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mercoledì 31 marzo 2021

Sim Sala Bim. - Marco Travaglio

Se rinasco, voglio essere Beppe Sala. Conoscete un ragazzo più fortunato di lui? Io no. Fa il “city manager” a Milano nella giunta di destra della Moratti (dicesi Moratti) e tutti lo scambiano per un compagno e lo eleggono sindaco col centrosinistra, in cui decide chi entra e chi no, distribuendo gli appositi pass. Rilascia dozzine di interviste sul futuro del Pd, a cui però si scorda di iscriversi. Un mese fa, incassato il via libera del Pd alla ricandidatura a sindaco senza passare per le primarie, aderisce ai Verdi Europei (quelli italiani potrebbero riconoscerlo). E si traveste da Greta Thunberg che, se lo conoscesse, lo picchierebbe per le cementificazioni prima, durante e dopo l’Expo. Lui del resto, per farsela amica, l’ha paragonata ad Anna Frank, confondendo lo smog delle città con i lager della Shoah. Campione di legalità, all’Expo si scordò di quella polverosa pratica chiamata “bando di gara” e assegnò tutti gli appalti brevi manu. Uno lo truccò pure, retrodatando le carte, e fu condannato in primo grado a 6 mesi per falso in atto pubblico. Però, beninteso, “voglio l’assoluzione, non la prescrizione”: infatti in appello intascò la prescrizione e portò a casa. Ma nessuno se ne accorse: i giornali erano troppo occupati a lapidare Virginia Raggi, anch’essa imputata per falso, ma purtroppo assolta in primo e secondo grado. Peggio per lei. Fra l’altro lei, a inizio pandemia, si guardò bene dall’organizzare spritz corretti Covid e lanciare hashtag “Roma riparte” o “Roma città riaperta”, diversamente da lui a Milano: infatti, diversamente da lui, è una pessima sindaca. Né le venne in mente di dire “basta smart working, torniamo al lavoro”, come se gli smartworker poltrissero: roba che al confronto Carlo Bonomi è un illuminato imprenditore olivettiano. Fortuna che quell’ideona venne in mente a Beppe: Virginia l’avrebbero impiccata a Spelacchio.

Ad agosto Sala incontrò l’altro Beppe, Grillo, ma i giornaloni si dimenticarono di domandargli cosa ci fosse andato a fare. Lo scoprì Barbacetto: voleva la benedizione per fare il capo di Tim2 per la rete unica e mollare finalmente Milano, che non l’ha capito. Grillo rispose che non dipendeva da lui, infatti non se ne fece nulla. Sala riscoprì un’improvvisa passione per Milano. E si ricandidò a sindaco col Pd senza chiedere niente al Pd (tanto non è iscritto) né tantomeno al M5S (“meglio correre separati”). Proprio come la Raggi, che però almeno al M5S lo disse. Infatti a lei rompono le palle perché non ha il permesso del Pd ed è un “ostacolo”, un “inciampo”, una “minaccia” per l’alleanza giallorosa. Invece a lui nessuno dice niente. Ieri ha annunciato un’imminente “Lista Volt”, ma pare che non sia l’abbreviazione di Voltagabbana.

IlFattoQuotidiano

venerdì 8 gennaio 2021

Sala & Calenda, due “rivoluzionari” in cachemire rosé. - Gianni Barbacetto

 

Abbiamo aspettato tanto, ma poi, quando si è deciso, è partito col botto: “Mi ricandido per fare una vera rivoluzione”: così dice Giuseppe Sala. La “rivoluzione” la vuole fare in compagnia di un altro noto bombarolo, Carlo Calenda, autoproposto sindaco della Capitale. “È certamente un candidato credibile per Roma”, ha dichiarato Sala. Me li vedo, i due “rivoluzionari”, a chiacchierare in cachemirino pastello davanti al caminetto con i potenti delle due città. “Ci vogliono persone competenti al governo, per gestire la crisi sanitaria”, disse Sala, stupito che non avessero chiamato lui, competente per definizione, così competente da aver detto che #milanononsiferma, così competente da averla poi fermata, Milano, per non aver saputo spargere un po’ di sale, Sala: sono bastati dieci centimetri di neve a fine dicembre.

“Rivoluzione!”: ormai si è messo a capo del soviet di Brera, Sala, e sta preparando “la discontinuità e il cambiamento”: “La discontinuità è la consapevolezza che non si possa solo subire l’impatto della pandemia. Il cambiamento è inteso come i grandi temi che innervano le metropoli, dall’equità sociale all’ambiente. Con il Covid sento nella gente un’ambizione diversa nella gestione della propria vita in città. Le città stanno pagando salato il prezzo della pandemia, ma i milanesi vogliono vivere a Milano, solo in maniera diversa. In particolare ho in mente la questione ambientale e la mobilità. E quindi due macrorivoluzioni. La prima sul trasporto pubblico urbano ed extra urbano puntando su mezzi meno inquinanti. La seconda è muoversi meno, ovvero tutti i servizi nel raggio di 15 minuti a piedi o in bici”. Vedremo. Intanto Milano, per due anni prima nella classifica della vivibilità in Italia, è precipitata al dodicesimo posto (per il Sole 24 Ore) o al quarantacinquesimo (per Italia Oggi). E le parole altisonanti (“rivoluzione!”) coprono uno smarrimento e una mancanza di prospettive disarmanti. A Milano nell’ ultimo anno i ricchi (pochi) sono diventati più ricchi e i poveri (tanti) sono diventati più poveri.

L’unica rivoluzione possibile è bloccare questa tendenza e cercare di invertirla. Provare a ridurre le disuguaglianze. Per quello che può fare un amministratore di città, si tratta – come va ripetendo il direttore di Arcipelago Milano, Luca Beltrami Gadola – di difendere i beni comuni che i cittadini affidano al loro sindaco affinché li tuteli, li accresca e li difenda. Sala in questi anni ha fatto il contrario: li ha privatizzati, venduti, a volte svenduti. I beni comuni di cui Milano è ricca sono il suo territorio e il suo ambiente. Ci sono almeno 3 milioni di metri quadrati di territorio che nei prossimi anni devono trovare un loro nuovo destino: i sette scali ferroviari, l’area dello stadio di San Siro e dei contigui spazi dell’ippica, la Piazza d’Armi, il quartiere Rubattino, oltre all’area ex Expo che Sala conosce bene. Sì: si potrebbe davvero fare una “rivoluzione”, mettendo queste aree a disposizione dei cittadini, con più parchi e più servizi; Milano potrebbe diventare la metropoli più verde d’Europa e la sua aria potrebbe diventare meno avvelenata. La “rivoluzione” di Sala è invece un esproprio: i milanesi sono espropriati dei loro beni comuni, affidati a Fs (gli scali), a Milan e Inter (San Siro), ai grandi operatori immobiliari, Coima, Lendlease, Hines, in alleanza con banche e assicurazioni (Axa). Altro che “rivoluzione”: Sala ha lavorato – e promette di lavorare in futuro – per rendere Milano più “attrattiva”: per attirare cioè capitali, specie esteri, spesso anonimi e chissà se puliti o sporchi. Una città in vendita. Ai milanesi, le briciole: bei luoghi dove andare a vedere come vivono i ricchi, e periferie che restano periferie per tornare a dormire dopo il lavoro, per chi ce l’ha.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/08/sala-calenda-due-rivoluzionari-in-cachemire-rose/6058774/

sabato 19 dicembre 2020

Raggi e miraggi. - Marco Travaglio

 

L’altra sera a Otto e mezzo Carlo Calenda, reduce da un “tavolo” col Pd, ha dichiarato bel bello: “Il Pd mi ha detto che aspetta la condanna della Raggi per fare l’accordo con i 5Stelle”. Al che mi son detto: “Ora il Pd si affretterà a smentire quell’incredibile affermazione. Altrimenti verrà assalito da torme di garantisti veri o presunti, che avranno buon gioco a denunciare il giustizialismo dei dem e a domandar loro: quando mai abbiano fatto caso alla condanna di qualcuno per eliminarlo dalla vita politica; come facciano a sapere che oggi la Raggi sarà condannata in appello; e, ammesso e non concesso che lo sappiano, cosa si sognano di farlo sapere in giro, mettendo in imbarazzo i giudici che oggi si riuniranno in camera di consiglio e saranno in ogni caso condizionati dal preannuncio del Pd via Calenda: se condanneranno la sindaca, qualcuno dirà che l’avevano già deciso e comunicato al Pd prim’ancora di ascoltare la requisitoria e l’arringa, commettendo un reato; se la assolveranno, qualcuno dirà che han cambiato idea in extremis per smentire la fuga di notizie del Pd”.

Ma, incredibilmente, nessun dirigente Pd ha smentito la rivelazione di Calenda e nessun garantista all’italiana vi ha trovato nulla da ridire. Dunque si suppone che sia vero e normale che il Pd già sappia in esclusiva mondiale che oggi la Raggi sarà condannata e attenda soltanto la formalità chiamata “sentenza” per sedersi al tavolo col M5S per trattare su un altro candidato. Sempreché nel M5S prevalga la corrente dei trombati biliosi De Vito, Lombardi&C., il cui vasto programma politico per la Capitale è invariabilmente “Raggi fuori dalle palle”; e che tutti gli altri fingano di non vedere l’assurdità di un automatismo che non distingue fatti infamanti da accuse neutre, come l’interpretazione della parola “istruttoria” in una dichiarazione all’Anac su una nomina (processo Raggi) o un debito appostato nel bilancio comunale del 2018 anziché del 2016 con l’ok della Corte dei Conti (processo Appendino). Quando Lenin disse “Saranno i capitalisti a venderci la corda con cui impiccarli”, non immaginava che un giorno sarebbero arrivati i 5Stelle non a vendere la corda ai rivali, ma addirittura a regalarla. Infatti l’Appendino, dopo la ridicola condanna, si è autosospesa a norma di Codice etico e non si è ricandidata a Torino. E qualche 5Stelle spera nella condanna della Raggi per liberarsi anche di lei e coronare il sogno di una vita: diventare la ruota di scorta dei dem. I quali, mentre preannunciano a Calenda la condanna della Raggi come cosa fatta, si sono tenuti Beppe Sala sindaco di Milano dopo la condanna per lo stesso reato da cui era stata assolta la Raggi: il falso in atto pubblico.

Un falso che, diversamente da quello contestato alla Raggi senza uno straccio di prova a carico, anzi con tutte le prove a discarico, per Sala è documentale: la retrodatazione di due verbali di gara per il principale appalto di Expo, da lui firmati il 30 maggio con data 17, per sanarne ex post le gravi irregolarità. Condannato a 6 mesi, Sala giurava di non volere la prescrizione: infatti in appello l’ha incassata senza fare un plissé. E ora che si ricandida col Pd, nessuno gli ricorda il suo passato di falsificatore di appalti, anzi tutti esultano per la good news. Un minimo di coerenza, o di decenza, imporrebbe un solo metro di giudizio per tutti: se un sindaco colpevole di falso deve farsi da parte, la regola dovrebbe valere sia per Sala (condannato e prescritto, dunque ritenuto responsabile anche in appello) sia per la Raggi (in caso di condanna in appello dopo l’assoluzione in tribunale); o viceversa. Invece il falso della Raggi, finora assolta, è un reato da ergastolo. E il falso di Sala, confermato da due sentenze, è un falsetto da ridere. Ma la storia dei due gemelli diversi non finisce qui. Da quando la Raggi ha annunciato la sua ricandidatura per completare il lavoro svolto nel primo mandato, non passa giorno senza che i giornaloni deplorino la sua scelta come “ostacolo al dialogo col Pd” e “favore alle destre”, invitandola a “farsi da parte” per la compattezza dei giallorosa. Discorso già bizzarro in sé: chi l’ha detto che i candidati unitari M5S-Pd debba sceglierli sempre il Pd col 18% e mai il M5S col 33%?

I sindaci dopo il primo mandato devono potersi ricandidare per il secondo e, se si trova l’accordo, essere sostenuti dagli alleati: vale a Milano per Sala e a Roma per la Raggi; non vale a Bologna e a Napoli, dove Merola e De Magistris hanno esaurito i due mandati ed è giusto che M5S, Pd e LeU scelgano i nuovi candidati comuni. Se però si attacca la Raggi per la “corsa solitaria” che impedisce l’accordo giallorosa, bisognerebbe attaccare anche Sala per lo stesso motivo: tantopiù che ha già detto di non volere tra i piedi il M5S (se no, come fa a taroccare le carte degli appalti?). Invece Sala può, la Raggi no.

Comica finale: quello che “aspetta la condanna della Raggi” per farla fuori è lo stesso Pd che ha appena chiesto e ottenuto dalla Casellati di violare le regole del Senato per ridare il vitalizio a Del Turco, condannato per tangenti sulla sanità a 3 anni e 11 mesi e a risarcire l’Abruzzo con 700mila euro, ovviamente mai pagati. Lo stesso Pd che chiede a B., pregiudicato per frode fiscale, imputato per corruzione giudiziaria e indagato per strage, di entrare nella maggioranza in veste di “energia migliore”. A riprova del fatto che la politica è la prosecuzione del Circo Togni con altri mezzi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/19/raggi-e-miraggi-2/6042384/

giovedì 3 settembre 2020

Milano ora subisce i consigli sgangherati di Repubblica a Sala. - Gianni Barbacetto

coronavirus, “fuga” da milano - la stazione ferroviaria presa d'assalto -  Cronache
A settembre Milano riparte, ogni anno. Il vero Capodanno, sotto la Madonnina, è il 1° settembre, quando si riavviano i progetti e riprendono attività, lavori, affari. Quest’anno, dopo la pandemia, tutto è più lento e incerto. La città è cambiata, sente di non essere più quella di prima, è più povera, meno festosa, riesce a nascondere meno di prima le disuguaglianze e gli squilibri, la narrazione trionfale della metropoli vincente e invincibile si è incrinata.
Siamo in attesa di capire se lo sviluppo immobiliare, soprattutto terziario, si è fermato, se la bolla è pronta a scoppiare, ora che lo smart working ha fatto scoprire alle aziende, comprese le multinazionali, che hanno bisogno di sedi di un terzo più piccole di quanto hanno previsto finora.
Proprio per questo, sarebbe importante avere chiarezza, fin da subito, sul progetto per la ripartenza elaborato e proposto dal sindaco della città. Invece Giuseppe Sala fa i capricci: è stufo di fare il sindaco, da tempo coltiva progetti alternativi (il suo sogno sarebbe diventare il manager della nuova società telefonica, che sta nascendo proprio in queste settimane, per gestire la rete italiana; ma si sente pronto anche per un ruolo politico nazionale e per fare il ministro di un governo “rimpastato” dopo le elezioni regionali, oppure nuovo di zecca, la chimera tanto desiderata dai poteri incerti: il fantagoverno Draghi).
Sala sa che, se sarà costretto a ripresentarsi per il secondo mandato, la vittoria non è affatto certa. È stato eletto, nel 2016, con soli 17mila voti in più del suo avversario-gemello, Stefano Parisi, e alle elezioni del giugno 2021 potrebbe andargli male. Ma almeno si decida subito a dire se si ricandida o no, non tenga un’intera città e i suoi destini amministrativi appesi alle sue inquietudini esistenziali, alle sue ambizioni manageriali, alle sue irrequietezze politiche.
Invece, incredibilmente, c’è chi gli consiglia di tirare in lungo, anzi in lunghissimo. Una cosa mai vista. Un giornale (Repubblica) ha da tempo assunto il ruolo di tutor di Sala e ora gli consiglia di non sciogliere la riserva neppure, come promesso, dopo le elezioni regionali. Lasci tutti nell’incertezza, gli aspiranti successori che si stanno scaldando a bordo campo (Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran) e soprattutto i cittadini. “C’è una questione tattica, se non addirittura strategica, che consiglierebbe di prolungare l’attesa a Milano”, scrive Repubblica. “Non sappiamo quello che Sala deciderà di fare con la politica, ma è improbabile che ai cittadini di Milano serva sapere il prossimo ottobre se nel giugno 2021 voteranno per lui o no. Il milanese ha fretta, ma se capisce che ne vale la pena, sa anche aspettare”. Invece ai cittadini serve sapere. Serve sapere se sarà Sala o qualcun altro a candidarsi per guidare la città nella fase della ripresa post-Covid. Serve sapere quali sono le idee per una ripartenza che sarà difficile. Serve sapere se continueranno i grandi affari immobiliari, il consumo di suolo, l’erosione di aree verdi ripagata con qualche alberello piantato qua e là, i regali alle Ferrovie dello Stato (sugli scali ferroviari) e agli anonimi fondi che si nascondono dietro Milan e Inter (a San Siro).
Quale “questione tattica, se non addirittura strategica” può mai far restare la Milano democratica in surplace per mesi? In attesa che la destra cali l’asso, se ne ha uno, con la speranza di prendersi la mano? Le elezioni del sindaco sono diventate per Repubblica un gioco d’azzardo, invece che il più bel rito della democrazia dei cittadini?

giovedì 20 agosto 2020

Milano, Sala è “stanchino”. Nel Pd la guerra dei 2 Pier. - Gianni Barbacetto

Milano, Sala è “stanchino”. Nel Pd la guerra dei 2 Pier

Il sindaco vuole tornare a fare il manager, la coalizione già scricchiola.
Nessuno, nelle stanze della politica milanese, si è stupito per l’articolo del Fatto quotidiano che due giorni fa raccontava che Giuseppe Sala non ha voglia di ricandidarsi per il secondo mandato a sindaco di Milano. “È un segreto di Pulcinella”, dice un giovane esponente del Pd, “sappiamo tutti che Beppe è stufo di passare molte ore ogni giorno nel suo ufficio di Palazzo Marino e che da tempo sta cercando alternative di vita”. Da cinque anni sta facendo il lavoro più noioso e peggio pagato della sua carriera. Ora vuole cambiare. Ha ripetuto, nei mesi scorsi, una frase già pronunciata da Grillo: “Sono un po’ stanchino”.
Gli piacerebbe molto tornare a fare il manager in un business strategico come le telecomunicazioni, alla guida della Tim 2 che potrebbe nascere dallo scorporo delle reti Telecom, sotto la regia di Cassa depositi e prestiti. È il progetto che piace molto a Beppe Grillo, che Sala è andato a incontrare il 10 agosto nella sua casa di Marina di Bibbona, sul litorale livornese. È anche il sogno – segreto ma non troppo – di Sala, che ne ha parlato con più d’un interlocutore. Il sindaco sa però che Tim 2 è un piano ambizioso e ancora tutto da costruire. Sta dunque considerando anche altre alternative a Palazzo Marino, più politiche. È disponibile ad andare a Roma a fare il ministro in quota Pd, nel caso di un prossimo rimpasto di governo. È tentato comunque dal giocare un ruolo politico nazionale, diventando per il Partito democratico – oggi molto “sudista” – il punto di riferimento per un fronte del Nord: non gli dispiacerebbe insomma essere per il Pd di Nicola Zingaretti quello che Luca Zaia è per la Lega di Matteo Salvini. Sta considerando molte strade, Sala, tutte aperte e tutte da costruire pazientemente. Con il Partito democratico nazionale che invece sta facendo di tutto per farlo restare a Milano: per non avere un ennesimo leader a Roma a competere con gli altri leader; ma soprattutto per non rischiare di perdere Milano, che senza la ricandidatura di Sala nella primavera del 2021 potrebbe finire nelle mani del centrodestra. Più pragmatici i “ragazzi” del Pd milanese, che da tempo si stanno preparando all’eventualità che “Beppe” – di cui rispettano la forza, ma che in fondo hanno sempre considerato un estraneo a casa loro – non si ricandidi. Se corre per il secondo mandato, la coalizione che lo sostiene resterà unita, Pd, civici, renziani di Italia viva, radicali, Più Europa…; se imboccherà altre strade, l’alleanza salta e ognuno farà il proprio gioco. Ada Lucia De Cesaris, già vicesindaco di Giuliano Pisapia con ambizione (frustrata) alla sua successione, è pronta a candidarsi come sindaco. Per piantare la bandiera di Italia viva a Milano, ma soprattutto per non lasciare la strada tutta in discesa ai “due ragazzini” del suo ex partito, il Pd: Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran. Sono “i due Pier” già pronti a sostituire “Beppe”. Il primo, ex assessore all’assistenza, oggi è parlamentare europeo, eletto con ben 90 mila preferenze, ma non ha smesso un minuto di presidiare Milano. Il secondo, assessore all’urbanistica, sta seguendo tutte le grandi partite immobiliari, dall’area Expo agli scali ferroviari fino al nuovo San Siro, cercando di ammantare di verde milioni di metri quadri di nuove edificazioni. Il primo presidia l’ala sinistra, il secondo l’ala destra. “I due Pier” si dovranno confrontare nelle primarie, unica strada per dirimere ambizioni personali e scontri politici interni e trovare un candidato sindaco da presentare alla città. Le primarie potranno essere arricchite da altri partecipanti possibili, come (sull’ala sinistra) Paolo Limonta, maestro e assessore alla scuola, e (sull’ala destra) Anna Scavuzzo, vicesindaco di Sala e assessore alla sicurezza. Più difficile la discesa in campo di “indipendenti” e rappresentanti della cosiddetta società civile, anche se circolano i nomi di Tito Boeri, economista ed ex presidente dell’Inps, e di Ferruccio Resta rettore del Politecnico, che curiosamente è accreditato come candidato sia per il centrosinistra sia per il centrodestra.
Il gran rifiuto di Sala, insomma, aprirebbe conflitti e incertezze tali da poter aprire la strada al ritorno della destra a Palazzo Marino. Per questo il Pd nazionale ha già cominciato il pressing sull’attuale sindaco per convincerlo a restare: anche l’altro Beppe (Grillo) si era detto “un po’ stanchino”, ma non si è affatto tolto di mezzo.

giovedì 4 giugno 2020

I Migliorissimi. - Marco Travaglio

Sala e Calenda, le nuove ossessioni di Renzi - Lettera43
Non bastando quella dell’Innominabile, un’altra catastrofe letteraria sta per abbattersi sulle librerie italiane (e di riflesso sulla foresta amazzonica): quella di Beppe Sala, lubrificata a edicole unificate dai giornaloni. Il Corriere l’ha affidata alla lingua vellutata di Aldo Cazzullo, Repubblica l’ha fatta turibolare da tal Enrico Letta (giovane pubblicista di belle speranze soltanto omonimo dell’ex presidente del Consiglio), La Stampa ne ha pubblicato il brano più pregnante dal titolo “Non dobbiamo più temere di governare” (sottinteso: sono i cittadini a dover temere di essere governati da noi). Ne emerge un Sala di estrema sinistra, che votava già Pci e mai tradì “gli antenati del Pd” (infatti fu scelto in Pirelli come manager dal ramo trotzkista della famiglia, dove alla grisaglia del cumenda preferiva l’eskimo, e poi come city manager e commissario di Expo da Letizia Moratti, celebre reincarnazione di Anna Kuliscioff), insomma il filosofo anzi il teologo di “una sinistra spirituale” (parole sue) che ora “parla a chi continua a cercare in politica la formula magica per unire il sogno con la realtà”, a mezzadria fra Moro, Dossetti e Prodi (parola di Letta jr.).
Nessun accenno, ci mancherebbe, ai buchi e alle retate di Expo2015. Né a quella quisquilia della condanna a 6 mesi per falso in atto pubblico. Né alle vaccate dette e fatte sul Coronavirus, quando invitava i milanesi ad ammassarsi negli apericena, contribuendo alla diffusione del virus, come se non bastassero quegli altri geni di Fontana&Gallera. Altrimenti non potrebbe distribuire patenti di competenza al governo. Che sì, per carità, fa quel che può, ma ora ci vuole un bel rimpasto per “mettere in campo i migliori”, “persone che abbiano una storia alle spalle, che abbiano gestito organizzazioni complesse”. Tipo lui. Chi ha letto qualche libro sa che il governo dei migliori si chiama da parecchi millenni aristocrazia ed è lievemente incompatibile con la democrazia. Ma noi, gente semplice, quando sentiamo “governo dei migliori”, ci domandiamo subito chi sarebbero costoro e chi dovrebbe deciderli. Nel 2011, quando B. ci fece la grazia di defungere politicamente, speravamo di votare. Ma un anziano monarca seduto al Quirinale decise che non fosse il caso di farci scegliere chi dovesse governarci: temeva che scegliessimo i peggiori. E ci pensò lui: dal suo cilindro uscirono Monti, Fornero, Passera e altri migliori che in un anno e mezzo riuscirono a far rimpiangere i peggiori. Tant’è che nel 2013 il M5S passò da 0 al 25,5%, pareggiando col Pd: Re Giorgio dovette farsi rieleggere per ricacciarli indietro e piazzare Letta jr., B., Alfano e altri migliorissimi.
Poi vennero l’Innominabile&famiglia con Verdini incorporato. Che si convinsero di essere talmente migliori da non accorgersi che gli elettori li schifavano come peggiori, almeno finché non lo scoprirono dalle urne del 2018. Lì vinsero i peggiorissimi, che espressero un premier degno di loro: quello che ci ha portati fuori dalla pandemia e gode di vasti consensi (diversamente dal migliore Macron, praticamente estinto), ma è ovviamente inviso ai migliori. Che passano i giorni ad architettare governi dei migliori. Non c’è solo Sala: c’è pure Calenda, cioè la prova vivente del fatto che “democrazia significa governo degli incolti, mentre aristocrazia significa governo dei maleducati” (G. K. Chesterton). L’altra sera quell’anima in pena di Carletto, che vanta più ospitate in tv che voti, parlando del governo scuoteva la capa e il doppio mento con l’aria di chi la sa lunga: eh no, signora mia, così non va, “ci vuole un governo dei migliori”. Via Conte, “troppo trasformista”: meglio uno lineare come Calenda, che stava in Confindustria, in Ferrari, in Italia Futura con Montezemolo, nella Lista Monti, nei governi Renzi e Gentiloni, nel Pd da renziano e poi da antirenziano e ora è in Azione (di cui è fondatore e unico esponente).
E i ministri migliori? Risatina di sufficienza, come a dire: ci ho la fila sotto casa, basta chiedere. Anzitutto Giorgetti, quello che due anni fa aveva già capito tutto della sanità pubblica (“Ma chi ci va più dal medico di base?”). Poi Zaia (che però fa il presidente del Veneto, sta per essere rieletto e non parrebbe proprio interessato). Ma anche Bonaccini (appena rieletto presidente dell’Emilia-Romagna e dunque anche lui ansioso di entrare nel governo Calenda che, ove mai nascesse, crollerebbe in giornata). E altri due nomi che ti vengono in mente appena pensi ai migliori: il meloniano Crosetto, passato da sottosegretario alla Difesa alla presidenza Aiad (aziende del ramo difesa); e la forzista Gelmini che, non paga di aver tentato di abbattere la scuola pubblica riuscendoci solo in parte, sta ancora cercando i neutrini nel tunnel Gran Sasso-Cern. Chi dovrebbe sostenere in Parlamento questo governo dei migliori, né Sala né Calenda lo spiegano, anche perché in Parlamento non siede né l’uno né l’altro. Però ne parlano, col mignolino alzato all’ora del tè. E tutti gli vanno dietro, più per noia che per convinzione. Poi, quando si arriverà al dunque e si vedranno le carte, si scoprirà che i migliori sono dei peggiori che non ne hanno mai azzeccata una e nessuno si filerebbe se non si spacciassero per migliori. Con una sola eccezione, come diceva Montanelli: “L’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto è il bordello”.

giovedì 28 maggio 2020

Expo2015, il sindaco di Milano s’inventa l’utile da 40 milioni. - Gianni Barbacetto

Expo: chiesti 13 mesi per sindaco Sala - Lombardia - ANSA.it
A tornare sull’argomento Expo è stato lui, Giuseppe Sala. “La società Expo 2015 in liquidazione presenta dei conti che riassumono dieci anni di percorso con un avanzo, quindi un utile, di 40 milioni”, ha dichiarato qualche giorno fa. “Il tormentone del buco da 200 o 400 milioni è finito. Questa storia per me finisce ieri”. È una storia italiana di successo, di “competenza, onestà e dedizione”. Proprio così: “Vi dico queste cose al di là del fatto che per me è una grande soddisfazione anche perché penso che in momenti difficili come questi bisogna poter dire e poter pensare che pur in un Paese difficile come il nostro, pur in momenti storici a volte anche cattivi come questo, si può fare. Si può fare se si ha competenza, onestà e dedizione, le caratteristiche di chi ha lavorato con me”.
Tutto a posto, tutto bene, dice dunque il commissario Expo diventato sindaco di Milano: la storia di Expo finisce con un “utile” di 40 milioni. Un “utile”? Proviamo allora a spiegare al manager Sala, in maniera facile facile, che cos’è successo davvero, visto che evidentemente non si è ancora ripreso dall’aperitivo sui Navigli di #milanononsiferma e continua a mostrarsi appannato e mal consigliato (vedi foto a braccia conserte sul tetto del Duomo con in cielo le Frecce tricolori).
Metti che un padre consegni al figlio preferito una cifra consistente, diciamo 2 miliardi e 300 milioni di euro, affinché apra un’attività. Il figlio progetta e realizza un grande bazar internazionale provvisorio. Le spese sono molte, i clienti sono meno del previsto, per attirarli è necessario fare prezzi stracciati e alla fine gli incassi non superano i 700 milioni. Chiusa l’attività e fatti i conti, il figlio si ritrova in tasca 40 milioni. Che cosa racconterà? Di aver chiuso l’operazione con 40 milioni di utili?
A Expo è andata esattamente così. Sono stati messi nell’impresa 2 miliardi e 300 milioni di denaro pubblico. Impiegati per la realizzazione dell’evento (1,3 miliardi) e per la sua gestione (circa 1 miliardo). Gli incassi (da biglietti, sponsorizzazioni, royalties) sono stati 700 milioni. A questi si aggiungono 75 milioni pagati da Arexpo per l’urbanizzazione delle aree su cui si è svolta l’esposizione universale. Dunque sono stati spesi 1 miliardo e 525 milioni, da cui vanno tolti i 40 milioni avanzati. So che è brutto chiamarlo “buco” o “rosso”, allora chiamatelo come volete, ma 1 miliardo e 485 milioni non sono mica rientrati nelle casse del padre premuroso.
Poi si puo dire che Expo ha fatto benissimo a Milano e all’Italia, che si sapeva fin dall’inizio che manifestazioni come l’esposizione universale non hanno il fine di chiudere in pareggio ma di sviluppare l’economia, che il famoso indotto ha portato soldi e benefici, che Milano pesa per il 12 per cento del pil nazionale e c’è chi giura che Expo 2015 sia stata la magica svolta che l’ha fatta diventare una delle grandi metropoli del mondo.
Io aspetto pazientemente le prove di questa melassa autocelebrativa, i numeri e gli argomenti capaci di dimostrarlo. Negli ultimi anni è cresciuta a dismisura una retorica stucchevole che ha celebrato in modo irragionevole una città che ha perso le sue fabbriche, indebolito il suo tessuto produttivo, venduto i gioielli di famiglia a cinesi (Pirelli) e arabi (Porta Nuova), ridotto la sua gloria ad aperitivi e food, locali e movida. Ora la pandemia rischia purtroppo di mostrare che il re è nudo, che l’eccellenza lombarda è fragile. La ripartenza andrà realizzata con un po’ più di modestia e senso di realtà. Senza spacciare, per favore, gli avanzi per utili.

sabato 11 febbraio 2017

#10FallimentiDiSala e del Pd a Milano (censurati dai giornali) - Gianluca Corrado, Patrizia Bedori, Simone Sollazzo - consiglieri M5S Milano

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Sei mesi di giunta Sala a Milano. Che ha fatto Mister Expo, a parte la farsa dell'autosospensione in seguito all'avviso di garanzia? Nessuno lo sa. I giornali non si sono mai curati di lui, neppure quando è stato indagato: la città è un buco nero dell'informazione. Qui potrebbe succedere di tutto senza che nessuno se ne accorga. Per esempio una notizia censurata da tutti i media: ieri la Finanza è entrata al Comune di Milano, dove ha sequestrato tutta la documentazione afferente le opere Expo realizzate al Palazzo di giustizia. 
Qualcuno di voi l'ha saputo? No. 
Nessun giornale o tg ne ha parlato. Ora immaginate per un istante cosa sarebbe successo se la stessa cosa fosse successa a Roma. Non si sarebbe parlato d'altro per mesi. Ma cosa ha fatto quindi in questi mesi? Di seguito 10 punti: dal conflitto di interesse con l'assessore suo socio all'assessora che non vuole pubblicare il suo reddito come prevede la legge. Buona lettura e fate un'opera buona per l'informazione: diffondete il più possibile!

1) I confilitti di interesse: a parte quelli personali del sindaco, derivanti dai suoi pregressi incarichi, ve ne sono parecchi, almeno potenziali, all’interno della giunta. Roberto Tasca si occupa delle casse del Comune dopo aver fatto affari con Sala (entrambi sono fondatori di Medhelan Management & Finance e soci di Kenergy, impresa che produce energia fotovoltaica), essere vicepresidente di Webank e di Bpm e presidente dell'organismo di vigilanza del Fondo Strategico Italiano e della Simest. Molti dei più stretti collaboratori di Sala sono stati scelti dal sindaco proprio dal mondo bancario: Arabella Caporello (Banca popolare di Milano) come direttore generale del Comune, Cesare Ferrero (ex Bnp Paribas) alla presidenza di SoGeMi, Giovanni Gorno Tempini (da Cassa Depositi e Prestiti) come presidente di Fondazione Fiera.

2) Expo: considerato un successo planetario dallo stesso sindaco e da tutto il Pd, in realtà è stato ben altra cosa. Basti pensare che, secondo i calcoli della Magistratura contabile, l’esercizio 2015 si è chiuso con una perdita di 23,8 milioni di euro a fronte di un miliardo e 200 milioni di ricavi. Molte le criticità messe in luce dai giudici contabili: in primis, la «alterazione del principio della concorrenza in molti appalti» dovuta alle deroghe riservate ad Expo dalle norme per la necessità di terminare le opere.

3) Le indagini
: Sala è indagato nell’inchiesta sulla piastra Expo. Durato poco il teatrino dell’autosospensione a dicembre, al sindaco sarebbero contestati reati quali il falso ideologico e il falso materiale. Le indagini della Procura Generale proseguiranno fino a giugno.

4) Cascina Merlata: bisogna fare un passo indietro nel 2011, quando si decide di costruire il nuovo quartiere di Cascina Merlata e, in un'area attigua, un albergo. Nel 2013, però, a Expo 2015 Spa si accorgono che non è stato previsto uno spazio per il parcheggio dei pullman turistici. L'area che dovrebbe diventare un albergo sembra perfetta: abbastanza grande e abbastanza vicina al sito di Expo. Cascina Merlata Spa, proprietaria dei terreni, per realizzare il parcheggio temporaneo sulla sua area chiede a Expo s.p.a., di intercedere con il Comune per ottenere una integrazione dell'accordo di programma. A dicembre 2016, il Consiglio Comunale approva la delibera, consentendo così l'estensione sull'area dell'ennesimo centro commerciale monstre. Il sindaco Sala scappa dall’aula al suono della campana che annuncia il voto.

5) Patto parasociale A2A:
 la firma del nuovo parasociale tra il Comune di Milano e il Comune di Brescia in merito alla partecipazione detenuta in A2A risponde a un interesse tutto partitico, contrario all’interesse e al bene dei cittadini. La Giunta Sala, con l'appoggio della maggioranza a guida PD, senza alcuna oggettiva ragione, ha deciso di consentire la cessione di un ulteriore 8% delle quote tra Milano e Brescia, preservando così solo il 42% e non più la maggioranza assoluta.

6) Trasparenza: Se è vero che Sala si è prodigato nel costituire il Comitato Trasparenza affidato a Gherardo Colombo, e' anche vero che la sua assessora alla Trasformazione digitale e servizi civici non ha ancora reso nota la sua situazione reddituale e patrimoniale sul sito del Comune, non ottemperando agli obblighi di legge, anzi, ha proprio detto di non volerlo fare! Attendiamo l’esito dell’istruttoria dell’Anac, anche considerato che l'assessora Cocco proviene da un'azienda che fornisce prodotti e servizi al Comune di Milano.

7) Servizi tassati: welfare, educazione e scuole sono le voci maggiormente colpite dal bilancio previsionale. Nella proposta di bilancio, in questi giorni in discussione, sono stati previsti 3 milioni di euro in meno alla voce educazione infantile, e decine di milioni in meno per l'edilizia scolastica, salvo poi trovare milioni per il marketing, 5 milioni in favore della digitalizzazione, e 5,5 milioni annui per le consulenze esterne. Perchè investire 5milioni nella digitalizzazione ma inserire una ulteriore tassa per l’iscrizione alle materne di 52 euro ? Prima di parlare di bilancio, la giunta dovrebbe ridiscutere quali sono le priorità per i cittadini.

8) Scali Ferroviari: con l’accordo che il Sindaco Sala si appresta a firmare, gli scali ferroviari, un patrimonio inestimabile per i milanesi, diventeranno solo un asset di FS Sistemi Urbani, un patrimonio di cui disfarsi per fare cassa. La società, con l'appoggio del Comune, ha già dato incarico a 5 architetti di fama internazionale di ridisegnare quei luoghi. Perché non con un concorso internazionale di architettura ? Purtroppo, al di là delle parole spese, il rischio di una cementificazione selvaggia pare sempre più probabile.

9) Gestione e organizzazione personale comunale: a fronte di dipendenti comunali che non si vedono rinnovare il contratto da 7 anni, e che a fronte di un piano assunzioni palesemente inadeguato, la Giunta ha disposto l'assunzione ex art. 90 e 110 TUEL di parecchi soggetti esterni, di certo non estranei agli ambienti PD. Perché Sala non investe nella valorizzazione delle risorse interne piuttosto che continuare ad assumere dirigenti e quadri? Questo è un tema importante sul quale la Giunta continua a non essere trasparente.

10) L'inquinamento atmosferico: 
migliaia i morti ogni anno a Milano a causa dell'inquinamento atmosferico. Valori di P.M 10 e PM 2,5 pari a tre volte la soglia di pericolo, e cosa fa il Sindaco? Propone un piano per impedire l'accesso a veicoli che quando non potranno più accedere in città avrammo più di 15 anni, senza alcuna visione del futuro, tanto da destinare zero euro, nella proposta di bilancio alla missione 17, ovvero gli stanziamenti per le energie ecosostenibili.

http://www.beppegrillo.it/2017/02/10fallimentidisala_e_del_pd_a_milano_censurati_dai_giornali.html

venerdì 16 dicembre 2016

Giuseppe Sala tira dritto: "Sospensione dalla carica fino a chiarimento accuse".

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In qualità di ex ad di Expo, risulta indagato nell'inchiesta sulla 'Piastra dei servizi'. Dai magistrati viene contestata dai magistrati un'ipotesi di falso. Assumerà le sue veci il vice sindaco Scavuzzo.

Giuseppe Sala, il sindaco di Milano, tira dritto. E dopo aver annunciato la sua autosospensione da sindaco si è recato in mattinata in prefettura per formalizzare la sua scelta al Prefetto, Alessandro Marangoni. In mattinata riunione di giunta a Palazzo Marino, dove Sala ha comunicato la sua scelta.  ''Fino al momento in cui mi sarà chiarito il quadro accusatorio - scrive Sala in una lettera inviata al vicesindaco - ritengo di non poter esercitare i miei compiti istituzionali". "Ho appreso da fonti giornalistiche - scrive Sala - di essere iscritto nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla "Piastra Expo". Non ho al momento ricevuto alcuna comunicazione ufficiale; ritengo che l'attuale situazione determini per me un ostacolo temporaneo a svolgere le funzioni" di sindaco del Comune e della Città Metropolitana. "La prossima settimana - fa sapere - mi presenterò al Consiglio del Comune di Milano e della città Metropolitana per riferire in merito".
Il primo cittadino è indagato dalla Procura generale milanese in qualità di ex ad ed ex commissario unico di Expo 2015 spa in un'indagine sulla gara d'appalto più rilevante dal punto di vista economico dell'Esposizione Universale. Dopo l'indiscrezione sull'indagine a suo carico ha subito scelto di autosospendersi dalla carica. "Apprendo da fonti giornalistiche - ha scritto ieri in una nota - che sarei iscritto nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla piastra Expo. Pur non avendo la benché minima idea delle ipotesi investigative, ho deciso di autosospendermi dalla carica di sindaco". 
L'autosospensione "è una scelta che può essere fatta quando ci sono degli impedimenti di varia natura, in questo caso il sindaco ha scelto a caldo, subito dopo le notizie ricevute. Ovviamente a questo punto sarà la vicesindaco Anna Scavuzzo ad assumere le funzioni e le veci del sindaco", ha spiegato il presidente del Consiglio comunale di Milano Lamberto Bertolè. "Nelle prossime ore valuteremo, ci incontreremo con i capigruppo per aggiornarli - ha concluso - alla luce anche dell'incontro che il sindaco avrà con il prefetto". Lo Statuto del Comune di Milano prevede la cessazione della carica di sindaco "per dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza e decesso".
"Ho letto i giornali, così è. Non ho nulla da aggiungere. Vi faccio solo gli auguri di buon Natale". E' quanto si è limitato a dire il Procuratore generale di Milano Roberto Alfonso in merito all'inchiesta sulla 'Piastra dei Servizi' di Expo, avocata ai pm e nella quale il sostituto pg Felice Isnardi ha iscritto con l'accusa di falso anche il sindaco di Milano ed ex ad di Expo 2015 spa Beppe Sala. 
"Ha fatto un gesto di grande e rara sensibilità. Il sindaco ha la fiducia della nostra città", ha detto il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina.
Salvini, non chiediamo le dimissioni di Marra - "I milanesi meritano chiarezza. Non chiediamo le dimissioni di Sala: se ha la coscienza pulita faccia il sindaco a tempo pieno e lavori, se ha la coscienza sporca si dimetta. Un'indagine non vuol dire una condanna". Lo ha detto il segretario della Lega Nord Matteo Salvini ai giornalisti davanti a Palazzo Marino.
I REATI CONTESTATI - "Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici" e "falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici". Sono questi i due reati contestati al sindaco di Milano Beppe Sala nell'inchiesta sull'appalto della Piastra dei servizi di Expo che ha portato l'ex amministratore delegato ad autosospendersi da primo cittadino. Il nome di Sala, con quello dell'imprenditore Paolo Pizzarrotti, compare nella richiesta di proroga indagini, avocate dalla Procura Generale alla Procura, in aggiunta ai nomi dei 5 indagati già noti. Due "verbali" relativi alla "sostituzione" di due componenti della commissione giudicatrice della gara per l'appalto della 'Piastra dei servizi' riporterebbero "circostanze non rispondenti alla realtà" e, in particolare, sarebbero stati retrodatati con "l'intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta" anche per il "ritardo" sui "cronoprogrammi" dell'Expo. Lo scrive la Gdf di Milano in un'informativa del maggio 2013 agli atti anche della 'vecchia' inchiesta dei pm poi avocata dalla Procura Generale che ha indagato Beppe Sala.

giovedì 8 settembre 2016

Milano, non solo Cinque Stelle: tutti i guai del sindaco Giuseppe Sala. - Gianni Barbacetto


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Il dossier - Mille e una grana - Prima sotto inchiesta, poi la nomina del socio come assessore al Bilancio. E ancora, doppio capo di gabinetto e segretario lampo: in poco più di 2 mesi.

Quiz. Chi è il sindaco di una grande città italiana che è iscritto nel registro degli indagati, che ha avuto problemi con la nomina di qualche suo assessore e polemiche feroci sulla scelta del suo staff? Virginia Raggi, direte voi. Sì, ma ce n’è un altro le cui vicende, a differenza di quelle del sindaco di Roma, non sono state raccontate da alcun giornale (tranne il Fatto Quotidiano): è Giuseppe Sala, primo cittadino di Milano. Raggi/Sala: due pesi e due misure.
L’indagato. Non era ancora stato eletto primo cittadino, e Sala era già iscritto nel registro degli indagati. Per aver mentito ai cittadini. Nel febbraio del 2015, da amministratore delegato di Expo, firma (“Sul mio onore dichiaro…”) un’autocertificazione in cui “dimentica” di segnalare, tra le sue proprietà e attività economiche, una casa in Svizzera, un’immobiliare in Romania e una società in Italia (Kenergy). Dopo un articolo del Fatto ripreso dall’esposto di un politico di centrodestra, la Procura apre un fascicolo, in gran segreto, “a modello 21”, cioè con iscrizione di Giuseppe Sala nel registro delle notizie di reato a carico di persone note. Ora la Procura milanese ha davanti due strade: la prima è considerare il comportamento di Sala un possibile reato, falso in autocertificazione, pene fino a 2 anni di reclusione; oppure, più probabilmente, ritenerlo un illecito amministrativo. In questo caso, il pm chiederà al gip di archiviare il procedimento e di trasmettere gli atti al prefetto di Milano, l’autorità che ha il potere di comminare le sanzioni amministrative previste. In ogni caso, un brutto inizio per il nuovo sindaco di Milano. In precedenza, Sala era stato indagato per abuso d’ufficio, e poi archiviato, per l’appalto della ristorazione Expo concesso senza gara a Oscar Farinetti, grande amico e sostenitore di Matteo Renzi.
Il socio. Sala offre l’assessorato più “pesante”, quello al Bilancio, arricchito della delega al Demanio, a Roberto Tasca, professionista e professore universitario, presidente della vigilanza di Fondo Strategico Italiano e di Simest (entrambi di Cassa Depositi e Prestiti), ma soprattutto socio negli affari privati di Sala. È sua una quota di Kenergy, una delle società (produce energia elettrica) che Mr. Expo ha “dimenticato” di dichiarare nell’autocertificazione giurata del 2015. “Ma non c’è alcun conflitto d’interessi”, ha tagliato corto Sala.
L’indagata. Chi nomina segretario generale del Comune di Milano? Sala sceglie una persona imputata per reati contro la Pubblica amministrazione, a cui deve revocare la nomina dopo soli cinque giorni. Antonella Petrocelli era segretario generale del Comune di Como nel 2014, quando aveva conferito gli incarichi per la progettazione della terza variante del piccolo Mose comasco, il sistema di paratie che con i suoi cantieri, bloccati da anni, deturpa il lungolago della città lariana. Quella variante, oggetto di una inchiesta della Procura di Como, è considerata illegittima. Dunque Petrocelli aveva ricevuto un avviso di garanzia per turbativa d’asta. La notizia era nota, notissima. Eppure Sala sceglie Petrocelli per metterla al vertice dell’amministrazione comunale. Nominata venerdì 15 luglio 2016. Con una strana clausola: “L’incarico sarà interrotto immediatamente nel caso in cui l’autorità giudiziaria adotti provvedimenti ulteriori, quali la richiesta di rinvio a giudizio o altro atto da cui risulti l’esistenza di fondati indizi a carico dell’interessata”. In realtà, già il giorno prima, giovedì 14 luglio, il giudice delle indagini preliminari di Como aveva disposto per Petrocelli il giudizio immediato per turbativa d’asta, processo fissato per il 24 novembre 2016. A Milano se ne accorgono solo cinque giorni dopo e mercoledì 20 luglio cacciano la funzionaria: l’incarico più breve nella storia di Palazzo Marino.
Doppio gabinetto. Come direttore generale del Comune, Sala sceglie Arabella Caporello, fondatrice di un circolo Pd di Milano e manager con in curriculum un passaggio importante: quello alla Leopolda di Renzi. Come capo di gabinetto, Sala chiama al volo Mario Vanni, avvocato. È un premio per il lavoro fatto in campagna elettorale: Vanni, tesoriere del Pd milanese, è stato il coordinatore della comunicazione e della promozione politica, attività determinanti per la vittoria di Sala. Il sindaco lo chiama con nomina diretta, senza gara, con stipendio da dirigente. Ma Vanni non è dirigente e secondo la legge Madia non può fare il capo di gabinetto. Così il sindaco si deve tenere anche il vecchio capo di gabinetto di Giuliano Pisapia, con il compito di firmare gli atti che Vanni non può firmare. Poi, per sanare il pasticcio, confeziona una gara (su misura?): bando il 7 luglio 2016, presentazione domande entro il 18 luglio. Indovinate chi ha vinto? Vanni.
Sala magica. I collaboratori più fidati di Sala a Palazzo Marino vengono tutti da Expo e sono passati per la campagna elettorale. Due consulenti d’oro: Roberto Arditti e Marco Pogliani, uomini di pubbliche relazioni dell’esposizione, poi della campagna per Sala sindaco, ora sono premiati con due ricchi contratti di consulenza. Niente gara, ma due “selezioni con procedura comparativa per professionisti esterni all’amministrazione”. Avviso aperto il 16 agosto, chiuso il 26 senza graduatoria ma con i soli nomi dei vincitori. Stefano Gallizzi, paziente ed efficiente uomo-stampa di Expo e poi della gara elettorale, ora è portavoce del sindaco, affiancato da Valentina Morelli, che teneva l’agenda della campagna. Avete mai letto polemiche o dubbi su queste vicende?