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venerdì 26 giugno 2015

Pensioni, al via i rimborsi ad agosto: 796 euro lordi in più a chi ne prende 1.500.

Pensioni, al via i rimborsi ad agosto: 796 euro lordi in più a chi ne prende 1.500

Dal primo agosto prossimo l’Inps pagherà a titolo di arretrati la rivalutazione delle pensioni sancita dalla sentenza della Consulta e recepita dal decreto legge del governo: dal 2016 arriverà un aumento mensile di 41 euro lordi e con tassazone ordinaria. Rimborsi anche per gli eredi.

Quasi 800 euro lordi di rimborso una tantum ad agosto (per il periodo gennaio 2012- agosto 2015) per un pensionato che percepisce un assegno da 1.500 euro (sempre lordi), poi il trattamento mensile salirà a 1.525 euro circa per arrivare a 1.541 euro dal 2016. Questo il contenuto della circolare Inps che, confermando le simulazioni pubblicate nelle scorse settimane, fornisce le istruzioni applicative del “bonus Poletti”, cosi come ha definito Matteo Renzi l’articolo 1 del decreto 65 con cui il governo ha messo una toppa dopo la sentenza della Consulta che ha definito incostituzionale il blocco dell’indicizzazione per gli assegni superiori a tre volte il minimo voluta dal tandem Monti-Fornero.
Il rimborso, aveva già avuto modo di spiegare già il presidente dell’Inps Tito Boeri, è automatico e i 3,7 milioni di pensionati coinvolti se lo vedranno quindi aggiungere all’assegno previdenziale di agosto, senza bisogno di fare domanda. Ma ora l’Istituto di previdenza descrive in dettaglio anche la misura della rivalutazione automatica per gli anni 2012, 2013 e 2014 e che interessa solo le pensioni da 3 volte il minimo fino a 6 volte. Meglio, però, non sottovalutare che il calcolo dei rimborsi è sempre al lordo. Così le somme restituite negli anni 2012-14 saranno assoggettate a tassazione separata e, quindi, più favorevole perché calcolate sulla base dell’aliquota media senza applicare le addizionali locali. Ma, invece, le somme maturate dal 2015 saranno assoggettate a tassazione ordinaria. In questo caso, ipotizzando un’aliquota media del 27%, per ogni 10mila euro erogati, 2mila e 7oo euro andranno in imposte.
Come funziona il rimborso
Per il 2012 e 2013 i pensionati percepiranno un reintegro del 100% per tutti i trattamenti di importo complessivo fino a tre volte il minimo. Percentuale che scende al 40% per gli assegni superiori a 3 volte il minimo e fino a 4 volte, al 20% per quelli tra 4 e 5 volte il minimo, per poi toccare quota 10% per quelli tra 5 e 6 volte il minimo.
Per il 2014 e il 2015, invece, la rivalutazione sarà riconosciuta a partire dalle pensioni superiori a 3 volte il minimo e fino a 6 volte e sarà pari al 20% della percentuale assegnata per ogni fascia di reddito per gli anni 2012-2013.
pensioni 1Esempio
Le pensioni superiori a 3 volte il minimo e pari o inferiori a 4 volte il minimo (cioè la classe più popolosa degli aventi diritto a rimborso) percepiranno dal primo agosto una rivalutazione complessiva una tantum di 796,27 euro calcolando gli arretrati 2012-2015. In particolare saranno restituiti 210,6 euro per il 2012 e 447,2 per il 2013. Per il 2014 e 2015, invece, la restituzione sarà pari rispettivamente a 89,96 euro e 48,51 euro.
Il meccanismo di calcolo dell’Inps
Riservato agli amanti dei calcoli complessi, si basa tutto sull’incremento del primo biennio che costituisce la base di calcolo per gli anni successivi e viene riconosciuto in misura pari: al 20% dell’aumento ottenuto nel biennio 2012-2013 per gli anni 2014 e 2015; al 50% dell’aumento ottenuto nel biennio 2012-2013, relativamente al 2016.
Quindi, numero alla mano, alle pensioni il cui importo è superiore a tre volte il trattamento minimo verrà attribuita la percentuale di perequazione prevista per il 2012 (pari al 2,7%) nella seguente misura: il 20% del 40% fino a quattro volte il minimo (1.500-2.000 euro circa), il 20% del 20% fino a cinque volte (2.000-2.500 euro circa) e il 20% del 10% fino a sei volte (2.500-3.000 euro circa).
Nella stessa misura verrà attribuita alle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo la percentuale di perequazione previsita per il 2013, pari al 3%.
Pertanto, in base a questi nuovi incrementi si determina il valore del rimborso e il nuovo assegno pensionistico a partire dal 2016. In particolare, le percentuali di perequazione per gli anni 2012 e 2013 vengono incrementate con queste modalità: il 50% del 40% fino a quattro volte il minimo, il 50% del 20% fino a cinque volte e il 50% del 10% fino a sei volte.pensioni 2
Rimborso anche agli erediIl rimborso è esteso anche gli eredi che avranno diritto ai rimborsi delle pensioni superiori a tre volte il minimo. L’Inps precisa, infatti, che i pagamenti riguarderanno “anche le pensioni che al momento della lavorazione risulteranno eliminate” e che “il pagamento delle spettanze agli aventi titolo sarà effettuato a domanda nei limiti della prescrizione”. In questo caso, quindi, il rimborso non è automatico ma va presentata una domanda all’Inps prima che scatti la prescrizione.
I conti tornano?
Durante l’audizione parlamentare del 16 giugno, il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, ha spiegato che “la fascia di pensionati con assegni tra le tre e le quattro volte il minimo (tra 1.500 e 2.000 euro) riceverà solo circa i due terzi delle risorse stanziate dal governo”, vale a dire il 12%, confermando che “il totale delle risorse messe a disposizione dal governo – pari a 2,2 miliardi di euro – sono stati attinti in larga parte dal tesoretto contenuto nel Def e dato dalla differenza tra deficit/Pil tendenziale e programmatico”.

mercoledì 20 maggio 2015

Renzi e l’amnesia sulla legge Fornero. - Luisella Costamagna





Suona paradossale la critica in bocca di chi l’ha votata: noi facevamo altri mestieri, io tappavo le buche a Firenze. È il colmo che ora dicano che bisogna restituire tutto, è ridicolo. Noi siamo qui a correggere errori di altri”. Così il premier Renzi dopo l’ok in cdm al decreto legge sulle pensioni, per la bocciatura da parte della Consulta del blocco dell’indicizzazione voluta dall’ex ministro Elsa Fornero.
Errori di altri?”. Siamo già un paese senza memoria e anche Renzi dà il suo personale contributo alla rimozione del ricordo (pratica peraltro condivisa con buona parte della politica nostrana). Ci tocca rivitalizzare le funzioni mnemoniche.
A proposito degli “errori” della legge Fornero sulle pensioni è bene ricordare quanto diceva lo stesso Renzi che, nel 2012 e 2013, oltre a “tappare le buche” da sindaco di Firenze (sognando la segreteria del Pd e Palazzo Chigi), tappava anche la bocca a chi criticava la riforma con queste parole: La riforma Fornero è giusta, a parte gli esodati(ansa 28 novembre 2012); La riforma delle pensioni della Fornero è seria, quella del lavoro timida e inefficace. Bene sulle pensioni, maluccio sul lavoro (ansa 29 novembre 2012); La riforma Fornero andava bene, perderò qualche voto (primarie 2013, ndr) ma lo dico. La riforma non era sbagliata ma va trovata una soluzione per gli esodati (ansa 29 ottobre 2013). Insomma: altro che errori, Renzi promuoveva a pieni voti la legge, e la rimandava solo per gli esodati.
Quanto agli “altri” che avrebbero sbagliato ad approvarla, stupisce che Renzi non ricordi che a votare la riforma Fornero fu, se non lui direttamente, visto che non era (e non è mai stato) in Parlamento, certamente il suo partito, il Pd, sostenitore convinto del governo Monti.
O meglio, non stupisce affatto. Non che Renzi non ricordi – perché il ragazzo è giovane e fresco e in realtà ha una memoria prodigiosa – ma che faccia di tutto perché non lo ricordino gli italiani.

giovedì 17 ottobre 2013

Sicilia, l’Eldorado dei baby pensionati: ricchi grazie a legge dell’era Cuffaro. - Giuseppe Pipitone

Sicilia, l’Eldorado dei baby pensionati: ricchi grazie a legge dell’era Cuffaro


Non c'è traccia di esodati o decreti che aumentano l'età minima pensionabile. Nel 2012 la Regione Sicilia ha sfornato ben 365 nuovi baby pensionati con assegni da quasi 7mila euro. E c'è chi, dopo la pensione, torna a lavorare come esperto o come assessore: tutto a spese dei contribuenti.
L’ultimo in ordine di tempo si chiama Giovanni Tomasello, ha 57 anni e di mestiere faceva il segretario generale dell’Assemblea regionale Siciliana. Da ieri si è unito alla pletora di baby pensionati sfornati ogni anno dalla Regione Sicilia: motivi di famiglia ha spiegato il super dirigente nella lettera al presidente del Parlamento regionale Giovanni Ardizzone.
La storia delle maxi pensioni dei dirigenti dell’Ars non è esattamente una novità. Il prestigio del Parlamento più antico d’Italia non può evidentemente morire dentro le mura di Palazzo dei Normanni, dove il decreto Fornero è rimasto, fino ad oggi, fuori dalla porta. Da queste parti non c’è traccia di esodati, decreti che aumentano l’età minima pensionabile ed altre amenità. C’è invece una leggina piccola piccola, che l’Ars varò nel 2005, quando il governatore era Salvatore Cuffaro. All’epoca, nessuno sospettava che l’allora presidente, poi condannato per mafia, avesse una naturale pulsione per accudire i poveri, e che anni dopo potesse finire presto a scontare la pena affidato ai servizi sociali alla missione Speranza e Carità di Biagio Conte.
Sarà per questo che quella norma minuscola approvata dal parlamento siciliano individuava nell’ultimo stipendio percepito la base pensionabile dei dipendenti della Regione Sicilia. Una bella fortuna per Felice Crosta, che dopo pochi mesi a capo dell’Agenzia per i rifiuti è andato in pensione alla modica cifra di 41 mila euro al mese, ovvero 1400 euro al giorno. Quel mezzo milione di euro di pensione fece il giro d’Italia con il risultato che la Corte dei Conti decise di alleggerire l’assegno annuale di Crosta ad “appena” 219 mila euro. Queste però sono storie di pensioni normali. O meglio, pensioni d’oro, anzi di platino, riconosciute a persone che hanno più o meno raggiunto l’età pensionabile. Perché la Sicilia è anche, e forse soprattutto, terra di pensionati baby, ancora in forma, e in grado di essere attivi su più fronti, mentre percepiscono assegni a sei cifre dalla collettività.
Un esempio? Pier Camillo Russo di mestiere faceva il segretario generale della Regione Siciliana, fino a quando chiese di andare in pensione ad appena 47 anni. Il motivo? Doveva accudire il padre malato. Poco male, perché grazie ad un altro paio di leggine, la 104 del 1992 e la 335 del 1995, i dipendenti pubblici con familiari che versavano in gravi condizioni di salute potevano chiedere e ottenere di andare in quiescenza. Chiaramente addolorato, Russo era diventato pensionato della Regione Sicilia e con un assegno di quasi settemila euro al mese poteva dedicarsi ad accudire il padre. Poco dopo però ci ha ripensato, accettando l’invito dell’ex governatore Raffaele Lombardo ad entrare in giunta come assessore all’Energia: pensionato baby della Regione Sicilia e amministratore della stessa in un colpo solo. Il caso di Russo, però, non è l’unico. Anzi i pensionati baby, all’ombra di Mamma Regione, non si contano più. Solo nel 2012, secondo la Corte dei Conti, i dipendenti andati in pensione ben prima dell’età pensionabile sono ben 365: tutti ben remunerati da un sostanzioso assegno mensile. Perché in Sicilia niente deve mai essere esiguo, nemmeno le pensioni degli ex dipendenti andati a riposo ancora quarantenni.
Un ex direttore generale percepisce ogni mese di pensione 6.420 euro, mentre un dirigente si ferma a quota quattromila. Cifra aumentate esponenzialmente negli ultimi anni, dato che nel 2008 la pensione di un direttore generale si fermava a cinquemila euro al mese, il trenta per cento in meno rispetto ad oggi. Cifre che incidono e non poco sul bilancio regionale: nel 2012 i pensionati della Regione Sicilia erano infatti 16.377 e costavano alle casse isolante 656 milioni di euro all’anno, circa il dieci per cento dei sei miliardi di debiti che – sempre secondo la corte dei conti – gravavano sui bilanci di Palazzo d’Orleans a fine 2012.
Senza contare che il Fondo Pensioni della Regione, che gestisce gli assegni per i pensionati, costa da solo altri 385 mila euro all’anno. Ma non è tutto. Perché Pier Camillo Russo non è l’unico ad aver fatto marcia indietro, volendo continuare a servire la collettività anche dopo la pensione. Cosimo Aiello, per esempio, era andato in pensione a 51 anni per assistere la madre malata. Grazie alla nomina a capo di gabinetto, arrivata provvidenzialmente poco prima della pensione, poteva contare un assegno mensile invidiabile. Il lavoro però è sacro e non è facile separarsene facilmente. Ecco quindi che Aiello, subito dopo la pensione, ha iniziato a collezionare incarichi: consulente del Teatro Bellini di Catania alla modica cifra di 48 mila euro, commissario dell’orchestra sinfonica siciliana, commissario dell’Ersu (l’ente che assegna le borse di studio agli universitari), più la nomina a commissario dell’ente portuale di Catania, poltrona che secondo Il Sole 24 Ore varrebbe ben centomila euro al mese. Tutto questo mentre continuava a percepire la pensione, che gli era stata concessa a causa delle gravi condizioni in cui versava la madre. Un vizio tipico dei baby pensionati della Regione Sicilia: escono dalla porta e rientrano dalla finestra. Tutto a spese dei contribuenti.
La pensione dell’ex gran commis di Palazzo dei Normanni, quindi non ha niente a che vedere con le minime da 500 euro perché così dice la legge siciliana. Lo stesso trattamento sarà riservato al suo successore, Sebastiano Di Bella, subito nominato dallo stesso Ardizzone, che ne avrà evidentemente apprezzato le doti, dato che lo ha già avuto alle sue dipendenze come capo di gabinetto. E se il nuovo segretario generale dell’Ars, essendo già sulla sessantina, ha messo nel mirino la maxi liquidazione, il predecessore di Tomasello, Gianliborio Mazzola, nel 2007 era riuscito a fare perfino di meglio, incassando una buonuscita da un milione e settecento mila euro. Lapidario il commento dell’allora presidente di Palazzo dei Normanni Gianfranco Micciché. “Quando ho firmato la sua liquidazione, mi sono sentito un deficiente ”. E chissà come si saranno sentiti tutti gli altri siciliani, quelli che devono aspettare i 67 anni d’età per per avere poche centinaia di euro al mese.

lunedì 18 marzo 2013

Lavoro: più licenziati e più precari dopo nove mesi di riforma Fornero. Marco Palombi





Inchiesta di ilfattoquotidiano.it sui risultati della legge voluta dal governo Monti. Solo il 5% dei precari è stato stabilizzato, metà ha perso il posto o ha visto peggiorare il proprio trattamento. Crollo delle collaborazioni. Brunetta: "In tre mesi spariti 57 mila posti a progetto". E i contenziosi sull'articolo 18 ingolfano i tribunali. Lo scontro tra norme rigide ed economia in recessione ha portato al fallimento degli obiettivi. Raccontate le vostre storie a ilfattoquotidiano.it.

Dice la riforma Fornero che lo scopo è “l’instaurazione di rapporti  di lavoro più stabili” e quello di ribadire “il rilievo prioritario del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (…) quale forma comune di rapporto di lavoro”. Adesso che sono passati quasi nove mesi dalla sua entrata in vigore si può dire che quell’auspicio è purtroppo destinato a rimanere tale. In realtà le due grandi direttrici di riforma – in attesa dei nuovi ammortizzatori sociali, che dovrebbero entrare a regime nel 2017, se mai lo faranno – hanno già largamente fallito: da un lato infatti la riduzione delle tutele dell’articolo 18 ha dato il via ad una serie di licenziamenti individuali prima impossibili (riuscendo per di più a peggiorare la situazione del contenzioso in tribunale), dall’altro gli irrigidimenti sul’uso dei contratti flessibili ha portato alla perdita di posti di lavoro o a un peggioramento delle condizioni di quelli già esistenti (leggi la scheda: che cosa prevede la riforma Fornero).
D’altronde, come ha detto lo stesso ministro, questa non è una riforma fatta per uscire dalla recessione, per quello “servivano i soldi”, mentre le nuove norme andranno verificate in condizioni normali: rimane però da chiedersi perché introdurre norme che rendono più facili i licenziamenti e più rigide le assunzioni in un momento in cui la priorità dovrebbe essere assicurare un posto a più gente possibile. Ecco, dunque, per capire di che si parla, un riassunto per punti della riforma e dei suoi risultati in questi mesi.
Numeri. Nei primi nove mesi del 2012 – analizzando il sistema delle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro – risultano 640mila rapporti di lavoro interrotti con un licenziamento (tra individuali e collettivi), il che significa un aumento dell’11% sul 2011. Nello stesso periodo le dimissioni sono diminuite dell’8,7% passando da 1,22 milioni a 1,1 milioni. Vediamo come, invece, le assunzioni si sono divise tra i vari contratti disponibili nel terzo trimestre 2012, cioè con la riforma Fornero in vigore: oltre il 67% delle assunzioni è stato formalizzato con contratti a termine (1,65 milioni), solo il 17,5% a tempo indeterminato (430.912) e il 6,4% con contratti di collaborazione (156.845 unità). L’apprendistato ha riguardato appena il 2,5% delle assunzioni. Rispetto ai mesi precedenti si registra un crollo per le collaborazioni (-22,5%) e per gli “altri contratti” flessibili (-24,3%).
Le difficoltà sui nuovi contratti. Spiega l’ex ministro Renato Brunetta: “In 3 mesi, da luglio a settembre 2012, sono andati persi oltre 57 mila lavori “a progetto”, da luglio a dicembre 2012 circa 302mila posti di lavoro. E la situazione, già drammatica, è destinata a peggiorare. La Banca d’Italiaha stimato che nei prossimi mesi si assisterà a un’ulteriore flessione della domanda: il tasso di posti vacanti, già basso, si è ancora ridotto da 0,7 a 0,5% delle posizioni lavorative attive nel terzo trimestre. Mentre un’indagine del sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro mostra chiaramente tutte le difficoltà dei datori di lavoro nell’utilizzo dei nuovi contratti: nei primi tre mesi del 2013 le imprese dell’industria e dei servizi hanno previsto di rinunciare a 80.200 posizioni.
Come se non bastasse il contratto di apprendistato, su cui la riforma Fornero ha puntato come canale privilegiato d’ingresso al lavoro, rimane pressoché inutilizzato: nel terzo trimestre 2013 ne saranno attivati appena 8.800 (il 3,9% dei flussi in ingresso programmati totali nel periodo). Addirittura nel secondo trimestre 2012, prima quindi dell’arrivo della riforma Fornero, se ne attivavano di più: circa10.300”.
Da precari a disoccupati. Solo il 5% dei precari è stato stabilizzato dopo la riforma Fornero e solo un altro 4% è passato ad un contratto flessibile con più tutele, mentre il 27% ha direttamente perso il lavoro e il 22% è scivolato verso un contratto peggiore. E’ il risultato di un sondaggio online dei giovani della Cgil a cui hanno partecipato 500 precari (i risultati, ovviamente, sono puramente indicativi). Spiega Tommaso Dilonardo, avvocato del lavoro, fondatore e presidente di Work in Progress, Centro di ricerche sociali sul lavoro e le nuove forme di occupazione: “Non è stata agevolata in modo elastico l’entrata nel mondo del lavoro dei giovani, anzi: prima i contratti a progetto e simili venivano sì stipulati in modo illegittimo, ma consentivano l’ingresso nel mercato del lavoro. La riforma Fornero, invece, ha irrigidito i parametri e adesso gli imprenditori sono più timorosi nell’adottare questi contratti per la paura della trasformazione del contratto a tempo indeterminato”.
Da stabili a disoccupati. Ancora Dilonardo di Work in Progress: “Stiamo assistendo nelle aule di tribunale, ma anche nelle commissioni territoriali delle Direzioni provinciali del lavoro, a una grande crescita dei licenziamenti tra gli ultracinquantenni. Questo perché alle aziende costano molto di più rispetto ai colleghi giovani e, inoltre, dopo la legge Fornero, non è più previsto il reintegro. Se l’obiettivo del governo era di agevolare l’uscita dal mercato del lavoro, allora ci sono riusciti”.
Da partite Iva a più partite Iva. Rileva la Cgia di Mestre: “E’ stata una vera esplosione: nel 2012 sono state aperte 549.000 partite Iva. Di queste ultime, 211.500 (pari al 38,5% del totale) sono ascrivibili a giovani con meno di 35 anni. Se infatti rispetto al 2011 le aperture totali sono cresciute del 2,2%, tra i giovani l’aumento è stato quasi esponenziale: +8,1%”. I settori maggiormente interessati sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le professioni e le costruzioni, la zona il Mezzogiorno. Spiega il segretario Giuseppe Bortolussi: “L’aumento del numero delle partite Iva in capo ai giovani lascia presagire, nonostante le misure restrittive della riforma del ministro Fornero, che questi nuovi autonomi lavorino prevalentemente per un solo committente”. In sostanza, fissando paletti astratti come i 18mila euro di soglia minima di reddito si finisce per garantire l’uso di “partite Iva false” e per di più senza controlli.
Costo del lavoro. Nonostante il peso del fisco sul lavoro fosse già alto, la riforma Fornero l’ha ulteriormente aumentato. Lo denuncia un documento di febbraio della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro: colpa, per così dire, dell’aumento dei contributi dovuti per l’Aspi, dei nuovi fondi di solidarietà e dell’aumento delle aliquote previdenziali (che, in realtà, si sta scaricando anche sul netto che arriva in tasca ai precari). Conclusione: “Un elenco di criticità che fanno diventare illusoria la crescita dell’occupazione e che confermano la tendenza alla chiusura delle aziende”.
“Tsunami giudiziario”. E’ l’effetto della riforma Fornero sui tribunali del lavoro secondo Agi, associazione che raccoglie oltre 1.500 avvocati giuslavoristi: “Lo diciamo oggi – ha spiegato il presidente Fabio Rusconi – a distanza di qualche mese dall’entrata in vigore: ora si può fare una diagnosi e, a livello interpretativo, l’impatto del rito carente e lacunoso sull’articolo 18 è stato devastante, come uno tsunami”. La questione è molto tecnica, ma il processo del lavoro partorito dalla riforma è straordinariamente cavilloso e si è risolto, per opinione unanime di avvocati e magistrati, in “una moltiplicazione dei processi” e in “un aggravio del carico già esorbitante della giustizia del lavoro”.
Al 31 dicembre, spiega Agi, i ricorsi con il rito Fornero sono stati 610 in tutto, 260 tra gennaio e febbraio, numeri che raddoppiano e addirittura triplicano se si considera che per lamentele diverse dal licenziamento il ricorso va fatto separatamente. E’ tanto vero, ha raccontato Panorama, che al Tribunale di Milano esiste ormai un apposito “ufficio Fornero”.
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martedì 8 gennaio 2013

Lavoro, tasso disoccupazione giovanile a novembre 37,1%. Record dal ’92.


Lavoro, tasso disoccupazione giovanile a novembre 37,1%. Record dal ’92


Secondo l'Istat il tasso di disoccupazione a novembre resta all’11,1%, lo stesso livello di ottobre e quindi ancora ai massimi da gennaio 2004. A novembre 2012 tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro, ovvero disoccupate, sono 641 mila e rappresentano il 10,6% della popolazione. Italia quarta per livelli di disoccupazione tra i giovani in Europa.

In Italia più di un giovane, tra i 15 e i 24 anni, non aveva un lavoro nel mese di novembre. Un dato drammatico se si pensa che è lo stesso tasso del 1992. Secondo i dati dell’Istat, infatti, il tasso di disoccupazione giovanile è stato pari al 37,1%: record assoluto, ai massimi sia dalle serie mensili, ovvero da gennaio 2004, sia dalle trimestrali, cominciate nel quarto trimestre di venti anni fa. A novembre 2012 tra i giovani italiani le persone in cerca di lavoro sono 641 mila e rappresentano il 10,6% della popolazione nella stessa fascia d’età.
In generale a novembre gli occupati sono 22 milioni 873 mila, in diminuzione dello 0,2% sia rispetto a ottobre (-42 mila) sia su base annua (-37 mila). Il tasso di occupazione, pari al 56,8%, è in diminuzione di 0,1 punti percentuali “nel confronto congiunturale e invariato rispetto a dodici mesi prima” informa l’Istituto di statistica. Il tasso di disoccupazione a novembre resta all’11,1%, lo stesso livello di ottobre e quindi ancora ai massimi da gennaio 2004, inizio serie mensili, e dal primo trimestre del 1999, guardando alle serie trimestrali. Su base annua il tasso è in aumento di 1,8 punti.   
In termini generali la fotografia dell’Istat non è meno infelice. A novembre il numero di disoccupati resta vicino ai 2,9 milioni, precisamente pari a 2 milioni 870 mila, in lieve calo (-2 mila) rispetto a ottobre ma solo perché la diminuzione riguarda la sola componente femminile).  Su base annua, invece, la disoccupazione cresce del 21,4%, ovvero di 507 mila unità. A novembre 2012 gli occupati sono 22 milioni 873 mila, in diminuzione dello 0,2% sia rispetto a ottobre con un calo di 42 mila unità, sia su base annua, con una diminuzione di 37 mila unità. 
“A novembre l’occupazione maschile cala dello 0,2% in termini congiunturali e dell’1,5% su base annua. L’occupazione femminile cala dello 0,2% rispetto al mese precedente, ma aumenta dell’1,7% nei dodici mesi – rileva l’Istat -. Il tasso di occupazione maschile, pari al 66,3%, diminuisce rispetto a ottobre di 0,2 punti percentuali e di 0,9 punti su base annua. Quello femminile, pari al 47,3%, cala di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali, mentre cresce di 0,9 punti rispetto a dodici mesi prima”.
Rispetto a ottobre la disoccupazione aumenta dell’1,3% per la componente maschile e diminuisce dell’1,7% per quella femminile. “In termini tendenziali la crescita interessa sia gli uomini (+28,3%) sia le donne (+14,0%) – continua l’Istat -. Il tasso di disoccupazione maschile, pari al 10,6%, cresce di 0,1 punti percentuali rispetto a ottobre e di 2,2 punti nei dodici mesi; quello femminile, pari al 12,0%, cala di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e aumenta di 1,2 punti rispetto a novembre 2011″. Il quadro che ne emerge è quello di una crescita del numero di coloro che non hanno un’occupazione: “Il numero di inattivi aumenta nel confronto congiunturale per effetto della crescita sia della componente maschile (+0,1%) sia di quella femminile (+0,4%). Su base annua si osserva un calo dell’inattività sia tra gli uomini (-3,0%) sia tra le donne (-3,6%)”. 
“L’aumento della disoccupazione e le previsioni negative per il 2013 non sono un fallimento del governo Monti” dice il ministro del LavoroElsa Fornero, intervistata da Radio Capital. “Ci sono forze e tendenze di lungo periodo e noi paghiamo errori di lungo periodo – ha spiegato -. C’è molto nella riforma del lavoro che tende a contrastare la precarietà, soprattutto per giovani e donne, ma si deve dire che il lavoro non si fa a comando ma ricostituendo l’economia e migliorando la formazione”. Fornero ha sottolineato che al centro della riforma “c’è l’apprendistato” e che nei due mesi che restano lavorerà “ogni giorno per una aggiunta di costruzione al nuovo apprendistato”.  E sulla definizione dei giovani come schizzinosi, Fornero precisa: “E’ un episodio che rivela le difficoltà avute nella comunicazione. Io non ho detto che i giovani sono ‘choosy‘. Un tempo usavo dire ai miei studenti di non esserlo, oggi invece i giovani non sono nella condizione di esserlo, perché hanno solo lavori precari. E’ quasi il contrario di quanto mi è stato attribuito. Poi dire che non lo avevo detto è stato inutile, pazienza”.
Anche a livello europeo i dati sono sconfortanti. Cresce ancora il record di disoccupazione nell’Eurozona. A novembre 2012, secondo i dati Eurostat depurati dalle variazioni stagionali, ha raggiunto l’11,8% (11,7% a ottobre), pari a 18,8 milioni di persone. Nello stesso mese del 2011 i senza lavoro erano il 10,6%. In 12 mesi la disoccupazione ha colpito 2,015 milioni di persone in più. Nell’insieme dell‘Unione europea a 27, la disoccupazione a novembre scorso è stata registrata al 10,7%, stabile rispetto al mese precedente. A novembre 2011 era al 10,0%. Secondo l’ufficio europeo di statistica i senza lavoro nei 17 paesi della valuta comune in un mese i disoccupati sono cresciuti di 113.000 unità. In Italia la disoccupazione di novembre è all’11,1%, stabile rispetto a ottobre 2012. Dodici mesi prima era al 9,3%. In un anno i senza lavoro sono aumentati in 18 degli stati membri della Ue-27, si è ridotta in sette tra i quali la Germania (da 5,6% a 5,4%) e le repubbliche baltiche.
Gli aumenti più forti su base annuale, in Grecia (dal 18,9% al 26,0% registrato da settembre 2011 a settembre 2012), Cipro (dal 9,5% al 14,0%), Spagna (dal 23,0% al 26,6%) e Portogallo (dal 14,1% al 16,3%). A novembre scorso il tasso di disoccupazione giovanile nell’Eurozona ha raggiunto il 24,4% (24,2% ad ottobre), pari a 3,788 milioni di persone. Rispetto ad un anno fa, quando era al 21,6%, ci sono 420mila giovani disoccupati in più. L’Eurostat, per l’Ue a 27, indica un tasso di disoccupazione giovanile del 23,7%.  L’Italia, con il 37,1% di disoccupati tra i giovani fino a 25 anni registrato a novembre scorso, è quarta nell’Eurozona per i livelli di disoccupazione giovanile. A ottobre era al 36,5%, nel novembre 2011 al 32,2%. Peggio, soltanto la Grecia (57,6%, dati di settembre 2012), la Spagna (56,5%) ed il Portogallo (38,7%).
E "loro" che fanno? Si preoccupano di cucire alleanze e assicurarsi il posto in poltrona anche comprando voti, sempre ed esclusivamente con i nostri soldi.