IL 30 GIUGNO - Scadono i contratti: zero assunzioni.
In teoria dovrebbero essere quasi tutti stabilizzati. Solo in teoria, però. Perché in concreto si scontrano contro un muro: quello dei vincoli di bilancio. Per ora i quasi 54 mila operatori sanitari reclutati con contratti flessibili per far fronte alla pandemia hanno una sola certezza. Quella che il 30 giugno scadrà la proroga dei loro contratti. Sono medici (20.064), infermieri (23.233), operatori sociosanitari e altri professionisti come i tecnici di laboratorio o di radiologia (22.732). Totale: oltre 66 mila, ma solo 54 mila candidati all’assunzione a tempo indeterminato (vanno esclusi infatti gli specializzandi e il personale in quiescenza). La legge di Bilancio ha aperto uno spiraglio concedendo la possibilità di assumere coloro che alla fine di giugno hanno maturato almeno 18 mesi di servizio, di cui sei nel corso dell’emergenza. Ad avere i requisiti fissati dalla legge sarebbero in 43 mila.
Ma le incognite sono tante anche per questi ultimi. E per molti motivi. Perché fatta la legge dovranno poi essere le aziende sanitarie a procedere con le assunzioni cercando di far comunque quadrare i conti. E non c’è nulla di scontato, anzi. Poi perché non tutte le Regioni sono nelle stesse condizioni. Sette – Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia – sono sottoposte a piani di rientro per risanare il disavanzo finanziario. Due, Calabria e Molise, sono commissariate. Un bluff? “Non c’è nessun automatismo, la legge si limita a offrire questa possibilità”, dice Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao, uno dei più rappresentativi sindacati dei medici ospedalieri. Il fatto è che oltre due anni fa, quando è scoppiata la pandemia, il Servizio sanitario nazionale era già stremato dai tagli – 46 mila posti in dieci anni – imposti dalla spending review. Mancavano allora, tra ospedali e territorio, 63 mila infermieri. E mancavano, nelle varie specialità, oltre 10 mila medici. Di questi ultimi, secondo una proiezione realizzata da Fiaso con il supporto di Sda Bocconi (Fiaso è l’associazione a cui fanno capo l’85% delle aziende sanitarie e ospedaliere italiane), andranno in pensione entro il 2024 in oltre 35 mila. Gli infermieri in uscita saranno invece 58.339. Le stabilizzazioni non risolverebbero affatto il problema perché continuerebbero a mancare all’appello in 18.353, tra camici bianchi e infermieri: una voragine. Ma almeno tamponerebbero qualche falla qua e là. Quanto basta per tentare almeno in parte di affrontare un’altra emergenza, quella del recupero delle lunghe liste d’attesa accumulate a causa della pandemia. “Tra visite specialistiche, interventi chirurgiche e ed esami diagnostici saltati, è un problema che ci trascineremo per molto tempo – prosegue Palermo –. Sempre sperando che non arrivi una nuova pandemia. Con il risultato di uno spostamento sempre più massiccio verso la sanità privata. Il pubblico è sempre più proiettato verso le terapie per gli acuti e il privato continua ad assorbire medici”.
Con la legge di Bilancio il governo ha aumentato la dotazione del fondo sanitario nazionale. Due miliardi all’anno per tre anni, si passa dai 124 miliardi per il 2022 ai 128 per il 2024. Soldi che dovrebbero servire – anche ma non solo – a stabilizzare i precari. Risorse che secondo Fiaso potrebbero essere del tutto insufficienti. Proprio come sono insufficienti, secondo le Regioni, gli stanziamenti a loro favore per coprire i maggiori oneri sostenuti a causa della pandemia. Come sappiamo hanno chiesto due miliardi ma finora ne hanno ottenuto uno. “Abbiamo un’opportunità – spiega il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore – che deve fare i conti con un grosso limite legato al tetto di spesa per problemi di finanza pubblica”.
Tradotto: la responsabilità è tutta politica, alla fine dei conti la palla è nelle mani delle Regioni e del governo. C’è chi sta cercando di spostare il ragionamento sui vincoli dal tetto di spesa allo standard di personale da fissare per raggiungere un determinato obiettivo di salute. “Si tratta di definire per ogni servizio sanitario da erogare il numero delle risorse umane necessarie – osserva Migliore –. Ma è chiaro che se non ci si sottrae alla logica del tetto di spesa, la stabilizzazione potrebbe anche essere difficile o impossibile”. Per capire: Federsanità, l’associazione legata all’Anci, finora non ha negato le sue perplessità sulle stabilizzazioni.