, sono diventati addirittura 2,5. Poi, a leggere la tabella nel documento firmato da Renzi e Sala, si scopre che i soldi previsti per il periodo 2016-2018 sono solo 644 milioni.

“Milano”, scandisce il presidente del Consiglio, “deve prendere per mano il resto del Paese e portarlo fuori dalla crisi”. Peccato però che quando si passa dagli annunci ai fatti, il “Patto per Milano” rischi di diventare un “Pacco per Milano”. Firmato da Sala e Renzi sotto il gonfalone della città, in un clima che ricorda vagamente il “Patto con gli italiani” di Silvio Berlusconi. Il portentoso annuncio promette di tutto e di più: interventi per innovazione, internazionalizzazione, welfare, mobilità, piano per le case e le periferie, per le metropolitane, per sanare il dissesto idrogeologico e, infine, per realizzare nell’ex area Expo la “prima zona economica speciale” d’Italia. Manca solo la riapertura dei Navigli, promessa in campagna elettorale da Sala, e il libro dei sogni è completo.
Il prolungamento delle metropolitane: M1 fino a Baggio; ammodernamento di M2; galleria per collegare M3 e M4 al Policlinico; e, soprattutto, M5 fino a Sesto, Cinisello e Monza. È la normale programmazione dei trasporti di una Città metropolitana che non finisce ai confini del Comune di Milano. Ma chissà quando si farà. I lavori non inizieranno prima del 2019. Anche perché intanto, per onorare vecchi patti dell’era Penati, hanno messo i soldi nella M4, una linea tutta dentro la città, che in parte raddoppia linee già esistenti ed è costosissima (2,2 miliardi), tanto da mettere a rischio i conti del Comune per i prossimi 20 anni. 
A proposito: la Città metropolitana (cioè la vecchia Provincia a cui hanno cambiato nome e tolto i finanziamenti) ha bisogno di almeno 25 milioni per chiudere il bilancio. Sala ha detto, su questo, di “aver avuto rassicurazioni dal governo”.
La messa in sicurezza di Seveso e Lambro, che regolarmente esondano a ogni temporale. Se ne parla da anni. Già il sindaco precedente, Giuliano Pisapia, aveva chiesto che le vasche di contenimento fossero finanziate con i soldi Expo risparmiati per le famose, contestate, indagate e mai completate “vie d’acqua”. Ora arriva Renzi e le inserisce nel “Patto per Milano”, anche se i 151 milioni necessari sono già stati annunciati e in parte perfino finanziati, anche dalla Regione di Roberto Maroni.
Il piano per le case popolari: necessari 174 milioni, tra fondi del Comune, dell’Unione Europea e del governo. L’assessore al bilancio, Roberto Tasca, e quello alla casa, Gabriele Rabaiotti, hanno detto di aver già trovato 33 milioni. Aspettiamo gli altri. Renzi ha gia messo le mani avanti: “Per rifare le periferie servono i soldi dei privati”.
La “zona economica speciale”: il sito Expo diventerà una piccola Irlanda, nella speranza di attirare le aziende – con la promessa di non far loro pagare le tasse – in un luogo che ha succhiato 2,2 miliardi di investimenti pubblici e su cui ancora non c’è un progetto chiaro. Dovrebbe ospitare Human Technopole, il polo di ricerca affidato all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, che è stato però contestato dai rettori lombardi, dai ricercatori come Elena Cattaneo, perfino dall’ex presidente Giorgio Napolitano. Ora si è – in parte – cambiata rotta, togliendo il comando a Iit e formando una (nebulosa) “commissione di garanzia” che sarà presieduta da Stefano Paleari, ex presidente della Cruii, la Conferenza dei rettori. L’internazionalizzazione dovrebbe passare anche per trasferimento, da Londra a Milano, dell’Agenzia europea del farmaco. Chissà.
Un capitolo è dedicato all’accoglienza dei migranti e alla candidatura di Milano come sede del Consiglio nazionale del Terzo settore. Poi c’è il capitolo sicurezza dei cittadini, con l’auspicio di aumentare la polizia municipale, sforando il tetto alle assunzioni.
Ps. Alla pagina 6 del “Patto per Milano” è nascosta una notizia. Un ulteriore buco di Expo: servono altri 23,69 milioni per liquidare la società.

mercoledì 6 luglio 2016

Mafia: undici arresti a Milano, "Favoriti clan per Expo".

Expo: padiglione Francia © ANSA
Expo: padiglione FranciaRIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA/ANSA

Reati tributari, riciclaggi e associazione per delinquere.

Undici persone, tra cui un avvocato, sono state arrestate nell'ambito di un'inchiesta della Dda di Milano con al centro reati tributari, riciclaggio e associazione per delinquere con l'aggravante della finalità mafiosa. 
Al centro dell'inchiesta c'è il consorzio di cooperative Dominus Scarl specializzato nell'allestimento di stand, il quale ha lavorato per la Fiera di Milano dalla quale ha ricevuto in subappalto l'incarico di realizzare alcuni padiglioni per Expo tra cui quello della Francia e della Guinea equatoriale.
Secondo le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Paolo Storari e Sara Ombra, le società del consorzio erano intestate a prestanomi di Giuseppe Nastasi il principale indagato, arrestato con il suo collaboratore Liborio Pace e l'avvocato del Foro di Caltanissetta, Danilo Tipo, ex presidente della Camera penale della città siciliana.
Le società coinvolte ricorrevano a un sistema di fatture false per creare fondi neriIl denaro era poi riciclato in Sicilia dove gli indagati avevano legami con la famiglia di Cosa Nostra dei Pietraperzia. Il Gico della Guardia di Finanza sta effettuando un sequestro preventivo per circa cinque milioni di euro.
Agli undici arrestati sono contestate a vario titolo le accuse di associazione per delinquere finalizzata a fatture false, a reati tributari, riciclaggio appropriazione indebita e ad alcuni degli indagati, tra cui Nastasi e Pace, l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra.
 L'indagine "è importante" in quanto questa volta "segnala" in Lombardia non "le infiltrazioni di 'ndrangheta, ma di Cosa Nostra". Lo ha detto in conferenza stampa il procuratore aggiunto e coordinatore della Dda milanese, Ilda Boccassini, che ha voluto evidenziare come in particolare Giuseppe Nastasi, titolare del consorzio di cooperative al centro dell'inchiesta, avesse "legami con cosche importanti come gli esponenti della famiglia Accardo". "Garantiremo agli indagati un processo rapido e quindi si procederà con la richiesta di rito immediato e alla trascrizione in tempi brevi di tutte le intercettazioni" che sono alla base dell'indagine, ha detto Ilda Boccassini. "Non sono individuate responsabilità penali in capo a Ente Fiera o a Expo", ha precisato il procuratore aggiunto.
Commissariata Nolostand spa
La Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, presieduta da Fabio Roia ha disposto l'amministrazione giudiziaria della Nolostand spa, società del gruppo Fiera Milano. La decisione è stata presa perché alcuni indagati nell'inchiesta che stamani ha portato a unici arresti a Milano per reati di stampo mafioso hanno contatti con dirigenti e vertici della società. 
Mafia: pm, tema non è mancato controllo Expo
'Non è inchiesta su Fiera, indagine svolta in tempi rapidi'
"Qua non c'è il tema che Expo non ha controllato, è Nolostand (società del gruppo Fiera Milano, ndr) che non ha controllato e questa non è un'indagine su Fiera Milano ma sul consorzio di Nastasi che si è infiltrato in Fiera, con la Fiera, che poi ha lavorato per Expo". Così il pm di Milano Paolo Storari nella conferenza stampa sul blitz di stamani ha risposto ad una serie di domande. E a chi le chiedeva se le indagini non potessero avere tempi più rapidi, Boccassini ha risposto: "i tempi della Dda sono sempre rapidi". 
Expo Mafia: Sala, battaglia legalità non si fermi mai
'Sosteniamo ogni azione degli organi dello Stato'
"La battaglia per la legalità non deve fermarsi mai, a tutela dei cittadini e delle istituzioni e sosteniamo ogni azione degli organi dello Stato in tal senso". Lo ha dichiarato il sindaco di Milano Giuseppe Sala, ex commissario di Expo. "Abbiamo lavorato e stiamo lavorando - ha aggiunto Sala - per proteggere Milano dalle infiltrazioni malavitose e dai rischi di corruzione. Risultati importanti sono stati ottenuti, ma la forza delle organizzazioni criminali non può essere sottovalutata nemmeno per un momento".

mercoledì 24 febbraio 2016

Expo, gli amministratori: “Rosso 2015 è di almeno 32,6 milioni. A marzo riduzione del capitale per perdite”. - Gaia Scacciavillani

Expo, gli amministratori: “Rosso 2015 è di almeno 32,6 milioni. A marzo riduzione del capitale per perdite”

La relazione del consiglio di amministrazione di Expo 2015 presentata ai soci il 9 febbraio. Sala: "Risorse sono sufficienti per le prossime 3-4 settimane". Corte dei Conti: "Mancano risposte sulla copertura dei costi post esposizione".


Il candidato sindaco di Milano del Pd, Giuseppe Sala, ha un bel dire che non c’è nessun buco Expo. La società che ha gestito l’esposizione universale meneghina ha chiuso il 2015 con un rosso di 32,6 milioni di euro. A smentire Sala è lo stesso Sala. O meglio, il consiglio di amministrazione di Expo 2015 da lui guidato, che lo scorso 18 gennaio ha messo nero su bianco la cifra in una relazione che è stata discussa dai soci il 9 febbraio scorso. Dieci giorni dopo la data inizialmente prevista, il 29 gennaio a ridosso delle primarie del Pd che hanno incoronato Sala candidato sindaco di Milano, poi spostata su indicazione del ministero dell’Economia. Nel documento si legge anche che “in considerazione delle spese strutturali previste nei primi mesi del 2016 (quantificabili in 4 milioni mensili), è probabile una ricaduta nelle previsioni dell’articolo 2447 del codice civile durante il mese di marzo”. Il che significa, in altre parole, che secondo i calcoli del consiglio guidato dallo stesso Sala, da febbraio 2016 le disponibilità liquide di Expo 2015 si sono esaurite, ma non le spese. E andando avanti così, è sempre la stima del cda, è prevedibile che entro il mese prossimo la società arrivi ad accumulare perdite superiori a un terzo del suo capitale. Una situazione in cui la legge impone l’abbattimento del capitale stesso e il suo contemporaneo aumento per riportarlo al minimo legale.
La scivolosità del caso non è sfuggita al collegio sindacale di Expo 2015 che, nel corso dell’assemblea che due settimane fa ha deliberato la messa in liquidazione della società, ha chiesto “chiarezza in relazione alla necessità di risorse per la liquidazione” stessa. Richiesta condivisa dal magistrato della Corte dei Conti, Maria Teresa Docimo, che ha sottolineato come la messa in liquidazione risponde “ad uno solo dei temi inseriti nella relazione degli amministratori, mentre non sono fornite risposte, nel merito, in relazione alla copertura dei costi sopportati dalla società successivamente alla data di chiusura dell’evento”. Tanto più che lo stesso Sala ha confermato che “le risorse sono sufficienti per le prossime 3-4 settimane”  e che “è importante rendere chiara la situazione al nominato organo di liquidazione”. Anche perché i liquidatori freschi di nomina – il prorettore della Bocconi Alberto Grando, Elena Vasco (Camera di Commercio), Maria Martoccia (ministero Finanze) e i confermati Domenico Ajello (Regione Lombardia) e Michele Saponara (Città Metropolitana) per i quali è stato fissato un compenso complessivo di 150mila euro – hanno 90 giorni per elaborare un progetto di  liquidazione. Per la scadenza, però, stando alle stime del cda, Expo 2015 avrà una carenza di liquidità di oltre 80 milioni di euro.
Nel frattempo, però, è imminente una finalizzazione degli accordi con Arexpo sulla gestione delle aree fino al 30 giugno 2016, quando i terreni torneranno sotto l’ala della società in cui sta facendo il suo ingresso il Tesoro. Le indicazioni dei soci di Expo 2015 ai liquidatori sono inequivocabili, in quanto auspicano “il compimento di una attività di rivitalizzazione di parti del sito Expo 2015 nella fase transitoria dello smantellamento del sito stesso, attuato preservando i valori del sito medesimo, secondo principi di sinergia fra le società Expo 2015 S.p.A. e Arexpo S.p.A., nel rispetto delle funzioni proprie di ciascuna delle due società”. I liquidatori, quindi, sono invitati ad individuare, tra i principali criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione, quelli preordinati alla realizzazione “di eventuali sinergie e collaborazioni tra Expo e Arexpo S.p.A;  anche con riferimento alla fase convenzionalmente denominata Fast Post Expo“. Cioè  l’evento previsto in concomitanza con la ventunesima Triennale Internazionale di Milano, tra aprile e settembre, che dovrebbe utilizzare l’area del Cardo.
Il punto non è secondario. Secondo i calcoli del vecchio cda di expo, infatti, per il 2016 la società ha bisogno di 58,3 milioni di euro: 39,6 per lo smantellamento e 18,7 per la chiusura dell’azienda. La somma andrebbe chiesta pro quota ai soci (pubblici) di Expo. Ma grazie al Fast Post Expo può essere ridotta di 19,5 milioni con il “ribaltamento dei costi sostenuti ad Arexpo”. E così agli azionisti di Expo toccherebbe sborsare “solo” 38,8 milioni: al ministero dell’Economia toccherebbero 15,5 milioni, alla Regione e al Comune 7,8 a testa, mentre la Provincia e alla Camera di Commercio ne dovrebbero versare 3,9 ciascuna. Resta da capire quanto costerà l’operazione sul lato Arexpo i cui soci, dopo l’ingresso del Tesoro, saranno ancora una volta lo Stato, la Regione e il Comune, oltre alla Fondazione Fiera Milano pur destinata a diluirsi fortemente.

Expo 2015 spa risultati 2015


mercoledì 27 gennaio 2016

Expo 2015, Sala: “Non sapevo dell’appalto dato da Fiera all’architetto De Lucchi”. Ma i documenti lo smentiscono. - Luigi Franco

Expo 2015, Sala: “Non sapevo dell’appalto dato da Fiera all’architetto De Lucchi”. Ma i documenti lo smentiscono

Il candidato alle primarie del centrosinistra per il Comune di Milano dice a Repubblica: "Nel caso di quell'appalto non avevamo fatto alcun nome". Il Corriere, però, pubblica un atto firmato dall'ad di Expo in cui è dimostrato l'esatto contrario. Ilfattoquotidiano.it, inoltre, ha scoperto che il professionista (lo stesso che ha ristrutturato la villa al mare di Sala) ha eseguito altri incarichi per l’esposizione universale: ecco quali.

Giuseppe Sala ce la mette tutta per rendere la sua posizione sempre più indifendibile. “Non sapevo dell’affidamento di Fiera, o certamente non lo ricordavo”, dice in un’intervista a Repubblica riguardo all’incarico per gli allestimenti del padiglione Zero e dell’Expo Center, curati da Michele De Lucchi. Lo stesso architetto che il manager ha fatto lavorare nella sua villa al mare di Zoagli (Genova). “Nel caso dell’appalto dato da Fiera, non avevamo fatto alcun nome”, aggiunge l’amministratore delegato di Expo e candidato alle primarie milanesi del centrosinistra. Peccato che nello stesso giorno il Corriere citi un documento in cui Expo il nome di De Lucchi a Fiera lo fa, eccome. E l’atto è firmato dallo stesso Sala: un’integrazione alla convenzione con cui Expo incarica Fiera della realizzazione degli allestimenti, in cui nero su bianco si premette che “al fine di procedere ad affidare la progettazione del Padiglione Zero, Expo spa ha acquisito una soluzione ideativa dall’architetto Michele De Lucchi”. Una premessa che legittimerà Fiera a dare il lavoro a De Lucchi, senza gara e per quasi 500mila euro più Iva, in modo da garantire la “continuità” con il professionista che si è già occupato del concept del padiglione per 110mila euro, questa volta su incarico di Expo, ma sempre senza gara.
Nulla che Sala abbia raccontato a Repubblica. O che abbia detto nella conferenza stampa di mercoledì, da lui stesso convocata per dare i suoi chiarimenti sui lavori eseguiti da De Lucchi nella villa al mare, ovvero il progetto “di una parte degli interni e delle finiture esterne della casa”. Per una parcella da 70mila euro più Iva. Ma la lista delle omissioni di Sala non si ferma qui. Ilfattoquotidiano.it ha scoperto infatti che l’architetto ha eseguito altri incarichi per l’esposizione universale. Ha lavorato per il padiglione di Intesa Sanpaolo, e soprattutto per il progetto della Via d’Acqua Sud, l’appalto affidato alla Maltauro e finito al centro dell’inchiesta che nell’ottobre del 2014 ha portato agli arresti dell’ex vice commissario di Expo Antonio Acerbo e di Domenico Maltauro. Un secondo filone scaturito dalle indagini che qualche mese prima avevano scoperchiato la “cupola degli appalti” di Gianstefano Frigerio e Primo Greganti, facendo finire in carcere Angelo Paris, in quel momento braccio destro di Sala in Expo, ed Enrico Maltauro, l’allora amministratore delegato della società di costruzioni.
Ebbene, tra i consulenti della Malturo che hanno contribuito a disegnare il progetto della Via d’Acqua Sud c’era anche lo studio di De Lucchi. Niente di illecito. Solo che questo Sala non lo ha detto. Anzi, parlando della sua casa a Zoagli, il candidato alle primarie si è preso pure il lusso di scherzare: “Se De Lucchi ha ricevuto 110mila euro per il Padiglione Zero e 70mila da me per una casa, ciò dimostra che sono un bravissimo negoziatore quando si tratta di soldi pubblici e non quando sono i miei”. Una mezza verità. Come detto, l’archistar ha incassato anche 500mila euro per gli allestimenti del padiglione Zero e dell’Expo Center da Fiera Milano. Oltre che altri 59mila euro ricevuti da Expo, per l’ideazione e il concept dell’icona itinerante Agorà.
Somme da aggiungere a quanto fatturato a Intesa Sanpaolo. E a Maltauro, per la consulenza sulla Via d’Acqua Sud, un appalto originariamente affidato per 42,5 milioni di euro, poi scesi a 13 per la riduzione dei lavori decisa in seguito alle proteste dei comitati No Canal. Quanto sia stato il compenso per De Lucchi, ilfattoquotidiano.it  lo ha chiesto al suo studio, che però non ha fornito dettagli in quanto tali informazioni “riguardano privati rapporti contrattuali”. Ieri Sala diceva di non avere “niente da nascondere sugli incarichi all’architetto. Ho parlato solo di quelli di Expo Spa, perché è questa la società che amministro”. Resta che l’aspirante sindaco non ha detto tutta la verità. E tra le cose che ha omesso, una riguarda documenti da lui stesso firmati. E l’altra è legata a un appalto che ha già fatto scandalo.

mercoledì 18 novembre 2015

Nova Milanese: la ciclabile per raggiungere in bici Expo è stata inaugurata....a Expo finito. - Pier Mastantuono

Nova Milanese: la ciclabile  per raggiungere in bici Expo è stata inaugurata....a Expo finito
Il taglio del nastro della pista ciclabile

Taglio del nastro per la pista ciclopedonale di Nova Milanese, quella scelta e finanziata dalla Regione per raggiungere in maniera ecologica Expo 2015. L’intervento di Nova, insieme a quello gemello di Palazzolo a Paderno Dugnano, è stato pensato proprio per implementare e incentivare gli spostamenti senza auto.

Taglio del nastro per la pista ciclopedonale di Nova Milanese, quella scelta e finanziata dalla Regione per raggiungere in maniera ecologica Expo 2015. L’intervento di Nova, insieme a quello gemello di Palazzolo a Paderno Dugnano, è stato pensato proprio per implementare e incentivare gli spostamenti senza auto. Lungo corsi d’acqua come il Villoresi che ha contribuito a creare le vie d’acqua, uno dei fattori di maggior successo e suggestione della grande esposizione internazionale appena chiusa. E il sindaco Rosaria Longoni, ma anche il vertici del Parco Nord e del Parco del Grugnotorto non sono mancati al taglio del nastro della pista di via Dalmazia. Duecento metri di percorso sul versante sud del Villoresi che conducono direttamente alla Roggia di San Martino, a sua volta recentemente recuperata dopo decenni di abbandono e discariche abusive. Duecento metri che dopo la chiusura della vicina Nova Ambiente, la fabbrica degli odori e delle irregolarità, assumono un significato anche più importante simbolico per chi da anni si batte contro l’inquinamento prodotto dal sito di smaltimento rifiuti di via Galvani. E mentre le autorità e i cittadini procedevano con l’inaugurazione, decine di sportivi hanno continuato a percorrere entrambi i lati di pista ciclabile che costeggiano il Villoresi. A riprova che opere del genere sono richieste, necessarie e gettonate. Non solo per motivi di recupero e attenzione ambientale.

lunedì 11 maggio 2015

Latouche: "L'economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza". - Giuliano Balestreri

Latouche: "L'economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza"
Serge Latouche 

Il teorico della decrescita felice interviene al Bergamo Festival: "Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio". E poi critica l'Expo: "E' la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori. Serve un passo indietro, siamo ossessionati dall'accumulo e dai numeri".

MILANO - "La globalizzazione è mercificazione". Peggio: "Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio". E ancora: "L'Expo è la vittoria delle multinazionali, non certo dei produttori". Serge Latouche, francese, classe 1940, è l'economista-filosofo teorico della decrescita felice, dell'abbondanza frugale "che serve a costruire una società solidale". Un'idea maturata anni fa in Laos, "dove non esiste un'economia capitalistica, all'insegna della crescita, eppure la gente vive serena".

Di più: la decrescita felice è una delle strade che portano alla pace. E Latouche ne parlerà il 12 maggio al Bergamo Festival (dall'8 al 24 maggio) dedicato al tema "Fare la pace", anche attraverso l'economia. L'economista francese, in particolare, si concentrerà sulla critica alle dinamiche del capitalismo forzato che allarga la distanza fra chi riesce a mantenere il potere economico e chi ne viene escluso. Ecco perché, secondo Latouche, la decrescita sarebbe garanzia e compensazione di una qualità della vita umana da poter estendere a tutti. Anche per questo "considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l'ossessione della misura fa parte dell'economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio".

Abbiamo sempre pensato che la pace passasse per la crescita e che le recessioni non facessero altro che acuire i conflitti. Lei, invece, ribalta l'assioma.
Fa tutto parte del dibattito. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d'oro, tra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un'intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell'accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti. 

Una guerra?
Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E' una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all'abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali.

Un cambio rotta radicale. Sapersi accontentare, essere felici con quello che si ha non è certo nel dna di una società improntata sulla concorrenza. 
E' evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale. Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita. Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l'obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi. La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dalla stato sociale e diventa distruttiva. Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell'importanza che ha realmente.

I consumatori però possono trarre beneficio dalla concorrenza. 
Benefici effimeri: in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi. Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall'agricoltura occidentale. Stiamo assistendo a una guerra. Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali. E per i piccoli non c'è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata. Il Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l'ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori.

Come si fa la pace?
Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall'invenzione dell'economia. Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati. Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità. Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta. Il progetto economico, capitalista è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro. Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società. Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre economica, ci vorranno secoli per tornare indietro.

Oggi preferisce definirsi filosofo, ma lei nasce come economista. 
Sì, perché ho perso la fede nell'economia. Ho capito che si tratta di una menzogna, l'ho capito in Laos dove la gente vive felice senza avere una vera economia perché quella serva solo a distruggere l'equilibrio. E' una religione occidentale che ci rende infelici.

Eppure ai vertici della politica gli economisti sono molti. 
E infatti hanno una visione molto corta della realtà. Mario Monti, per esempio, non mi è piaciuto; Enrico Letta, invece, sì: ha una visione più aperta, è pronto alla scambio. Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale. Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neozapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia. Ma ci sono esempi anche in Europa: Syriza in Grecia e Podemos in Spagna si avvicinano alla strada. Insomma vedo molto passi in avanti.

A proposito, Bergamo è vicina a Milano. Potrebbe essere un'occasione per visitare l'Expo.
Non mi interessa. Non è una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come Coca Cola. Mi sarebbe piaciuto se l'avesse fatto il mio amico Carlo Petrini. Si poteva fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma questo no, non mi interessa. E' il trionfo della globalizzazione, non si parla della produzione. E poi non si parla di alimentazione: noi, per esempio, mangiamo troppa carne. Troppa e di cattiva qualità. Ci facciamo male alla salute. Dovremmo riscoprire la dieta meditterranea. Però, nonostante tutto, sul fronte dell'alimentazione vedo progressi. Basti pensare al successo del movimento Slow Food.


http://www.repubblica.it/economia/2015/05/10/news/latouche_decrescita_felice-113782708/?ref=fbpr

sabato 9 maggio 2015

I tromboni dell'Expo. - Marco D'Eramo



Indovinello: cosa vi fanno venire in mente i nomi di Genova, Daejon, Lisbona, Hannover, Bienne, Aichi, Saragozza? Scommetto che nessuno ha in tasca la risposta esatta: queste città sono state sedi delle Expo rispettivamente del 1992, 1993, 1998, 2000, 2002, 2005, 2008. Questo per dire quanto indelebile è stata la traccia lasciata dalle più recenti Esposizioni universali nella memoria planetaria. 

Chi di noi ricorda che nel 2002 Bienne fu sede di una Expo? E dove si trova Bienne? (Svizzera).
Peggio: quale marchio ha lasciato nei nostri cuori Yeosu? Eppure questa città è stata sede dell'ultima Expo (2012) prima di quella di Milano: appena trentasei mesi fa. Non propongo neanche la domanda di riserva per sapere di quale nazione è Yeosu (Corea).

In soli pochi anni oblio e indifferenza hanno sepolto quegli eventi. Basterebbe questa costatazione a svelare il patetico provincialismo con cui l'italico rullio di tamburi mediatici ha accompagnato l'inaugurazione dell'Expo milanese. Verrebbe da parafrasare la fulminante battuta di un presentatore a un concerto di jazz di qualche anno fa: “Ecco a voi il meglio del trombonismo italiano”, solo che in questo caso “trombonismo” non si riferisce al trombone sostantivo, ma al trombone aggettivo.

“Il mondo ci guarda”, “Milano è tornata capitale”, “venti milioni di visitatori”, “decine di migliaia di nuovi posti di lavoro”, e così via con le iperboli, quando il resto della Terra continua a essere in tutte altre faccende affaccendato e consacra a questo evento epocale della nostra storia qualche trafiletto dedicato più che altro agli scontri, o alle tangenti, o a pezzi di stand che crollano.

Ma che importa, non siamo qui per lesinare un superlativo. La Repubblica non si risparmia: “Milano al centro del mondo” titola, mentre La Stampa prevede sicura: “Per sei mesi il mondo guarderà all'Italia”, ed Il Secolo XIX lancia il guanto (sempre al mondo): “La sfida dell'Italia”. Un editoriale del Corriere della Sera è rotto dal magone: “L'emozione di essere al centro del mondo”. Il timore del ridicolo non spaventa nessuno, tanto meno L'Avvenire che, dopo un'affermazione per lo meno discutibile (“Il mondo è all'Expo”), si pone un quesito comico: “Ma sarà più giusto?”. Come diavolo fa la presenza di alcuni stand in un'Esposizione a rendere il nostro pianeta più o meno equo?

Il fatto più stupefacente è che tra tanti dotti opinionisti, commentatori ed esegeti, nessuno abbia ripercorso non la storia aneddotica delle varie expo universali (elargitaci a piene mani), ma il loro significato e declino: come mai sono state inventate le esposizioni universali? A che scopo? È curioso che nessuno si sia chiesto come mai agli albori del terzo millennio poniamo tanta enfasi su un'idea che è ottocentesca in tutto e per tutto, non solo perché fu l'800 a inventare le Esposizioni universali (la prima si tenne nel 1851 a Londra), ma perché l'800 inventa la società industriale il cui elemento nevralgico diventa la merce di cui deve moltiplicare i consumatori. In una pagina fulminante del saggio “Parigi capitale del XIX secolo” Walter Benjamin scriveva (nel 1935): “Le esposizioni universali sono luoghi di pellegrinaggio al feticcio merce. 'L'Europe s'est déplacée pour voir des marchandises' dice Taine nel 1855”.

Ma non è merce qualunque quella che le Esposizioni universali ottocentesche mostrano, è la marcia del Progresso che viene esibita attraverso di loro: nel 1851 furono svelati per la prima volta il caucciù e la mietitrice meccanica; nel 1855 (Parigi) destò ammirazione la macchina da cucire Singer; nel 1867 (Parigi) strabiliarono ascensore, macchina per produrre bevande gassate e cemento armato; nel 1876 a Philadelphia fu presentato il telefono e anche il ketchup.

Poi i brevetti e con essi il segreto industriale ebbero il sopravvento e le innovazioni non furono più rivelate ai quattro venti: le Esposizioni persero a poco a poco il loro carattere di antro delle meraviglie della scienza e della tecnica, anche se questo retaggio continuò a risuonare nell'Expo di Bruxelles del 1958 (dedicata all'energia atomica) in cui l'Urss mostrò un esemplare di Sputnik, la prima navicella spaziale; e poi ancora a Osaka nel 1970 quando il Giappone presentò il primo treno superveloce.

Il Progresso con la P maiuscola non riguardava solo le merci, ma investiva tutta la società, la sua gestione dello spazio, la sua architettura. Non per nulla il simbolo della prima Expo londinese del 1851 fu il Palazzo di Cristallo (in realtà in ferro e vetro) che sarebbe stato il prototipo di tutte le armature metalliche successive e che avrebbe ispirato tutta l'edilizia moderna. Come non parlare della Tour Eiffel simbolo dell'expo universale parigina del 1889, il cristallo di atomi di ferro simbolo di Bruxelles 1958, o dello Space Needle (l'Ago Spaziale) di Seattle. Ma anche il Colosseo quadrato dell'Esposizione Universale Romana (Eur) del 1942 (che non si sarebbe mai tenuta) aveva l'ambizione di raffigurare le ultime tendenze architettoniche, in quel caso del neoclassicismo unito al razionalismo italiano.

Ma alla fine degli anni '60 del secolo scorso l'ideologia del Progresso perdeva colpi e perdevano senso le Expo a esso dedicate: da allora nessuna Expo ha sciorinato le meraviglie del possibile: non hanno esposto neanche un computer. E perdevano colpi i simboli architettonici: i padiglioni sono stati costruiti vieppiù sotto il segno dell'effimero, per essere smontati battenti chiusi.

Ma senza lasciarsi andare troppo alla nostalgia: perché quelle esposizioni “progressiste” esponevano anche quello che l'ineffabile Rudyard Kipling chiamò il “White man's burden”, “il fardello [civilizzatore] dell'uomo bianco”, esponevano perciò l'opera “civilizzatrice” dell'Occidente e, per farlo, dovevano esporre i selvaggi. Furono le grandi esposizioni universali a istituire infatti gli Zoo umani, padiglioni in cui veniva ricostruito l'habitat di tribù africane o malgasce o indonesiane dove famiglie di indigeni venivano esposte alla curiosità dei visitatori. Né c'è da inorridire: anche quelle erano esposizioni buoniste, che semplicemente riflettevano l'”imperialismo umanitario” del tempo. Ricordiamo che l'ultimo Zoo umano fu esposto nell'Expo di Bruxelles addirittura nel 1958.

Ma allora ci si chiede che senso ha oggi allestire un'esposizione universale, se non come occasione per varare qualche grande cantiere, sdoganare – sotto la voce “promozione di mercato” – qualche spesa pubblica in un'era in cui le spese pubbliche socialmente utili (investimenti nella scuola, nella sanità nel welfare) sono considerate “sprechi” da riformare secondo i suggerimenti di tutte le trojke del mondo. È la ragione per cui la retorica dell'Expo oscilla sempre tra l'epica e il pizzicagnolo.

L'epica è quella della retorica nazionalista della sfida al mondo che abbiamo già visto e che ci ricorda irresistibilmente l'Eur fascista, anche allora voluta da Bottai nel 1935 per “mostrare al mondo il Genio della Civiltà italica”: sono passati 80 anni e sempre alle stesse guasconate da Italietta siamo restati. E l'odore di regime esala di nuovo, 80 anni dopo, irrespirabile dal coro ditirambico degli italici media. 

Non solo il paragone regge, ma è persino sconfortante perché dell'Eur 1942 sono almeno rimaste tracce durature che ancora sono studiate nei manuali di architettura, mentre c'è da chiedersi cosa resterà dell'Expo milanese. Ma soprattutto perché il genio italico cui allora ci si riferiva era quello così pomposamente decantato nell'iscrizione sul Colosseo quadrato (“Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori...”), mentre il genio attuale si dispiega facendo rientrare (sussumendo) l'universo mondo nel modello Eataly: cosa è questa fiera se non un Eat-world? In questo particolare, mantenendo una curiosa fedeltà con le Expo dell'800. Osservava infatti Benjamin: “La 'specialità' è una designazione merceologica che fa la sua apparizione in quell'epoca nell'industria di lusso. Le esposizioni universali costruiscono un mondo fatto di 'specialità' (…) Modernizzano l'universo”. E cosa sono gli stand gastronomico-alimentari se non una fiera di specialità? Lardi di Colonnata, amaretti di Saronno, capperi di Pantelleria, orizzonti insuperabili della nostra epoca.

Ci ricongiungiamo qui al pizzicagnolo che non solo espone negli stand bresaole e tomini, ma lucra e fa la cresta su ogni sua “specialità”: l'animo da droghiere ispira i miseri conticini della spesa, i calcoli sui profitti immediati che ogni italico, guicciardiniano “particulare” può trarne: ci viene infatti annunciato in trionfo (da La Provincia) che “L'expo può far decollare Como”: Ohibò!
Mentre Il Secolo XIX s'inalbera piccato con un'importante notizia di spalla in prima pagina:

“Liguria beffata
all'Expo: niente
assaggi di pesto
pizza libera”

Non resta che pestare i vil marrani partenopei.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-tromboni-dellexpo/

martedì 14 ottobre 2014

Expo: ai domiciliari Acerbo e altri due.




Arrestati imprenditore Domenico Maltauro e manager azienda Tagliabue.

(ANSA) - MILANO, 14 OTT - Antonio Acerbo, l'ex responsabile del Padiglione Italia di Expo è finito agli arresti domiciliari nell'ambito dell'inchiesta dei pm di Milano Claudio Gittardi e Antonio D'Alessio insieme all'imprenditore Domenico Maltauro, il cugino di Enrico, e ad Andrea Castellotti, manager della società Tagliabue.   
Ad Antonio Acerbo circa un mese fa era stata notificata un'informazione di garanzia con l'accusa di corruzione e turbativa d'asta, reati, secondo l'accusa, commessi a Milano tra il 2012 e il luglio del 2013 in relazione all'appalto per le vie d'acqua. 
Sotto la lente degli inquirenti erano finiti alcuni contratti di consulenze sospette tra cui quello fatto ottenere al figlio (ora indagato per riciclaggio) da circa 30 mila euro. Nei giorni scorsi Acerbo si era dimesso dalla carica di sub commissario Expo e da quella di responsabile del Padiglione Italia. Il gip Fabio Antezza ha posto, accogliendo la richiesta della Procura, ai domiciliari anche il cugino dell'imprenditore Enrico Maltauro e Andrea Castellotti, impegnato nei lavori per il Padiglione Italia. Il giudice ha respinto invece una nuova richiesta di arresto per Enrico Maltauro da poco rimesso in libertà.
In un comunicato stampa firmato dal procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati viene spiegato che, nell'ambito delle indagini coordinate dai pm Claudio Gittardi e Antonio D'Alessio, ''è stata notificata oggi dalla Guardia di Finanza di Milano l'ordinanza di misure cautelari degli arresti domiciliari emessa dal gip di Milano Fabio Antezza'' nei confronti di tre persone: ''Antonio Acerbo, nato a L'Aquila il 22 aprile 1949, responsabile unico del procedimento (Rup) di Expo 2015 Spa della gara d'appalto 'Vie d'acqua sud'; Giandomenico Maltauro, nato a Vicenza il primo agosto 1948, dipendente della società Maltauro Spa; Andrea Castellotti, nato a Milano il primo marzo 1965, facility manager Padiglione Italia Expo 2015 Spa, già direttore commerciale della società Tagliabue Spa''.
Tutti e tre gli arrestati sono accusati di turbativa d'asta e corruzione, reati che sarebbero stati commessi a Milano ''sino al 10 luglio 2013''. Per gli stessi reati, si legge ancora nel comunicato, ''si procede, in stato di libertà, nei confronti di Enrico Maltauro'', l'imprenditore vicentino arrestato lo scorso maggio nel primo filone dell'inchiesta sull'Expo, quello con al centro la cosiddetta ''cupola degli appalti''. Per questo filone i pm Gittardi e D'Alessio hanno chiesto già il processo con rito immediato a carico di sette persone, tra cui l'ex funzionario Pci Primo Greganti, l'ex parlamentare Dc Gianstefano Frigerio e l'ex senatore Fi Luigi Grillo. Lo scorso 17 settembre, invece, erano state effettuate le prime perquisizioni nella nuova tranche dell'indagine con un'informazione di garanzia a carico di Acerbo.
Gare truccate in cambio di consulenze per il figlio. Lo ipotizza la Procura di Milano nell'inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari l'ex manager di Expo Antonio Acerbo e altre due persone per le irregolarità negli appalti sulle 'vie d'acqua'. Al momento sono due i contratti finiti nel mirino dei pm.
Agli atti dell'inchiesta che ha portato agli arresti di tre persone, tra cui l'ex manager Expo Antonio Acerbo, ci sarebbe, da quanto si è saputo, anche la confessione dell'ad della società Tagliabue spa, Giuseppe Asti. L'ad, indagato e interrogato, avrebbe parlato della promessa di una consulenza da assegnare al figlio di Acerbo. 
Per l'indagine dei pm di Milano lo stesso Acerbo, in cambio di consulenze per il figlio, avrebbe imposto la Tagliabue nell'Ati guidata dalla Maltauro, e creato il bando per le 'vie d'acqua' poi da lui assegnato alla cordata 'amica'.