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sabato 12 aprile 2014

Dell’Utri fermato a Beirut, Orlando: “Avviate procedure per estradizione”

Dell’Utri fermato a Beirut, Orlando: “Avviate procedure per estradizione”


L'annuncio del fermo è venuto direttamente dall'ex compagno di partito il ministro dell'Interno Angelino Alfano. L'ex senatore era in un lussuoso albergo, aveva il suo passaporto italiano, "alcune decine di migliaia di euro", ha usato le carte di credito per i pagamenti. Gli investigatori del Dipartimento di intelligence della polizia libanese lo non stanno interrogando. Forse già lunedì l'udienza di convalida davanti al giudice libanese.

È già finita la grande e imbarazzante fuga di Marcello Dell’Utri. L’ex senatore di Forza Italia è stato fermato a Beirut, questa mattina alle 9.30 (10.30 in Libano). L’annuncio è venuto direttamente dall’ex compagno di partito il ministro dell’Interno Angelino Alfano al congresso del Nuovo Centrodestra: “Sarà estradato”.
Sull’ex numero uno di Publitalia, amico personale di Silvio Berlusconi, nonché cofondatore di Fi, pendeva un ordine di cattura emesso dai giudici di Palermo per la condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell’Utri era in un lussuoso albergo l’Intercontinental Phoenicia. L’ex senatore, che aveva con sé “alcune decine di migliaia di euro” al momento dell’arresto ed era in possesso di un passaporto italiano, si trova ora negli uffici della polizia libanese. Quando i poliziotti hanno bussato alla porta della sua camera era a letto e non ha detto una parola. La sua individuazione è stata stata possibile grazie a una segnalazione dell’Interpol. I pagamenti effettuati da Dell’Utri sono avvenuti con le sue carte di credito.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha avviato tutte le procedure per la richiesta di estradizione. Il Guardasigilli è rientrato a Roma (era a Torino per l’apertura della campagna elettorale del Pd) per dare il suo via libera. 
Dall’ambasciata in Libano fanno sapere che a Dell’Utri è stata data “assistenza consolare come in tutti casi di connazionali arrestati” anche se allo stato non è il personale diplomatico non ha avuto ancora modo di potergli parlare. Gli investigatori del Dipartimento di intelligence della polizia libanese lo non stanno interrogando. Potrebbe tenersi lunedì l’udienza di convalida dell’arresto di fronte al giudice libanese. In questa sede non si discuterà dell’eventuale estradizione, la cui concessione da parte del Libano è legata al fatto che l’arresto sia prima convalidato.
Il primo commento arriva da Palermo, il pg Luigi Patronaggio, che aveva chiesto l’arresto, dice: “Nonostante la forte pressione mediatica che talvolta rischia di vanificare il nostro lavoro e quello delle forze di polizia che ci collaborano, ritengo che, in sinergia con la Dia e l’Interpol, con l’arresto di Dell’Utri abbiamo ottenuto un ottimo successo operativo. Attendiamo adesso con serenità l’esito del processo in Cassazione”.
Il 15 aprile è prevista infatti l’udienza  che dovrà confermare o annullare quel verdetto. Per questo gli inquirenti di Palermo avevano chiesto e ottenuto, dopo aver ottenuto in passato due no, il mandato di arresto. L’8 aprile l’ex parlamentare però non era stato rintracciato dagli investigatori che erano andati in carcere a cercarlo e il 10 per lo Stato italiano l’ex parlamentare è diventato formalmente latitante. Ieri, dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, era stato emesso il mandato di arresto internazionale eseguito dalla polizia libaneseÈ il Dipartimento di intelligence della polizia libanese, che ha competenze anche su questioni di criminalità organizzata e terrorismo,  che al momento tiene in custodia Dell’Utri.
Ieri Dell’Utri tramite una nota aveva fatto sapere: “Mi sto curando. È aberrante la richiesta“. “Tengo a precisare che non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione; e che trovandomi in condizioni di salute precaria – per cui tra l’altro ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica – sto effettuando ulteriori esami e controlli”, senza però dire dove. Un indizio che Dell’Utri potesse essere in Libano era stato captato dagli investigatori nei mesi scorsi, quando il fratello Alberto al telefono disse: “In Libano Marcello starebbe bene”.
“Ora è trattenuto dagli agenti e spero possa essere liberato in attesa della procedura di estradizione – dice l’avvocato Giuseppe di Peri che non ha ancora sentito Dell’Utri.  ”Spero che la polizia locale gli abbia fatto contattare un avvocato del posto. Le procedure per l’estradizione – spiega il legale – sono partite ma passerà almeno qualche settimana”. Intanto, spiega l’avvocato, Dell’Utri potrebbe essere considerato in stato d’arresto o rilasciato in attesa dell’esito delle procedure di estradizione: “Dipende dalle leggi del posto”. 
Le ultime tracce che Dell’Utri aveva lasciato erano in Libano. Il 3 aprile l’ex senatore era nel paese mediorientale perché uno dei suoi telefoni è stato intercettato “nei dintorni della città libanese di Beirut”. L’ex parlamentare era stato visto inoltre sul volo Parigi-Beirut il 24 marzo. Il testimone aveva visto l’ex senatore viaggiare “in business” e aveva assicurato di averlo visto ritirare il bagaglio una volta atterrato e uscire dall’aeroporto. L’intercettazione che aveva fatto scattare l’ordine di cattura risale a novembre. Nella conversazione il fratello Alberto parlando col proprietario del ristorante Assunta Madre di Roma Vincenzo Mancuso, diceva di “accelerare i tempi” e faceva riferimento alla Guinea che “concede facilmente i passaporti diplomatici”. Mentre in un’altra intercettazione il fratello Alberto, sempre con Mancuso, affermava: “Il programma è quello di andarsene in Libano perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perché lui c’è già stato la conosce, c’è un grande fermento culturale… per lui andrebbe bene”.

giovedì 5 settembre 2013

Mafia, i giudici: “Dell’Utri mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”.

Marcello dell'Utri

Depositate le motivazioni della condanna in appello dell'ex senatore Pdl. "Condotta illecita andata avanti per un ventennio, nessun imbarazzo nei rapporti con i mafiosi". E il futuro premier "abbandonò il proposito di farsi proteggere con rimedi istituzionali". La Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza chiedendo di motivare meglio la colpevolezza per gli anni tra il 1977 e il 1992.

La condotta illecita del senatore Marcello Dell’Utri è “andata avanti nell’arco di un ventennio”, con una serie di comportamenti “tutt’altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale”. Lo scrivono i giudici della terza sezione della corte d’appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, che hanno condannato l’ex senatore Pdl e braccio destro di Silvio Berlusconi a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Le motivazioni sono state depositate ieri. Dell’Utri è stato condannato in appello lo scorso 24 marzo, dopo l’annullamento della Corte di Cassazione con rinvio ad altra sezione d’appello. La corte conferma il ruolo di Dell’Utri come “mediatore” del “patto” tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra, concertizzatosi per esempio con l’arrivo ad Arcore del mafioso Vittorio Mangano in veste di “protettore” della famiglia Berlusconi. 
I giudici di appello ritengono provato il concorso esterno di Marcello Dell’Utri a Cosa nostra fino al 1992, mentre secondo la Cassazione la condanna era stata sufficientemente provata per le contestazioni fino al 1977 e non per quelle successive: “In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992)  ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l’anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese (Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione”. I giudici spiegano di aver sottoposto i fatti relativi agli anni più recenti “a nuova valutazione”, e di essere giunti alla conclusione che “è incontestabilmente emersa la permanenza del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa per tutto il periodo in esame e anche nel periodo in cui Dell’Utri era andato a lavorare da Rapisarda (l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda, ndr) lasciando l’area imprenditoriale di Berlusconi e anche per il tempo successivo al 1992″. 
Quanto all’ex presidente del Consiglio, “a seguito della sentenza della cassazione era stato definitivamente accertato che Dell’Utri, BerlusconiCinàBontade e Teresi (questi ultimi tre boss mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in cambio protezione”. I giudici ricordano quindi Vittorio Mangano, lo “stalliere di Arcore”, assunto proprio su consiglio di Dell’Utri. “Mangano non era stato assunto per la sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi familiari e come presidio mafioso all’interno della villa dell’imprenditore”. Per la Corte, invece, “il rapporto tra i due non si è mai interrotto almeno fino al 1992 e ha subito delle forzate interruzioni solo per i periodi di detenzione di Mangano, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova. La continuità della frequentazione, l’avere pranzato in diverse occasioni con lui sono circostanze che hanno consentito di escludere che i rapporti possano essere stati determinati da paura”. “Del resto – puntualizza il collegio -, Dell’Utri non ha mai dimostrato di temere i contatti con i boss mafiosi e di concludere accordi con loro”. Il futuro presidente del Consiglio, osserva la Corte, “abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso ma sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi ma all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”. 
Dell’Utri è “ritenuto penalmente responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, della condotta di concorso esterno in associazione mafiosa dal 1974 al 1992″.  I giudici ricordano il “modo disinvolto” con il quale l’imputato “era ormai abituato a entrare in contatto con soggetti appartenenti ad ambienti criminali e mafiosi”. “La personalità dell’imputato – scrivono i giudici – appare connotata da una naturale propensione ad entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli aveva dato una possibilità di farlo”. “In tutto il periodo di tempo oggetto della contestazione, cioè dal 1974 al 1992, ha con pervicacia ritenuto di agire in sinergia attiva con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l’anti-Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione”. Dai “soggetti mafiosi” il politico “non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli avevano dato una possibilità di farlo”. Nel corso del ventennio preso in esame dall’inchiesta avviata negli anni Novanta dalla Procura di Palermo, l’uomo che è stato la mente organizzativa della nascita di Forza Italia “non ha mai provato nessun imbarazzo o indignazione nell’intrattenere rapporti conviviali con loro, sedendosi con loro allo stesso tavolo”. 
Nelle motivazioni, la Corte d’appello di Palermo ha espresso un “giudizio di inattendibilità intrinseca del collaborante Gaetano Grado”, che aveva accusato Dell’Utri di aver fatto da tramite nel riciclaggio di denaro proveniente da un traffico di droga dalle cosche nell’attività di realizzazione di Milano 2, il primo grande intervento edilizio realizzato da Silvio Berlusconi. I fatti da lui enunciati “non possono considerarsi idonei a superare neppure la soglia di mero indizio”. 

martedì 21 maggio 2013

Mafia, testo Pdl al Senato: “Dimezzare la pena per il concorso esterno”.


Alfano e Caliendo

Tra i casi "celebri" nei quali viene contestato il concorso esterno ci sono tra gli altri quelli di Marcello Dell'Utri e Nicola Cosentino, l'ex assessore regionale della Lombardia Domenico Zambetti, l'ex presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, l'ex sottosegretario Antonio D'Alì.

Condanna dimezzata per concorso esterno in associazione mafiosa. Niente carcere e intercettazioni per chi svolge attività sotterranea di supporto ai componenti dell’associazione mafiosa. Si dovrà dimostrare che c’è un profitto. Lo prevede il testo Pdl appena assegnato in commissione Giustizia del Senato, relatore Giacomo Caliendo.
Tra i casi “celebri” nei quali viene contestato il concorso esterno ci sono tra gli altri quelli dell’ex senatore Pdl e Marcello Dell’Utri e dell’ex deputato Pdl Nicola Cosentinol’ex assessore regionale della Lombardia Domenico Zambettil’ex presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardol’ex sottosegretario Antonio D’Alì. Come noto per concorso esterno è stato condannato in via definitiva l’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro. Tuttavia in questo caso, a differenza degli altri, la legge non avrebbe effetto.
Mentre nel caso del politico tra i fondatori di Forza Italia e amico di Silvio Berlusconi, che attende il verdetto definitivo della Cassazione, avrebbe l’effetto di evitargli la galera in caso di condanna definitiva. Dell’Utri è stato condannato a 7 anni lo scorso 23 marzo dopo che la Corte di Cassazione, nel marzo 2012, aveva annullato il precedente giudizio d’appello, che si era concluso con la medesima condanna a sette anni. I giudici, però, aveva assolto Dell’Utri dai reati a lui contestati dal ’92 in poi. Nelle motivazioni i supremi giudici aveva sottolineato che il reato di concorso esterno a Cosa nostra era stato commesso certamente “fino al 1977″, mentre non lo aveva ritenuto provato per gli anni successivi.
Attualmente il concorso esterno in associazione mafiosa è punito con il carcere fino a 12 anni. Ma sinora non si trattava di una norma ‘tipizzata’ nell’ ordinamento. Lo diventerebbe con il progetto di legge da oggi all’esame della commissione Giustizia, che porta la firma anche del senatore del Pdl Guido Compagna. Nel testo, infatti, si prevede l’introduzione di due nuovi articoli nel codice penale: il ’379-ter’ e il 379-quater’. Il primo (“Favoreggiamento di associazioni di tipo mafioso”) prevede che chiunque, fuori dei casi di partecipazione alle associazioni di cui all’articolo 416-bis, agevoli deliberatamente la sopravvivenza, il consolidamento o l’espansione di un’associazione di tipo mafioso, anche straniera, è punito con lareclusione da uno a 5 anni. Il secondo (“Assistenza agli associati”) stabilisce che chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dia rifugio o fornisca vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipino a un’associazione di tipo mafioso, anche straniera, al fine di trarne profitto, è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni. La pena è aumentata se l’assistenza è prestata continuativamente. L’articolo 418 del codice penale, che disciplina l’assistenza agli associati, verrebbe abrogato.
Se queste norme venissero introdotte nell’ordinamento le conseguenze sarebbero varie e tutte di una certa rilevanza visto che avrebbero un riflesso anche sui giudizi in corso grazie al principio del ‘favor rei’(se la legge varia in modo favorevole all’imputato o condannato non in via definitiva essa è applicabile anche in via retroattiva, ndr): prima di tutto il concorso esterno verrebbe derubricato alla categoria ‘favoreggiamento’ e questo comporta di per sé una riduzione della pena che passerebbe infatti da un massimo di 12 anni a un massimo di 5 (cioè da 1 ai 5 anni). Il che significa che ci sarebbe uno stop alle intercettazioni visto che gli ascolti vengono consentiti in caso di reati per i quali sono previste condanne superiori ai 5 anni. Poi, per chi ‘supporta’ i componenti dell’associazione mafiosa, la pena fissata nel ddl va dai 3 mesi a 3 anni. E questo comporterà che non scatterà la custodia cautelare in carcere: il tetto perchè scatti, infatti, è di 4 anni. In più, perché si possa condannare il ‘sostenitore’ o l“assistente esterno all’associazione mafiosa, si dovrà dimostrare che dalla sua azione si ricavi un profitto”. 

venerdì 12 aprile 2013

Piero Grasso nomina all’Apem il senatore D’Alì, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa.


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E' una di quelle notizie che ti fanno storcere il naso e corrugare la fronte.
E non certo perché un parlamentare sia imputato con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (che, a dirla tutta, non fa più notizia), ma perché a confermare Antonio D'Alì – su indicazione del Pdl – come rappresentante del nostro parlamento, all' Assemblea parlamentare euro mediterranea, è stato l'ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, neoeletto presidente del Senato. D'Alì, ricoprirà l'incarico di Vicepresidente della Commissione Economica e di componente della Commissione Energia ed Ambiente.
Posto che vige il principio di non colpevolezza fino a sentenza di condanna irrevocabile e che il processo è ancora in corso con il rito abbreviato dinanzi al gup di Palermo,  la questione è, come sempre, tutta su un piano diviso tra morale e opportunità.