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domenica 10 aprile 2022

Loro interpretano il nostro pensiero?


Leggo su "la Repubblica":

Sanzioni Russia, gli italiani favorevoli a restrizioni sull'import di gas e petrolio russo. Anche a costi più alti per le bollette. Quasi un italiano su due favorevole  a un blocco integrale delle importazioni da Mosca. Per il 60% è necessario un piano per la riduzione da fondi fossili. E l'80% degli intervistati ha già ridotto o è pronto a ridurre di un grado la temperatura dei termosifoni per ridurre i consumi.

Qui il link:

https://www.repubblica.it/economia/2022/04/08/news/sondaggio_yougov_energia-344643880/


Si, è vero, noi vogliamo sganciarci dall'importazione di gas e petrolio russo, ma solo per renderci indipendenti da chiunque e dopo che il nostro governo avrà predisposto ed effettuato la transizione necessaria per produrre noi stessi energie alternative e rinnovabili.

E' vergognoso dover leggere che il 54% di 1001 individui, e bisognerebbe cercare di sapere in quale contesto, ha deciso, in nome di 59,55 milioni di italiani, che siamo favorevoli alle restrizioni sull'importazione di gas e petrolio russi prima che ci si adoperi per produrne noi stessi.

Noi non vogliamo più dipendere da altri, siamo in grado di produrre energia senza doverla comprare altrove, è questo il nostro pensiero!

cetta

martedì 13 ottobre 2020

Saras-Isis, indagini fino a Ubi. - Nicola Borzi

 

Contrabbando - Greggio preso dai jihadisti, inchiesta sui crediti ceduti a Ubi factor.

L’inchiesta della Direzione distrettuale antiterrorismo di Cagliari non è la sola a coinvolgere la Saras. Gli inquirenti sardi accusano la società di raffinazione, quotata e controllata al 40% dalla famiglia Moratti, di avere comprato tra il 2015 e il 2016 petrolio iracheno contrabbandato dai curdi e poi dall’Isis a prezzi stracciati e di avere evaso il Fisco per almeno 130 milioni. Ma c’è anche la Procura di Brescia: secondo alcuni atti sui sistemi antiriciclaggio nel gruppo Ubi, sotto la lente dei magistrati lombardi sono finiti possibili profili di rilevanza penale di un’operazione di cessione di credito per svariati milioni, finiti in Ubi Factor tra Natale e Capodanno del 2016, che erano vantati dalla società svizzera Saras Trading nei confronti di Petraco Oil Company. L’operazione è avvenuta dopo consistenti trasferimenti di denaro tra Saras Trading e Petraco. Le società sono al centro dell’inchiesta cagliaritana che il 30 settembre ha portato alle perquisizioni negli uffici Saras in Sardegna e a Milano per ipotesi di reato che vanno dal riciclaggio al falso ai reati tributari.

Secondo alcune ricostruzioni, Saras avrebbe comprato petrolio di contrabbando da un’azienda di trading, la Petraco, che se lo sarebbe procurato tramite una sua controllata delle Isole vergini britanniche, la Edgewaters Falls. Edgewaters avrebbe comprato il petrolio in Iraq, prima dai curdi e poi dall’Isis, falsificando i documenti per farlo risultare proveniente dalla Turchia. Saras Trading, costituita a Ginevra a settembre 2015 e attiva dal 2016, è stata amministrata dai vertici della capogruppo: tra questi Dario Schiaffardi, attuale ad di Saras e in precedenza dg, consigliere e vicepresidente esecutivo, insieme al direttore finanziario Franco Balsamo e al responsabile commerciale Marco Schiavetti. Balsamo e Schiavetti sono indagati a Cagliari. Saras risponde che “l’operazione è un’ordinaria cessione pro soluto tra Saras Trading e Ubi Factor di crediti, derivanti dalla vendita di prodotti petroliferi, vantati da Saras Trading nei confronti di Petraco Oil, società di primario standing operativa a livello mondiale. Responsabilità e trasparenza sono tra gli attributi fondamentali del gruppo e delle nostre persone che hanno sempre operato in conformità alle norme, senza conflitti di sorta con alcuno”. Letizia Brichetto Arnaboldi, vedova di Gian Marco Moratti che fu presidente di Saras, nel 2016 era presidente del consiglio di gestione e dal 2019 fino a pochi mesi fa è stata presidente di Ubi Banca. Contattata, Ubi non ha risposto.

Ma Saras ha anche altri problemi. In Borsa il titolo era risalito dai minimi storici di fine settembre a 43 centesimi sino a 52, con un rialzo del 20% spinto dalle voci di un’Offerta pubblica di acquisto di un potenziale investitore, ma ieri ha chiuso a -5,14%. Sul tonfo pesa il perdurare della crisi scatenata dalla pandemia che ha spinto la raffineria sarda a mettere in cassa integrazione a rotazione i 1.300 dipendenti dal 26 ottobre fino al prossimo 30 giugno.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/13/saras-isis-indagini-fino-a-ubi/5963959/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-13

venerdì 15 febbraio 2019

L’Italia salva la dignità dell’Europa sulla prepotenza Usa in Venezuela. - Malachia Paperoga

conte

Mentre in Italia qualche politico autolesionista non perde occasione di schierarsi contro il proprio popolo, il quale ricambia generosamente nelle urne, nel dibattito internazionale il comportamento coraggioso dell’attuale governo in politica estera viene apertamente elogiato. Chi ne esce con le ossa rotte è l’ipocrita Macron, che non tollera l’appoggio di Di Maio al popolo francese in rivolta contro lui stesso, ma riconosce un presidente del Venezuela non eletto da nessuno in aperto spregio alle leggi internazionali. 

Editoriale di Strategic Culture, 8 febbraio 2018

È comicamente ironico. La Francia ha richiamato l’ambasciatore di Roma a causa delle crescenti tensioni sulla presunta “interferenza” italiana negli affari politici interni francesi. Questo avviene proprio mentre la Francia e altri Stati europei si uniscono a una spudorata campagna degli Stati Uniti per rovesciare il presidente eletto del Venezuela, Nicolas Maduro. Non è facile pensare a qualcosa di più ironico.

Il dissidio tra Francia e Italia non è che l’ultimo capitolo di una lunga polemica tra il presidente francese Emmanuel Macron e il neoeletto governo di coalizione a Roma. Il governo italiano è formato da un’improbabile coalizione tra il sinistrorso Movimento 5 Stelle e un partito di destra, la Lega.

Entrambi i partiti sono molto critici verso l’establishment Ue e le politiche neoliberali capitalistiche che sono impersonificate dall’ex banchiere di Rothschild – diventato presidente francese – Macron.

Roma ha anche criticato la Francia per la sua responsabilità nel fomentare i problemi europei e italiani legati all’immigrazione di massa, in particolare attraverso i criminali interventi militari di Parigi, al fianco degli Usa e di altre potenze Nato, nel Medio Oriente e in Nord Africa.

La situazione è arrivata allo scontro aperto questa settimana, quando si è saputo che il vice primo ministro italiano Luigi Di Maio (leader del M5S) ha incontrato alcuni membri del movimento di protesta dei Gilet Gialli in Francia. Il movimento dei Gilet Gialli ha tenuto dimostrazioni in tutta la nazione nelle ultime dodici settimane, protestando contro le politiche economiche di Macron e contro quello che definiscono il suo stile elitista di governo. Di Maio e l’altro vice premier Matteo Salvini (leader della Lega) hanno apertamente appoggiato i contestatori francesi, con cui si identificano, in quanto espressione di una rivolta popolare contro l’austerità neoliberale in tutta Europa.

Reagendo a notizie di contatti tra il governo italiano e i contestatori francesi, il ministro francese degli Esteri – Jean-Yves Le Drian – li ha definiti una “oltraggiosa interferenza” negli affari interni del suo Paese. La polemica è aumentata ulteriormente dopo che la Francia ha richiamato il suo ambasciatore a Roma. L’ultima volta che ciò avvenne era stato nel 1940, durante la Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di un deterioramento importante nelle relazioni tra due membri fondatori dell’Ue.

Questo è il punto in cui l’ironia sconfina nella farsa. La Francia tuona con rabbia contro la presunta interferenza italiana nei suoi affari interni, mentre nello stesso preciso momento il governo francese prende parte a un tentativo internazionale guidato dagli Usa di mettere in atto un cambiamento di governo in Venezuela. L’arroganza ipocrita non ha prezzo.

Questa settimana la Francia e diversi altri membri dell’Unione europea, incluse la Germania, l’Inghilterra, la Spagna e l’Olanda, hanno annunciato che “riconoscevano” l’auto-proclamatosi presidente del Venezuela.

Juan Guaido – una marginale figura dell’opposizione – si è autodichiarato “presidente a interim” del Paese sudamericano il 23 gennaio. Esistono legami ben documentati tra Guaido, il suo partito di opposizione di estrema destra e la CIA americana. La mossa di delegittimare il presidente eletto, Nicolas Maduro, è stata orchestrata dall’amministrazione Trump. Si tratta di una manovra palesemente illegale di cambio di regime, che viola la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale. Il governo socialista di Maduro e la ricchezza petrolifera naturale della nazione – parliamo delle più grandi riserve conosciute sul pianeta – sono l’ovvio obiettivo di Washington e delle capitali europee.

La Russia, la Cina, l’Iran e la Turchia, così come alcuni paesi dell’America Latina, compresi il Messico, il Nicaragua, la Bolivia e Cuba, hanno giustamente denunciato l’interferenza negli affari sovrani del Venezuela. La richiesta di Washington che Maduro si dimetta sotto la minaccia di un’invasione militare Usa è un preoccupante sfoggio di aggressione imperialista. Ma questo comportamento da gangsters internazionali viene sostenuto da alcuni paesi europei, in primis la Francia, che concedono una parvenza di legittimità a questo vergognoso affare.

L’Italia è uno dei pochi paesi Ue che si sono rifiutati di seguire la criminale campagna guidata dagli Usa per un cambiamento di regime in Venezuela. Il governo italiano ha impedito alla Ue di emettere un comunicato politico congiunto di riconoscimento di Guaido come “presidente” al posto di Maduro. Le potenze europee che si stanno associando alle violazioni di Washington nei confronti del Venezuela lo stanno facendo di loro iniziativa, non nel nome della Ue.

La presa di posizione dell’Italia, insieme alla Russia e alla Cina, in difesa della sovranità del Venezuela è una meritoria adesione al diritto internazionale. Non consentendo alla Ue di associarsi alla prepotenza Usa, ha inferto un colpo vitale alle macchinazioni di Washington.

Pertanto, il governo italiano ha evitato che la Ue si screditasse completamente. Già è abbastanza grave che alcuni membri, come la Francia, si stiano associando alle operazioni gangsteristiche degli Usa contro il Venezuela, ma l’azione frenante dell’Italia ha quantomeno impedito all’Ue in blocco di farsi complice.

Se il fondamentale principio di non-interferenza negli affari sovrani degli stati-nazione non viene rispettato, l’intero sistema del diritto internazionale collassa. Il principio è stato violato molte volte negli anni più recenti, in particolare con le guerre illegali condotte dagli Usa e dai loro partner della Nato nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Ma quest’ultimo episodio di cambio di regime in Venezuela è forse il più audace mai visto. Washington e i suoi lacchè europei sono impegnati ad abolire il mandato democratico del presidente Maduro e la sentenza della Suprema Corte Venezuelana.

Washington e i suoi patetici complici europei stanno aprendo il Vaso di Pandora dell’anarchia globale se riescono a farla franca con il loro bullismo criminale contro il Venezuela.

La Russia, la Cina, l’Italia e altre nazioni stanno essenzialmente mantenendo la linea tra un’apparenza di ordine e un caos incontrollato.

Potremmo considerare il contatto tra il vice premier italiano e i contestatori francesi come una politica scarsamente accorta. Ma qualsiasi errore possa aver fatto l’Italia a riguardo, è trascurabile se paragonato all’incredibile arroganza e criminalità della Francia e degli altri Stati europei nella loro violazione della sovranità del Venezuela. L’arroganza della reazione francese alla presunta interferenza dell’Italia di questa settimana è uno spettacolo imperdibile.

Se proprio dobbiamo dire qualcosa, l’Italia merita applausi e rispetto per avere smascherato l’ipocrisia della Francia e degli altri aspiranti neo-colonialisti europei.

Il lato amaro dell’ironia è questo: il presidente francese e gli altri disprezzano la democrazia e il diritto internazionale – non solo in Venezuela – ma nei confronti dei loro stessi popoli.

domenica 26 novembre 2017

Il Peccato Cardinale della Finanza Internazionale. - Nick Giambruno



Nell’ottobre del 2000, Saddam aveva cominciato a vendere petrolio iracheno solo contro euro. L’Iraq – disse SADDAM – non accetterà più dollari per il petrolio perché non vuole trattare “nella valuta del nemico”.
Poco più di due anni dopo, gli Stati Uniti invasero il paese e  subito dopo la caduta di Baghdad nelle mani USA, tutte le vendite di petrolio iracheno tornarono ad essere effettuate in dollari.
Grazie alle rivelazioni di  WikiLeaks  sulle e-mail di Hillary Clinton, abbiamo appreso che il defenestrazione di Gheddafi in Libia fu scatenata per proteggere il prezzo dollaro —non per motivi umanitari. Secondo quelle sue e-mail , Stati Uniti (e  Francia) temevano che Gheddafi avrebbe usato le enormi riserve d’oro della Libia per creare una valuta panafricana. Questa valuta basata sull’oro sarebbe servita per comprare e vendere petrolio su tutti mercati globali. Inoltre, probabilmente  avrebbe anche rimpiazzato quella versione del franco francese che viene usata  in Africa centrale e occidentale.
Furono gli Stati Uniti e la Francia a sostenere la ribellione, sia militare che finanziaria, che rovesciò Gheddafi nel 2011.
Dopo la morte di Gheddafi, i piani per la moneta-oro, insieme con i 4,6 milioni di once d’oro della Libia, svanirono.
Certamente c’erano altre ragioni per cui gli USA rovesciarono Saddam e Gheddafi. Ma anche proteggere il petrodollaro era una cosa seria da tenere in considerazione, per lo meno.
Putin è un avversario piuttosto duro.Lo status speciale dato al dollaro dallo zio Sam è una leva tremenda, quindi non sorprende che la Russia voglia minare il sistema del petrodollaro che il presidente russo Vladimir Putin ha riassunto così:
La Russia condivide le preoccupazioni dei paesi BRICS per le ingiustizie dell’architettura finanziaria ed economica globale, che non tiene in debito conto il crescente peso delle economie emergenti. Siamo pronti a collaborare con i nostri partner per promuovere le riforme della regolamentazione finanziaria internazionale e per superare l’eccessivo predominio di un numero limitato di valute di riserva.
Essenzialmente, Putin sta dicendo che tutti vogliono abbandonare il dollaro.
Questo essenzialmente è perché gli Stati Uniti usano il dollaro come arma politica. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno cercato di sanzionare la Russia per le sue azioni in Crimea e in Ucraina. Queste sanzioni hanno reso più difficile per la Russia accedere al sistema finanziario basato sul dollaro USA. Quindi, ovviamente, la Russia spingerà per trovare un sistema alternativo.
Poco dopo le sanzioni, la Russia ha concluso un mega-accordo  in yuan, per vendere petrolio e gas alla Cina. L’accordo ha completamente raggirato il sistema finanziario statunitense … e qualsiasi sanzione.
Un Bypass permanente della Cina intorno al dollaro
La Russia è il più grande produttore di energia al mondo. La Cina è il più grande importatore di energia al mondo. Normalmente, dovrebbero fare lo scambio reciproco esclusivamente in dollari USA. Ma, come ho detto nelle ultime settimane, la Cina ora sta introducendo un procedimento più stabile. Chiamiamolo “Golden Alternative” della Cina al petrodollaro. È un modo razionalizzato per la Russia e per tutti gli altri paesi che vogliono vendere  – in Yuan, in contanti o in oro – il loro petrolio alla Cina.

La “Golden Alternative” cinese  al  Petrodollaro.

La Cina sta lanciando un’alternativa pratica e attraente al vigente sistema del petrodollaro. Permetterà a chiunque nel mondo di scambiare petrolio con oro e questo supererà totalmente anche il dollaro USA.
Ecco come funzionerà …
Lo Shanghai International Energy Exchange (INE) sta introducendo un contratto in futures sul petrolio greggio denominato in yuan cinese e permetterà ai produttori di petrolio di vendere il loro petrolio in yuan.
Certo, la Cina sa che la maggior parte dei produttori di petrolio non vuole accumulare una grande riserva di yuan e per questo i produttori potranno convertire efficientemente lo yuan  in oro fisico alle borse dell’oro di Shanghai e di Hong Kong.
In conclusione, i due dei maggiori attori del mercato globale dell’energia stanno bypassando  completamente il sistema del petrodollaro e osservatori ben  informati affermano che la Russia stia già convertendo in oro gran parte dei suoi incassi fatti in yuan.
Naturalmente, anche altri paesi sono interessati a eludere il sistema finanziario USA e le loro sanzioni e la Golden Alternative  della Cina darà a chiunque la possibilità di farlo.
Questo renderà il dollaro un’arma politica molto meno efficace.
Altri paesi sulla lista dei cattivi di Washington stanno firmando con entusiasmo. L’Iran, altro importante produttore di petrolio, accetta pagamenti in yuan, così come il Venezuela, che ha le più grandi riserve petrolifere del mondo.
Penso che altri paesi seguiranno presto. Dal punto di vista dei produttori di petrolio, è un gioco da ragazzi.
Con l’alternativa dorata della Cina, un produttore di petrolio può entrare sul mercato più grande del mondo e cercare di conquistare più quote di mercato e può anche  convertire facilmente e rimpatriare i suoi proventi in oro, una forma di denaro internazionale che non corre rischi politici.
Ma questo non vale per un blocco che è rimasto critico …  quello dell’Arabia Saudita.
Il braccio di ferro saudita.
L’ Arabia Saudita è il più grande esportatore di petrolio del mondo. Gran parte di quel petrolio va in Cina, il più grande importatore del mondo.  Pechino paga ancora con riluttanza il greggio saudita in dollari USA ed i sauditi non vogliono nient’altro, almeno per ora.
Questo disturba la Cina che può importare il greggio saudita solo comprando e quindi usando dollari USA e questo, ovviamente, significa che la Cina deve rimanere nelle grazie di Washington.
Il segretario del Tesoro di Trump recentemente ha portato a casa proprio questo punto. Ha minacciato di cacciare la Cina dal sistema del dollaro USA se non avesse schiacciato la Corea del Nord.
La Cina preferirebbe non dipendere da un avversario di questo genere e questo è uno dei motivi principali per cui sta lanciando la Golden Alternative. L’Arabia Saudita, tuttavia, rifiuta di partecipare. Non venderà il suo petrolio in nessun’altra valuta che non sia il dollaro USA perché non farlo, significherebbe rompere il vecchio accordo sul petrodollaro con gli Stati Uniti.
Se Cina, Russia, e altri commercianti di petrolio commerciano in yuan, questa è una bella spallata contro il petrodollaro, ma se anche l’Arabia Saudita dovesse cambiare idea e accettare gli  yuan, questo farebbe essiccare la valuta-super-dollaro … e provocherebbe un immediato panico finanziario negli USA.
La verità è che vendere petrolio in yuan costerebbe troppo all’Arabia Saudita.
Perderebbe immediatamente la protezione diplomatica e militare USA, poi i media e i think tank comincerebbero a battere subito i pugni sul tavolo per spingere l’esercito americano ad intervenire per portare la democrazia a Riyadh.
L’anno scorso Trump ha dichiarato: “Se l’Arabia Saudita non fosse sotto il mantello della protezione americana, non penso che sarebbe ancora in giro”.  
Ha assolutamente ragione. Certo, i sauditi lo sanno bene e per questo motivo sono rimasti al guinzaglio corto … fino a poco tempo fa.
Con una mossa a sorpresa, ultimamente  Re Salman è stato il primo monarca saudita a visitare la Russia. Fino a poco tempo fa, la visita sarebbe stata impensabile. L’Arabia Saudita è stata uno dei più stretti alleati USA da quando cominciò il sistema del petrodollaro negli anni ’70.
E in tutto questo tempo, Russia e Arabia Saudita sono state nemiche, per decenni e anche recentemente, sauditi e russi, sono stati su parti opposte nella guerra civile siriana.
Ecco perché la storica visita di King Salman a Mosca è così importante. I sauditi stanno chiaramente cercando di dare una nuova copertura alle loro scommesse contro gli Stati Uniti e il sistema del petrodollaro.
L’Arabia Saudita ora si sta riavvicinando alla Russia.
I sauditi si sono impegnati a investire fino a $ 10 miliardi in vari settori industriali russi. Ma, ancora più significativo, hanno accettato di comprare il sistema missilistico S-400, il più avanzato sistema di difesa aerea russo, come parte di un acquisto di armi da 3 miliardi di dollari.
Questo accordo significa un terremoto geopolitico, i sauditi non avevano mai comprato attrezzature militari russe.
Sin dalla nascita del petrodollaro, i sauditi sono sempre dipesi dalla protezione militare americana. Dopotutto, è quello che avevano ottenuto in cambio del prezzo del loro petrolio pagato in dollari.
L’accordo degli S-400 fa pensare e che i sauditi stiano cercando di dare una copertura ai loro affari. Primo, non stanno comprando un sistema americano. Secondo, stanno comprando un sistema russo capace di dissuadere un attacco americano.
L’Arabia Saudita sta facendo passi significativi per trovare  delle alternative alla protezione americana.
Contemporaneamente la Cina sta tagliando gli acquisti di greggio saudita.
Qualche anno fa, il petrolio saudita costituiva oltre il 25% delle importazioni di petrolio cinesi. Era il primo fornitore di Pechino. Oggi, la quota di mercato dei sauditi è scesa sotto il 15%.
In altre parole, i sauditi stanno perdendo enormi quote di mercato e vengono cacciati dal più grande mercato di petrolio del mondo. Questo principalmente perché si stanno rifiutando di vendere petrolio in yuan alla Cina.
La Cina si è schiarita le idee:  vuole fare affari solo con chiunque accetterà i suoi yuan in pagamento.
Oggi la Russia ha superato l’Arabia Saudita come principale fornitore della Cina. La sua quota del redditizio mercato cinese è salita dal 5% a oltre il 15%. L’accettazione entusiastica della Russia dello yuan come pagamento è la ragione principale di questo cambiamento.
Nel frattempo, anche l’Angola, altro produttore di petrolio africano, è salita a bordo. Il paese ora accetta yuan come pagamento per le sue esportazioni di petrolio verso la Cina, anzi nel 2015 ha persino reso lo yuan cinese la sua seconda valuta legale.
Da allora le importazioni cinesi dall’Angola sono aumentate ed ora l’Angola è il secondo fornitore della Cina, dopo la Russia.
Niente di questo fa ben sperare per il sistema dei petrodollari.
I sauditi hanno due possibilità …  o strappare l’accordo del petrodollaro o essere esclusi dal mercato petrolifero più redditizio del mondo.
In un modo o nell’altro – e probabilmente presto – i cinesi troveranno come costringere i sauditi ad accettare i loro yuan. Le dimensioni del mercato cinese rendono impossibile che l’Arabia Saudita ignori all’infinito le richieste della Cina.
Cosa guardare per ……
La Cina potrebbe non convincere i sauditi a sbarazzarsi del sistema del petrodollaro domani, ma sta andando avanti velocemente.
Qualche mese fa, l’Arabia Saudita ha annunciato di voler emettere obbligazioni Panda per finanziare il deficit di spesa del governo. (Le obbligazioni panda sono obbligazioni denominate in yuan da emittenti non cinesi e vendute in Cina).
Questa è una cosa importante. La valuta dei sauditi è ancorata al dollaro USA. Fino ad oggi hanno utilizzato esclusivamente dollari USA per tutte le loro principali iniziative finanziarie.
L’emissione di debito in yuan, anziché in dollari USA, rappresenta una mossa significativa e significa che l’Arabia Saudita si sta avvicinando alla Cina.
Inoltre, i sauditi hanno recentemente inaugurato una imponente raffineria di Yasref nella città saudita di Yanbu. La raffineria è una joint venture da $ 8,5 miliardi tra la Saudi Aramco e la cinese Sinopec.
Questi sono movimenti che non passano inosservati, anche se i sauditi non hanno ancora dato alla Cina quello che vuole veramente : petrolio in cambio di yuan.  Ma  questo potrebbe accadere presto …
La più grande IPO della Storia
Nei prossimi mesi, i sauditi pianificano di lasciar fluttuare una partecipazione del 5% della Saudi Aramco, la compagnia petrolifera statale.
L’Aramco saudita è l’azienda più preziosa del mondo e questa probabilmente sarà la più grande offerta azionaria di sempre. Potrebbe triplicare o addirittura quadruplicare l’attuale offerta pubblica iniziale (IPO) di Alibaba da $ 25 miliardi.
Il successo dell’IPO dipenderà da quali grandi investitori riuscirà ad attirare l’Arabia Saudita. Ma finora, gli investitori occidentali non hanno mostrato molto entusiasmo.
Per la Cina, tuttavia, potrebbe essere l’occasione perfetta per prendere maggior influenza politica in Arabia Saudita
Se la Cina prendesse una grande partecipazione nell’IPO della Aramco, contribuirebbe a cementare le sue relazioni con l’Arabia Saudita e farebbe anche aumentare la distanza tra  sauditi e americani.
E in modo critico, darebbe ai cinesi più potere per costringere i sauditi ad accettare i loro yuan per il petrolio.
La Cina sta negoziando non solo un 5%, ma il suo potenziale che è molto maggiore.
In conclusione … i sauditi non hanno ancora rotto veramente con gli Stati Uniti, ma hanno preso una deriva che li porta verso la Cina finanziariamente e verso la Russia militarmente.
I sauditi stanno chiaramente cominciando a scaricare il petrodollaro.
Se i sauditi vendessero alla Cinapetrolio  in yuan, ucciderebbero il petrodollaro con una notte sola. Comunque, a parte questo, le cose sembrano mettersi piuttosto male per il petrodollaro.
Il sistema dei petrodollari sta affrontando una grave erosione, grazie, in buona parte , alla Golden Alternative cinese che è già bella e pronta da servire in tavola.
E con quella, una brutta inflazione negli Stati Uniti è una certezza e questo sarà probabilmente il punto di svolta …
Dopo il crollo del petrodollaro, il governo USA sarà abbastanza disperato da mettere in atto controlli sui capitali, controlli sulle persone, nazionalizzazione dei risparmi per la pensione e altre forme di confisca di ricchezza.
Vi esorto a prepararvi per le ricadute economiche e sociopolitiche finché ci sarà ancora tempo. Aspettatevi un governo più grande, meno libertà, meno prosperità … e forse anche peggio. Forse non sarà domani. Ma sappiamo dove sta andando questo trend.
È possibile che un giorno non molto lontano  gli americani si sveglieranno in una nuova realtà. Una volta che il petrodollaro avrà toccato il fondo del secchio e il dollaro avrà perso il suo status di prima valuta di riserva del mondo, ci resterà poco da scegliere.
La triste verità è che la maggior parte della gente non ha idea di quanto le cose potrebbero mettersi male  se le lasciassimo andare, seguendo da sole gli eventi …
Eppure ci sono semplici passi si possono intraprendere già oggi per proteggere i propri risparmi  dagli effetti finanziari e sociopolitici del crollo del petrodollaro.
Abbiamo pubblicato recentemente una  Guide to Surviving and Thriving During an Economic CollapseClick qui per una copia in PDF.
Fonte:  http://www.internationalman.com
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario

giovedì 7 aprile 2016

Petrolio Basilicata, gip: “Malori per fughe di gas, Eni li taceva per evitare il blocco”. - Thomas Mackinson

Petrolio Basilicata, gip: “Malori per fughe di gas, Eni li taceva per evitare il blocco”

"Non riuscivo a respirare, mi girava la testa e avvertivo una sensazione di nausea e smarrimento". E' una delle testimonianze agli atti dell'inchiesta della Procura di Potenza sull'impianto di Viggiano. Secondo l'accusa, però, i funzionari indagati non aprivano neppure le procedure d'infortunio sul lavoro per evitare allarmi. La telefonata: "La moral suasion non ha funzionato, il dipendente ha aperto la pratica".


“Sono stata investita da un forte odore di gas, non riuscivo a respirare, mi girava la testa e avvertivo una sensazione di nausea e smarrimento”. Durante la corsa verso il 118 la signora Franca vomitava e respirava a fatica. Un’altra lavoratrice viene soccorsa, messa sotto flebo e con maschera d’ossigeno, sempre per una fuga di acido solfidrico. Ne avrà per diversi giorni ma per i responsabili del Centro Oli di Viggiano indagati dalla Procura di Potenza erano solo malori occasionali, tanto che nessuna procedura per infortunio veniva aperta. “L’atteggiamento che il management Eni ha dimostrato in dette occasioni – scrive il gip – era orientato a una preordinata e accanita pervicacia nel nascondere la reale entità del problema ambientale e i rischi connessi alla salute dei lavoratori”.
E’ partita anche da qui, dal cuore dello stabilimento Cova di Viggiano e a indagini ancora aperte, la pista che porta ora i magistrati ad acquisire le cartelle cliniche della popolazione in tutta la Basilicata, con indagini epidemiologiche anche sui “bioindicatori”, ovvero su indicatori utili a dimostrare i possibili livelli di inquinamento sulle produzioni agricole locali e sugli allevamenti. L’intento è verificare con dati clinici quanto fossero dannose per la salute le reiezioni nei pozzi dei liquami tossici smaltiti come acque di produzione e le emissioni in eccesso alle prescrizioni di legge che venivano sistematicamente nascoste. In particolare quelle di anidride solforosa (H2S), sostanza tossica ad ampio spettro, che viene prodotta nel processo di estrazione e raffinazione del petrolio tramite combustione.
Un veleno insidioso, annotano i magistrati: concentrazioni modeste vengono avvertite dalla popolazione sotto forma di odore di uova marce e possono causare problemi neurologici, debolezza, svenimenti. Ad alte concentrazioni può essere anche letale ma non viene avvertito, perché le particelle paralizzano il senso dell’olfatto. La H2S entra nel corpo per inalazione, attraverso il cibo e l’acqua contaminati, attraverso la pelle provocando infiammazioni alla cornea, congiuntiviti, tosse. I processi di cicatrizzazione della pelle si rallentano, le dermatiti non passano. Le concentrazioni più alte possono portare alla perdita di coscienza e alla morte.
Ecco il senso di quello che vanno cercando i magistrati: la conferma dell’ipotesi di disastro ambientale con quelle più gravi legate alla compromissione della salute. Alcuni elementi, per la verità, sono stati già acquisiti e hanno messo in luce ancora una volta la spregiudicatezza dell’atteggiamento dei dirigenti dell’impianto Eni. I magistrati di Potenza ricostruiscono quattro episodi in cui altrettanti lavoratori del Centro Oli, nel 2014 e dunque in piena fase di indagine, si sentono male proprio a causa delle fuoriuscite di H2S dallo stabilimento lucano. Anche se la compagnia insiste la “qualità dell’aria ottima” e certificata.
I pm mettono in risalto un dato sconcertante, poi ripreso dal gip nell’ordinanza: in caso di malore del personale che prestava opera negli impianti i dirigenti si spendevano molto perché fossero ben seguiti, ma non per le loro condizioni di salute: “Nell’ambito degli incidenti legati all’inalazione di ammina o H2S”, scrivono i magistrati “si è appurato come l’unico intento degli indagati fosse quello di celare la causa del malore di cui erano stati vittima i lavoratori, evitando addirittura di aprire la procedura per infortunio sul lavoro”. Il ricatto, manco a dirlo, era il lavoro. “La moral suasion non ha funzionato. Il lavoratore ha aperto l’infortunio”, si legge nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta tra i titolari di una ditta di manutenzione e i responsabili del settore “salute e sicurezza” dell’Eni. Poi il referente della ditta, per compiacere i vertici di Eni, non procederà ad aprire la pratica, “consapevole che i vertici non gradiscono veder aumentare le statistiche degli infortuni all’interno dei loro impianti”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/07/petrolio-basilicata-pm-malori-per-fughe-di-gas-eni-li-taceva-per-evitare-il-blocco/2609773/

Io intravedo tutte le motivazioni necessarie per formulare un'accusa di crimini contro l'umanità nei confronti dei responsabili dei disastri ambientali e delle relative conseguenze dagli stessi derivanti, tra le quali l'aumento delle mortalità per tumori.

sabato 2 aprile 2016

Petrolio in Basilicata, 850mila tonnellate di sostanze pericolose nei pozzi. “Eni beneficiaria dell’ingiusto risparmio”. - Thomas Mackinson

Petrolio in Basilicata, 850mila tonnellate di sostanze pericolose nei pozzi. “Eni beneficiaria dell’ingiusto risparmio”

Le dimissioni del ministro Guidi hanno messo in secondo piano le pesantissime accuse per reati ambientali della Procura di Potenza. Secondo i pm, grazie all'alterazione dei codici rifiuto, l'azienda ha risparmiato fino a 100 milioni sui costi di smaltimento. Anche le emissioni in atmosfera, sistematicamente in eccesso, venivano taroccate. La produzione, per ora, è sospesa. Intanto prosegue l'indagine dei carabinieri del Noe e non si esclude l'ipotesi di disastro ambientale.

Sei numeri su un foglio. Bastava cambiarne due per far splendere il sole nella valle del petrolio. Il rifiuto da pericoloso diventava innocuo, pronto per esser smaltito nei pozzi e nelle terre agricole della Val D’Agri, a un costo di 33 euro a tonnellata anziché 90 o 160. Un cambio dei “codici Cer” operato sistematicamente dai manager dell’Eni di Viggiano, con la complicità delle ditte incaricate dello smaltimento, che avrebbero reiniettato in un solo anno qualcosa come 854mila tonnellate di liquidi inquinanti, permettendo – secondo i pm – alla società del cane a sei zampe di risparmiare fino a 100 milioni di euro.
E’ solo un frammento della vicenda che ha sconvolto la Basilicata. Una storia che rischiava di finire in ombra per via delle più clamorose dimissioni del ministro Guidi, costretto a lasciare a causa delle intercettazioni con il compagno sullo sblocco del progetto Tempa Rossa, sul quale l’imprenditore aveva messo gli occhi. Invece l’indagine dei carabinieri del Noe sul fronte ambientale prosegue, e la procura di Potenza non esclude l’ipotesi di disastro ambientale. In ballo c’è il destino delle terre inquinate e il futuro dello stabilimento coi relativi guai occupazionali che già si profilano. Fino a segnare, forse, il definitivo tramonto della grande illusione del petrolio pulito in Val D’Agri.
Eni, il “principale beneficiario” – Sullo sfondo, resta anche il tema delle emissioni in eccesso, a completare l’opera di chi – per un qualche profitto e tornaconto ancora da chiarire – ha inteso nascondere per anni la reale capacità inquinante dell’impianto petrolifero, avvelenando l’ambiente. Sul punto Eni, come si conviene, ostenta sicurezza. Precisa che i sei dipendenti arrestati sono stati subito sospesi e che è in corso un’indagine interna. Sulle motivazioni che li avrebbero indotti a taroccare rifiuti pericolosi ed emissioni in eccesso trapela un malcelato stupore. I pm non contestano loro il peculato, Eni smentisce che possano aver ricevuto premi per i risparmi conseguiti illecitamente. E dunque le utilità di quelle condotte non avrebbero altro agente che l’azienda stessa che i pm indicano espressamente come “il principale beneficiario dell’ingiusto risparmio conseguito”. E tuttavia Eni non risulta tra i soggetti indagati. D’altra parte quello stesso risparmio appare risibile sia per un’azienda che fattura 200 miliardi l’anno e rispetto al rischio di finire nella bufera e vedersi sigillare gli impianti. Al momento, a quanto si apprende, la società presieduta da Emma Marcegaglia è impegnata proprio nel tentativo di scongiurare il sequestro del centro oli, contestando il nesso causale tra il suo funzionamento e la reiterazione del reato, come all’Ilva di Taranto. E anche in Basilicata si farà leva sul fattore occupazionale che non riguarda solo i 196 occupati diretti al Cova ma molti di più: gli ultimi dati pubblicati nel LR 2014 mostrano che hanno lavorato per le attività di Eni Distretto Meridionale 3.530 persone di cui 409 occupati diretti e 3.121 occupati indiretti nell’indotto oil&gas. I dipendenti da giorni stanno facendo manutenzione alle macchine ferme, la certezza è che “viste le perdite, se l’attività non riprende a breve non potremo garantirgli un lavoro”. E il ricatto è servito.
Scambio di codici. E le sostanze nocive finiscono nel pozzo – 
Poi c’è l’ambiente, poi. 
E’ l’ordinanza del Noe dei carabinieri il fulcro di questa storia che porta all’emissione di una cinquantina di provvedimenti cautelari e al sequestro preventivo dell’impianto Cova di Viggiano. Per l’alterazione dei codici rifiuto sono indagati vari manager e responsabili del centro, imprenditori dello smaltimento. L’elenco comprende funzionari della regione, otto manager dell’Eni nonché imprenditori affidatari di contratti di smaltimento. Tutti, secondo le accuse, contribuivano in vario modo a praticare e gestire il “traffico illecito di rifiuti”. Di queste condotte, al di là delle posizioni giudiziarie, resta il lascito di centinaia di migliaia di tonnellate di liquidi contenenti metidieanolammina (MDEA) e glicole trietilenico, sostanze tossiche che venivano comunemente smaltite come acque di produzione e reiniettate nel pozzo Costa Molina2, ubicato in agro di Montemurro (PZ), benché in realtà fossero “rifiuti speciali pericolosi” da trattare anziché nascondere sotto terra. Le cronache lucane sono piene di studi, rilevazioni e dossier che attestano da anni il riemergere degli inquinanti e degli scarti di estrazione/lavorazione degli idrocarburi. Dati che venivano smentiti dall’Eni e dalle autorità pubbliche, sulla scorta di certificazioni che l’inchiesta definisce senza fronzoli “false”.
Sforamenti e allarmi ignorati. Il sistema per nasconderli – False anche le attestazioni sulla capacità inquinante dei camini del centro Oli che, insieme ai residui di produzione, sono l’altro fattore di maggior impatto ambientale. Qui gli inquirenti hanno fatto un lavoro certosino tra intercettazioni e documenti, rilevando come gli allarmi per gli sforamenti dei limiti alle emissioni in atmosfera fossero sistematicamente falsati, per ricondurli ai valori delle prescrizioni e nasconderli alle autorità competenti, sempre allo scopo di non incorrere nel blocco delle attività del centro. A consentirlo era il sistema automatizzato di monitoraggio degli allarmi, che prevedeva l’invio di un sms a una lista di funzionari dell’Eni-Cova, con anche l’indicazione del punto di emissione (camino). Solo tra dicembre 2013 e luglio 2014 ne arrivano 208, tutti a indicare l’avvenuto superamento dei limiti di emissione di Nox So2.
Il Noe di Potenza accerta però che per molti avvisi scattava da parte dei vertici del Centro Oli una “condotta fraudolenta volta a nascondere agli enti di controllo le reali cause del problema e celare le inefficienze dell’impianto”. Nelle intercettazioni, ad esempio, i vertici della gestione ambientale del SIME di Eni, Vincenzo Lisandrelli e Roberta Angelini, si accordano su come giustificare gli sforamenti per farli apparire transitori, al fine di non palesare i persistenti problemi dell’impianto che possono causare problemi di carattere prescrittivo. Un trucco per abbattere il numero di sforamenti segnalati era quello di tenere aperta la comunicazione oltre le 24 ore previste, così da far rientrare più eventi in una sola.  “Appare chiaro”, scrivono i magistrati “che i problemi impiantistici che causano gli sforamenti delle emissioni in atmosfera del Cova hanno ripercussioni anche sulla qualità dei rifiuti liquidi che escono dal Cova e vanno a smaltimento presso i vari depuratori finali”. E’ il perfetto (quanto illecito) ciclo dei rifiuti: dove a un dato alterato ne segue un altro, lungo tutta la filiera che porterà l’ombra nera del petrolio più sporco sulla Val D’Agri.