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lunedì 27 febbraio 2023

Avete dei figli? - Massimo Erbetti

 

Avete dei figli che per trovare un futuro migliore sono costretti ad andare all'estero?...Beh vergognatevi…dovete vergognavi voi e devono farlo anche i vostri figli…anche in questo caso è solo colpa vostra…come logicamente è colpa dei poveri se vivono in povertà.
Mi sono impazzito? Magari…e lo dico veramente…vorrei essere impazzito, vorrei essere un folle e vorrei non dover scrivere questa roba…ma purtroppo sono costretto a farlo.
Leggendo le notizie sulla tragedia del naufragio sulle coste di Cutro, ho visto commenti che mi hanno fatto vergognare di appartenere al genere "umano" che di umano non ha niente.
Non sto qui a ripeterli, perché non ne varrebbe la pena…ma uno su tutti voglio riportarlo…perché è l'ennesima conferma del vergognoso pensiero dei nostri impresentabili governanti.
Naufragio di Cutro, il duro messaggio del ministro Piantedosi: "Non dovevano partire"
(Open 26 febbraio 2023)
Letto il titolo…ho pensato: "eccolo qua…inizia la schifosa propaganda…" e invece mi sbagliavo, perché stavolta, se possibile, è ancora peggio…:
"L’unica cosa che va detta ed affermata è: non devono partire" .
"Non ci possono essere alternative"
"di fronte a tragedie di questo tipo non credo che si possa sostenere che al primo posto ci sia il diritto o il dovere di partire e partire in questo modo"
E fin qui "tutto normale"...cioè normale per questa gentaccia, non per gli esseri umani…pensate sia finito qui? Ma quando mai, il pezzo interessante viene subito dopo:
"Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo, ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso"
Capito? Avete capito bene? E adesso vergognatevi….vergognatrvi tutti…vergognati tu e con te si devono vergognare i tuoi figli, il tuo amico, o amica il tuo parente…vergogna!
Tu…si, sì…proprio tu…
Tu che dici di essere stato costretto ad emigrare…vergognati, perché non sei stato veramente costretto ad andartene…è stata una tua scelta…anzi ti dirò di più…sei un vile che invece di darsi da fare per il proprio paese, che invece di cercare di migliorarlo…fugge via.
Siete stati educati male…avreste dovuto essere educati come il ministro…lui è qui, non se ne è andato…lui non ha chiesto niente al suo paese…ma si è chiesto cosa poteva fare lui per il suo paese…
Beh glielo dico io cosa avrebbe potuto fare per il suo paese: "tacere, non parlare, stare zitto!!!! Invece di offendere così tanta gente…vergogna!!!"...e la cosa bella è che tutto questo schifo è riuscito a tirarlo fuori per giustificare la morte di decine e decine di persone che forse potevano essere salvate…

mercoledì 31 marzo 2021

Ora si scopre che giuseppe va assolto. - Antonio Padellaro

 

In una famosa vignetta del New Yorker si vede Dio seduto sulle nuvole che rassicura un’anima penitente convinta di finire all’inferno: “Ma no, neppure questo è peccato, chissà come sei stato in ansia”. Ci viene in mente ogni volta che per effetto dell’indulgenza plenaria concessa urbi et orbi onde celebrare l’avvento dei Migliori, Giuseppe Conte apprende che le colpe per cui era stato cacciato, con somma ignominia, nel limbo degli ex premier, non erano poi così gravi. E ci piace immaginare che ad assolverlo ci sia un Padre Eterno con le fattezze di un misericordioso Mario Draghi. Il clamoroso fallimento giallorosa della campagna di vaccinazione? Ma no, tranquillo, sono gli stessi problemi che sta incontrando il generalissimo Figliuolo, con in più i casini di AstraZeneca. Le Regioni litigiose che andavano in ordine sparso ma tutte contro il governo? Ma no, è tutto uguale a prima con in più i presidenti mitomani che pensano di contrattare lo Sputnik direttamente con Vladimir Putin. Matteo Salvini che malgrado i 400 morti al giorno guidava l’assalto a Palazzo Chigi di ristoratori e albergatori contro le chiusure? Ma no, lui è lì che ripete sempre le stesse cose, però adesso sta dentro Palazzo Chigi. La mancata approvazione del Mes che avrebbe affossato la sanità italiana? Ma no, lo sapevano tutti che non sarebbe servito a niente. Il disastro del Recovery Plan scritto male e con intollerabile ritardo? Ma no, “in Italia ci stiamo ancora domandando se riusciremo a presentare una sufficiente quantità di progetti capaci di superare l’esame, e se una volta ottenuto tutto quel denaro le nostre scassate amministrazioni saranno in grado di spenderlo” (La Stampa).

A questo punto, vedo l’Onnipotente che dice sorridendo al suo contrito predecessore di non preoccuparsi: Giuseppe, come vedi, se non sono peccati i miei, non potevano esserlo neppure i tuoi, chissà come sei stato in ansia. Finalmente mondato dalla colpa, Conte si accinge a ritornare in Italia quando l’occhio gli cade sul titolo di Repubblica: “Quegli strani silenzi di Conte”. Un grido e lo vediamo fare velocemente dietrofront: noooo meglio le fiamme eterne.

IlFattoQuotidiano

sabato 13 marzo 2021

Conte dimettiti! Conte vergogna! Ah no, c’è Mario. - Antonio Padellaro

 

Basta con la vergognosa dittatura sanitaria. Basta con la galera del lockdown che ha trasformato la democrazia in un gulag. Basta con i Dpcm illegali, anticostituzionali, e forse anche fascisti. Basta con la buffonata delle regioni rosse, arancioni e gialle. Basta con lo stato di polizia. Basta con la didattica a distanza che sottrae l’avvenire ai nostri giovani. Basta con le lezioni online quando gran parte delle famiglie italiane non possiede un computer. Basta con le umilianti autocertificazioni da esibire anche per andare a prendere il latte. Basta con i bar e i ristoranti chiusi. Basta con l’asporto. Basta con i giri del palazzo con la scusa che il cane deve pisciare. Basta con le palestre chiuse e i parrucchieri pure. Basta con il grido di dolore degli albergatori con gli hotel sprangati. Basta con i ristori che ritardano sempre e che non bastano neppure per un caffè, anche perché i bar sono chiusi. Basta con i vaccini insufficienti. Basta con gli Arcuri, vogliamo i colonnelli. Basta con il governo degli incompetenti e degli incapaci. Basta con il governo Conte. Basta con Giuseppi. Basta con il favore delle tenebre. (Come il signor Antonio, il compagno del Pci di Avanzi che nel 1993 si risvegliava dopo vent’anni dal coma, pensando che tutto fosse come prima, il nostro signor Antonio, più fortunato, ha ripreso conoscenza dopo averla persa esattamente un mese fa. Ha pure ripreso la contestazione dove l’aveva lasciata. Si cerca quindi di aggiornarlo sugli ultimi accadimenti).

Guardi che il governo Conte non c’è più. Come da lei auspicato Giuseppi è stato mandato a casa. Lo ha sostituito il governo dei migliori guidato da Mario Draghi. Come mai l’opposizione non scende in piazza a protestare? Perché Salvini e Berlusconi sono al governo. Sì, con il Pd e i 5Stelle. Oddio, il signor Antonio ha un altro mancamento, proviamo a rianimarlo con qualche bella notizia. Alla logistica c’è un generale. La campagna di vaccinazione procede come prima ma con grande entusiasmo, e il problemino con AstraZeneca è roba da nulla. La Juve è stata di nuovo eliminata dalla Champions. A Sanremo hanno vinto i Maneskin con Zitti e buoni. No, non è il nuovo inno nazionale. E poi ci sono ancora i Pooh. I Puuuh.

ttps://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/13/conte-dimettiti-conte-vergogna-ah-no-ce-mario/6131842/

venerdì 5 febbraio 2021

Grazie Giuseppe: stile e onore nel suo saluto. - Antonio Padellaro

 

Non conoscevo Giuseppe Conte ma quando, nel novembre del 2019, lo vidi nei tg andare incontro agli operai dell’Ilva di Taranto – giustamente agitati per la irrisolta crisi della fabbrica e prostrati dalla paura di perdere il lavoro – ne fui colpito. Poiché è abbastanza raro vedere un presidente del Consiglio che invece di rifugiarsi dentro un’auto blu e dileguarsi decideva di assumersi le proprie responsabilità di governo e di accettare un confronto che nell’occasione fu molto duro.

Quando, il 9 marzo 2020, nella notte più lunga della Repubblica, Giuseppe Conte annunciò il lockdown a un Paese smarrito e angosciato dall’aggressione del Covid-19 lo immaginai con l’animo in subbuglio mentre era costretto a prendere una decisione che non aveva precedenti. Con la propria firma in calce a un decreto che, come gravità, equivaleva alla dichiarazione di una guerra. Quando, nell’estate dello stesso anno, ottenne da Bruxelles i famosi 209 miliardi per l’Italia, il salvagente a cui aggrapparsi per evitare il naufragio definitivo di una nazione, mi domandai come avesse fatto a vincere la resistenza dei cosiddetti Paesi frugali che ci vedono come degli scrocconi perennemente col cappello in mano. Però c’era riuscito. Ieri, infine, quando è uscito dal portone di palazzo Chigi per congedarsi e augurare buon lavoro a Mario Draghi ho provato gratitudine per un signore che nel paesaggio di macerie frutto dell’opera del noto sfasciacarrozze (e dei sabotatori associati) si preoccupava di assicurare un sereno passaggio di consegne, nel pieno rispetto dei cittadini e delle istituzioni. Ciò non significa, ovviamente, che nella esperienza di premier Giuseppe Conte non abbia commesso errori. L’estate del liberi tutti che ha creato le condizioni per la catastrofica seconda ondata della pandemia avrebbe dovuto essere gestita certamente con maggiore prudenza. E se avessi potuto lo avrei messo in guardia dal reclutare i famosi responsabili o volenterosi, non perché non fosse legittimo allargare il consenso parlamentare al governo quanto per l’inclinazione diciamo così mercantile di certi personaggi di cui si era fidato. Adesso però, per quel che conta, desidero ringraziarlo per come si è comportato nell’esercizio delle sue funzioni, e in momenti particolarmente difficili per noi tutti. Da uomo. Con disciplina e onore.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/05/grazie-giuseppe-stile-e-onore-nel-suo-saluto/6091048/

venerdì 22 gennaio 2021

Cesa, la pasionaria cattolica Binetti e il Recovery fund. - Peter Gomez

 

Dopo le perquisizioni in casa di Lorenzo Cesa per associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso, la senatrice Udc Paola Binetti dice di sentirsi “come una persona ferita che vuole stare accanto al suo segretario”. La vicinanza umana e spirituale con chi è in difficoltà non può essere criticata. In genere in politica, a meno che non ti chiami Berlusconi, Dell’Utri o Verdini, appena traballi tutti scompaiono. Ma Paola Binetti non è di quella pasta. Ex parlamentare di centrosinistra, poi eletta a Palazzo Madama con Forza Italia e ora forse in procinto di sostenere il governo Conte, la pasionaria cattolica è anzi sicura dell’innocenza di Cesa (“escludo categoricamente il suo coinvolgimento”); ha fiducia, come si dice sempre in questi casi, nella magistratura, anche se, da politica navigata qual è, sa bene come “Lorenzo in qualità di segretario sia esposto a incontrare gente di ogni tipo”.

Anche noi come Binetti siamo garantisti. Cesa come ogni altro indagato o imputato è innocente sino a prova contraria. E il fatto che non sia stato arrestato, a differenza del potente assessore regionale calabrese Francesco Talarico, amico del segretario, fa anzi capire come, secondo i magistrati, contro di lui, per il momento, vi siano solo indizi.

La vicenda però dovrebbe spingere politici, giornalisti e opinionisti a una franca riflessione sulle nostre classi dirigenti. Una riflessione non più rimandabile visto che, se il governo riuscirà a reggere, il nostro Paese sarà presto inondato da centinaia di miliardi targati Ue.

Cesa, infatti, come molti sanno, ma in tanti fanno finta di non sapere, non è un normale leader di partito. È invece un tangentista miracolato dal codice di procedura penale. È un tizio salvato da quella giustizia malata, forte con i deboli e debole con i forti, che proprio l’Europa ci chiede da anni di riformare. Breve promemoria per i finti smemorati. Arrestato nel 1993 quando ancora era un semplice consigliere comunale di Roma, Cesa in carcere confessa. Ammette di essere uno dei tramiti tra i vertici della Dc e gli imprenditori che versano tangenti per gli appalti Anas. Il suo primo verbale sembra quello di Pietro Gambadilegno. “Intendo svuotare il sacco” esordisce prima di svelare decine di mazzette. Il suo referente era il ministro Giovanni Prandini, all’epoca soprannominato “Prendini”. Gli imprenditori si rivolgevano a Cesa e lui andava dal ministro. Un esempio tra tanti: “Gli chiesi cosa dovevo riferire e mi sentii rispondere che dovevo chiedere il 5 per cento sull’importo dell’appalto”. Il futuro segretario Udc racconta con dovizia di particolari di “borse di plastica”, “cartellette rigide”, “buste sigillate” tutte contenenti denaro. Risultato: Cesa, dopo la “sua ampia confessione”, viene condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi. Nel 2003, però, la Corte di Appello annulla le condanne per un cavillo procedurale: nel frattempo è uscita una sentenza della Corte costituzionale che ha di fatto stabilito come il Tribunale dei ministri fosse competente non solo per Prandini, ma anche per i coimputati. Il processo deve ricominciare, ma per il giudice gli atti compiuti sono ormai “inutilizzabili”. Nel 2005 il Gip ordina il “non luogo a procedere”. Così, sebbene abbia ammesso tutto, viene più volte candidato e spesso eletto.

E qui arriviamo alla riflessione. Anzi alla domanda: davvero si può pensare che spenderemo bene i soldi del Recovery fund se chi rappresenta i cittadini non è in grado di selezionare i suoi compagni di strada? Si attende, dalla senatrice Binetti e da tutti gli altri, una cortese risposta.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/22/cesa-la-pasionaria-cattolica-binetti-e-il-recovery-fund/6074558/

La “Pesciarola” Giorgia, donna alfa a destra. - Antonio Padellaro

 

Ha buon gioco, la Giorgia Meloni che si mostra sui social con una cassetta di gamberi e orate (“pesce fresco, avvicinatevi, ottimi prezzi”), orgogliosa per essere stata chiamata “pesciarola” dopo l’intervento parlamentare assai gridato contro il premier Giuseppe Conte. Un assist fornitogli da coloro che disprezza come radical-chic (“schifano la gente comune”) subito sfruttato per la gioia dell’elettorato in impetuosa crescita (tendenza 17%, dal 4% in un triennio), che per lei “donna del popolo” stravede. Se i suoi critici girassero per i mercati rionali, o salissero sui mezzi pubblici di Giorge Meloni incazzate ne troverebbero a frotte. Difatti la leader di FdI, cresciuta alla Garbatella, sa identificarsi con quelle persone “del popolo” di cui non fa fatica ad assumere atteggiamenti e linguaggio. Strilla contro il governo esattamente come strillerebbe il ristoratore con la serranda abbassata o la precaria del call center che non vive più neppure di precariato. E accende l’indignazione della “gente comune” agitando lo schifosissimo termine “poltrona” in tutte le sue varianti, fino alla declinazione più oltraggiosa da scagliare sulla faccia della svergognata maggioranza: “Pensano solo alle poltrone”.

Siamo sicuramente nel solco dell’invettiva comiziante (di cui era maestro il suo maestro Giorgio Almirante), ma trovate voi un’altra parola che sappia arrivare come un cazzotto nella pancia (vuota) degli italiani devastati dalla pandemia. Sintesi contundente di quel qualunquismo dell’antipolitica figliato dall’archetipo: è tutto un magna magna. È un blocco di consensi motivato e compatto quello della Meloni che tuttavia necessiterebbe di essere investito quanto prima sul tavolo elettorale, considerata l’estrema volatilità del voto, la stessa che un anno e mezzo fa ridimensionò Matteo Salvini e i suoi “pieni poteri”. Per una donna alfa come Giorgia, il problema sono proprio i due maschi beta con i quali è costretta ad accompagnarsi. Infatti, mentre lei non schioda dal grido “elezioni elezioni”, il capo leghista appare indeciso a tutto, ondeggiante “fra momentanee aperture al dialogo con il governo ‘per il bene del Paese’ e fantomatiche possibilità di varare un esecutivo di centrodestra” (Marco Tarchi). Quanto al povero Silvio, piuttosto affaticato dai problemi di salute oltre che dai forzisti in fuga verso Conte, non sembra motivatissimo a farsi asfaltare nelle urne. Visto che poi il complottino fiorentino contro il detestato presidente del Consiglio non ha dato l’esito sperato, la “pescivendola” rischia di dover tenere a lungo i voti nel frigorifero della storia sperando che non si ammoscino. Come i gamberi di cui sopra.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/22/la-pesciarola-giorgia-donna-alfa-a-destra/6074551/

martedì 6 ottobre 2020

Rispondendo a Morra


Come la penso io.

Non so nulla del post di Casaleggio, quindi non posso commentarlo, ma posso commentare le parole di Morra quando afferma:

“Se diventiamo partito, me ne vado anch’io”.

Non capisco, e mi rivolgo al Morra filosofo, questo voler dare ad un nome comune di cosa, e cioè alla parola "partito" un significato inesistente.

Un partito non è, forse, l'espressione di un'idea?
Quello che conta non è far parte di un movimento o di un partito, quello che conta è portare avanti le idee in cui si crede e renderle realtà, e questo si può fare anche in un partito.
Iniziare un progetto e abbandonarlo al primo intoppo è da temerari, la politica, quella seria e responsabile, necessita di persone coraggiose che combattono per portare a termine le proprie idee a prescindere dai problemi che si presentano durante il cammino.
La politica, quella buona, è sacrificio, è abnegazione e, purtroppo costa dirlo, ma è così, necessita di alleanze, necessita di discussione, necessita di rinunce, di concessioni, altrimenti non sarebbe più democrazia, pluralità.
Fare politica è come amministrare da buon padre il proprio nucleo famigliare, e un buon padre accondiscende, di tanto in tanto, accontentando le richieste dei suoi cari.

Cetta.

domenica 6 settembre 2020

Dall’uveite al virus “morto”: vita da medico personale. - Gianni Barbacetto

Dall’uveite al virus “morto”: vita da medico personale

È primario di anestesia e rianimazione, Alberto Zangrillo, ma il suo intervento medico più notevole, a favore del suo paziente più notevole, ha riguardato l’uveite, che è una malattia degli occhi. “Ne soffro da quando mi hanno scagliato in faccia una statuetta del Duomo”, dichiara nel 2014 Silvio Berlusconi, l’ur-paziente dell’esimio professore anestesista e rianimatore. Si presenta in pubblico con degli occhialoni neri che fanno dimenticare perfino la bandana che nel 2007 aveva giovanilisticamente coperto il lavoro di un altro medico, il professor Piero Rosati, insigne tricologo, che gli aveva eseguito un trapianto di capelli. Nel novembre 2014, dunque, Zangrillo apre le porte del San Raffaele di Milano, dov’è primario, a un Berlusconi con gli occhiali scuri: “Non sarà un ricovero brevissimo, almeno una settimana, perché faremo anche un controllo generale delle condizioni di salute del paziente”. Ma allora: “È solo uveite?”, chiesero i malfidenti. “Non c’è niente di non detto. È un problema oftalmico”, assicurò l’anestesista Zangrillo, “il ricovero l’ho deciso dopo essermi consultato con l’oftalmologo Francesco Bandello”.
Il bello è che l’anno prima, l’8 marzo 2013, occhialoni, uveite e ricovero al reparto D del San Raffaele erano serviti a Silvio per saltare le udienze del processo Ruby. Con conseguente visita fiscale disposta dai giudici del Tribunale e superprotesta dei suoi allora molti parlamentari, che avevano marciato sul palazzo di giustizia e tentato di occupare l’aula del processo. Medicina e politica si incrociano sempre, sul corpo di Silvio. Zangrillo cerca di districarle come può. Una volta ha perfino sbattuto la porta alla politica: nell’inverno del coronavirus 2020, quando viene invitato a una riunione in Regione Lombardia dal presidente Attilio Fontana e dall’assessore Giulio Gallera per far partire il progetto del super-ospedale Covid alla Fiera di Milano. Zangrillo non la ritiene una buona idea, l’Astronave nel deserto, slegata e distante dalle specialità (pneumologiche, cardiovascolari, nefrologiche, neurologiche…) di un ospedale: “Una rianimazione non può essere svincolata, anche in termini di spazi, da una struttura ospedaliera”. Boccia senza appello l’ideona di Fontana e Gallera. I fatti (21 i milioni spesi, non più di 20 i pazienti ricoverati) gli daranno poi ragione. È proprio in quei giorni che comincia a circolare la notizia che Zangrillo potrebbe candidarsi a sindaco di Milano. Lui smentisce con decisione, ma chissà.
Nato nel 1958 sotto il segno dell’ariete, si laurea in Medicina e chirurgia a 25 anni, alla Statale di Milano. Si specializza in anestesia e rianimazione. Fa pratica al Queen Charlotte Hospital di Londra, all’Ospital de la Santa Creu Pau di Barcellona, al Centro Cardiotoracico di Montecarlo, all’Hetzer Deutsche Herzzentrum di Berlino. Poi si ferma al San Raffaele, dove diventa primario. Ma è noto soprattutto per essere il medico personale di Berlusconi, che assiste anche nei momenti più neri e difficili. Il 13 dicembre 2009, quando un ragazzo instabile gli scaglia in faccia la statuetta. Nel 2016, quando viene sottoposto a un complesso intervento a cuore aperto. Nei mesi del Covid va tutto bene finché Silvio resta confinato in Francia. Il 31 maggio 2020, però, Zangrillo dichiara in tv che “il virus, dal punto di vista clinico, non esiste più”. Anche il suo paziente zero allenta le precauzioni. Si trasferisce in Sardegna. Incontra Flavio Briatore, poi positivo al Covid-19, anche se gli interessati escludono che possa essere stato lui l’untore. Il patron del Billionaire, diventato un cluster dell’infezione, lo precede comunque al San Raffaele, dichiarando però che il suo problema è, se non un’uveite, una prostatite. Pochi giorni dopo, Silvio risulta positivo al coronavirus e viene ricoverato per polmonite bilaterale. Zangrillo alla fine è costretto a fare autocritica. Ritratta, come Galileo. “Sollecitato provocatoriamente, ho usato in tv un tono forte, probabilmente stonato. Ma fotografava quello che osservavamo e continuiamo a osservare”. Conclusione: “L’umore di Berlusconi non è dei migliori. Neanche il mio”. Chissà se ha ripensato anche alla sua fantacandidatura sospesa a sindaco di Milano.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/05/dalluveite-al-virus-morto-vita-da-medico-personale/5921017/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ore-19&utm_term=2020-09-05

giovedì 22 agosto 2019

5 punti di sutura. - di Marco Travaglio

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Un lettore ci scrive: “Un governo M5S-Pd sarebbe la peggiore sciagura”. 
Vero, ma con una piccola aggiunta: “Dopo un governo monocolore Salvini”. Che seguirebbe inesorabilmente a: elezioni anticipate in ottobre; un governo tecnico con tutti dentro (tipo Monti) o nessuno dentro (tipo Cottarelli) fino a primavera; un governicchio M5S-Pd che passi il tempo a vivacchiare e litigare, per sfasciarsi dopo qualche mese, magari quando Renzi avrà pronto il suo sfavillante partito del 3%. Quindi o nasce un governo serio e blindato, o è meglio votare subito, prima che Salvini si riabbia dalle sbornie e dalle sberle estive. Un governo serio non può partire dai veti, ma da una trattativa su poche cose da fare nei primi mesi (poi, se funziona, si procede). Invece Zingaretti (subito smentito da Renzi) parte dai veti: “Discontinuità” rispetto a Conte (troppo popolare?) e agli ex ministri (solo dell’ultimo governo o anche dei capolavori di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni?). 
Quanto al programma, presenta 5 punti. Di sutura. “Appartenenza leale all’Ue”: slurp. 
“Democrazia rappresentativa, a partire dalla centralità del Parlamento”: mecojoni. 
“Sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale”: gnamm. “Cambio nella gestione dei flussi migratori”: perbacco. “Ricette economiche e sociali in chiave redistributiva”: apperò. 
Vasto programma, direbbe De Gaulle. 
Ma così vago e vacuo che, con qualche distinguo, potrebbe starci pure Salvini. E persino CasaPound. 
B. ci sta sicuro, con Dell’Utri dai domiciliari e Previti dalla clinica.

Ora si attende la lista dei “discontinui” del Pd, noto vivaio di teneri virgulti: Gentiloni? Franceschini? Prodi? Veltroni? Napolitano? Letta? Lotti? Martina? Pinotti? Fedeli? Madia? Lorenzin? Padoan? Troppo continui. 
Però restano altre garanzie di efficacia e soprattutto serietà: Orfini, Morani, Ascani, Gozi (se Macron ce lo presta), mai stati ministri per ovvi motivi. Senza dimenticare Cantone, che si porta su tutto. Tutti carneadi oltre la frontiera di Chiasso. Messi come siamo, col poco tempo che darà Mattarella, di tutto c’è bisogno fuorché di trovatine nuoviste tipo Corrida dei dilettanti allo sbaraglio. Serve gente che sappia subito dove metter le mani, non per rubare ma per fare. Chi ha avuto un buon ministro dell’Interno come Minniti o degli Esteri tipo Gentiloni dovrebbe rinviare la discontinuità a tempi migliori e far fuoco con la legna che ha. Idem per il M5S che, a parte 4-5 uomini di governo (Conte, Di Maio, Bonafede, Fraccaro, Bonisoli), ha la panchina corta. Sennò tanto vale lasciar perdere subito e votare: prima comincia il monocolore Salvini, prima finisce.

su Il Fatto Quotidiano del 22 Agosto