giovedì 21 maggio 2015

Il tragico e miope errore che Winston Churchill non avrebbe mai fatto. - Sergio Di Cori Modigliani

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Sir Winston Churchill, un errore così marchiano, miope, ottuso e politicamente volgare, non lo avrebbe mai commesso. Mi riferisco a ciò che si è verificato il 9 maggio del 2015. Un evento geo-politico di fondamentale importanza strategica, che in Italia non ha suscitato alcun interesse ma che in Usa, Australia, Gran Bretagna, Argentina, Brasile, Cina, da quel giorno sta alimentando discussioni, forum, scambi di opinioni.
Vediamo di che cosa si tratta.
All’alba del 9 Maggio 1945, l’alto comando militare dell’esercito tedesco del Terzo Reich, firmava davanti ai plenipotenziari di Usa, Gran Bretagna e Urss, la propria resa incondizionata. Si concludeva così la più grande carneficina degli ultimi duemila anni, soltanto in Europa circa 45 milioni di morti (45.000.000 di persone scomparse) circa il 2% dell’intera popolazione planetaria di allora, corrispondente a circa 150 milioni di oggi. La resa venne firmata alle 7 del mattino. Alle 9, due ore dopo, veniva firmato un decreto surreale e folle, prova lampante della totale pazzia umana del concetto di guerra: americani, inglesi, russi e tedeschi furono d’accordo nel ricostituire e riconoscere da subito l’omicidio come reato, chiunque fosse la vittima, chiunque fosse l’omicida. Come dire, se alle 5 del mattino del 9 Maggio prendevate a randellate sulla testa (uccidendolo) il vicino di casa perché vi stava antipatico, ve la cavavate con una scusa qualunque, ma se lo facevate sei ore dopo venivate arrestati e condannati a morte. L’omicidio, infatti, veniva punito, in quel momento, in tutta l’Europa dell’est, in Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca, con la pena capitale. Basterebbe questo fatto per comprendere che cosa abbia rappresentato per l’immaginario collettivo il ventennio del nazifascismo: Adolf Hitler e Benito Mussolini sdoganarono l’omicidio, nascondendo l’assassinio e l’eliminazione fisica degli oppositori sotto la veste dell’ideologia. E’, quindi, incomprensibile come, ancora oggi, in Europa -e il numero sta aumentando in maniera allarmante anche in Italia- dei giovani e giovanissimi possano aderire a una interpretazione del mondo e della società che non contempla l’omicidio politico come reato.
Il 9 Maggio, per tutta l’Europa, è la giornata simbolo del ritorno alla pratica del Diritto Civile.
Quest’anno si celebravano i 70 anni da quei lontani e sanguinosi eventi.
Vladimir Putin, per l’occasione, aveva stabilito di organizzare una parata militare sulla Piazza Rossa, invitando tutti i più importanti leader politici del pianeta, con una zona vip destinata esclusivamente a russi, americani e britannici, i tre alleati vincitori di allora. 
Circa un mese prima, pare che Hollande avesse telefonato a Cameron per proporgli di fare il viaggio insieme e chiedere se aveva deciso di andarci anche la regina Elisabetta. Così aveva saputo che nessun inglese sarebbe andato a Mosca. Neppure la Merkel, neanche la regina d’Olanda, il re del Belgio, il re di Spagna. Naturalmente neppure gli americani. C’è stata (così ci informano i media statunitensi in genere molto ben informati) una lunga discussione tra francesi e inglesi, e alla fine Hollande si è arreso, non ci è andato neppure lui. Ma, da uomo di compromesso quale è, ha proposto una scelta che consentisse un minimo di decoro: ha mandato il suo ministro degli esteri accompagnato dal ministro degli esteri italiano, Gentiloni, i quali, sono stati fatti sedere da Putin (giustamente) in quarta fila. In prima fila i capi di stato, cinesi, indiani, pakistani, argentini, brasiliani, cileni, e un’altra cinquantina. Putin è riuscito addirittura a mettere insieme -seduti accanto- palestinesi e israeliani entrambi presenti; in seconda fila i generali e gli ufficiali dell’epoca ancora vivi e/o i loro figli; in terza fila i giovani ufficiali di oggi e in fondo, un po’ di lato, i francesi e gli italiani. Da soli, come hanno scelto di stare. Accanto a loro non era seduto nessuno.
Flavia Mogherini, che era stata invitata formalmente a partecipare a nome dell’Europa, ha declinato l’invito con un secco no grazie, senza ritenere opportuno indire una conferenza stampa, poiché dato il suo ruolo, può prendere anche iniziative, parlare, manifestarsi.
E così, la parata del 9 Maggio 2015 a Mosca, che celebrava la fine della seconda guerra mondiale, paradossalmente, per scelta degli europei occidentali, è diventata il macabro aperitivo che preannuncia quella che potrebbe essere la terza guerra mondiale.
Un gravissimo errore di miopia strategica e di ottusità da trogloditi della politica.
Churchill non l’avrebbe mai fatto, a costo di andarci da solo in visita privata, rassicurato dal fatto che sarebbe comunque finito in prima fila. Ma Churchill conosceva l’Europa e sapeva far politica. Non a caso è stato l’autore del primo gigantesco scandalo mediatico televisivo internazionale, nella primavera del 1952.
Ecco cosa accadde allora, in occasione delle celebrazioni per il settimo anniversario della fine della guerra: un giornalista americano che, da autentico pioniere, era passato dalla carta stampata alla televisione, sostenendo che fosse un medium che avrebbe avuto un futuro, un certo Walter Cronkite, aveva convinto i dirigenti della NBC a produrre un ciclo di interviste con personaggi famosi della Storia, proprio quell’anno. La prima era stata Eleanor Roosevelt, la seconda Charles De Gaulle, la terza Pablo Picasso, la quarta era dedicata a Winston Churchill, co-prodotta insieme alla BBC. La trasmissione durava circa un’ora e mezza. Nel corso dell’intervista, a un certo punto il giornalista chiedeva a Churchill la sua opinione sui comunisti, su Stalin e sui sovietici. E la risposta di Churchill fu: considero Josif Stalin davvero un tipo simpatico, direi un vero e proprio amico. –  Il giornalista, piuttosto colpito, non si lasciò fuggire la preda e lo incalzò, chiedendogli di elaborare il concetto.  E Churchill spiegò: io sono inglese. Sono un liberale conservatore. Ho servito per tutta la vita la Corona cercando di svolgere il mio servizio pubblico per il bene comune della collettività, quindi, come inglese conservatore non posso che dire Stalin è mio amico, ed è amico degli inglesi. Ben altra cosa è il comunismo che considero una vera e propria truffa, una illusione che un gruppo di burocrati, che fanno affari con i nostri banchieri, alimenta per manipolare della povera gente che ha bisogno di credere in qualcosa. Un giorno si sveglieranno e capiranno. Sono quindi furiosamente anti-comunista. Ma difendo la mia amicizia con Stalin. Perchè sono inglese e fedele alla Union Jack. Tra il giugno del 1941 e l’aprile del 1945 la grande madre Russia ha perso 27 milioni di persone per fermare Hitler. E ci sono riusciti. Se non fosse stato per l’Armata Rossa, adesso a Buckingham Palace ci sarebbe Joseph Goebbels. Io sarei stato impiccato e Sua Maestà sarebbe in esilio, magari in Australia. Quei 27 milioni di morti hanno salvato la libertà della Gran Bretagna, e come inglese non lo dimenticherò mai. A parte la truffa del comunismo, a me i russi stanno anche simpatici. Sono i crucchi che non sopporto. Loro, sono sempre stati il problema dell’Europa. Ne riparliamo tra cinquant’anni quando avranno rialzato la testa: i gravi problemi per le future generazioni verranno da Berlino e non da Mosca, glielo dice uno che li conosce tutti come le proprie tasche.
Non appena finita l’intervista, Walter Cronkite era entusiasta del risultato. Ma non durò molto. Il mattino dopo, molto presto (si era allora in campagna elettorale) il comandante in capo dell’esercito americano, generale Dwight Eisenhower, telefona al presidente Harry Truman e gli racconta il succo dell’intervista. Il leader americano rimane indifferente. Il generale, che era ossessionato dall’idea di andare a bombardare Mosca, gli dice: dovrebbe telefonare al Re d’Inghilterra e far bloccare quell’intervista.  E Truman gli rispose: è’ un po’ tardi, poveretto. Il re è morto sei mesi fa d’infarto, non lo sapeva? Adesso c’è una regina, una giovane di 25 anni.  E Eisenhower di rimando: ebbene, chiami questa ragazzina e le ordini di non  mandare in onda il video.  Truman tentò di placare l’ira del generale, ma la telefonata si concluse male. Fu il presidente a chiuderla: generale –  gli disse – a lei sembra realistico il fatto che io telefono alla Regina d’Inghilterra per ordinarle di non mandare in onda una intervista al più importante eroe nazionale del suo regno ancora in vita? Non mi scocci con le sue paturnie, se vuole la chiami lei. – L’aspetto più esilarante fu che Eisenhower la chiamò. La giovanissima Elisabetta ascoltò e poi gli rispose: non ho la minima idea di che cosa lei stia parlando, dato che non ho la televisione e non la guardo. Lei è un ottuso maleducato. Qualunque cosa abbia detto sir Winston Churchill, per principio, mi trova d’accordo. Io sono la regina d’Inghilterra. Non si permetta mai più di telefonarmi e importunarmi con i suoi ridicoli isterismi. E gli sbattè giù il telefono.
L’intervista andò in onda a Londra, a Parigi, a Mosca, in tutta l’Europa dell’est. Venne trasmessa anche in Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia e Norvegia. In Germania e in Italia no.
Da allora sono passati 70 anni.
Siamo ancora a quel punto.
A quel livello di stupidità militarista.
Chi mi conosce e mi segue sa che non sono affatto un sostenitore di Putin, ma non è questo il punto. E’ ben altro.
L’aspetto tragico, da cui l’esigenza di scrivere questo post, sta nel fatto di aver certificato la totale latitanza dei media europei riguardo questa informazione.
Tempi duri, non c’è che dire.
E poi la gente crede che ai tempi odierni si sa tutto di tutto.
Si sa soltanto ciò che vogliono che si sappia.
Il punto è questo.
E soltanto questo.
Winston Churchill, il 9 Maggio 2015, a Mosca, eccome se ci sarebbe andato! 
P.S. L’intervista si concludeva con un gustoso episodio di umorismo inglese. Il giornalista, commentando il fatto che negli ultimi sei mesi Churchill era andato a cinque funerali di suoi amici, gli chiese quale fosse il segreto della sua longevità. L’inglese si versò un’abbondante dose di whisky nel bicchiere e lo tracannò. Poi tirò due boccate di sigaro dal suo avana e disse: “No sport!”

mercoledì 20 maggio 2015

Vaccino anticancro, “con microparticelle silicio risultati positivi sui topi”. - Davide Patitucci

Vaccino anticancro, “con microparticelle silicio risultati positivi sui topi”

Il team sino-americano ha dimostrato che, introducendo l’antigene tumorale “HER2” all’interno dei microcanali delle particelle di silicio, è possibile potenziare la risposta del sistema immunitario. “Con questa nuova strategia - afferma Haifa Shen, che coordina il team di ricerca - dopo una sola dose di vaccino anticancro, siamo riusciti a inibire completamente la crescita tumorale nei topolini di laboratorio.

L’efficacia di un vaccino contro il cancro può essere sensibilmente aumentata grazie all’uso di microparticelle di silicio. Lo dimostra uno studio, pubblicato su Cell Reports, frutto della collaborazione tra un team di ricercatori Usa dello Houston Methodist research institute e del Weill Cornell medical college di New York, e scienziati cinesi della Huazhong University of science and technology.
Il team sino-americano ha dimostrato che, introducendo l’antigene tumorale “HER2” all’interno dei microcanali delle particelle di silicio, è possibile potenziare la risposta del sistema immunitario. Le difese dell’organismo sono, infatti, stimolate a riconoscere, e distruggere selettivamente, le cellule cancerose che producono lo stesso tipo di antigene. “Abbiamo dimostrato per la prima volta, non solo che le microparticelle possono essere utilizzate come vettori antitumorali – afferma Haifa Shen, che coordina il team di ricerca -, ma che sono anche in grado di stimolare la produzione di interferone. Inoltre – aggiunge lo scienziato – queste microparticelle possono trasferirsi da una cellula all’altra, garantendo così una risposta immunitaria duratura da parte dell’organismo aggredito dal tumore”.
L’utilizzo dei vaccini nel contrasto al cancro sta diventando sempre più diffuso negli ultimi anni, ad esempio contro melanoma,cancro alla prostata e ai polmoni. Secondo la Food and drug administration (Fda), l’ente americano per la regolamentazione dei farmaci, sono attualmente una dozzina, solo negli Usa, i trial clinici in corso di valutazione basati su vaccini anticancro. Lo studio appena descritto su Cell Reports, in particolare, è incentrato su un recettore ormonale, HER2, sintetizzato in quantità superiore al normale nel 15-30% dei casi di carcinoma alla mammella. Non è la prima volta che questo antigene antitumorale viene utilizzato come cavallo di troia contro il cancro, ma finora i tentativi di amplificare la risposta immunitaria si sono rivelati poco efficaci.
“Con questa nuova strategia – afferma Shen – dopo una sola dose di vaccino anticancro, siamo riusciti a inibire completamente la crescita tumorale nei topolini di laboratorio. Si tratta – sottolinea lo studioso – del più sorprendente risultato che abbiamo mai visto in uno studio su un trattamento anticancro”. Il prossimo passo dei ricercatori Usa sarà utilizzare le microparticelle con diversi tipi di antigeni. “Questa tecnologia – conclude Shen – potrà essere adoperata da altri scienziati per sviluppare vaccini  per il trattamento contemporaneo di varie forme di cancro”.

Game of Thrones: il cast canta con i Coldplay.



La star del Trono di Spade Peter "Tyrion" Dinklage è anche il protagonista del musical-teaser per il "Red Nose Day" insieme ai Coldplay.
Potete trovare il filmato qui a fianco!

I Coldplay sono dei grandi fan di Game of Thrones, ricordate la partecipazione di Will Champion nella puntata delle “Nozze Rosse”? 
l trailer  è stato pubblicato sul canale ufficiale dei Coldplay, per ora, solo con l’esibizione di Tyrion Lannister attendiamo il 21 maggio per vedere l'integrale durante la giornata  del "Red Nose Day".

Il Red Nose Day è una giornata nazionale di beneficenza a sostegno per i diritti dell'infanzia organizzata dall'associazione Comic Relief.
Cosa ne dite?

Renzi e l’amnesia sulla legge Fornero. - Luisella Costamagna





Suona paradossale la critica in bocca di chi l’ha votata: noi facevamo altri mestieri, io tappavo le buche a Firenze. È il colmo che ora dicano che bisogna restituire tutto, è ridicolo. Noi siamo qui a correggere errori di altri”. Così il premier Renzi dopo l’ok in cdm al decreto legge sulle pensioni, per la bocciatura da parte della Consulta del blocco dell’indicizzazione voluta dall’ex ministro Elsa Fornero.
Errori di altri?”. Siamo già un paese senza memoria e anche Renzi dà il suo personale contributo alla rimozione del ricordo (pratica peraltro condivisa con buona parte della politica nostrana). Ci tocca rivitalizzare le funzioni mnemoniche.
A proposito degli “errori” della legge Fornero sulle pensioni è bene ricordare quanto diceva lo stesso Renzi che, nel 2012 e 2013, oltre a “tappare le buche” da sindaco di Firenze (sognando la segreteria del Pd e Palazzo Chigi), tappava anche la bocca a chi criticava la riforma con queste parole: La riforma Fornero è giusta, a parte gli esodati(ansa 28 novembre 2012); La riforma delle pensioni della Fornero è seria, quella del lavoro timida e inefficace. Bene sulle pensioni, maluccio sul lavoro (ansa 29 novembre 2012); La riforma Fornero andava bene, perderò qualche voto (primarie 2013, ndr) ma lo dico. La riforma non era sbagliata ma va trovata una soluzione per gli esodati (ansa 29 ottobre 2013). Insomma: altro che errori, Renzi promuoveva a pieni voti la legge, e la rimandava solo per gli esodati.
Quanto agli “altri” che avrebbero sbagliato ad approvarla, stupisce che Renzi non ricordi che a votare la riforma Fornero fu, se non lui direttamente, visto che non era (e non è mai stato) in Parlamento, certamente il suo partito, il Pd, sostenitore convinto del governo Monti.
O meglio, non stupisce affatto. Non che Renzi non ricordi – perché il ragazzo è giovane e fresco e in realtà ha una memoria prodigiosa – ma che faccia di tutto perché non lo ricordino gli italiani.

LUISELLA COSTAMAGNA SUL “FATTO” INCALZA LA MORETTI SULLA FONDAZIONE "KAIROS". - Luisella Costamagna



Cara Alessandra Moretti, le campagne elettorali costano, ma lei sembra avere un rapporto singolare col vil denaro. I suoi sostenitori alle Europee le avevano dato qualche grattacapo – dai mille euro di Matteo Marzotto, sotto processo per un’evasione da 70 milioni di euro, all’endorsement del cognato (non indagato) di Enrico Maltauro, 2 anni e 10 mesi patteggiati per Expo –; così per le Regionali ha detto basta: “Chi è indagato, sotto processo o condannato, è preferibile non faccia donazioni”, parola del suo ufficio stampa. Ottimo.

Ma a un curioso potrebbe non bastare. Potrebbe andare a vedere come raccoglie fondi nel suo sito. Dico subito che il primo punto del suo programma è proprio “Costi della politica e trasparenza”, e sono pubblicati i nomi dei donatori privati e di 6 aziende, tra cui 2 imprese edili (una le ha versato ben 80mila euro). Ri-ottimo e nulla di strano. Almeno al primo sguardo. E al secondo?

Al fondo della pagina dei donatori si legge: “La raccolta fondi e le spese per la campagna elettorale di Alessandra Moretti fino al 27 marzo 2015 sono state sostenute dalla Fondazione Kairos”. Una fondazione? Perchè una fondazione? L’affare si complica: non solo perché, se uno prova a farle una donazione, risulta ancora che il versamento è alla Kairos (e siamo ben oltre il 27 marzo); ma soprattutto per le caratteristiche della fondazione. Perché il curioso di cui sopra potrebbe spulciare anche quel sito: nella home della Kairos, oltre a una frase di Gandhi, campeggiano 3 link: “Chi siamo”, “Trasparenza” (ancora) e “Donazioni”, e gli intenti, che va da sé parlano di “un progetto di rinascita per il Paese”.

Nessun riferimento a lei. E né l’atto costitutivo (del 27 gennaio 2015, a due mesi dalle primarie), né lo statuto (che parla, tra molte altre cose, di “promuovere, supportare e conoscere la realtà economica italiana attraverso elaborazioni di ricerche, analisi, studi e proposte”, “promuovere, nella cultura politica e nell’attività politica italiana, un ricambio generazionale e novità di idee”... ed è paro paro a quello della Fondazione Open di Renzi; tutti i renziani hanno una fondazione con lo stesso statuto?), né la causale per le donazioni (un neutro “erogazione liberale”), né una banale fotina, permettono di capire che la fondazione è riconducibile a lei, che quel “progetto di rinascita” è incarnato dalla Moretti del Pd.

L’unico riferimento diretto si trova nelle fatture delle spese – ma solo in alcune, e chi le va a leggere? – che per “trasparenza” sono pubblicate, e in cui si legge, ad esempio, “ufficio comitato elettorale Alessandra Moretti” o “affissione poster per candidato on. Moretti”. Per il resto nulla.

O meglio, il solito curioso può verificare che l’elenco dei donatori della fondazione ricalca esattamente il suo, oppure che il Presidente della Kairos è Roberto Ditri (uno dei Paperoni del Veneto, ex presidente della Fiera di Vicenza prima di Marzotto – rieccoci –, ex ad della Marelli, componente del consiglio direttivo di Federmeccanica e pure cacciatore, chissà che ne pensano i suoi sostenitori animalisti), consigliere è suo fratello (e spin doctor) Carlo, e a dar vita alla fondazione è anche Franco Frigo (ex DC, ex Presidente del Veneto, ora europarlamentare PD).

Insomma, per trovare qualche riferimento a lei e al suo partito, bisogna davvero essere ostinati. Sia chiaro: tutto questo è legale. Ma qualche dubbio sulla tanto sbandierata “trasparenza” lo fa venire. Il commissario anticorruzione Cantone ha detto: “Le fondazioni ottengono, spesso attraverso altre mediazioni, i quattrini che sono il vero motore delle campagne elettorali. Possono intascare centinaia di migliaia di euro senza darne conto. Oggi sono fuori da ogni possibilità di controllo”.

E godono anche di agevolazioni fiscali. Sarà anche per questo che ormai quasi ogni politico ha la sua bella fondazione. Però, cara Moretti, se uno cerca “Italianieuropei” di D’Alema trova che il presidente è lui, e lo stesso vale per “Costruiamo il Futuro” di Lupi, e pure “Open” di Renzi apre il sito con la sua foto e ha la Boschi segretario generale. Quanto ai suoi avversari in Veneto, Zaia non ha fondazioni e non accetta contributi da privati; mentre la fondazione di Tosi “Ricostruiamo il paese” scrive a chiare lettere in home: “Il nostro principale obiettivo è far conoscere il Progetto politico di Flavio Tosi”, ed è dichiarato che le donazioni vanno a lui. Con la Kairos no.

Cara Moretti, non voglio pensare male, e che ad esempio questa fondazione sia nata per ragioni fiscali e solo per la sua campagna elettorale ed evaporerà subito dopo. Le chiedo però di essere trasparente prima del voto: la Kairos fa capo a lei? Se è così – come sembra – perché non lo esplicita nel sito, in modo che chi ci incappa e vuole fare una donazione sappia chiaramente che finanzierà lei e non una generica fondazione politica?

Infine, se non è nata apposta per le regionali, e vuole essere davvero un think- tank di elaborazione politica, ricerche, convegni…come mai finora sembra essersi occupata solo di raccolta fondi e di spese per lei? Magari può chiederlo a suo fratello.

Un cordiale saluto.

L'intervista ad Alessandro Di Battista.



L'intervista ad Alessandro Di Battista su pensioni, corruzione e Scuola.

martedì 19 maggio 2015

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato. Stefano Iannaccone e Lea Vendramel

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato

C'è chi ha preferito non costituirsi parte civile. C'è chi parla di danni subiti. E Chi tira in ballo la Cia. Da Caselli a Giulietto Chiesa, da Di Pietro a Furio Colombo, da Salvi a Veltri, grande malcontento per la decisione del governo Renzi.

C’è chi parla di danni subiti, come l’ex procuratore Antonio Ingroia che denuncia «una massiccia campagna di discredito nei suoi confronti». C’è chi ha preferito non costituirsi parte civile  al processo perché convinto che «la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo», come l’altro magistrato Gian Carlo Caselli. C’è ancora chi, come il giornalista e scrittore, Giulietto Chiesa, vede la mano dei servizi segreti americani. E ancora chi, come Andrea Cinquegrani, direttore della”Voce della Campania”, denuncia una serie di gravi ripercussioni sulla propria attività professionale. Tutti però concordano su un punto: «E’ assurdo mettere il segreto di Stato sulla vicenda»Ilfattoquotidiano.it ha contattato alcuni dei magistrati, politici e giornalisti finiti nel mirino della struttura organizzata a Roma, in via Nazionale 230, tra il 2001 e il 2006, dall’ex capo del Sismi Niccolò Pollari e dall’agente Pio Pompa.Personaggi oggetto di “attenzioni” e dossieraggio perché più o meno considerati avversari dell’allora premier Silvio Berlusconi. Una vicenda su cui pesa come un macigno la posizione assunta dai governi che si sono succeduti in questi anni, accomunati dalla scelta di apporre il segreto di Stato. Dal governo Prodi a quello attuale di Matteo Renzi, che lo ha riproposto manifestando l’intenzione di sollevare nuovamente di fronte alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzione, come ha scritto il direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza di Palazzo Chigi, Giampiero Massolo, allo stesso Pollari chiamato a deporre sull’affaire dai magistrati di Perugia. Ebbene, cosa dicono i dossierati su quello che sta succedendo? Come giudicano la riproposizione del segreto di Stato? Come hanno vissuto l’intrusione nella loro vita professionale e privata? Che danni ne hanno ricevuto?
MARIO ALMERIGHI, ex magistrato: «Credo che l’ampiezza del segreto di Stato sia inversamente proporzionale ai livelli di democrazia di un Paese. Quando venni a conoscenza della vicenda, tenuto conto dei processi che in quel periodo stavo trattando e di quelli che avevo trattato in passato, la cosa non mi sorprese affatto. Mi sorprese l’esiguo numero dei magistrati romani inseriti nell’elenco. L’unica cosa che mi preoccupò alquanto fu che nel documento di Pompa si diceva anche che nei confronti delle persone “attenzionate” potevano essere poste in essere anche “azioni violente”. La mia preoccupazione aumentò quando, in seguito al mio trasferimento a Civitavecchia come presidente di quel tribunale, mi venne tolta la scorta. Ma, visto che oggi posso tranquillamente rispondere a queste domande, devo dedurre che quella decisione fu giusta».
GIANCARLO CASELLI, ex magistrato: «Io non riesco a capire che razza di segreto di Stato possa esserci quando si tratta di un’attività di spionaggio nei confronti di servitori dello Stato che facevano soltanto il loro mestiere e il loro dovere, a volte, come nel mio caso e di tanti altri magistrati “spiati”, anche rischiando la pelle. Il segreto di Stato su questi argomenti è un ossimoro. Premesso che non discuto le decisioni diverse dalla mia, di non costituirmi parte civile, credo che la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo. Secondo me, infatti, era ed è una grave questione di carattere pubblico-istituzionale, quindi ho ritenuto opportuno lasciare soltanto alle sedi istituzionalmente competenti il compito di affrontare questo problema che riguarda soprattutto il funzionamento di strutture pubbliche».
GIULIETTO CHIESA, giornalista e politico: «Il segreto di Stato è giustificabile quando riguarda gli interessi nazionali dell’Italia. Ma non è questo il caso. Ci sono dei sacrari che sono al di fuori di ogni controllo democratico e legale. Questi sacrari riguardano il comportamento dei servizi segreti italiani, che sono una dépendance dei servizi segreti americani. Il potere di interdizione degli Stati Uniti è più forte di qualsiasi legge italiana».
ANDREA CINQUEGRANI, giornalista: «Il segreto di Stato si pone quando ci sono delle emergenze nazionali e internazionali. Invocarlo per un’attività di dossieraggio che cosa ha a che vedere con la sicurezza nazionale? Questa follia si è perpetuata in modo bipartisan in tutti i governi. Tra l’altro il governo Renzi ha parlato di desecretare tutti i documenti e di trasparenza, allora perché inciampare su questa vicenda? Siamo stati spiati dal 2001 al 2006. In quegli anni ero già direttore de “La Voce della Campania”, facevamo un giornale autofinanziato, è plausibile pensare che essere stati attenzionati in quel modo dai servizi segreti, essere stati definiti una sorta di “al Qaeda dell’informazione”, una cupola di controinformazione anti-Berlusconi, possa aver delegittimato la nostra testata, creando effetti negativi sugli introiti pubblicitari, ledendo la nostra immagine e provocandoci danni morali ed esistenziali».
FURIO COLOMBO, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su questa vicenda è una decisione grave e sbagliata. I fatti risalgono a quando ero direttore de “l’Unità”. Anche se in quel momento non potevano esserci per me delle ripercussioni professionali, un dossieraggio di questo genere determina comunque un alone infido intorno a una persona. Non ho avuto modo di verificare se ci sono stati degli effetti negativi, perché non cercavo lavoro, non avevo bisogno di referenze e dopo quel dossieraggio sono stato eletto anche senatore. Ipotizzo comunque di aver subito un danno anche grave. Ognuno di noi può dire quante porte gli si sono aperte nella vita, ma nessuno può sapere quante siano quelle rimaste chiuse».
ANTONIO DI PIETRO, politico: «Roba da pazzi, questo non è segreto di Stato. Ho il cuore pieno di amarezza».
ANTONIO INGROIA, ex magistrato: «È grave che oggi lo Stato preferisca ancora la copertura, appellandosi al segreto di Stato e parlando di possibile conflitto di attribuzioni. Mentirei se dicessi che sono sorpreso. L’Italia, infatti, è un Paese in cui non c’è alcuna voglia di scoperchiare certe pentole. Fa poi riflettere che questo comportamento sia tenuto da una figura come Matteo Renzi che si presenta come il nuovo e il rottamatore.  Io sono stato spiato durante la mia attività di pubblico ministero. È una vicenda per la quale sono indignato come persona e amareggiato come uomo dello Stato. Mi ha creato più danni di quanto sembri, visto che c’è stata una campagna massiccia di discredito nei miei confronti».
LIBERO MANCUSO, ex magistrato: «Trovo assurdo che il premier Renzi, dopo essersi impegnato a togliere il segreto di Stato da tutti gli atti secretati, non sembra intenzionato a farlo per questa vicenda paradossale, intimidatoria e molto oscura che vede coinvolti un organo di controspionaggio e una serie di magistrati che non hanno fatto altro che il loro dovere. Io ho avuto circa dieci inchieste disciplinari, da cui comunque sono sempre uscito indenne».
PAOLO MANCUSO, magistrato: «Il permanere del segreto di Stato è disarmante, una situazione che non riesco a comprendere. Mi sono sentito molto turbato da questa vicenda che non è rimasta isolata. Ho presentato, infatti, denunce per questa situazione e per altre avvenute successivamente sempre ad opera, secondo me, di personaggi appartenenti all’area dei servizi segreti, da cui sono stato attenzionato e monitorato».
CESARE SALVI, politico: «È strano e inquietante che su questa vicenda ci sia il segreto di Stato. Non si capisce il motivo, è evidente che c’è qualcosa che non sappiamo. Quando sono venuto a sapere di essere tra le persone oggetto di queste attività, mi sono molto infastidito. Anche se non ho niente da nascondere, ho sentito lesi molti miei diritti».
ELIO VELTRI, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su una vicenda che ha coinvolto persone spiate solo per le loro idee politiche è inspiegabile e inaccettabile. Un fatto di una gravità inaudita, come gravissima è la minaccia di sollevare il conflitto di attribuzioni».
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/18/sismi-parlano-dossierati-da-pompa-e-pollari-tutti-contro-il-segreto-di-stato/1693371/