sabato 9 maggio 2015

Dagli al giornalista. - Marco Travaglio.



Confesso il mio doppio conflitto d’interessi: sono giornalista e sono anche uno di quelli spiati durante il governo Berlusconi-2 dal Sismi del generale Niccolò Pollari e del suo “analista” Pio Pompa e, per soprammercato, pure dalla cosiddetta Security della Telecom capitanata da Luciano Tavaroli (che in realtà lavorava in tandem con i servizi). 

Bene: a Perugia, nel silenzio generale, sta per concludersi il processo a Pio Pompa, nei cui uffici e appartamenti romani furono sequestrati nel 2007 ben 10 mila file. “In quei Cd, Dvd e hard-disk – ha ricordato il pm Massimo Casucci – sono stati rinvenuti dossier su giornalisti e magistrati, insieme a documenti su attentati e sulle questioni aperte riguardanti Iraq, Afghanistan e Nigergate. Quando è avvenuta la perquisizione, però, Pompa non faceva più parte dell’intelligence militare e dunque non poteva detenere quei file”. E perciò, dieci giorni fa, il pm ha chiesto la condanna di Pompa a 4 anni e mezzo di carcere per essersi procacciato documenti “atti a fornire notizie che nell’interesse della sicurezza dello Stato dovevano rimanere segrete”.

Ieri il sito del Fatto ha rivelato che, sentito come testimone, il generale Pollari – ex superiore di Pompa – ha invocato il segreto di Stato depositando una lettera che gli ha scritto Giampiero Massolo, direttore del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio (il Dis, che coordina i servizi segreti militare e civile). Che dice Massolo? Che anche il governo Renzi, come i precedenti, ha deciso di apporre il segreto di Stato e addirittura di ricorrere alla Corte costituzionale per mandare in fumo il processo a Pompa. Ora, nei dossier sequestrati nel 2007, emergeva un sistematico dossieraggio su magistrati, politici e giornalisti considerati “ostili” a Berlusconi, definiti “bracci armati” di non si sa quale Spectre e dunque da “disarticolare”, “neutralizzare”, “ridimensionare” e “dissuadere”, anche con “provvedimenti” e “misure traumatiche”. 

Davvero il governo Renzi ha così a cuore la libertà di stampa e di pensiero da impedire verità e giustizia anche su quell’oscura vicenda? È vero, noi giornalisti siamo una categoria malfamata. Ma ormai il primo che passa si sente autorizzato a prenderci a ceffoni senza che nessuno dica o faccia nulla. È di questi giorni l’incredibile vicenda dell’Unità, che il Pd vorrebbe rimandare in edicola con i soliti soldi pubblici, ma abbandonando al loro destino i giornalisti delle ultime gestioni, lasciati soli a difendersi da querele penali e cause civili, a pagarsi gli avvocati e addirittura a farsi pignorare le case e gli stipendi.

Ed è dell’altro giorno la sentenza del Tribunale di Roma che dà torto a Sandra Amurri, giornalista del Fatto Quotidiano, e ragione all’ex deputato Dc e poi Udc Calogero Mannino, tuttora imputato a Palermo per violenza o minaccia a corpo dello Stato nel processo sulla trattativa Stato-mafia. L’antefatto è noto, almeno ai nostri lettori. 

Il 21-12-2011 Sandra Amurri, trovandosi al Bar Giolitti di Roma, a due passi da Montecitorio, ascoltò casualmente una conversazione fra due politici. Uno lo riconobbe subito: Mannino. L’altro lo identificò poi dalle foto scattate con l’iPhone: Giuseppe Gargani. Sentì dire fra l’altro a Mannino: “Stavolta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello, il padre, di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione”. E a Gargani: “Certo, certo, stai tranquillo, non ti preoccupare, ci parlo io”. Un caso di scuola di inquinamento delle prove. 

La Amurri raccontò sul Fatto quanto aveva visto e sentito e, chiamata dai giudici di Palermo a testimoniare sotto giuramento, confermò tutto. Mannino la insultò: “Mitomane”, “spia”, “agente volontario in servizio della Stasi in Germania o del Kgb nell’Urss”, “fantasia eccitata”, “delirio”, “menzogna organizzata”. La Amurri gli fece causa. Intanto, sentito come teste al processo Trattativa, Gargani confermava il colloquio (non, ovviamente, le parole) con Mannino nella data e nel luogo indicati. E il deputato Aldo Di Biagio, che l’aveva incontrata alla sua uscita dal bar Giolitti, testimoniava che subito la nostra giornalista gli aveva raccontato ciò che aveva appena sentito dai due politici. 

Ora il giudice di Roma dà ragione a Mannino e condanna la Amurri a pagargli 15 mila euro di spese legali. Ma, quel che è peggio, scrive nella motivazione che gli insulti sanguinosi di Mannino – i peggiori che un giornalista possa ricevere – sono “espressioni riconducibili all’esercizio del diritto di critica… proporzionate e strettamente collegate alle accuse mossegli nell’articolo” e “all’indebita interferenza della giornalista in una sua conversazione privata”. Già, perché qui la colpevole è la cronista: ha “abusivamente origliato il colloquio” e, anziché starsene zitta come fanno i conigli che non cercano rogne, l’ha denunciato e poi confermato ai giudici per aiutarli ad accertare la verità. 

La domanda è semplice: se io, comune cittadino o giornalista, ascolto al bar due persone che progettano un omicidio, o una rapina, o uno stupro, che devo fare? La sentenza non lascia dubbi: devo farmi i cazzi miei e lasciare che i due portino a termine il crimine. Altrimenti, se faccio il mio dovere di denunciarli, quelli potrebbero diffamarmi e, se reagisco, rischio di incontrare un giudice che mi accusa di averli abusivamente origliati violando la loro sacra privacy, e mi obbliga pure a rimborsarli con 15 mila euro. 

Una lezione di educazione civica.

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I tromboni dell'Expo. - Marco D'Eramo



Indovinello: cosa vi fanno venire in mente i nomi di Genova, Daejon, Lisbona, Hannover, Bienne, Aichi, Saragozza? Scommetto che nessuno ha in tasca la risposta esatta: queste città sono state sedi delle Expo rispettivamente del 1992, 1993, 1998, 2000, 2002, 2005, 2008. Questo per dire quanto indelebile è stata la traccia lasciata dalle più recenti Esposizioni universali nella memoria planetaria. 

Chi di noi ricorda che nel 2002 Bienne fu sede di una Expo? E dove si trova Bienne? (Svizzera).
Peggio: quale marchio ha lasciato nei nostri cuori Yeosu? Eppure questa città è stata sede dell'ultima Expo (2012) prima di quella di Milano: appena trentasei mesi fa. Non propongo neanche la domanda di riserva per sapere di quale nazione è Yeosu (Corea).

In soli pochi anni oblio e indifferenza hanno sepolto quegli eventi. Basterebbe questa costatazione a svelare il patetico provincialismo con cui l'italico rullio di tamburi mediatici ha accompagnato l'inaugurazione dell'Expo milanese. Verrebbe da parafrasare la fulminante battuta di un presentatore a un concerto di jazz di qualche anno fa: “Ecco a voi il meglio del trombonismo italiano”, solo che in questo caso “trombonismo” non si riferisce al trombone sostantivo, ma al trombone aggettivo.

“Il mondo ci guarda”, “Milano è tornata capitale”, “venti milioni di visitatori”, “decine di migliaia di nuovi posti di lavoro”, e così via con le iperboli, quando il resto della Terra continua a essere in tutte altre faccende affaccendato e consacra a questo evento epocale della nostra storia qualche trafiletto dedicato più che altro agli scontri, o alle tangenti, o a pezzi di stand che crollano.

Ma che importa, non siamo qui per lesinare un superlativo. La Repubblica non si risparmia: “Milano al centro del mondo” titola, mentre La Stampa prevede sicura: “Per sei mesi il mondo guarderà all'Italia”, ed Il Secolo XIX lancia il guanto (sempre al mondo): “La sfida dell'Italia”. Un editoriale del Corriere della Sera è rotto dal magone: “L'emozione di essere al centro del mondo”. Il timore del ridicolo non spaventa nessuno, tanto meno L'Avvenire che, dopo un'affermazione per lo meno discutibile (“Il mondo è all'Expo”), si pone un quesito comico: “Ma sarà più giusto?”. Come diavolo fa la presenza di alcuni stand in un'Esposizione a rendere il nostro pianeta più o meno equo?

Il fatto più stupefacente è che tra tanti dotti opinionisti, commentatori ed esegeti, nessuno abbia ripercorso non la storia aneddotica delle varie expo universali (elargitaci a piene mani), ma il loro significato e declino: come mai sono state inventate le esposizioni universali? A che scopo? È curioso che nessuno si sia chiesto come mai agli albori del terzo millennio poniamo tanta enfasi su un'idea che è ottocentesca in tutto e per tutto, non solo perché fu l'800 a inventare le Esposizioni universali (la prima si tenne nel 1851 a Londra), ma perché l'800 inventa la società industriale il cui elemento nevralgico diventa la merce di cui deve moltiplicare i consumatori. In una pagina fulminante del saggio “Parigi capitale del XIX secolo” Walter Benjamin scriveva (nel 1935): “Le esposizioni universali sono luoghi di pellegrinaggio al feticcio merce. 'L'Europe s'est déplacée pour voir des marchandises' dice Taine nel 1855”.

Ma non è merce qualunque quella che le Esposizioni universali ottocentesche mostrano, è la marcia del Progresso che viene esibita attraverso di loro: nel 1851 furono svelati per la prima volta il caucciù e la mietitrice meccanica; nel 1855 (Parigi) destò ammirazione la macchina da cucire Singer; nel 1867 (Parigi) strabiliarono ascensore, macchina per produrre bevande gassate e cemento armato; nel 1876 a Philadelphia fu presentato il telefono e anche il ketchup.

Poi i brevetti e con essi il segreto industriale ebbero il sopravvento e le innovazioni non furono più rivelate ai quattro venti: le Esposizioni persero a poco a poco il loro carattere di antro delle meraviglie della scienza e della tecnica, anche se questo retaggio continuò a risuonare nell'Expo di Bruxelles del 1958 (dedicata all'energia atomica) in cui l'Urss mostrò un esemplare di Sputnik, la prima navicella spaziale; e poi ancora a Osaka nel 1970 quando il Giappone presentò il primo treno superveloce.

Il Progresso con la P maiuscola non riguardava solo le merci, ma investiva tutta la società, la sua gestione dello spazio, la sua architettura. Non per nulla il simbolo della prima Expo londinese del 1851 fu il Palazzo di Cristallo (in realtà in ferro e vetro) che sarebbe stato il prototipo di tutte le armature metalliche successive e che avrebbe ispirato tutta l'edilizia moderna. Come non parlare della Tour Eiffel simbolo dell'expo universale parigina del 1889, il cristallo di atomi di ferro simbolo di Bruxelles 1958, o dello Space Needle (l'Ago Spaziale) di Seattle. Ma anche il Colosseo quadrato dell'Esposizione Universale Romana (Eur) del 1942 (che non si sarebbe mai tenuta) aveva l'ambizione di raffigurare le ultime tendenze architettoniche, in quel caso del neoclassicismo unito al razionalismo italiano.

Ma alla fine degli anni '60 del secolo scorso l'ideologia del Progresso perdeva colpi e perdevano senso le Expo a esso dedicate: da allora nessuna Expo ha sciorinato le meraviglie del possibile: non hanno esposto neanche un computer. E perdevano colpi i simboli architettonici: i padiglioni sono stati costruiti vieppiù sotto il segno dell'effimero, per essere smontati battenti chiusi.

Ma senza lasciarsi andare troppo alla nostalgia: perché quelle esposizioni “progressiste” esponevano anche quello che l'ineffabile Rudyard Kipling chiamò il “White man's burden”, “il fardello [civilizzatore] dell'uomo bianco”, esponevano perciò l'opera “civilizzatrice” dell'Occidente e, per farlo, dovevano esporre i selvaggi. Furono le grandi esposizioni universali a istituire infatti gli Zoo umani, padiglioni in cui veniva ricostruito l'habitat di tribù africane o malgasce o indonesiane dove famiglie di indigeni venivano esposte alla curiosità dei visitatori. Né c'è da inorridire: anche quelle erano esposizioni buoniste, che semplicemente riflettevano l'”imperialismo umanitario” del tempo. Ricordiamo che l'ultimo Zoo umano fu esposto nell'Expo di Bruxelles addirittura nel 1958.

Ma allora ci si chiede che senso ha oggi allestire un'esposizione universale, se non come occasione per varare qualche grande cantiere, sdoganare – sotto la voce “promozione di mercato” – qualche spesa pubblica in un'era in cui le spese pubbliche socialmente utili (investimenti nella scuola, nella sanità nel welfare) sono considerate “sprechi” da riformare secondo i suggerimenti di tutte le trojke del mondo. È la ragione per cui la retorica dell'Expo oscilla sempre tra l'epica e il pizzicagnolo.

L'epica è quella della retorica nazionalista della sfida al mondo che abbiamo già visto e che ci ricorda irresistibilmente l'Eur fascista, anche allora voluta da Bottai nel 1935 per “mostrare al mondo il Genio della Civiltà italica”: sono passati 80 anni e sempre alle stesse guasconate da Italietta siamo restati. E l'odore di regime esala di nuovo, 80 anni dopo, irrespirabile dal coro ditirambico degli italici media. 

Non solo il paragone regge, ma è persino sconfortante perché dell'Eur 1942 sono almeno rimaste tracce durature che ancora sono studiate nei manuali di architettura, mentre c'è da chiedersi cosa resterà dell'Expo milanese. Ma soprattutto perché il genio italico cui allora ci si riferiva era quello così pomposamente decantato nell'iscrizione sul Colosseo quadrato (“Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori...”), mentre il genio attuale si dispiega facendo rientrare (sussumendo) l'universo mondo nel modello Eataly: cosa è questa fiera se non un Eat-world? In questo particolare, mantenendo una curiosa fedeltà con le Expo dell'800. Osservava infatti Benjamin: “La 'specialità' è una designazione merceologica che fa la sua apparizione in quell'epoca nell'industria di lusso. Le esposizioni universali costruiscono un mondo fatto di 'specialità' (…) Modernizzano l'universo”. E cosa sono gli stand gastronomico-alimentari se non una fiera di specialità? Lardi di Colonnata, amaretti di Saronno, capperi di Pantelleria, orizzonti insuperabili della nostra epoca.

Ci ricongiungiamo qui al pizzicagnolo che non solo espone negli stand bresaole e tomini, ma lucra e fa la cresta su ogni sua “specialità”: l'animo da droghiere ispira i miseri conticini della spesa, i calcoli sui profitti immediati che ogni italico, guicciardiniano “particulare” può trarne: ci viene infatti annunciato in trionfo (da La Provincia) che “L'expo può far decollare Como”: Ohibò!
Mentre Il Secolo XIX s'inalbera piccato con un'importante notizia di spalla in prima pagina:

“Liguria beffata
all'Expo: niente
assaggi di pesto
pizza libera”

Non resta che pestare i vil marrani partenopei.


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venerdì 8 maggio 2015

L'attentato. - Giorgio Bongiovanni

Palermo. Surreale. 
E’ questa l’atmosfera che si respira oggi all’aula bunker dell’Ucciardone. 
Ennesima udienza al processo trattativa Stato-mafia. In videoconferenza c’è il collaboratore di giustizia Vito Galatolo. Sugli schermi si intravede l’uomo di spalle con un cappello in testa. Le sue parole colpiscono duro. Il progetto di attentato nei confronti del pm Nino Di Matteo prende forma. Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi lo incalza con domande serrate alle quali il pentito non si sottrae. Di Matteo andava ucciso “perché stava andando troppo oltre” nel suo lavoro, soprattutto per quanto riguarda le indagini “di questo processo”. Galatolo parla di 200 kg di tritolo destinati al magistrato palermitano. Secondo il figlio del boss dell’Acquasanta, Vincenzo Galatolo, lo stragista Matteo Messina Denaro avrebbe messo a disposizione un suo artificiere. “Avevamo l'ordine che non dovevamo presentarci con questa persona – spiega il collaboratore di giustizia –. Ci stupiva il fatto che non dovevamo sapere chi era questo uomo di Messina Denaro... Noi capimmo che era esterno a Cosa Nostra e che poteva essere qualcuno dello Stato che era interessato a fare questa strage”. Galatolo specifica inoltre che, attraverso le missive di cui era venuto a conoscenza, Messina Denaro aveva tranquillizzato i suoi sodali evidenziando che “facendo quell’attentato (a Di Matteo, ndr) non ci dovevamo preoccupare perché questa volta saremmo stati coperti”. Si tratta di quelle “coperture” di cui lo stesso collaboratore di giustizia aveva già sentito parlare in prossimità della strage di via D’Amelio dal boss Filippo Graviano? “Al fondo Pipitone, dove abitavamo, si riuniva il gotha di Cosa Nostra – sottolinea di seguito il figlio di Vincenzo Galatolo –. A volte venivano anche altre persone. Per una famiglia mafiosa, mantenere contatti con uomini dei Servizi segreti, significava ottenere una sorta di 'protezione'. Potevamo ottenere informazioni su eventuali indagini, blitz, arresti prima che venissero compiuti. Chi veniva? Ricordo il questore Arnaldo La Barbera ma anche Bruno Contrada. C’erano uomini con e senza divisa, uomini dei Servizi, del Ros”. A detta del pentito, La Barbera era “a libro paga dei Madonia” in quanto “ci dava informazioni e prendeva soldi”. Galatolo ricorda quindi un uomo “con la faccia sfregiata” che veniva chiamato “il mostro”. “Una volta lo vidi entrare assieme a Bruno Contrada (ex numero 3 del Sisde, ndr). Questa persona l’ho riconosciuta sulle fotografie che mi sono state mostrate”. Il neo pentito continua il suo racconto spiegando che l’ex boss dell’Arenella Gaetano Scotto “era uno che era in contatto con i servizi segreti, che avevano un ufficio al Castello Utveggio, sul Monte Pellegrino che sovrasta il luogo della strage di via D'Amelio. Lo stesso Nino Madonia (ex  reggente del mandamento di Resuttana, ndr) era in contatto con rappresentanti istituzionali”. In aula viene evidenziato che il progetto di attentato nei confronti del pm Di Matteo prevedeva anche una sorta di piano “B” da realizzare a Roma con i kalashnikov. Di Matteo sarebbe dovuto essere “attirato su Roma tramite il pentito Salvatore Cucuzza”, racconta Galatolo. “Avevamo un contatto con lui e sapevamo che stava molto male e che aveva un ristorante vicino alla Cassazione”. Il progetto omicidiario prevedeva di “far appoggiare i kalashnikov” nel locale del pentito. Lo stesso Cucuzza “doveva far venire Di Matteo al suo ristorante per parlare del processo Stato-mafia. Nell’appartamento di fronte uomini di Cosa Nostra avrebbero controllato se Di Matteo sarebbe arrivato. E lì si sarebbe fatto l’agguato”. Salvatore Cucuzza è, però, morto per un tumore maligno poco dopo essere stato coinvolto in questo disegno criminale.
Di Matteo siede accanto ai suoi colleghi del pool e ascolta nuovamente questa storia di stragi annunciate che lo riguarda da vicino. “Le parole hanno un peso!”, pronuncia con forza il pm condannato a morte di fronte al contesto realmente surreale che assume il controesame dell’ex boss. Se si mettono in fila le parole dette e quelle non dette in tutta questa vicenda ci si rende conto dei contorni sempre più grigi. Da una parte ritroviamo la sentenza di morte di Totò Riina, le relative direttive di Matteo Messina Denaro e le rivelazioni dei collaboratori di giustizia; dall’altra si percepisce sempre di più il silenzio – colpevole – dei massimi esponenti delle istituzioni di fronte ad una condanna che è tuttora pendente (a partire dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il Premier Matteo Renzi, i Presidenti di Senato e Camera, Piero Grasso e Laura Boldrini, fino a toccare trasversalmente buona parte dei vari schieramenti politici). Che Paese è quello che tenta di sminuire la gravità di ciò che sta accadendo attorno al pm più protetto d’Italia? E cosa si può dire ad una magistratura colpevole di isolarlo attraverso bassezze degne della peggiore casta (si vedano ad esempio gli incarichi “ordinari” dei quali Di Matteo si deve occupare sottraendo tempo prezioso a indagini delicatissime, fino ad arrivare alle bocciature del Csm alle sue domande di avanzamento di carriera che di fatto lo sovraespongono ulteriormente)? Da mesi a Palermo si cerca quel tritolo di cui parla Galatolo, ma il ritmo delle ricerche appare oggi molto più sfumato, quasi impalpabile. Contemporaneamente si assiste alla precisa volontà di smorzare il peso delle dichiarazioni dell’ex boss dell’Acquasanta storcendo il naso di fronte ai suoi riferimenti sul ruolo di Matteo Messina Denaro, mettendo in dubbio la sua attendibilità, o quanto meno evitando di parlarne a livello mediatico. E’ la storia che si ripete. Come se vent’anni, dopo le stragi, non fossero bastati. Il silenzio istituzionale nei confronti di Nino Di Matteo continua, però, ad incrementare il suo volume. Dal Presidente Mattarella non è giunta ancora una parola chiara e netta a proposito. E questo suo silenzio, vista la storia tragica legata alla sua famiglia, appare del tutto incomprensibile e soprattutto grave. Una condanna a morte di Cosa Nostra non va mai in prescrizione. L’integrità morale della maggioranza dei rappresentanti del nostro Stato (in tutte le sue sfaccettature), invece, è già stata archiviata da un pezzo: oggi si chiama collusione.

L’incendio nel Terminal 3. Coinvolta area di 1000 metri quadrati.


L’aeroporto di Fiumicino è rimasto paralizzato per ore in seguito all’incendio scoppiato stanotte. Anche il traffico in tilt.


Ore di paura all’aeroporto di Fiumicino, dopo che la scorsa notte un violento incendio, scoppiato dopo mezzanotte, ha colpito il Terminal 3. Fortunatamente le fiamme, che non hanno provocato feriti gravi ma solo tre intossicati, sono state domate, ma i disagi alla circolazione sono ancora molti. Da mezzogiorno lo scalo è stato riaperto agli arrivi, mentre le partenze sono riprese gradualmente a partire dalle 14. Ritardi e cancellazioni si sono ripercossi anche su altri scali nazionali, mentre la chiusura dell’Autostrada Roma - Fiumicino ha paralizzato per ore la capitale.

Ritorno alla normalità
È in corso una graduale ripresa della piena attività dello scalo romano, pur rimanendo completamente inagibile il Terminal 3, dove le fiamme hanno interessato l'area commerciale nella zona transiti e, come spiegano i vigili del fuoco, «ci vorranno giorni» per la messa in sicurezza. Dalle 12 alle 14 sono stati operativi 12 voli l'ora, mentre adesso si sta tornando ai ritmi consueti. Ripresi anche i collegamenti ferroviari con Roma e riaperta l'autostrada. Le compagnie aeree si stanno riorganizzando per predisporre, appena possibile, le partenze di tutti i passeggeri, mentre i voli in arrivo atterrano regolarmente. «Il primo volo della giornata, della compagnia Iberia, è appena partito» ha annunciato intorno a mezzogiorno il presidente dell'Enac Vito Riggio, e poco dopo L’Alitalia ha comunicato la ripresa graduale dei voli della compagnia di bandiera; il primo volo decollato è stato l'AZ 110 diretto ad Amsterdam. 
Si indaga per scoprire le cause
Al momento restano da definire con certezza le cause del rogo, probabilmente innescato da un corto circuito. È stata esclusa subito dagli inquirenti l’ipotesi dolosa. Stando alle prime ricostruzioni, le fiamme sarebbero divampate poco dopo la mezzanotte dal bar Gustavo al Terminal 3, all’interno dell’area transito successiva al controllo passaporti e non dal deposito bagagli, come riferito in un primo momento. In poco tempo l’incendio ha invaso completamente il Terminal, provocando una colonna di fumo altissima, visibile anche a chilometri di distanza. Sarebbe stata una dipendente del bar ad accorgersi delle fiamme e lanciare l’allarme «È una testimonianza che stiamo valutando secondo gli elementi che hanno i vigili del fuoco» ha spiegato il vice questore Antonio Del Greco, mentre proseguono le indagini per capire se la struttura fosse dotata di un sistema antincendio adeguato «Bisogna comprendere se quello che è accaduto la notte scorsa è solo un caso accidentale o sia un segnale di problemi da verificare - ha affemato Riggio - bisogna capire cosa è bruciato così velocemente, quale materiale ha fatto propagare le fiamme rapidamente: i materiali usati in aeroporto sono a norma di legge, non so però cosa c'era nei negozi. Questo è un punto che bisognerà capire. Ora vigileremo su tutte le società presenti al Terminal 3, sulle cause aspettiamo gli accertamenti». 

Stanchezza e paura dei passeggeri
Appoggiati ai bagagli, sdraiati sui marciapiedi, seduti per strada o sul pavimento: dopo l'incendio che ha causato la chiusura dello scalo romano, i viaggiatori aspettano notizie sui voli. C’è chi fa la coda al banco informazioni, chi preferisce sedersi al sole e chi si sdraia per strada o sul pavimento, sono migliaia le persone rimaste a terra a causa della chiusura temporanea dello scalo romano. Nella mattina quasi tutti i passeggeri in transito, a parte quelli delle compagnie low cost “dirottato” su Ciampino, sono stati trasferiti in albergo in attesa che riprendessero i voli. A quelli rimasti dentro l'aeroporto era consentito occupare solo "Land side", ovvero il lato check-in, dove venivano distribuite bottigliette d'acqua. 

http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2015/05/08/incendio_fiumicino_disagi_ritardi_aeroporto_roma.html

Vitalizi condannati, approvata l’abolizione (a metà): fuori M5S e Forza Italia. -

Vitalizi condannati, approvata l’abolizione (a metà): fuori M5S e Forza Italia

Via libera dall'ufficio di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama. La delibera prevede lo stop per i condannati in via definitiva per mafia, terrorismo e reati contro la PA (ma non l'abuso d'ufficio), nonché quelli con condanne superiori a 6 anni. C'è la possibilità di riabilitazione. M5S non partecipano al voto prima, votano contro poi: "Compromesso al ribasso".

Abolizione (a metà) dei vitalizi ai condannati: dopo mesi di rinvii e ripensamenti con un ritardo forse solo secondo a quello sulla legge anticorruzione c’è il via libera dell’ufficio di presidenza della Camera e del Senato. Restano fuori prima e votano contro poi i 5 Stelle (“Compromesso al ribasso”), mentre Forza Italia ha abbandonato i lavori in entrambi i casi (“Ci voleva una legge ad hoc”). Non ha partecipato al voto Area popolare. Sì di Pd, Lega Nord, Sel e Fdi. La presidente Laura Boldrini: “E’ un forte segnale di moralizzazione”. Il questore M5S Laura Bottici: “Questa non è la delibera originale, né quella mia, né quella di Grasso dello scorso anno, sulle quali abbiamo fatto battaglia per undici lunghi mesi”.
L’abolizione a lungo agognata arriva dopo la campagna di Libera che ha raccolto 500mila firme, ma è comunque zoppa. La delibera approvata infatti, decide lo stop delle pensioni a vita per gli eletti in Parlamento condannati per reati di mafia, terrorismo e contro la Pubblica amministrazione con pene superiori a 2 anni di reclusione. Ma nella versione finale del testo, con il compromesso voluto dal Partito democratico, aumentano le possibilità di farla franca: si esclude l’abuso d’ufficio, si prevede la modifica in senso restrittivo per i delitti non colposi da 4 a 6 anni e si inserisce la riabilitazione.

A approvata la delibera per agli ex deputati condannati per reati gravi. E' segnale forte di moralizzazione.

I 5 Stelle protestano: “Questa delibera è solo una farsa, che salva la stragrande maggioranza dei politici condannati, tutti i loro amici di tangentopoli, e colpisce solo una piccola cerchia. Ancora una volta la casta si è auto assolta e continuerà a godere di vitalizi pagati dai cittadini italiani”. Queste le 4 modifiche che avevano chiesto per migliorare il provvedimento: “Includere nelle cause di abolizione del vitalizio anche chi è stato condannato per reati punibili con un massimo di pena di 4 anni (e non 6), oltre che per abuso d’ufficio; escludere la riabilitazione come causa di ripristino del vitalizio; escludere la reversibilità del vitalizio in caso di decesso”.
Già in mattinata erano iniziate le prime tensioni: “Non amo lisciare il pelo all’antipolitica”, ha detto il senatore Pd Ugo Sposetti parlando per primo a Palazzo Madama su di un tema non all’ordine del giorno. “Rivolgo una supplica al presidente del Senato: non ci si occupa del tema dell’abolizione dei vitalizi ai condannati durante la campagna elettorale”. Applausi da Lucio Malan dai banchi di Forza Italia: “Bravo!”. Critiche dai 5 Stelle: “Indecenti”. Imbarazzo invece dai colleghi Pd per la sconfessione pubblica di un atto che vogliono a tutti i costi portare a casa. “Ritengo”, ha concluso, “che i membri del consiglio di Presidenza si trovino di fronte ad un diritto inalienabile, un diritto acquisito, un diritto che matura con il versamento dei contributi del lavoratore e dell’azienda, un diritto alla sopravvivenza”. In realtà la situazione è diversa: solo con il governo Monti il sistema è diventato contributivo, mentre prima era retributivo e quindi non si può parlare di “diritto acquisito” in seguito ai contributi versati.
Tra i temi contestati nella bozza della delibera c’è quello dell’inserimento della riabilitazione: nel caso in cui questa venga richiesta dall’interessato (potrà farlo dopo 10 anni dalla fine della condanna per i reati più gravi e dopo 3 anni nei casi meno gravi) e questa venga concessa dal giudice, comportando la cancellazione della condanna dalla fedina penale, il vitalizio potrà essere riassegnato. Essendo la condanna di fatto un requisito negativo e non introducendo la delibera una pena accessoria, spiegano alcuni tecnici, quando la fedina penale torna pulita, “è giusto che il vitalizio venga ridato” perché le misure devono essere “ragionevoli e proporzionate” per non essere contestate. Stop alla pensione anche nel caso di patteggiamento, ma la misura varrà dall’entrata in vigore della legge in poi perché, si sottolinea nella maggioranza, “quando uno decide di patteggiare deve sapere prima a cosa va incontro”.
La delibera entrerà in vigore “il sessantesimo giorno successivo alla data della sua approvazione”, quindi non prima di due mesi a partire da oggi. Si legge nel testo approvato oggi. Le misure saranno applicate, si legge ancora, “ai deputati cessati dal mandato che, alla data di entrata in vigore” della delibera “siano già stati condannati in via definitiva, o che, successivamente a tale data, riportino condanna definitiva per i delitti” previsti dal provvedimento. Pertanto ai deputati non più in carica non verrà chiesto la restituzione del pregresso.

Corruzione, ecco il whistleblower all’italiana. Cantone detta le regole. - Elena Ciccarello

Corruzione, ecco il whistleblower all’italiana. Cantone detta le regole

Una delibera dell'Anac detta le linee guida per gestire le denunce di dipendenti pubblici su casi di malaffare e nepotismo. Al primo punto la tutela del segnalante e le procedure informatiche per garantire riservatezza. In Usa si recuperano così sei miliardi l'anno, mentre in Italia è sempre in agguato il marchio del "delatore".

In Italia c’è chi li chiama “delatori” e guarda con sospetto alle loro denunce. Ma negli Usa è grazie ai “whistleblower“, persone che segnalano in modo riservato all’autorità gli illeciti di cui sono testimoni, che il Governo recupera ogni anno l’85% delle somme oggetto di frodi, oltre 55 miliardi di dollari dal 1986 con una media, oggi, di sei miliardi all'anno. Un sistema lontano “anni luce” da quello italiano, secondo il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone che ieri, intervenendo con l’ambasciatore statunitense John R. Philip ad un convegno organizzato dall’Universita’ Luiss Guido Carli, ha presentato il nuovo vademecum sul whistleblowing approvato dall’Anac e sollecitato nuovi “passi in avanti dal punto di vista normativo” per tutelare il dipendente pubblico che decide di esporsi.
Le Linee guida approvate dall’Anticorruzione nascono per “offrire agli enti pubblici italiani una disciplina applicativa delle stringate disposizioni di principio introdotte dalla legge n. 190/2012 (cd. “Legge Severino“)”. Si tratta dunque di regole elaborate, secondo quanto scritto dalla stessa Autorità, a partire da norme troppo “sintetiche” cui si è voluta dare “un’espansione massima possibile”, “nel contempo suggerendo al Legislatore possibili miglioramenti”.
Il vademecum si concentra sul tema della tutela del segnalante, in primis, su cui si chiede un “intervento chiarificatore” da parte della politica, ma anche sull’orizzonte di illeciti che possono essere segnalati, sui soggetti cui rivolgersi per fare la segnalazione e il trattamento da riservare alle segnalazioni anonime (comunque acquisite anche se trattate in modo diverso). Secondo l’Anticorruzione potranno essere segnalati non solo gli illeciti contro la pubblica amministrazione ma anche “l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati”. L’elenco è lungo “sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro” eccetera.
Le amministrazioni pubbliche non possono rivelare l’identità del whistleblower senza il suo consenso, tranne nei casi in cui chi “è sottoposto al procedimento disciplinare” per effetto della segnalazione abbia bisogno di conoscerla perché “assolutamente indispensabile” per la propria difesa. L’autore della segnalazione non può in ogni caso essere oggetto di provvedimenti disciplinari per effetto della sua denuncia, ma la tutela decade se viene riconosciuto colpevole di un reato di calunnia o diffamazione già in primo grado.
Il primo punto del vademecum resta comunque la tutela del whistleblower, sui cui la normativa attuale, secondo il documento, presenta ancora troppe lacune. Su questo l’Anticorruzione, in attesa di nuove norme, introduce alcune regole per il ricorso a procedure informatiche tali da evitare “la presenza fisica del segnalante”, che vanno indirizzate al responsabile per la prevenzione della corruzione dell’ente a meno che non riguardino proprio quel funzionario. In tali casi la segnalazione andrà invece inviata all’Anac. In ogni caso le amministrazioni dovranno fare di tutto per adottare procedure di tutela. “Al fine di evitare che il dipendente ometta di segnalare condotte illecite per il timore di subire misure discriminatorie, è opportuno che… le amministrazioni si dotino di un sistema che si componga di una parte organizzativa e di una parte tecnologica, tra loro interconnesse”, si legge nel documento.
A fronte di queste disposizioni resta però un problema di fiducia. E di tempi. “A noi tanti scrivono perché non ricevono risposte da parte delle istituzioni o perché hanno bisogno di indicazioni e di incoraggiamento prima di presentare una segnalazione” spiega a ilfattoquotidiano.it Giorgio Fraschini, responsabile dello sportello per le segnalazioni di Transparency Italia. “Chi decide di fare una segnalazione ha bisogno di fidarsi del suo interlocutore e le fredde procedure burocratiche spesso in questo non sono d’aiuto”. Il modulo offerto dal servizio dell’Anticorruzione, come prima cosa, chiede a chi vuole fare una segnalazione di indicare il suo nome, cognome e posizione lavorativa. E questo, come notato dallo stesso Cantone, può non aiutare quando non si è in grado di garantire il segnalante da ritorsioni. “Chi scrive all’Anticorruzione non riceve una risposta e non riesce a capire a che punto sia la sua segnalazione” continua poi Fraschini. “Ma chi per colpa di quegli illeciti ha perso il lavoro o vive una situazione di disagio non può aspettare dei mesi”. L’America è ancora lontana.

mercoledì 6 maggio 2015

Dalla Francia con amore: il gruppo ecologista delle cinque terre ci fa sapere, via Parigi, che cosa davvero sta accadendo per ciò che riguarda la Grecia. - Sergio Di Cori Modigliani

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Oggi arriva a Roma il ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis. Si incontrerà con il nostro ministro dell’economia Padoan, concludendo il suo tour politico europeo. Mentre da Draghi e dalla Troika ci andrà il sottosegretario Dragasakis, l’uomo che il governo greco ha provveduto a nominare come “tecnico” per aggirare le polemiche e il fuoco di sbarramento da parte di olandesi, finlandesi e tedeschi. In Italia i media avevano presentato questa nuova scelta dei greci con la dizione “Tsipras commissaria Varoufakis e si arrende” cercando di dare ad intendere che il ministro greco era stato emarginato e allontanato da Tsipras il quale, finalmente, avrebbe potuto eseguire gli ordini teutonici.
Non è così.
Con grande abilità politica, Tsipras ha creato un doppio binario (è stato proprio lui a spiegarlo di persona alla televisione greca): su una rotaia i tecnici che se la vedono con la Troika e i burocrati, e su un’altra rotaia i politici, ovvero personalità dotate di delega ufficiale che trattano direttamente con i loro omologhi in tutta Europa perché -sostiene Tsipras- “il punto centrale della vicenda sul quale non intendiamo mollare neppure di un millimetro consiste nell’approccio: noi riteniamo che il nodo vada affrontato politicamente per restituire alla Politica l’egemonia sull’economia, cominciando a mettere le briglia sul collo del cavallo pazzo liberista. E’ una vicenda politica e quindi va gestita politicamente. L’economia è, e deve essere, una conseguenza di scelte politiche e non viceversa. Perché così deve funzionare l’Unione Europea“.
Varoufakis ha incontrato la Merkel, poi Hollande, poi David Cameron a Londra (l’incontro più lungo, durato ben quattro ore e finito con grandi sorrisi) e infine a Roma da Padoan. Nei prossimi giorni sapremo gli esiti di questi colloqui.
Ma dalla Francia, dove i media sono più liberi che da noi in Italia, arriva un documento e un’informazione che penso possano essere davvero molto interessanti. A firmarlo è il Collectif pour un audit citoyenun movimento di cittadini di base che opera in Francia e il cui obiettivo consiste nell’esigere, pretendere e cercare di imporre la totale chiarezza e trasparenza delle scelte politiche ed economiche con un programma che si chiama “audit pubblico aperto all’intera cittadinanza” raccogliendo l’eredità della tradizione storica gallica delle prime assemblee costitutive nel corso della rivoluzione francese. E’ un testo molto interessante il cui titolo è: “Ciò che vogliono farvi credere sul debito della Grecia“. In Francia è diventato pubblico in data 11 Marzo 2015. Da lì è passato in Olanda il 15 Marzo e il 15 Aprile è arrivato in Germania dove ha avuto una diffusione virale.
E’ stato ampiamente diffuso in tutti i paesi europei, e in Germania i Grunen (verdi tedeschi) hanno provveduto a garantire massiccia e virale condivisione. Questo testo sta influenzando in maniera molto forte la trattativa in corso, a dimostrazione del fatto di quanto possa incidere ancora oggi un movimento di base organizzato, un’informazione dei cittadini per i cittadini, e allo stesso tempo è l’ennesima prova della totale latitanza dell’informazione libera in Italia. Da notare -ed è uno dei motivi per cui lo sottopongo alla vostra attenzione- la modalità semplice di scrittura, densa di argomenti sostanziali, che fornisce strumenti di comprensione per ogni cittadino europeo che voglia essere pensante in maniera autonoma. Un sito on line che si chiama Pop Off (popoffquotidiano.itlo ha pubblicato subito, in data 16 Marzo, ma non ha avuto alcuna diffusione.
In compenso c’è un gruppo che si sta muovendo: ed è il soggetto del post di oggi.
A pubblicare per intero il testo del collettivo francese, in Italia, è stato qualche giorno fa il “Gruppo delle Cinque Terre” forse il più solido e antico movimento politico-ecologico-libertario-ambientalista attivo da molti anni e costituitosi come movimento politico di base radicato sul territorio nel 2009.
Qui di seguito la presentazione di questo gruppo, il link di riferimento e poi, per intero, l’articolo del collettivo francese, con diversi link di riferimento. Nel resto d’Europa l’hanno letto tutti. Se vi piace e vi convince, diffondetelo. La partita in corso tra la Grecia e la Troika è fondamentale, ed è anche a nome nostro. Lì, ad Atene, 3000 anni fa, è nata la grande civiltà mediterranea che ha gettato le fondamenta dell’Europa e lì, ad Atene, sugli scogli di quel piccolo paese, quest’Europa sta andando a sbattere: lì verrà rifondata.
O affondata, nel caso dovesse andare male.
Buona lettura.

CHI E’ IL GRUPPO DELLE CINQUE TERRE
Il Gruppo delle Cinque Terre si è costituito nell’agosto 2009 ponendosi tre obiettivi:
  • la riunificazione dei vari gruppi e movimenti dell’area ecologista
  • contribuire alla realizzazione del nuovo programma ecologista
  • promuovere nuovi strumenti di comunicazione del Movimento Ecologista
Con il termine ECOLOGISTA non intendiamo ambientalista o semplicemente “verde”, intendiamo una area culturale e sociale più vasta, trasversale ad ogni schieramento politico e che rivendica il diritto-dovere ad una relazione armonica tra uomo e natura, tra esseri umani, tra uomo e donna, e all’interno dell’uomo tra vita e coscienza.
E’ una cultura che sta prendendo gradualmente coscienza di se stessa: in essa si esprimono i movimenti ambientalisti, i movimenti dei diritti civili, i movimenti di solidarietà e giustizia sociale, i movimenti di trasformazione della coscienza sino ai movimenti in difesa delle comunità e culture native.
Il nostro obiettivo è contribuire per l’affermazione in Italia di una grande forza ecologista, intesa come espressione politica, culturale, sociale ed economica dell’insieme dei movimenti, delle culture e delle pratiche volte ad una trasformazione armoniosa ed ecosostenibile della realtà attuale.
Come è affermato dal documento del Gruppo delle Cinque Terre intitolato IL CORAGGIO DI CAMBIARE:
“Vi è una benedetta irrequietezza che spinge un numero progressivamente crescente di uomini e donne del pianeta ad una condivisione ed alleanza di valori, pratiche e attività per l’affermazione di ciò che si riconosce come valido e irrinunciabile.
Un movimento della vita e dell’evoluzione umana che non riconosce facilmente ideologie e capi, si nutre di ogni cosa ritenga valido e si diffonde dappertutto. Esso è la forza determinante che può portarci alla scoperta del tempo presente e delle sue soluzioni.
I movimenti ambientalisti, i movimenti dei diritti civili, i movimenti di giustizia sociale, i movimenti di autonomia culturale si stanno intrecciando e tendono a diventare UNO superando i continenti, sia pure con forme e tempi differenti.
Il termine “ecologisti” è al momento il più idoneo a rappresentare questa varietà di esperienze, che vanno ben al di là del semplice ambientalismo e che hanno però un minimo comune denominatore.
Esso è dietro la vittoria di Obama negli USA, spinge ed alimenta la rivoluzione della Green Economy, è alla base della grande e nuova affermazione di formazioni tendenzialmente trasversali come Europe Ecologie in Francia, anima la moltitudine di movimenti culturali sociali e politici attivi su temi specifici e vive nello sforzo quotidiano di ognuno per una vita felice. E’ l’antidoto, unico oggi, all'intossicazione della politica e all'avvelenamento della società e delle coscienze.
Noi proponiamo la pratica di non essere per nessuno ma di essere con tutti. La volontà di una condivisa solidarietà attiva che è l’antidoto all'illusione del “credere di fare” e l’anteprima “per fare veramente qualcosa”. Sosteniamo la proposta e la necessità di una nuova formula: la federazione delle persone, dei progetti culturali, delle attività produttive ed insieme delle capacità, delle qualità, delle speranze, dei sogni e delle visioni, degli uomini e delle donne di buona volontà per costruire una società più armonica ed eco-orientata. Come Cittadini del Pianeta abbiamo urgente necessità di affrontare l’emergenza ecologica e climatica, di superare un sistema economico basato sulla crescita infinita, di riformare le organizzazioni e le istituzioni sociali liberi dai condizionamenti culturali delle ideologie del secolo scorso, di sconfiggere ogni pregiudizio culturale e sociale e di affrancarci da ogni cultura basata sull’egocentrismo. Siamo consapevoli che la vita è nelle nostre mani e andrà bene se sapremo con coraggio essere noi stessi e se nei nostri comportamenti saremo degni dei nostri sogni. Intendiamo affermare una ecologia ambientale, una ecologia sociale e politica ed una ecologia etica.
Solo attraverso una pratica dell’integrità e della giusta relazione potremo preservare e difendere l’autenticità di ogni cosa ed ogni essere vivente. Il XX secolo, sanguinoso e rovinoso più di ogni altro, ci ha dato in lascito una tecnologia potentissima ed uno smarrimento generale. Ma anche il senso di inadeguatezza di ogni teoria razionale o metafisica non sostenuta dalle ragioni del cuore e non supportata dalla naturale saggezza della vita e della natura. Intendiamo quindi l’ecologismo non come una nuova ideologia ma come un insieme di tendenze, pratiche, sentimenti, insegnamenti e visioni che possono sostenere e guidare verso la soluzione dei tanti problemi attuali. Esso può realizzarsi se saprà essere trasversale anche a se stesso, progredire dall’ambientalismo che pure tanti meriti ha ed ha avuto, in un movimento della giusta relazione che riformi la politica e l’economia e che liberi le potenzialità sane di espressione dell’uomo e della società. In Italia nello specifico vi è urgenza di una rottura con tutto ciò che è definito Casta,Corruzione, Mafie ed insieme anche una rottura con tutto il vecchio bagaglio culturale delle ideologie del ‘900, privo di innocenza perchè anche corresponsabile della progressiva degenerazione ecologica, economica e sociale. Nello stesso tempo occorrerà ampliare, mantenere e difendere i contenuti essenziali ed irrinunciabili della nostra Costituzione dalle degenerazioni del sistema partitico e dalle culture moderne dell’illusione.”
http://www.gruppocinqueterre.it/node/1574

cacGrecia, quello che vorrebbero farti credere sul debito

Otto false idee sul debito greco solo per far interiorizzare l’ineluttabilità del debito ai greci e ai Sud-Europei. Un audit pubblico svelerebbe il ricatto …

Collectif pour un audit citoyen

Nonostante l’ingerenza e la pressione dei dirigenti dell’Unione europea (UE), il popolo greco ha deciso di prendere in mano con coraggio il proprio destino e farla finita con le politiche di austerità, che hanno sprofondato il paese nella miseria e nella recessione. Nei paesi vittime della trojka [ribattezzata ora “Istituzioni europee”], ma anche in numerosi altri paesi europei, la vittoria [elettorale di Syriza] viene sentita come un incoraggiamento formidabile a battersi per porre fine a politiche che avvantaggiano i mercati finanziari e sono invece disastrose per le popolazioni. I nostri grandi mezzi di comunicazione, invece, non fanno che sostenere uno dopo l’altro l’assurda idea per cui l’annullamento del debito greco “costerebbe 600 euro a ogni singolo contribuente francese”. Via via che si inaspriscono le trattative tra la Grecia e la trojka, la propaganda va intensificandosi e il nostro lavoro di educazione popolare sul problema del debito pubblico diventerà sempre più decisivo. Le seguenti risposte alle idee indotte sul debito greco vorrebbero fornire un contributo al riguardo.

Idea indotta n.1 – Annullare il debito greco vuol dire 636 euro per ogni francese.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
Inaccettabile trasferire il debito greco dal contribuente greco a quello francese» (Michel Sapin, ministro dell’Economia Europe, n.1, 2 febbraio 2015); «una tegola di 735 euro per ogni francese» (Le Figaro, 8 gennaio 2015); 636 euro secondoTF1 (2 febbraio 2015).


Perché è falso?
L’impegno francese verso la Grecia è di 40 miliardi di euro: una piccola parte è stata prestata al paese nel quadro di prestiti bilaterali, il resto (circa 30 miliardi di euro) è stata fornita a garanzia al Fondo europeo di solidarietà finanziaria (Fesf) che ha contratto il prestito sui mercati finanziari per prestare alla Grecia.
In entrambi i casi questi prestiti sono già contabilizzati nel debito pubblico francese (circa 2.000 miliardi), per cui il loro annullamento non aumenterebbe il debito.
La Francia dovrà sborsare quelle somme in caso di annullamento del debito greco? No, perché infatti la Francia, come la maggior parte dei paesi, non rimborsa mai veramente il proprio debito. Quando un prestito viene a scadere, la Francia lo rimborsa con un altro prestito. Si dice che la Francia fa “rotolare” il suo debito.
La sola cosa che perderebbero i contribuenti francesi sarebbero gli interessi versati per la Grecia, ossia 15 euro pro capite e per anno.[1]
La Bce potrebbe risolvere il problema con facilità. Potrebbe cancellare con un tratto di penna i 28 miliardi da lei detenuti. Potrebbe riacquistare dalle istituzioni pubbliche (Stati, Fesf) i titoli greci che detengono e ugualmente annullarli. Oppure potrebbe trasformarli – come chiede la Grecia – in obbligazioni perpetue, con un tasso di interesse fisso e affidabile, e non di rimborso del capitale. Ad ogni modo, una banca centrale non corre alcun rischio finanziario, perché si può rifinanziare da sola creando moneta.
Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa?
Anche in Francia il debito pubblico è insostenibile e non si potrà rimborsare. I tassi d’interesse oggi sono bassi? Sì, ma perché la Francia porta avanti una politica d’austerità che piace ai mercati finanziari. E anche perché gli investitori finanziari non vogliono più correre il rischio di investimenti nel settore produttivo. Per farla finita con questa politica, in Francia e in Europa, bisognerà pure alleggerire in un modo o in un altro il gravame dei debiti: ristrutturazione, parziale rimborso con un prelievo eccezionale sui grandi patrimoni, parziale annullamento. ogni ipotesi va studiata e deve essere oggetto di scelte democratiche.


Idea indotta n.2 – Quando si deve qualcosa, va rimborsata.


Il discorso ufficiale sulla Grecia.
La Grecia dovrà rimborsare il suo debito» (Michel Sapin, 2 febbraio); «Un debito è un debito. Rimborsare è un dovere morale per uno Stato di diritto» (Marine Le Pen, 4 febbraio)


Perché è falso?
Tranne rare eccezioni, uno Stato non rimborsa il proprio debito, ma rinnova il prestito per far fronte alle scadenze. Nel bilancio dello Stato figurano gli interessi del debito, mai il rimborso della somma presa in prestito (la parte principale). Al contrario di un privato, lo Stato non è mortale, può indebitarsi all’infinito per pagare i suoi debiti. È la differenza con il prestito di una madre di famiglia che ha l’obbligo, lei sì, di rimborsare il suo debito.
Se però i mercati finanziari non vogliono più prestare a uno Stato, o esigono tassi d’interesse esorbitanti, e lo Stato non ha più accesso alla creazione di moneta da parte della Banca centrale del proprio paese, le cose si mettono male. Per questa ragione nel 2011, quando le banche si sono spaventate di fronte alle difficoltà greche, la Bce e gli Stati europei hanno dovuto concederle prestiti.
Ed è questo che oggi consente loro di esercitare un brutale ricatto, minacciando di tagliare i crediti alla Grecia se il suo governo mantiene le misure anti-austerità che ha promesso agli elettori: aumento dello Smic e delle pensioni, rientro al lavoro dei dipendenti pubblici licenziati, blocco delle privatizzazioni.
Numerose esperienze storiche di paesi sovra-indebitati (Germania 1953, Polonia 1991, Iraq 2003, Ecuador 2008, Islanda 2011, Irlanda 2013.) sono comunque approdate alla stessa conclusione: se il debito è troppo pesante (190% del Pil per la Grecia!), occorre annullarlo e/o ristrutturarlo per consentire una nuova ripresa.
Tutti sanno – anche il Fmi e la Bce – che l’attuale gravame del suo debito è troppo pesante per la Grecia. È indispensabile rinegoziarlo: rispetto al parziale annullamento, ai tassi di interesse, allo scadenzario. Occorre per questo una Conferenza europea sul debito, come è avvenuto nel 1953 per la Repubblica federale tedesca. Perché sia efficace, essa deve basarsi sui lavori di una Commissione internazionale di audit del debito greco, che stabilirà quale sia la parte legittima di cui conviene liberarsi (e anche la rinegoziazione dei tassi d’interesse e delle scadenze) e quella illegittima, che si può contestare.
È legittimo il debito contratto legalmente per finanziare investimenti o politiche che vadano a vantaggio della popolazione: È illegittimo quello che non ha servito gli interessi della popolazione ma ha invece avvantaggiato minoranze privilegiate. Secondo la giurisprudenza internazionale, un debito può addirittura avere un carattere odioso o essere illegale, a seconda del modo in cui lo si è contratto.
Quali insegnamenti per Francia ed Europa?
Anche in Francia è indispensabile condurre un procedimento ampio di “audit” civico per sensibilizzare l’opinione pubblica e far vedere chi sono i reali beneficiari del sistema del debito. La prima Relazione di audit civico pubblicata nel maggio 2014 ha dimostrato che il 59% del debito francese si poteva considerare illegittimo, per la sua origine (tassi di interessi eccessivi, regalie fiscali). Ristrutturare il debito francese libererebbe risorse per i servizi pubblici, per la transizione ecologica. Organizzeremo una Conferenza europea dei movimenti sociali sul debito, per generalizzare questa procedura.


Idea indotta n.3 – I greci si sono rimpinzati, ora devono pagare.


Il discorso ufficiale sulla Grecia.
La Grecia ha una «amministrazione pletorica, il 7% del Pil rispetto al 3% in Europa», una «difficoltà a riscuotere le tasse e tenere a bada le spese (Claudia Senik, economista)


Perché è falso?
Secondo i dati Ocse, in Grecia i dipendenti pubblici rappresentavano il 7% del totale degli occupati nel 2001 e l’8% nel 2011, contro l’11% in Germania e il 23% in Francia (Previdenza sociale inclusa). Le spese pubbliche greche rappresentavano nel 2011 il 42% del Pil, contro il 45% (Germania) e il 52% (Francia).
Perché allora, anche prima della crisi finanziaria e della recessione, il debito pubblico greco era già al 103% del Pil nel 2007? Un recente saggio [Michel Husson, A L’encontre, 11 febbraio 2015] dimostra come l’impennata del debito non dipenda affatto dallo sperpero di dipendenti pubblici e prestazioni sociali. Come in Francia, le spese sono rimaste globalmente costanti in percentuale del Pil, dal 1990 al 2007. Come in Francia, sono i tassi di interesse eccessivi e i regali fiscali ad aver gonfiato il debito. Per giunta però, i diktat della trojka hanno affondato il Pil del 25% a partire dal 2010, provocando automaticamente un aumento del 33% del rapporto debito/Pil!
I tassi di interesse imposti dai prestatori tra il 1990 e il 2000 sono stati stravaganti: mediamente, il 7,5% (tasso reale con correzione dell’inflazione), per una crescita del Pil del 2,5%. Di qui l’effetto “valanga”: lo Stato greco si è indebitato per riuscire a pagare questi interessi esorbitanti. Se il tasso di interesse reale fosse rimasto limitato al 3%, il debito pubblico greco avrebbe costituito il 64% del Pil, non il 103%.
Per quanto riguarda le entrate pubbliche, per rispettare il criterio di Maastricht sul deficit massimo del 3%, la Grecia ha aumentato molto le tasse nel corso degli anni 1990: dal 28% al 42% del Pil. Tuttavia, dopo l’ingresso nell’eurozona, nel 2001, i greci ricchi hanno fatto festa. Ad esempio, nel 2004 e 2008 la Grecia ha ridotto l’imposta di successione, diminuito per due volte il tasso di imposta sul reddito e decretato tre leggi di sanatoria fiscale per gli evasori. (Studi economici Ocse, Grecia 2009). Le entrate fiscali sono ripiombate al 38% del Pil. Se avesse conservato il livello del 2000, il debito pubblico greco avrebbe costituito, nel 2007, l’86% del Pil, non il 103%.
Complessivamente, con tassi d’interesse “ragionevoli” e la semplice conservazione del livello delle entrate pubbliche, il debito greco sarebbe stato della metà, nel 2007. In altri termini: si può ritenere che, a quella data, metà del debito greco fosse illegittimo. È dipeso dall’avidità dei creditori, nazionali o stranieri, e dal ribasso delle tasse, in particolar modo a vantaggio dei più ricchi. Quanto all’esplosione del debito a partire dal 2007, la si deve interamente alla recessione inflitta dalla Trojka ed è, quindi, ancor più illegittima.
Quali insegnamenti per Francia ed Europa?
Il Collettivo per un audit civico del debito pubblico (Cac) ha già dimostrato come gli stessi meccanismi (eccessivi tassi d’interesse e regali fiscali) spieghino il 59% del debito pubblico francese. Anche in Francia si potrebbe farla finita con le politiche di austerità se si rimettesse in discussione il gravame di questo debito, per un suo parziale annullamento e/o per delle misure di ristrutturazione dello stesso.


Idea indotta n.4 – I Greci sono stati aiutati, devono ringraziare.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
La Grecia deve smettere di essere un pozzo senza fondo (Wolfgang Schäuble, ministro tedesco delle Finanze, 12 febbraio 2012)


Perché è falso?
Dal 2010 al 2013, la Grecia ha ricevuto 207 miliardi di euro in prestiti degli Stati europei e delle istituzioni europee, accompagnati da piani di riforme. Si tratterebbe di “aiuti alla Grecia”.
Uno studio di Attac Austria [2] rivela le destinazioni delle 23 tranches di finanziamenti imposti alla Grecia dal 2010 al 2013. Il 77% di questi prestiti è servito a ricapitalizzare le banche private greche (58 miliardi di euro), o è stato direttamente versato ai creditori dello Stato greco (101 miliardi di euro), per l’essenziale banche europee o americane.
Per 5 euro prestati, 1 solo euro è entrato nelle casse dello Stato greco!
Il mensile Alternatives économiques (febbraio 2015) completa l’analisi: dal 2010 al 2014, 52,8 miliardi di questi prestiti sono andati a coprire gli interessi dei creditori. Solo 14,7 miliardi di euro sono serviti a finanziare spese pubbliche in Grecia.
Quei 207 miliardi hanno dunque “aiutato” molto le banche e i creditori ma ben poco la popolazione greca, che in compenso deve subire l’austerità imposta dalla Trojka nel corso dei negoziati sui prestiti. Lo Stato greco deve, inoltre, pagare gli interessi sull’insieme dei piani di aiuto. È indebitato ancora per 40 anni, fino al 2054 e 30 miliardi vanno versati nel 2015!
Chi sono i reali creditori del debito greco e chi decide della sua utilizzazione? Per un debito totale di 314 miliardi di euro i creditori sono: Il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf, ora rimpiazzato dal Mes, 142 miliardi), gli altri Stati europei (53), il Fmi (23), il settore privato (39), la Bce (27) e altri creditori privati (31).
Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), entrato in vigore nel 2012, gestisce ormai i prestiti agli Stati dell’Ue. Contrae prestiti sui mercati finanziari e decide la loro destinazione (principalmente il salvataggio delle banche private). Gli attori dei mercati finanziari si finanziano presso banche centrali, tra cui la Bce, a tassi d’interesse inflazionistici. La sede del Mes è in Lussemburgo, ben noto paradiso fiscale.
In nessun momento lo Stato greco mette mano ai fondi sottoscritti dal Mes. Oltre alle riforme imposte dalla Trojka, i greci pagano per prestiti che non gli sono stati versati e che avvantaggiano per l’essenziale il settore finanziario.
Quali lezioni per la Francia e l’Europa ?
Degli “aiuti” beneficiano di fatto le banche e sono pagati ad alto prezzo dalla popolazioni. Tra soddisfare i bisogno fondamentali (cibo, alloggio, protezione sociale, sanità, istruzione) o ingrassare i principali creditori, la scelta va da sé: la priorità non è il rimborso, ma l’audit dei debiti pubblici e la trasparenza sull’impiego dei fondi dei cosiddetti “salvataggi”.


Idea indotta n.5 – La Grecia deve continuare a portare avanti le riforme avviate.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
Secondo Wolfgang Schäuble, ministro tedesco delle Finanze, la Grecia è tenuta a proseguire sulla strada delle riforme già avviate, senza alcuna alternativa, indipendentemente dal risultato elettorale (Le Monde, 4 gennaio 2014). Cosa che François Hollande ha confermato dopo la vittoria di Syriza: «si sono presi degli impegni e vanno mantenuti» (27/01).


Perché è falso?

L’austerità imposta non ha altro obiettivo se non quello di liberare capacità di rimborso per i creditori. L’insuccesso è però clamoroso! Sì, la Grecia ha bisogno di riforme economiche, sociali e politiche. Non quelle della Trojka, però – sempre meno Stato, sempre più mercato e disuguaglianze – che ahimè sono fallite. Contro le logiche finanziarie di breve termine, tre tracce di piste devono consentire al popolo greco di riappropriarsi del proprio futuro:
Un ambizioso piano di recupero dell’occupazione e di sviluppo economico, che ridelinei il sistema produttivo indirizzandolo verso la transizione ecologica. Un piano che, contrariamente alle affermazioni della trojka, sarebbe benefico, perché 1 euro di investimento pubblico avrebbe effetti moltiplicatori sull’investimento privato e l’attività economica, oggi completamente depressi. I poteri pubblici devono controllare il finanziamento delle attività: ad esempio, creando una banca pubblica di sviluppo, un massiccio investimento nell’economia sociale e solidale, lo sviluppo di monete complementari, la promozione di banche cooperative.
Priorità alla coesione sociale ed economica contro la competitività e la flessibilità. La trojka ha imposto la riduzione generalizzata dei redditi nonché la soppressione dei diritti sociali elementari, che hanno contratto l’attività senza con questo ridurre il debito. Lo Stato deve quindi recuperare il suo ruolo di regolatore e di accompagnamento per mantenere la coesione sociale e tener conto dei bisogni economico-sociali del paese. La redistribuzione del lavoro consentirebbe la creazione di posti di lavoro e sosterrebbe la domanda e la disoccupazione potrebbe scendere rapidamente. Queste riforme dovranno passare per una diversa redistribuzione delle ricchezze.
La rifondazione della democrazia e la riforma dello Stato al servizio dei cittadini e della giustizia sociale. La sovranità dello Stato passa per una fiscalità progressiva, la lotta alla corruzione, alla frode e all’evasione fiscale. Queste riforme permetteranno di restituire al bilancio margini di manovra per finanziare il piano di rilancio e per lottare contro le disuguaglianze[3]e la povertà. I privilegi detenuti dall’oligarchia greca, come gli armatori, devono perciò essere aboliti.
Quali lezioni per la Francia e l’Europa?
L’austerità è fallita, ma riforme ambiziose, radicalmente diverse, sono possibili e necessarie. Un audit dei debiti pubblici dei paesi europei potrà individuare piste per il loro decisivo alleggerimento. Occorre una politica economica volontaristica per riprendere una dinamica di investimenti con un futuro verso la transizione ecologica. Questo presuppone la redistribuzione delle ricchezza e la riconquista della sovranità democratica sull’economia, in particolare arrestando le privatizzazioni. Queste riforme debbono essere cooperative e non sottoposte alla logica della guerra economica.


Idea indotta n. 6 – L’austerità è dura, ma alla fine pagherà.


Il discorso ufficiale
L’austerità, paga! La Grecia sta ripartendo in tromba. Stando alle ultime previsioni di Bruxelles, quest’anno in Grecia la crescita sarà del 2,5% e del 3,6% l’anno prossimo, e questo farà di Atene l’asso della crescita dell’eurozona! La disoccupazione sta scendendo dal 28% al 26%. Insomma, a rischio di urtare, la tanto detestata trojka ha fatto un buon lavoro!» (Alexis de Tarlé, JDD, 8 febbraio)


Perché è falso?
Sarebbero tanto stupidi i greci ad aver posto fine a una politica che procedeva così bene? Nel 2014 il Pil della Grecia è inferiore del 25,8% rispetto al livello del 2007. L’investimento è sceso del 67%. Proprio un bel lavoro! Il tasso di disoccupazione è del 26%, proprio mentre tanti giovani e meno giovani sono stati costretti a lasciare il proprio paese per trovarsi un lavoro. Il 46% dei Greci è al di sotto della soglia di povertà, la mortalità infantile è aumentata del 43%. Quanto alle previsioni di Bruxelles, nell’autunno 2011 annunciavano la ripresa della Grecia per il 2013. Alla fine, il Pil greco è sceso del 4,7% in quell’anno.
Tutti gli economisti onesti adesso lo riconoscono: le politiche d’austerità imposte dalle istituzioni europee sono state catastrofiche per la Grecia e per l’insieme dell’eurozona.
Le classi dirigenti e la tecnocrazia europea hanno inteso sfruttare la crisi per realizzare il loro vecchio sogno: ridimensionare le spese pubbliche e sociali. Per ordine della trojka e sotto la minaccia dei mercati finanziari, i paesi del Sud Europa hanno dovuto attuare piani di drastica riduzione dei passivi pubblici, che li hanno portati alla depressione. Dal 2009 al 2014, il taglio delle spese è stato dell’11% del Pil per l’Irlanda, del 12,5% per la Spagna e il Portogallo, del 28% per la Grecia. Certamente i passivi sono stati ridotti, ma a un costo sociale ed economico mostruoso.
E il debito ha continuato a crescere! Per l’eurozona, è passato dal 65% al 94% del Pil tra il 2008 e il 20014. L’austerità non ha pagato, anzi ha sprofondato il continente nella crisi. Riducendo le tasse per i redditi più alti e per le imprese, gli Stati hanno aggravato il proprio passivo e poi hanno prestato ai ricchi per finanziare i famigerati passivi. Meno tasse versate, da un lato, più interessi percepiti dall’altro: i più ricchi hanno fatto bingo.
Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa ?
Ai greci si chiede di pagare annualmente 4,5 punti della ricchezza nazionale per rimborsare il loro debito; ai cittadini europei, si chiedono “solo” 2 punti. Dappertutto l’effetto è lo stesso: sempre più disoccupazione e sempre meno di quegli investimenti pubblici che potrebbero preparare il futuro.
È l’insegnamento del calvario greco. Porvi fine riguarda tutti i paesi europei, perché bisogna fermare la recessione creata dappertutto dall’austerità, e ricavare gli insegnamenti della crisi per impegnarsi in un altro modello di sviluppo. Se austerità deve esserci, deve colpire i più ricchi, quell’”1%” che accaparra la ricchezza sociale ed ha tratto profitto dal sistema del debito. Debito e passivi vanno ridotti grazie a un’imposizione fiscale più progressiva e alla ristrutturazione dei debiti pubblici.


Idea indotta n. 7 – Una cura d’austerità, non si muore.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
Christine Lagarde, che dirige il Fmi: No, penso piuttosto ai bambini di una scuola in un piccolo villaggio in Niger [.]; hanno più bisogno d’aiuto degli ateniesi, rispondendo alla domanda di una giornalista: Quando richiede misure che sa che faranno sì che le donne non possano ricorrere a una levatrice al momento del parto, o che dei pazienti non possano avere farmaci che potrebbero salvarne la vita, ha qualche esitazione? (The Guardian, 25 maggio 2012). Dovremmo perdere tutti un po’ del nostro benessere (Giorgio Papandreou,Reuters, 15 dicembre 2009).


Perché è falso?
A proposito dei tagli delle spese per il welfare, la Trojka ha imposta una riduzione del 40% al bilancio della Sanità greca. Risultato: «oltre un quarto della popolazione non ha più protezione sociale, gli ospedali pubblici sono sovraccarichi ed esangui. Il rigore di bilancio ha disorganizzato il sistema sanitario pubblico e sta provocando una crisi umanitaria» (4 gennaio 2015, JDD international).
Sono ricomparse la tubercolosi, la sifilide. I casi di Aids si sono moltiplicati per mancanza di mezzi di prevenzione. Uno studio uscito sul giornale medico britannico The Lancet,[4] ricava un bilancio terribile: la mortalità infantile è cresciuta del 43% tra il 2008 e il 20010, la malnutrizione infantile del 19%. Con i tagli delle spese per la prevenzione delle malattie mentali, i suicidi sono aumentati del 45% tra il 2007 e il 2011. Numerosi centri per la pianificazione familiare sono chiusi, quelli che restano funzionano con personale ridotto.
Secondo Nathalie Simonnot, di Médecins du Monde, «sono stati istituiti contributi forfettari di 5 euro per ogni visita medica all’ospedale pubblico. Per un/a pensionato/a a 350 euro mensili, è un costo enorme, soprattutto perché in genere si ha bisogno di più visite [.]. I medici chiedono ai pazienti di comprare direttamente materiali di pronto soccorso, bende, siringhe e garze, perché molti ospedali non hanno più riserve.
Un tempo, testimonianze del genere riguardavano l’Africa. La politica della trojka e dei governi greci hanno creato una catastrofe sanitaria che rende indispensabile un cambiamento politico, soprattutto per la sanità. Se le cose non stanno ancor peggio, è grazie alle centinaia di volontari dei dispensari greci, a Médecins du Monde, alla solidarietà internazionale, che hanno limitato i guai per chi non aveva più accesso alle cure. Il nuovo governo greco ha ragione quando intende far rientrare nei centri sanitari i 3.000 medici licenziati dalla Trojka.
Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa?
Ora si sa che «l’austerità uccide».[5]I responsabili delle politiche d’austerità si rendono colpevoli di veri e propri crimini quando impongono massicci tagli alle spese sanitarie, come è accaduto in Grecia, in Spagna, in Portogallo. È indispensabile difendere ovunque i sistemi sanitari pubblici dalle privatizzazioni e dalle ristrutturazioni che puntano solo a tagliare i costi in spregio alla salute.


Idea indotta n.8 – Comunque, la Grecia ha già capitolato.


Discorso ufficiale
Sottoscrivendo l’intesa all’Eurogruppo, il 20 febbraio, contrariamente alle rodomontate, il governo greco ha finito per accettare le condizioni della trojka. Dura lezione per i populisti, sia d’estrema destra sia d’estrema sinistra (Eric Le Boucher, Slate.fr, 21 febbraio 2015).)


Perché è falso?
Il nuovo governo greco rifiuta le nuove riforme proposte dalla trojka alla fine del 2014: 160.000 ulteriori licenziamenti nell’amministrazione (Sanità, Istruzione), nuova riduzione del 10% delle pensioni, nuove tasse, nuovo aumento dell’Iva.
Sono ricette già applicate e che hanno condotto la Grecia al disastro. In meno di un quinquennio, ha chiuso il 30% delle imprese, sono stati soppressi 150.000 posti di lavoro nel settore pubblico, la disoccupazione è aumentata del 42%, le pensioni si sono ridotte del 45%, la mortalità infantile è cresciuta del 40%, è cresciuto di circa il 100% il numero delle persone al di sotto della soglia di povertà.
Viceversa, il programma di Syriza proponeva: 

1) la rinegoziazione dei contratti di prestiti e debito; 
2) un piano nazionale di immediata ricostruzione: misure per i più poveri (elettricità e cure mediche gratuite, buoni-pasto.), la reintroduzione del salario minimo di 751 euro e dei contratti collettivi; 
3) la ricostruzione democratica dello Stato: lotta contro l’evasione e la frode fiscali, contro la corruzione, la riassunzione dei dipendenti pubblici licenziati; 
4) un piano di ricostruzione produttiva, blocco delle privatizzazioni, industrializzazione e trasformazione dell’economia con criteri sociali ed ecologici.
Dopo un braccio di ferro con le istituzioni europee, il governo greco ha ottenuto l’abbandono degli obiettivi deliranti degli avanzi primari previsti dal memorandum sottoscritto dal precedente governo. Nuovi sussidi saranno creati per finanziare riscaldamento e alimentazione delle famiglie meno fornite. Si reintrodurranno i contratti collettivi. Frode ed evasione fiscale verranno combattute con forza. I piccoli proprietari indebitati non verranno sfrattati dalla loro residenza principale.
Tuttavia, la Grecia non viene liberata dall’austerità. Le nuove misure andranno finanziate senza aumentare il passivo. Le privatizzazioni rimarranno. La Grecia si impegna a pagare integralmente il debito e a non tornare indietro sulle privatizzazioni. L’aumento del salario minimo e la restaurazione dei negoziati salariali sono rinviati. Sono prevedibili nei prossimi mesi nuove prove di forza.

Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa?
Le istituzioni europee vogliono impedire che l’essenziale del programma di Syriza venga tradotto in pratica. Ora, si tratta di sviluppare in tutt’Europa nuovi movimenti coordinati contro l’austerità, per la giustizia sociale, per impedire che la Trojka e i nostri governi soffochino la Grecia e le alternative sociali e politiche che emergono in Europa. Noi proponiamo soprattutto l’organizzazione da parte dei movimenti europei di una Conferenza internazionale sul debito e contro l’austerità.
L’audit civico dei debiti pubblici in Europa: uno strumento per sconfiggere l’austerità
Il Collettivo per l’audit civico del debito pubblico (Cac) saluta la scelta del popolo greco di respingere in massa le politiche d’austerità alle elezioni del 25 gennaio. Questa vittoria apre una breccia contro l’Europa della finanza, il diktat dei debiti pubblici e dei piani d’austerità. Infiliamoci in questa breccia: un’altra Europa diventa possibile!
Il Cac ha già pubblicato una prima Relazione di audit civico, dimostrando come larga parte del debito pubblico francese possa essere considerato illegittimo. Nel periodo che abbiamo di fronte, il nostro collettivo continuerà a proporre ai cittadini e all’insieme del movimento sociale europeo linee d’analisi giuridiche, economiche, sociali, argomenti e strumenti di mobilitazione contro i creditori che depredano sistematicamente le popolazioni.
Insieme ai nostri partner degli altri paesi europei, a cominciare dalla Grecia, il nostro collettivo intensificherà la sua attività per mettere in discussione la natura illegittima, insostenibile, illegale, od odiosa della maggior parte dei debiti pubblici in Europa.
Sosteniamo la proposta di una Conferenza europea sui debiti pubblici Nel 1953, l’intesa di Londra, annullando oltre il 60% del debito della Germania Ovest, ne ha consentito il rilancio, così come l’annullamento del debito dell’Ecuador nel 2008 o dell’Islanda nel 2011.
Sosteniamo la proposta di realizzare un audit dei debiti pubblici per individuare i responsabili e i beneficiari effettivi di questi debiti e le soluzioni per consentire ai paesi di liberarsi di questa palla al piede.
Sosteniamo anche il diritto della Grecia di disobbedire ai suoi creditori nel caso in cui questi respingessero l’applicazione di queste soluzioni. Ricordiamo che i memoranda imposti dalla trojka sono illegali secondo il diritto europeo e internazionale.
Tutti insieme, solleviamo il velo sulle responsabilità dei creditori che approfittano dei salassi effettuati a spese dei popoli. Tutti insieme, rafforziamo un procedimento civico di contestazione e di rimessa in discussione di questa Europa dell’1%, degli speculatori e dei banchieri. Spetta alle popolazioni, troppo a lungo vittime dei piani d’austerità, della competitività e di altri “memorandum”, decidere del loro futuro. Noi intendiamo mettere a loro disposizione tutti gli strumenti necessari per capire e decidere come uscire dalla morsa del debito, facendo pagare non i normali contribuenti ma i veri beneficiari di questo sistema.


(Parigi, 11 marzo 2015.)
*Collettivo per un audit civico del debito (CAC: www.audit-citoyen.org).
Autori della Guida: Jean-Claude Chailley, Thomas Coutrot, Alexis Cukier, Pascal Franchet, Michel Husson, Pierre Khalfa, Guillaume Pastureau, Henri Sterdyniak, Sofia Tzitzikou.
Traduzione di Titti Pierini
[1] Ivan Best, La Tribune, 5 febbraio 2015.
[2] Piani di salvataggio della Grecia: il 77% dei fondi sono stati destinati alla finanza: https://france.attac.org/nos-idees/mettre-au-pas-la-finance-les/articles/plans-de-sauvetage-de-la-grece-77-des-fonds-sont-alles-la-finance.
[3] Una maggiore giustizia sociale è fonte di efficacia, cosa che dimostra la stessa OCSE: http://tinyurl.com/kqgmq35.
[4] A. Kentikelenis, M.Karanikolos, A. Reeves, M. McKee, DSc, D. Stuckler,”Greece’s health crisis: from austerity to denialism”, The Lancet, 20 febbraio 2014.
[5] D. Stuckler & S. Basu(2014), Quand l’austérité tue, Prefazione degli Économistes atterrés, Ed. Autrement.
Tratto da http://popoffquotidiano.it/2015/03/16/grecia-quello-che-vorrebbero-farti-credere-sul-debito/
Grèce : petit guide contre les bobards médiatiques
Brochures, vendredi 13 mars 2015, par Collectif pour un audit citoyen de la dette publique