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sabato 7 settembre 2019

Mise, i dossier nelle mani di Patuanelli dall’ex Ilva a Whirlpool. Le crisi da affrontare sono 150. E su Alitalia è l’ora delle scelte. - Andrea Tundo

Mise, i dossier nelle mani di Patuanelli dall’ex Ilva a Whirlpool. Le crisi da affrontare sono 150. E su Alitalia è l’ora delle scelte

Il neo-ministro dello Sviluppo Economico si ritroverà sulla scrivania oltre 150 dossier di vertenze in tutta Italia. A breve scade il tempo per l'offerta vincolante della newco con Fs e Atlantia per l'acquisto di Alitalia: una soluzione, quella con anche il Tesoro tra gli azionisti, che il nuovo alleato di governo ha sempre criticato. All'orizzonte un autunno caldo anche su Taranto e Whirlpool. E su Piaggio, Blutec, IIa e Bekaert i sindacati chiedono risposte in tempi brevi.
Oltre 150 dossier, vertenze in stallo, scadenze imminenti e una successione pesante. Tra i nuovi ministri una delle eredità più ingombranti è quella toccata a Stefano Patuanelli, ex capogruppo M5s al Senato e ora alla guida dello Sviluppo Economico. Non solo perché si siederà sulla sedia che è stata di Luigi Di Maio: dal suo studio passano le sorti di migliaia di posti di lavoro e il rilancio di pezzi pregiati dell’economia del Paese. E dovrà oliare situazioni incagliate da anni, a volte più di cinque. Partendo da un dato, frutto di un’analisi de Il Sole 24 Ore: dal 2016 si è chiuso positivamente il 38% dei tavoli, nel 34 per cento dei casi non si è trovata una soluzione e il 27% delle crisi è ancora in corso. Tra la Blutec di Termini Imerese e Mercatone Uno fino alle recenti preoccupazioni per la ferriera di Trieste di Arvedi, Patuanelli avrà subito una patata bollente per le mani: l’offerta vincolante per Alitalia che Fs deve presentare con Alitalia Delta Air Lines. La scadenza era fissata per il 15 settembre, ma secondo fonti vicine al dossier si va verso una nuova proroga “significativa”.
ALITALIA – Tra non molto, in ogni caso, verranno svelate le quote di ogni componente della Newco. E all’orizzonte si profila una prima frizione tra le due anime della nuova maggioranza. Il Pd ha sempre criticato la linea di Di Maio, alla quale Patuanelli ha detto di voler dare continuità. Per Graziano Delrio si tratta “di fatto” di una nazionalizzazione con la quale “si scarica sui contribuenti italiani il peso dell’operazione sia attraverso la partecipazione di Ferrovie e ministero dell’Economia sia con il carico sulle bollette energetiche del costo del mancato rimborso del prestito ponte”. Mentre la scelta di Atlantia dimostrava, secondo Nicola Zingaretti, la “confusione mentale, politica e l’opportunismo di chi sta governando”. Il neo-ministro ha auspicato di essere l’ultimo ad occuparsene. Era stato un augurio anche di Di Maio. Adesso, invece, all’orizzonte si profila uno sciopero il 23 settembre proclamato dall’Usb che avverte: “Continuano a uscire indiscrezioni sul piano industriale che il novello consorzio sta mettendo a punto, il quale prevederebbe 2.000 esuberi. Questo sarebbe un enorme macigno posto sui primi passi del governo, perché parlare di esuberi in Alitalia significa parlare un’altra volta della solita minestra immangiabile fatta di ridimensionamento, esternalizzazioni e mancato sviluppo della flotta, propinata da 20 anni e che tanti danni ha prodotto”.
EX ILVA – Appianate le divergenze sull’immunità penale con la correzione dell’abolizione totale introdotta nel decreto Crescita, toccherà al governo M5s-Pd traghettare l’ex Ilva fuori dalle sabbie mobili nelle quali l’operazione ArcelorMittal, gestore scelto dai dem, rischia di infilarsi. Taranto è da sempre uno dei temi più divisivi tra le due forze politiche, ora dovranno controllare insieme la piena attuazione del Piano ambientale e indicare la rotta in un momento critico sotto il profilo della produzione. ArcelorMittal ha annunciato la richiesta di prorogare per 13 settimane la cassa integrazione ordinaria – scattata il 2 luglio e in scadenza il 28 settembre – per 1.395 dipendenti così da fronteggiare il prolungarsi della crisi del mercato dell’acciaio. Ma non è l’unico problema: resta sempre aperta la questione dello spegnimento dell’altoforno 2 con l’istanza di azienda e commissari straordinari al Tribunale del Riesame per ottenere la facoltà d’uso. Inoltre, in seguito alla morte di una gruista lo scorso 10 luglio, il siderurgico ha problemi di approvvigionamento di materie prime. All’appello mancano migliaia di tonnellate di ferro e carbone per alimentare l’impianto: l’idea è sbarcarle a Brindisi, ma il sindaco espresso un “no” secco e l’azienda ha fatto marcia indietro. Su tutti questi temi i sindacati hanno preannunciato la richiesta di un “incontro urgente” al Mise. Intanto Fim Cisl e Uilm hanno proclamato 24 ore di sciopero per il prossimo 13 settembre: una mossa per spingere l’azienda a fornire a tutti gli operai i dispositivi di protezione individuale.
WHIRLPOOL – 420 lavoratori del sito di Napoli restano in attesa di conoscere il proprio destino dopo l’annuncio dell’azienda di elettrodomestici di voler vendere, ‘tradendo’ l’accordo per la reindustrializzazione che comprendeva anche la fabbrica partenopea. Negli scorsi giorni Whirlpool ha criticato perfino le misure inserite in un apposito decreto (quasi 17 milioni di sgravi contributivi in due anni) dal governo gialloverde giudicandole “non sufficienti” e ribadendo che l’unica soluzione è la cessione. Quindi ha diffuso una nota per annunciare la convocazione dei sindacati per “importanti aggiornamenti”. Una scelta “unilaterale” criticata dai rappresentanti dei lavoratori. L’ultimo faccia a faccia risale all’1 agosto, poi si è aperta la crisi di governo e la situazione è entrata in stallo. La stessa critica viene mossa dall’azienda. Non a caso la prima mossa di Patuanelli riguarda proprio questa vertenza: azienda e sindacati sono stati convocati il 17 settembre, spingendo Whirlpool a cancellare l’incontro del 16.
EX ALCOA – I sindacati si attendono una convocazione per settembre così da aggiornare la storica vertenza sarda. Trovato l’acquirente (Sider Alloys) e iniziate le attività di revamping dell’impianto con la partecipazione di una società specializzata cinese, resta il nodo principale, quello da cui dipenderà la riuscita dell’operazione: il costo dell’energia elettrica. Per ricominciare a lavorare, Sider Alloys ha bisogno di un contratto di fornitura da parte di Terna compatibile con i costi di produzione, poiché – come spiegano i sindacati – “da piano industriale l’energia incide per il 55% sui costi”. Nel frattempo, restano 500 lavoratori in mobilità in deroga fino a dicembre. E un indotto che attende soluzioni ormai da anni.
EMBRACO – Quando gli operai sono rientrati nello stabilimento di Riva di Chieri dopo la fermata di agosto hanno trovato lo stabilimento così come lo avevano lasciato a luglio. “Nessun nuovo impianto di produzione, nessun lavoro di ammodernamento”, spiega Ugo Bolognesi della Fiom-Cgil. Eppure Ventures continua a ripetere che la produzione ripartirà. “Il livello di scetticismo è ormai alto – spiega il sindacalista – Lo scorso anno quando venne firmato l’accordo di reindustrializzazione dicevano che il momento sarebbe stato gennaio, poi marzo, poi giugno, ora settembre”. Su un organico di 410 persone, al momento sono occupati in 187 e la Fiom sottolinea che la rotazione della cassa integrazione, in scadenza a luglio 2020, è scarsa: “In 200 non hanno mai rimesso piede in fabbrica”. A breve, annuncia Bolognesi, verrà chiesto un nuovo incontro al Mise: “Nell’ultimo verbale d’incontro, ormai datato marzo, c’era l’impegno a convocare parti entro metà di giugno. Ma Di Maio non ci ha mai più chiesto di andare a Roma”.
IIA – L’ex BredaMenarinibus poi diventata Industria Italiana Autobus è nel limbo ormai da anni, nonostante i ripetuti annunci di addio alla crisi. Così, mentre nello stabilimento di Bologna non ci sono più ammortizzazioni sociali attivi, restano i numeri preoccupanti di Valle Ufita, nell’Avellinese, dove su 275 dipendenti ci sono ancora 175 cassintegrati con la scadenza fissata al 31 dicembre 2019. La maggioranza delle quote sociali è in mano a Leonardo e Invitalia. “Avevano annunciato sviluppo e investimenti, ma allo stato languono. Abbiamo sollecitato un tavolo negli scorsi giorni. Vogliamo sapere dove stiamo andando: siamo in attesa di un partner privato che non è mai arrivato. Allora il pubblico faccia il pubblico”, incalza Michele De Palma, responsabile automotive della Fiom-Cgil. Anche perché le commesse ci sono, ma al momento la produzione è in Turchia. “Senza dimenticare – aggiunge De Palma – che come Fiom abbiamo chiesto al ministero dello Sviluppo di aprire un tavolo generale sull’industria automobilistica italiana perché i numeri sono drammatici”.
BEKAERT – Situazione di stallo anche nell’ex Pirelli di Figline Valdarno. Non c’è alcuna azienda disposta a rilevare Bekaert, almeno nel suo intero perimetro. “Esiste un’offerta, ma non sappiamo neanche di chi perché il ministero non ce l’ha mai comunicato. Si tratta di un imprenditore del Centro Italia, non ci è noto null’altro”, spiega Daniele Calosi della Fiom-Cgil. Se non che nella nuova Bekaert transiterebbero solo 90 lavoratori su 230. Il prossimo incontro al Mise è fissato a metà ottobre e i sindacati si aspettano una risposta sul piano B portato avanti dai dipendenti. “Da mesi – dice Calosi – hanno fondato una cooperativa per rilevare la società e a breve presenteranno un piano industriale. Di Maio non ha mai fornito una valutazione su questa ipotesi”. La cassa integrazione straordinaria scadrà il 31 dicembre. I tempi stringono.
AFERPI – È una delle vertenze più lunghe, complicate e corpose ancora in via di definizione. Dopo l’aggiudicazione finita nel nulla all’algerino Issad Rebrab, le acciaierie di Piombino sono passate sotto il controllo del colosso Jindal, uscito sconfitto dalla partita per l’ex Ilva. In ballo ci sono 1.500 lavoratori e la sopravvivenza di uno dei poli siderurgici più importanti d’Italia. “Siamo in una fase intermedia, tra alti e bassi sotto il profilo produttivo”, spiegano i sindacati. “In questi mesi si dovrà passare dalla fase 1 alla fase 2: l’azienda dovrà dirci se e come vogliono investire sui forni elettrici”. In attesa di una convocazione del Mise per definire questo step restano in cassa integrazione un migliaio di dipendenti.
PIAGGIO AEROSPACE – La situazione dell’ex Piaggio Aero, specializzata nella produzione di velivoli militari e civili, è “particolarmente problematica” ad avviso dei rappresentanti dei lavoratori sia sotto il profilo economico che delle commesse. L’ultima operazione riguarda un accordo (revisione e acquisto nuovi velivoli) da parte del ministero della Difesa. Su questo si regge il piano industriale presentato dall’amministratore straordinario Vincenzo Nicastro, il cui mandato scade proprio oggi (5 settembre, ndr), per il rilancio degli impianti di Genova e Albenga. Allo stato esistono 39 manifestazioni d’interesse non vincolanti e lo stallo ha ripercussioni anche sull’indotto. L’ultimo incontro al Mise risale a metà luglio e i lavoratori interessati dalla vertenza sono 800, di cui oltre 350 in cassa integrazione straordinaria che scadrà a inizio 2020.
ABB – L’accordo sui 108 esuberi è stato raggiunto in estate: apertura della cassa integrazione straordinaria per cessazione attività (durata un anno) con l’impegno da parte dell’azienda di generatori con stabilimento a Vittuone, nel Milanese, a ricollocare tutti i lavoratori che decideranno di non accettare gli incentivi all’esodo e resteranno in azienda. Resta aperto anche il tavolo al Mise della Abb-Arkad, uno ‘spin off’ della casa madre creato il 1° gennaio 2018 nel quale sono stati fatti confluire 180 dipendenti tra Sesto San Giovanni e Genova. “Ma a distanza di 21 mesi commesse e ordini restano deficitari”, spiega il segretario lombardo della Fiom-Cgil Mirco Rota.
EX FRANCO TOSI – Poco meno di 200 lavoratori in cigo e un rilancio in via di definizione con l’alert dei sindacati per una mossa giudicata come un indizio negativo e risalente a inizio agosto. Quasi un mese fa il Gruppo Presezzi, che si è aggiudicato la storica azienda metalmeccanica di Legnano nel 2015, è stato l’unico a presentare un’offerta per l’acquisto dei terreni. Tutti? No. La proposta di acquisto era relativa solo a una porzione dell’area e quindi “il preambolo di un ridimensionamento”, temono i sindacati, in attesa di una convocazione da parte del Mise.

domenica 2 ottobre 2016

Lavoro, la gaffe del governo sugli stipendi “Investite qui, gli italiani costano meno”. - Thomas Mackinson

Lavoro, la gaffe del governo sugli stipendi “Investite qui, gli italiani costano meno”

Pubblicità regresso. Dopo il ministero della Salute tocca a quello del Mise. Renzi a Milano presenta il roadshow mondiale per attrarre capitali stranieri. Per le capitali di tutto il mondo viaggerà un opuscolo con il logo del ministero che magnifica come un pregio il basso livello salariale dei lavoratori italiani, con tanto di esempi. 

Cari stranieri investite in Italia, dove “gli stipendi sono più bassi della media europea”. Firmato: il governo italiano. 
In sintesi, è quanto reclamizza una brochure ospitata sul sito investinitaly.com, portale dell’Ice che reca il logo del Ministero dello Sviluppo Economico e distribuita pochi giorni fa a Milano, durante la presentazione del piano nazionale Industria 4.0 con il premier Matteo Renzi che snocciolava i progetti per rilanciare l’economia a un pubblico di potenziali investitori esteri. Lo scivolone non è sfuggito a Eleonora Voltolinacollaboratrice delfattoquotidiano.it e de linkiesta nonché fondatrice della Repubblica degli Stagisti, la voce dei giovani precari e sottopagati. E’ lei la prima a riportare la notizia di un’altra pubblicità dai tratti demenziali, dopo quelle sul fertilityday del Ministero della Salute.
Stavolta è lo Sviluppo Economico ad aver commesso un passo falso, o meglio un fallo. Perché, spiega la Voltolina, “va bene citare i vantaggi competitivi di fronte a una platea di stranieri, ma un governo non può farlo magnificando il basso costo dei nostri cervelli. Non può citare tra i vantaggi competitivi il fatto che un laureato costi un quarto in meno rispetto ad altri Paesi europei. Bearsi che i nostri salari sono bassissimi, anche per le persone con un alto grado di scolarizzazione”. Perché questo si legge, a pagina 32 di quell’opuscolo patinato che dovrebbe ingolosire gli imprenditori esteri e sarà distribuito nei prossimi mesi in tutto il mondo, seguendo i “global roadshow” organizzati a Istanbul, Tokyo, New York, San Francisco, Londra, Singapore etc…
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Riportiamo il passaggio, sotto la voce “Capitale e talento”: “L’Italia offre un livello dei salari competitivo che cresce meno rispetto alla Ue e una manodopera altamente qualificata dei profili specializzati”. E se non basta arrivano i numeri: “Un ingegnere in Italia guadagna mediamente in un anno 38.500 euro, mentre in altri Paesi lo stesso profilo ha una retribuzione media di 48.500 euro l’anno”. A scanso di equivoci l’opuscolo aggiunge: “I costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Francia e Germania. Inoltre, la crescita del costo del lavoro nell’ultimo triennio (2012-14) è la più bassa rispetto a quelle registrate nell’eurozona (+1,2% contro +1,7)”. Con tanto di grafici a torta.
Tutto bene, se questa pubblicità-regresso che ci rappresenta come un Paese del Terzo Mondo non l’avesse partorita il nostro governo. Il paradosso balzato agli occhi della direttrice della Repubblica degli stagisti diventa un caso. Il quotidiano Libero ci apre l’edizione di oggi sotto il titolo: “Italiani sottopagati e il governo se ne vanta”. E naturalmente ci mette sopra altri carichi, chiamando in causa il sottosegretario Ivan Scalfarotto, sottosegretario al Mise, che nella prefazione dell’opuscolo appare sorridente e compiaciuto. “E’ un’operazione spregiudicata – rimarca Eleonora – . Non hanno saputo fermarsi di fronte a un fattore tecnicamente allettante per gli investitori stranieri ma socialmente sensibile e drammatico per i cittadini italiani. L’aspetto surreale è che questo messaggio arrivi proprio dal governo che dovrebbe contrastare i bassi livelli salariali e lavorare per attrarre le imprese che sono disposte a investire sulle risorse umane, non le altre. Chi fa le politiche di sviluppo nel nostro Paese forse non ha ancora chiaro chi vogliamo attrarre, se gli imprenditori che intendono investire in innovazione e qualità come la Svizzera o quelli che cercano solo il risparmio sul costo dei lavoratori come in India”.

venerdì 1 aprile 2016

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi. - Marco Palombi

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi

Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 2014, la deputata M5s Liuzzi e le opposizioni protestano per la richiesta di modifica a firma dell'ex ministro dello Sviluppo che viene dichiarata "inammissibile". Va meglio con la legge di Stabilità, la responsabile per le Riforme accetta il provvedimento che riesce a passare con il voto di fiducia.

La prima notte è quella tra il 16 e il 17 ottobre 2014, quando le commissioni Ambiente e Attività produttive di Montecitorio stanno discutendo il decreto Sblocca Italia: quel testo rende, tra le altre cose, molto più facile costruire impianti petroliferi (e inceneritori) visto che li dichiara “infrastrutture strategiche per l’interesse nazionale”. Si procede a tappe forzate ed è notte quando la deputata M5S Mirella Liuzzi si accorge di uno strano emendamento che rende “strategiche” pure tutte le opere connesse all’attività estrattiva: gasdotti, porti, siti di stoccaggio. Proprio quello che serve al progetto Tempa Rossa, come vedremo. Più interessante, adesso, è notare che quell’emendamento era stato consegnato alle commissioni dal capo di gabinetto del ministro Federica Guidi e portava la sua firma: la rivolta delle opposizioni, e forse l’imbarazzo del Pd, causano una irrituale dichiarazione di inammissibilità per quel testo (un Gronchi rosa per un emendamento governativo).
Va meglio con la legge di Stabilità
La notte è quella tra il 12 e il 13 dicembre 2014 e siamo in commissione Bilancio in Senato. L’emendamento viene consegnato – come da prassi – dal ministero dello Sviluppo economico a Maria Elena Boschi, titolare dei Rapporti col Parlamento e gestore del traffico delle proposte governative. Stavolta il testo passa e viene recepito nella manovra poi approvata con la fiducia: non è chiaro, finché Boschi non ce lo spiegherà, con quale motivazione sia stata convinta dalla collega a inserire “l’emendamento Tempa Rossa” tra quelli da approvare. Pochi minuti dopo, comunque, Guidi avverte il fidanzato e s’inguaia.
Detto delle modalità notturne d’intervento della ex ministra, resta da spiegare cos’ha fatto in pratica. 
Breve riepilogo: il progetto Tempa Rossa ha il suo cuore nel giacimento lucano la cui concessione è appannaggio di Total (al 50%), Shell e Mitsui. I sei pozzi in Basilicata (più 2 da autorizzare) a regime dovrebbero produrre 50 mila barili al giorno, aumentando del 40% la produzione nazionale di greggio. Questo progetto ha già ottenuto una Valutazione di impatto ambientale positiva nel 2011. Qual è il problema allora? Quello che si fa col petrolio una volta estratto: bisogna portarlo a Taranto, stoccarlo e raffinarlo. È una vera fortuna che Eni disponga di un impianto proprio nella martoriata città dell’Ilva. E qui, però, cominciano i guai: cittadinanza, movimenti e (fino a un certo punto) pure i politici locali si oppongono a potenziare la capacità inquinante dell’impianto del Cane a sei zampe. Il motivo lo spiegò Arpa Puglia nel 2011: “L’esercizio di questi impianti comporterà un aumento delle emissioni diffuse pari a 10 tonnellate/anno che si aggiungeranno alle 85 tonnellate/anno già prodotte (con un incremento del 12%)”.
C’erano insomma problemi a fare i lavori al punto di approdo del petrolio estratto nel giacimento di Total e soci di Gorgoglione, in Basilicata: due siti di stoccaggio, un prolungamento del pontile e altre cosette. È qui che arriva l’ex ministro Guidi: l’emendamento prevede che l’autorizzazione unica per le opere “strategiche” valga anche “per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali” anche lontano dal giacimento. E se gli enti locali si oppongono? C’è il secondo comma: lo Sblocca Italia prevede che, in quanto strategiche, su queste opere alla fine decida il governo. Il via libera definitivo ai lavori a Taranto è arrivato il 19 dicembre 2015, quattro mesi fa. Lo ha firmato il ministro Federica Guidi. Non si sa se poi abbia avvertito il fidanzato.

giovedì 16 aprile 2015

Whirlpool chiude fabbriche Indesit a Caserta, None e Albacina: 1.350 esuberi.

Whirlpool chiude fabbriche Indesit a Caserta, None e Albacina: 1.350 esuberi

Nel luglio 2014, dopo l'acquisizione da parte del gruppo statunitense, il premier Renzi aveva parlato di "operazione fantastica" rivendicando di aver "parlato personalmente con gli americani a Palazzo Chigi". "Il punto non è il passaporto, ma il piano industriale", aveva spiegato. Ed ecco il piano: 500 milioni di investimenti ma stop delle attività in tre stabilimenti.

Il 13 luglio scorso, dopo l’annuncio dell’acquisizione della marchigiana Indesit da parte del gruppo statunitense WhirlpoolMatteo Renzi aveva definito l’operazione fantastica” rivendicando di aver “parlato personalmente con gli americani a Palazzo Chigi”. No a “una visione del mondo autarchica”, aveva detto il premier in un’intervista al Corriere della Sera: “Noi, se ci riusciamo, vogliamo portare aziende da tutto il mondo a Taranto, a Termini Imerese, nel Sulcis, come nel Veneto. Il punto non è il passaporto, ma il piano industriale. Se hanno soldi e idee per creare posti di lavoro, gli imprenditori stranieri in Italia sono i benvenuti”. Ora che il piano industriale di Whirlpool è arrivato, però, si scopre che è ben diverso dagli auspici del presidente del Consiglio: comprende la chiusura di tre siti produttivi e 1.350 esuberi
Il gruppo intende fermare le attività della fabbrica di Carinaro (Caserta), di Albacina (frazione di Fabriano) e di None (Torino). E ha ufficializzato al ministero dello Sviluppo che prevede appunto 1.350 esuberi, di cui 1.200 nelle fabbriche e 150 nei centri di ricerca su un totale di 5.150 lavoratori. A renderlo noto è stato Gianluca Ficco della Uilm nazionale, dopo l’incontro con l’azienda al dicastero di via Veneto. Vertice che è andato malissimo, con rsu e segretari sindacali territoriali che in segno di protesta hanno abbandonato la riunione. Intanto da Nord a Sud è scattata la mobilitazione: gli operai dell’impianto di Albacina (che saranno trasferiti nello stabilimento di Melano) hanno bloccato la strada provinciale 256 Muccese e si sono diretti verso la superstrada Ancona-Roma per protestare e negli stabilimenti del Fabrianese è scattato lo stato di agitazione. Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ha convocato ad horas un tavolo con i sindacati, mentre l’omologo delle Marche Gian Mario Spacca definisce la chiusura di Albacina “inaccettabile” e attacca: “Singolare che su una vicenda di tale rilevanza il governo nazionale abbia escluso la partecipazione delle Regioni”. Fabrizio Bassotti, della Fiom Cgil di Fabriano, ha buon gioco a rispolverare l’intervista del presidente del Consiglio chiedendo se ”questa è l’operazione fantastica di cui parlava Renzi”.
Comprensibile, visto il trionfalismo ostentato dal capo del governo solo otto mesi fa, l’imbarazzo del ministro Federica Guidi. Che ha diffuso una nota in cui si legge che “il governo ha preso atto degli aspetti positivi e certamente importanti sul fronte degli investimenti e dell’incremento dei volumi, ma ha, al contempo, espresso forte contrarietà per gli aspetti legati agli impatti occupazionali inerenti diversi siti produttivi” e ha “chiesto all’azienda di confermare l’impegno a non procedere a licenziamenti unilaterali fino al 2018″.
La Whirpool dal canto suo rivendica che il piano di integrazione tra gli stabilimenti che già aveva in Italia – Cassinetta di Biandronno (Varese)Siena e Napoli – e quelli ex Indesit prevede nei prossimi quattro anni 500 milioni di investimenti per “la Ricerca e Sviluppo, il rinnovamento delle piattaforme di prodotto e il miglioramento dei processi produttivi”, “un incremento dei volumi produttivi e il rientro in Italia di produzioni oggi presenti in stabilimenti esteri”. A Fabriano dovrebbe poi nascere “il più grande stabilimento in Europa per la produzione di piani cottura”. Quanto ai posti di lavoro, però, la musica è ben diversa da quanto auspicato dal presidente del Consiglio: 1.200 esuberi nelle fabbriche e 150 nei centri di ricerca su un totale, ricordano i sindacati, di 5.150 lavoratori.
Secondo Davide Castiglioni, amministratore delegato di Whirlpool Italia, il piano è “il migliore che possiamo mettere in campo. Abbiamo guardato tutti i piani possibili, è il migliore per garantire continuità e sostenibilità a lungo termine”. L’azienda sostiene che gli ulteriori esuberi rispetto a quelli esistenti al momento dell’acquisizione di Indesit sono 400 e “sono stati tenuti al livello più basso possibile”. Per “minimizzare l’impatto sulle persone e sulle comunità coinvolte” dai tagli “Whirlpool è disponibile a considerare soluzioni che evitino procedure di mobilità unilaterali fino alla fine del 2018 in linea con lo spirito del Piano Italia”, si legge in una nota.
Già nel 2011 l’azienda americana aveva dichiarato mille esuberi negli stabilimenti italiani, di cui 600 a Varese. Le uscite, scese a 495, erano poi state gestite attraverso prepensionamentimobilità volontaria incentivata contratto di solidarietà. A inizio 2014, poi, l’annuncio della chiusura di una fabbrica in Svezia e del trasferimento della produzione di microonde a incasso proprio a Cassinetta di Biandronno.