Visualizzazione post con etichetta Legge di Stabilità. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Legge di Stabilità. Mostra tutti i post

venerdì 1 aprile 2016

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi. - Marco Palombi

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi

Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 2014, la deputata M5s Liuzzi e le opposizioni protestano per la richiesta di modifica a firma dell'ex ministro dello Sviluppo che viene dichiarata "inammissibile". Va meglio con la legge di Stabilità, la responsabile per le Riforme accetta il provvedimento che riesce a passare con il voto di fiducia.

La prima notte è quella tra il 16 e il 17 ottobre 2014, quando le commissioni Ambiente e Attività produttive di Montecitorio stanno discutendo il decreto Sblocca Italia: quel testo rende, tra le altre cose, molto più facile costruire impianti petroliferi (e inceneritori) visto che li dichiara “infrastrutture strategiche per l’interesse nazionale”. Si procede a tappe forzate ed è notte quando la deputata M5S Mirella Liuzzi si accorge di uno strano emendamento che rende “strategiche” pure tutte le opere connesse all’attività estrattiva: gasdotti, porti, siti di stoccaggio. Proprio quello che serve al progetto Tempa Rossa, come vedremo. Più interessante, adesso, è notare che quell’emendamento era stato consegnato alle commissioni dal capo di gabinetto del ministro Federica Guidi e portava la sua firma: la rivolta delle opposizioni, e forse l’imbarazzo del Pd, causano una irrituale dichiarazione di inammissibilità per quel testo (un Gronchi rosa per un emendamento governativo).
Va meglio con la legge di Stabilità
La notte è quella tra il 12 e il 13 dicembre 2014 e siamo in commissione Bilancio in Senato. L’emendamento viene consegnato – come da prassi – dal ministero dello Sviluppo economico a Maria Elena Boschi, titolare dei Rapporti col Parlamento e gestore del traffico delle proposte governative. Stavolta il testo passa e viene recepito nella manovra poi approvata con la fiducia: non è chiaro, finché Boschi non ce lo spiegherà, con quale motivazione sia stata convinta dalla collega a inserire “l’emendamento Tempa Rossa” tra quelli da approvare. Pochi minuti dopo, comunque, Guidi avverte il fidanzato e s’inguaia.
Detto delle modalità notturne d’intervento della ex ministra, resta da spiegare cos’ha fatto in pratica. 
Breve riepilogo: il progetto Tempa Rossa ha il suo cuore nel giacimento lucano la cui concessione è appannaggio di Total (al 50%), Shell e Mitsui. I sei pozzi in Basilicata (più 2 da autorizzare) a regime dovrebbero produrre 50 mila barili al giorno, aumentando del 40% la produzione nazionale di greggio. Questo progetto ha già ottenuto una Valutazione di impatto ambientale positiva nel 2011. Qual è il problema allora? Quello che si fa col petrolio una volta estratto: bisogna portarlo a Taranto, stoccarlo e raffinarlo. È una vera fortuna che Eni disponga di un impianto proprio nella martoriata città dell’Ilva. E qui, però, cominciano i guai: cittadinanza, movimenti e (fino a un certo punto) pure i politici locali si oppongono a potenziare la capacità inquinante dell’impianto del Cane a sei zampe. Il motivo lo spiegò Arpa Puglia nel 2011: “L’esercizio di questi impianti comporterà un aumento delle emissioni diffuse pari a 10 tonnellate/anno che si aggiungeranno alle 85 tonnellate/anno già prodotte (con un incremento del 12%)”.
C’erano insomma problemi a fare i lavori al punto di approdo del petrolio estratto nel giacimento di Total e soci di Gorgoglione, in Basilicata: due siti di stoccaggio, un prolungamento del pontile e altre cosette. È qui che arriva l’ex ministro Guidi: l’emendamento prevede che l’autorizzazione unica per le opere “strategiche” valga anche “per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali” anche lontano dal giacimento. E se gli enti locali si oppongono? C’è il secondo comma: lo Sblocca Italia prevede che, in quanto strategiche, su queste opere alla fine decida il governo. Il via libera definitivo ai lavori a Taranto è arrivato il 19 dicembre 2015, quattro mesi fa. Lo ha firmato il ministro Federica Guidi. Non si sa se poi abbia avvertito il fidanzato.

giovedì 26 novembre 2015

Legge Stabilità, Boeri: “Con taglio spese informatiche pubblica amministrazione Inps non potrà lavorare”.

Legge Stabilità, Boeri: “Con taglio spese informatiche pubblica amministrazione Inps non potrà lavorare”


L'allarme del numero uno dell'istituto: "Rischiamo di non poter accendere le macchine e erogare i servizi" e "sarà indebolito il contrasto all'evasione". L'economista ha anche detto che la riduzione del 50% della spesa corrente prevista dal maxiemendamento approvato dal Senato "viene da una proposta di Ibm per Confindustria".

La maggior parte delle spese informatiche dell’Inps sono “incomprimibili“. Di conseguenza il taglio del 50% della spesa corrente previsto dalla legge di Stabilità renderà “impossibile” per l’istituto di svolgere le proprie funzioni. Non solo: “Rischia di indebolire il contrasto all’evasione“. A lanciare l’allarme è stato il presidente Tito Boeri nel corso di un’audizione alla Camera. Ma l’economista ha anche messo sul tavolo un’accusa ulteriore: “Questi provvedimenti vengono da una proposta di Ibm per Confindustria di novembre di quest’anno e arrivano all’ultimo secondo in Stabilità”. Il cofondatore de lavoce.info, che ha già avuto modo di criticare la manovra perché sulle pensioni “fa interventi selettivi” e “crea asimmetrie”, ha definito “grave” la decisione del governo.
“Pensavamo ad una svista, ma poi l’intervento è stato confermato con il maxiemendamento” su cui il Senato ha votato la fiducia venerdì scorso. In base al quale l’obiettivo andrà raggiunto in tre anni, non uno come nella prima versione, sarà limitato alla “spesa corrente” e non riguarderà i canoni dei servizi di connettività, cioè per esempio l’accesso alla banda larga. Un ripensamento non solo insufficiente (la norma resta “distorsiva e penalizzante”) ma dietro al quale l’economista ha ipotizzato ci sia uno specifico interesse: l’esclusione delle spese in conto capitale e di quelle effettuate tramite la centrale acquisti Consip permetterà infatti di continuare a comprare nuovo hardware, ma andrà scapito di “manutenzionelicenze d’uso, connettività della fonia e sicurezza“. Ne farà le spese anche, si fa notare dall’entourage di Boeri, “il personale tecnico informatico che gestisce servizi come La mia pensione, che permette di simulare quale sarà l’ammontare del futuro assegno”.
L’economista ha spiegato che su 350 milioni di spesa corrente 198 sono appunto “incomprimibili”. “Sono spese necessarie al funzionamento del sistema Inps e a fornire i servizi dell’istituto”, ha continuato il professore.  “In questo modo – ha detto – rischiamo di non poter accendere le macchine e erogare i servizi. È un intervento draconiano. Mi auguro che su questa decisione si torni indietro. Dal taglio sono esonerati il ministero dell’Economia e le agenzie fiscali nell’ottica della lotta all’evasione, lotta che fa anche l’Inps: si pensi che ci sono 208 milioni di linee di codice casellario” con “17 milioni di posizioni attive, 15 milioni per i lavoratori dipendenti, 25 milioni di lavoratori attivi. Queste banche dati sono fondamentali”. Insomma, “questa norma che resta nel maxi emendamento potrebbe fortemente penalizzare il lavoro per il contrasto evasione fiscale e contributiva“.
Il presidente Inps ha ricordato che le banche dati richiedono una manutenzione costante e, rispondendo a un’osservazione di un membro della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, si è detto contrario a trasferirle fuori dall’istituto. No al “disegno privatistico”, ha chiuso le porte Boeri, perché “si tratta di patrimonio che deve esser messo a disposizione” ed “è per questo che abbiamo siglato convenzioni con altri enti della Pa”: “La direzione di marcia deve essere la messa in rete dei dati. Il principio per cui si deve trasferire tutto al di fuori è pericoloso” e “non ci sembra la formula più efficiente”. Inoltre “è molto importante che le banche dati e l’attività ispettiva siano molto intrecciati tra loro”.
L’attacco di Boeri arriva a poche settimane dalla pubblicazione sul sito dell’Inps della proposta di legge per una riforma complessiva del sistema previdenziale e assistenziale. Proposta che era stata già girata all’esecutivo la scorsa estate, ma è rimasta inascoltata. E, una volta diffusa nella sua completezza, ha immediatamente scatenato polemiche perché prevede tra l’altro penalizzazioni per 250mila pensionati i cui assegni non sono giustificati dai contributi versati e una sforbiciata pure per i vitalizi dei politici.

sabato 24 ottobre 2015

Stabilità, porte aperte al nero: scompare obbligo pagamenti tracciati per affitti e fatture autotrasporto. - Carlo Di Foggia

Stabilità, porte aperte al nero: scompare obbligo pagamenti tracciati per affitti e fatture autotrasporto


Nelle ultime bozze della manovra si apre alla possibilità di pagare in contanti nei due settori considerati "a rischio infiltrazione criminale".

Quattro righe criptiche e il colpo di spugna è servito: niente obbligo di usare solo pagamenti tracciati per versare gli affitti, o saldare fatture nell’autotrasporto, settore a rischio di “infiltrazione criminale”. Due conquiste, manco a dirlo, volute a suo tempo dal Pd, che ora la legge di stabilità di Matteo Renzi cancella del tutto. Nel messaggio “sbagliatissimo” (copyright Raffaele Cantone) – come molti tra magistrati ed esperti definiscono la decisione del premier di alzare il limite all’uso del contante dai mille attuali a tremila euro – ce n’è un altro passato inosservato: il dietrofront è su tutta la linea, perfino per settori nei quali quel limite non valeva. Perchè sensibili.
Andiamo con ordine. In tutte le bozze della Stabilità circolate finora (il testo definitivo dovrebbe approdare oggi in Senato) all’articolo 65 (“circolazione del contante”) figurano due commi, che abrogano altrettante misure tutt’ora in vigore. La prima riguarda una novità introdotta dalla legge di stabilità 2014, governo di Enrico Letta: “I pagamenti dei canoni di locazione di unità abitative, fatta eccezione per l’edilizia residenziale pubblica, sono corrisposti obbligatoriamente, quale ne sia l’importo, in forme che escludano l’uso del contante e ne assicurino la tracciabilità”. Una misura voluta per arginare il fenomeno endemico degli affitti in “nero”, per un’evasione stimata in 3,5 miliardi (per la Cgil nel 2013 quelli versati dagli studenti hanno nascosto un imponibile da 1,5 miliardi). Chi l’ha voluta? Il Pd, che il 12 dicembre 2013 fa passare un emendamento in commissione bilancio, firmato dal capogruppo Marco Causi. La norma fa infuriare il solito Ncd, che si duole per bocca di Renato Schifani: “Non può valere come regola generale, è bene evitare misure che troppo drasticamente impediscano la circolazione della moneta”.
Stessa storia per l’autotrasporto. A ottobre, in sede di conversione del famoso decreto “sblocca Italia”, in Senato il Pd fa approvare un emendamento che recita così: “Tutti i soggetti della filiera dei trasporto merci su strada provvedono al pagamento del corrispettivo per le prestazioni rese utilizzando strumenti elettronici di pagamento e comunque ogni altro strumento idoneo a garantire la piena tracciabilità delle operazioni, indipendentemente dall’ammontare dell’importo”. Il motivo? “La prevenzione delle infiltrazioni criminali e del riciclaggio del denaro derivante da traffici illegali”. Ora tutto viene cancellato.
“È una scelta così specifica che sembra suggerita da qualcuno”, spiega Cinzia Franchini, presidente nazionale della Cna-Fita, che da anni si batte contro le infiltrazioni criminali nel settore e per questo ha ricevuto lettere di minaccia e proiettili: “Eravamo orgogliosi di quella norma, cancellarla è un grave errore inspiegabile, di sicuro alcuni festeggeranno. Noi chiederemo un incontro urgente, anche perché le imprese sane già pagavano tutto in maniera tracciata”.
Non è un dettaglio da poco. In entrambi i casi, infatti, il Pd fa approvare le norme, senza però specificare le sanzioni. Quella sugli affitti, infatti entra in vigore a gennaio 2014, ma il 4 febbraio, con il governo Letta ormai morente, il Tesoro emette una nota interpretativa che conferma l’incredibile svista: visto che non le hanno specificate, si applicano solo le sanzioni già previste dalla normativa antiriciclaggio, quella che prevede la soglia dei mille euro. Al di sotto, si infrange la legge ma non si rischia nulla. Anche sull’autotrasporto l’emendamento democrat – firmato dalla relatrice dello “Sblocca Italia”, Chiara Braga – curiosamente si scorda le sanzioni. Di più, nel testo si fa riferimento a un altro decreto per cui non viene punito chi viola la norma ma solo il commercialista che non comunica la violazione. “Ora il governo invece di fare un passo avanti ne fa due indietro”, continua Franchini.
Tradotto: il Pd fa approvare di due misure per contrastare il “nero” e il riciclaggio di denaro in settori a rischio di “infiltrazione criminale”, poi le svuota, e ora, invece di migliorarle le cancella del tutto. Peraltro adesso, per incorrere nelle sanzioni la soglia viene alzata a tremila euro. Un segnale, appunto. Resta una domanda: se alzare il limite per Matteo Renzi “aumenta i consumi e sblocca le famiglie”, togliere l’occhio di riguardo per affitti e trasporti cosa sblocca?

martedì 11 febbraio 2014

Fs, in arrivo dallo Stato 3 miliardi l’anno per la rete e 500 milioni per treni nuovi.

Mauro Moretti

Per l'ad Mauro Moretti il gruppo non è più un'azienda di Stato, ma dalle casse pubbliche continuano a piovere soldi. E l'azienda vuole di più: "Così non basta per rispondere ai problemi dei pendolari".

“Siamo passati da azienda di Stato ad azienda punto e basta”, annunciava l’estate scorsa l’amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti. Dalle casse pubbliche, però, continuano a piovere soldi per il gruppo controllato interamente dal ministero dell’Economia. “Tre miliardi l’anno arriveranno dallo Stato con il contratto di programma”, spiega Moretti annunciando che “nei prossimi giorni presenteremo il piano industriale con investimenti per 11 miliardi in autofinanziamento in cinque anni per l’acquisto di treni”.
I tre miliardi l’anno – precisano dall’azienda – saranno destinati all’implementazione e alla manutenzione della rete Rfi, società del gruppo Ferrovie dello Stato preposta alla gestione dell’infrastruttura. I nuovi aiuti dai contribuenti, però, non finiscono qui. “Da più di dieci anni non riceviamo un soldo da parte dello Stato per treni nuovi”, aggiunge Moretti. Ma il numero uno del gruppo si smentisce subito dopo. “Ora c’è stata quest’ultima iniziativa che questo governo ha fatto di 500 milioni per autobus e treni, 200 milioni per questi ultimi, che sono già un’inversione di tendenza ma non è sufficiente per rispondere ai problemi che i pendolari hanno”. Denaro che – precisano dall’azienda – sarà stanziato dal Tesoro come previsto dalla legge di Stabilità.
“Da parte del ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, è arrivata la conferma che i 500 milioni arriveranno”, conferma Moretti. Ma gli aiuti pubblici non sono mai abbastanza. “Bisogna poi capire cosa possono fare altri enti territoriali e le Ferrovie che fanno parte del progetto per un treno che sia al centro del Paese”, aggiunge, sottolineando che “le imprese devono garantire il massimo della produttività e dell’efficienza industriale nell’utilizzare risorse ma ci vogliono risorse perché le cose possano essere messe a livello della domanda”.
Il gruppo, intanto, pianifica lo sbarco a Piazza Affari. “Sull’eventuale quotazione, su cui siamo disponibili a lavorare come abbiamo già detto altre volte, stiamo verificando qual è la soluzione migliore, visto che mettere sul mercato una società come il gruppo Ferrovie è qualcosa di abbastanza complesso, ma ci sono delle opportunità sicure che possono essere sviluppate”, ha detto Moretti alla fine di gennaio, annunciando che “crediamo che nel giro di sei mesi potremo arrivare a proporre una soluzione in merito”.
E a chi gli chiedeva se si pensava di quotare l’intero gruppo, Moretti ha risposto: “Stiamo pensando a varie possibilità, al gruppo o alle società, ma questa è una discussione che dovremo fare con l’azionista”. E ha ribadito: “Noi siamo in grado in sei mesi di poter fare delle proposte per dare all’azionista la possibilità di scegliere”.

venerdì 15 novembre 2013

Tegola Ue per Letta: “Debito italiano troppo alto, no flessibilità su investimenti”.

Letta e Saccomanni


L'Ue boccia la Legge di Stabilità. Chiede a Letta e a Saccomanni di accelerare "i progressi" e dubita che il debito verrà ridotto nel 2014.

La mannaia di Bruxelles cala sul governo Letta. Non sarà concessa alcuna flessibilità sugli investimenti, il cosiddetto “bonus Ue” che aveva chiesto l’Italia, perché il debito italiano è troppo alto. La Commissione Ue dopo aver analizzato (e bocciato) la Legge di Stabilità ha infatti deciso che “l’Italia non ha accesso alla clausola per gli investimenti perché il debito non si è evoluto in modo favorevole”.
La notizia ha subito suscitato le reazioni dei mercati con i titoli di Stato italiani che hanno ricominciato a salire portando lo spead con il Bund tedesco a 240 punti base. Del resto le parole della Commissione pesano come macigni. “Per l’Italia c’è un rischio che, con i piani correnti, la regola della riduzione del debito non sarà rispettata nel 2014″, si legge ancora nella comunicazione sulla valutazione delle leggi di stabilità dei paesi dell’Eurozona. Bruxelles, quindi, “invita” le autorità italiane “a prendere le misure necessarie per assicurare che la Legge di Stabilità del 2014 rispetti pienamente il Patto di Stabilità e Crescita“.
Non solo. La Commissione chiede anche di “accelerare i progressi per attuare le raccomandazioni fiscali nell’ambito del semestre europeo”. Secondo le regole del Two-Pack, Bruxelles può chiedere un piano riveduto se ha individuato inosservanze particolarmente gravi negli obblighi della politica di bilancio previsti dal Patto di stabilità e crescita. Ma, si spiega dalla Commissione, “non è stato il caso in questo round”.
A questo punto la Commissione non può che far “molto” conto sugli impegni presi dal governo italiano in particolare “sulla spending review portata avanti da Carlo Cottarelli“, che Letta ha prelevato direttamente dalla terza gamba della Troika, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), dice il vicepresidente Olli Rehn parlando della situazione italiana. “Risultati chiari dalla spending review potrebbero permettere all’Italia di chiedere l’ammissione alla procedura per la clausola sugli investimenti, ha aggiunto il commissario Ue agli Affari economici.
”Non c’è bisogno di fare cambiamenti nella legge di bilancio”, ha risposto da Bruxelles il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, spiegando che “con le linee che abbiamo già programmato raggiungeremo il risultato” di ridurre il deficit 2014 al 2,5% ed essere in linea con i parametri. La Commissione Ue “non tiene conto di importanti provvedimenti annunciati dal governo, anche se non formalmente inseriti nella Legge di stabilità, e già in fase di attuazione per contrastare eventuali rischi su disavanzo e debito 2014″, ha aggiunto il dicastero dell’economia.
E ancora, le valutazione della Commissione secondo il Tesoro “discende da una stima di crescita del prodotto che, come è noto, non coincide con quella del governo italiano e comporta implicazioni per le proiezioni di finanza pubblica”. Via Nazionale sottolinea poi che “la crescita del debito in rapporto al Pil è la risultante della recessione che si è protratta fino al 2013 e del pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni (quasi 50 miliardi di euro in 12 mesi tra il 2013 e il 2014), operazione concordata con la Commissione europea. Anche il sostegno finanziario ai Paesi dell’area dell’Euro in difficoltà ha contribuito alla dinamica del debito”.
Quanto ai provvedimenti annunciati non formalmente inseriti nella Legge di stabilità e già in fase di attuazione, il ministero cita la spending review, “la riforma del sistema fiscale attraverso la delega che il Parlamento sta ormai per varare”, il programma di privatizzazioni, “il rientro dei capitali illecitamente detenuti all’estero”, la rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia. “Queste misure rafforzano il carattere innovativo della Legge di stabilità 2014 che, per la prima volta dopo diversi anni, avvia un percorso di riduzione della tassazione e di riqualificazione della spesa pubblica tagliando quella corrente ed aumentando la quota destinata agli investimenti, su un arco di tempo triennale, un periodo adeguato affinché gli interventi in essa contenuti possano estrinsecare pienamente i loro effetti”.
Il governo, in ogni caso, “condivide il giudizio della Commissione sull’esigenza di continuare a perseguire una strategia di consolidamento delle finanze pubbliche e di riduzione del debito e ritiene che le misure sopra indicate avranno effetti positivi sui conti pubblici, in linea con quanto richiesto dal Patto di Stabilità e Crescita, senza bisogno di ulteriori interventi”. Dopo il giudizio della Commissione, la Legge di stabilità sarà discussa dall’Eurogruppo il 22 novembre prossimo.

mercoledì 16 ottobre 2013

Legge di Stabilità, il taglio di cuneo fiscale promesso da Letta diventa una mancia. - Stefano Feltri

Legge di Stabilità, il taglio di cuneo fiscale promesso da Letta diventa una mancia

Il premier evita il temuto intervento sulla Sanità, ma lo stimolo all'economia si riduce a poche decine di euro all'anno. Ma Pd e Pdl sono contenti. Mentre la nuova Service Tax, Trise, colpirà anche gli inquilini oltre che i proprietari. Previste inoltre 500 milioni di tagli alle detrazioni e deduzioni.

Enrico Letta riesce nel suo obiettivo principale: non scontentare nessuno nel passaggio più difficile di queste settimane, l’approvazione della legge di Stabilità, un intervento di politica economica che prevede oneri per lo Stato di 11,9 miliardi in tre anni (fino al 2016) e nel complesso smuove 27,3 miliardi. “La manovra non toglie nulla alla Sanità e fa scendere tasse per famiglie e imprese”, annuncia in una conferenza stampa convocata a metà della riunione del Consiglio dei ministri, in tempo per i tg della sera. Al suo fianco torna Angelino Alfano, vicepremier del Pdl, felice di poter vantare i risultati del suo ruolo di“sentinella delle tasse”. Sono tutti contenti: la stangata diventa una spolverata di rigore con accenni di spesa per scavallare almeno la scadenza della mezzanotte, termine per mandare la bozza della legge di Stabilità alla Commissione europea a Bruxelles che farà un’esame preliminare prima del Parlamento.
Letta aveva preso un impegno: questa legge di stabilità dovrà essere ricordata per un forte intervento sul cuneo fiscale, cioè sul carico di tasse e contributi che pesa sulla busta paga del dipendente e sul datore di lavoro. Nelle simulazioni della vigilia si parlava di 4-5 miliardi all’anno con benefici – a spanne – di 200 euro a lavoratore. Ma l’intervento sarà minimalista: 10 miliardi in tre anni, nel 2014 soltanto 2,5 così ripartiti: 1,5 per ridurre l’Irpef per le fasce di reddito medio basse (e si capirà più avanti quali), cifra che sale a 1,7 e 1,8. Ci sono poi 40 milioni per ridurre l’Irap quota lavoro e 1 miliardo a vantaggio delle imprese, come intervento sui contributi sociali. Alla fine il beneficio per i lavoratori sarà di poche decine di euro all’anno, a meno che la platea dei beneficiari venga così ridotta da rendere il regalo fiscale più consistente anche se riservato a pochi intimi. Comunque l’impatto sull’economia sarà poco percepibile, infatti protestano sia la Confindustria che i sindacati, entrambi concordi sul fatto che lo stimolo alla crescita non produrrà effetti sensibili.
Ma non importa, perché riducendo le ambizioni sul cuneo, Letta è riuscito a evitare i tagli alla Sanità di cui si parlava nelle bozze della manovra: 4,5 miliardi di euro che avevano fatto protestare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e tutte le categorie coinvolte. Niente tagli, dunque, con il Pd che si tranquillizza perché l’effetto si sarebbe sentito soprattutto nelle Regioni del centro-nord, come Toscana ed Emilia (c’è però un miliardo di euro di riduzione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni, un taglio che secondo il premier peserà soltanto sulle spese di funzionamento, cioè sulla “macchina”). In quota centrosinistra vanno anche tutti gli interventi sociali: il blocco dell’aumento dell’Iva per le cooperative e il rifinanziamento dei fondi per la non autosufficienza (250 milioni). Nel 2014, dice il documento del governo, ci saranno 6,4 miliardi di euro per “azioni sociali, progetti di investimento e impegni internazionali”.
Il Pdl può intestarsi la “vision della manovra”, come dice Alfano, cioè “meno spesa e meno tasse”. Letta usa la sua ormai consolidata tattica di comunicazione retorica: l’elenco. Cita tutto, incluse misure solo futuribili come la tassazione dei capitali italiani in Svizzera sulla base del lavoro della commissione guidata dal pm Francesco Greco, il cui lavoro è pronto da mesi ma finora ignorato dall’esecutivo, e un piano di privatizzazioni i cui contenuti sono sempre vaghi. Glissa invece con una certa abilità sui dettagli della tassazione immobiliare: è ormai chiaro che la Service Tax, che ora si chiamaTrise, sarà pesante, che colpirà anche gli inquilini oltre che i proprietari e che dovrebbe coinvolgere anche la prima casa (nessuno sa, inoltre, da dove arriveranno i 2,4 miliardi necessari a evitare il pagamento della rata Imu di dicembre). Ma al Pdl l’argomento non è congeniale, quindi Letta evita di approfondire. E i 500 milioni di tagli alle tax expenditures, cioè detrazioni e deduzioni, si potrebbero anche chiamare “aumenti delle tasse”, ma Letta non usa formule così brutali.
“Le ultime misure dell’Italia sembrano andare nella direzione giusta”, aveva detto il commissario europeo Olli Rehn alla vigilia del Consiglio dei ministri, a marcare una certa benevolenza dell’Europa. Lo dimostra il fatto che Letta si impegna a spendere 3 miliardi senza coperture. Lui e Saccomanni lo presentano come una mossa frutto dell’uscita dalla procedura d’infrazione europea, un premio ai nostri sforzi. In realtà si tratta semplicemente di spesa in deficit, quella che abbiamo fatto per decenni: il deficit in rapporto al Pil nel 2014 salirà da 2,3 a 2,5. E così si trovano 3 miliardi. Ma la procedura d’infrazione non c’entra molto, il merito è del governo di Mario Monti che ha lasciato in eredità un deficit 2014 abbastanza lontano dalla soglia di guardia del 2,9 per cento da lasciare spazio per interventi di spesa come quello voluto da Letta.
Dietro gli slogan restano molte domande. La prima è se l’Europa riterrà sufficienti le coperture. L’altra – sollevata da Confindustria – è se questi interventi sono sufficienti a spingere la crescita. Il ministro Saccomanni si sbilancia: “Non cresceremo a ritmi cinesi, ma possiamo arrivare al 2 per cento”. Sembra tanto, ma il governo aveva già stimato prima della manovra un Pil a + 1,7 per cento nel 2015 e + 1,8 nel 2016. Quindi, di fatto, anche Saccomanni ammette che la manovra non servirà a molto.