lunedì 10 agosto 2015

Sciatori...



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Vent'anni di lavori e 41 milioni spesi La strada è ancora chiusa: inchiesta dei pm. - Riccardo Lo Verso

Vent'anni di lavori e 41 milioni spesi La strada è ancora chiusa: inchiesta dei pm

La Mussomeli-San Giovanni Gemini doveva collegare le province di Agrigento e Caltanissetta. L'appalto fu bandito nel 1992. Un esposto alla base di due indagini aperte dalla Procura di Agrigento e da quella della Corte de conti.

PALERMO - Sette mila e 300 giorni per costruire 6 chilometri di strada. Calcolatrice alla mano: mille e 200 lune per ogni chilometro. Roba da Guinness dei primati ma in negativo. Vent'anni dopo l'avvio dei lavori e 41 milioni di euro spesi la Mussomeli-San Giovanni Gemini è ancora chiusa. E ora indagano due Procure.

La storia è disarmante persino nella Sicilia medievale dei viadotti crollati, delle strade interrotte e delle trazzere d'emergenza. Una storia che da oggi diventa un caso giudiziario. Doppiamente giudiziario, perché una denuncia del commissario straordinario della Provincia di Agrigento è finita sul tavolo della Procura agrigentina e su quello della Procura regionale della Corte dei conti. La strada è chiusa da più di un anno dopo l'illusione di un'apertura della quale restano solo i sorrisi in favore di telecamera del giorno dell'inaugurazione.

Ci sono voluti vent'anni per costruire i sei chilometri di asfalto che collegassero le province di Agrigento e Caltanissetta. Nel 2012, ecco il taglio del nastro. Due anni dopo, nel maggio 2014, l'ordinanza di chiusura perché la strada era pericolosa. Da allora una battaglia giudiziaria fra la provincia di Agrigento, oggi divenuta Libero consorzio, e le imprese appaltatrici ha bloccato tutto fino a quando, e siamo a fine luglio scorso, il commissario dell'ex amministrazione provinciale Marcello Maisano ha scritto alla magistratura, ordinaria e contabile.

Era il 1992 quando la gara fu appaltata ad un raggruppamento temporaneo di imprese che, nel frattempo, hanno cambiato volto per via di cessioni e nuove denominazioni. Dall'ultima composizione l'appalto risulta aggiudicato alla “Campione Industries spa, giusto affitto ramo aziendale dalla Tecnofin Group spa (già Impresem spa) nella qualità di capogruppo e Cir srl (già Vita spa), Consorzio Coop Costruzioni- Co.Min spa (già Sicon spa) e Di Vincenzo spa, nella qualità di mandanti”. Tra sospensioni varie e perizie di variante che hanno fatto lievitare i costi si è arrivati all'8 agosto 2012, giorno dell'apertura al traffico. Un mese dopo c'erano già i primi problemi ai giunti di dilatazione, alcuni si conficcarono nei pneumatici degli automobilisti.

La Campione Industries ha messo le cose a posto. Poi, però, sono venute a galla altre criticità. Nel maggio 2014, la nuova chiusura al transito disposta dalla Provincia per motivi di sicurezza: “Instabilità del corpo stradale di alcuni rilevati, poggianti su terreni argillosi”, forse causata dalla successiva deviazione delle acque piovane e “anomalie esecutive nei giunti dei viadotti”. Il Libero consorzio ha di nuovo bussato al Raggruppamento temporaneo di imprese che però, stavolta, ha risposto picche perché ritiene di non essere più tenuto ad intervenire visto che è passato troppo tempo dal collaudo dell'opera. Insomma, il diritto vantato dalla provincia è ormai decaduto e prescritto. Ne è scaturito, neanche a dirlo, un contenzioso davanti al Tribunale civile. Il 28 luglio scorso, l'ultimo tappa, con la denuncia firmata da Maisano. Dopo vent'anni di lavori e 41 milioni spesi, la strada è ancora chiusa.


http://m.livesicilia.it/2015/08/10/ventanni-di-lavori-e-41-milioni-spesi-la-strada-e-ancora-chiusa-inchiesta-dei-pm_654357/

domenica 9 agosto 2015

Sventato piano Isis per uccidere regina Elisabetta a Ferragosto.

Sventato piano Isis per uccidere regina Elisabetta a Ferragosto


(AGI) - Londra, 9 ago. - Isis aveva progettato di uccidere la regina Elisabetta II sabato prossimo, 15 agosto, alle celebrazioni in programma nel cuore di Londra per il 70esimo anniversario della fine della II Guerra Mondiale nel Pacifico (Vjd). 
Manifestazione trasmessa in diretta dalla Bbc e che in caso di successo avrebbe consegnato ad Isis la palma del maggiore successo terroristico dopo l'11 settembre 2001 di Osama bin Laden e la sua al Qaeda. 
Sono state le unita' speciali di Scotland Yard ('SO14' a protezione della famiglia reale e 'SO1' che protegge il primo ministro) e l'Mi5 (il controspionaggio britannico) a riuscite a sventare l'attentato. Secondo quanto rivela il Mail on Sunday una cellula jihadista voleva far esplodere un ordigno improvvisato formato da una pentola a pressione imbottita di esplosivo, chiodi e cuscinetti a sfera. Lo steso tipo di ordigno impiegato dai due fratelli ceceni Tsarnaev (legati ad al Qaeda) nell'attentato alla maratona di Boston il 15 aprile 2013, che causo' 3 morti e 264 feriti.
L'obiettivo oltre alla regina sarebbe stato, tra gli altri, anche Carlo, principe di Galles Carlo ed erede al trono (un modo per parzialmente decapitare la monarchia, anche se a quel punto il principe William, che non dovrebbe partecipare alla cerimonia, sarebbe salito al trono) ed il premier David Cameron. Quest'ultimo insieme ad altre autorita', militari, religiose, politiche e diplomatiche, assistera' alla commemorazione dell'evento. Il tutto insieme alle migliaia di persone - tra cui almeno 1.000 veterani sopravvissuti ai combattimenti della II Guerra Mondiale nel Pacifico contro il Giappone - schierate lungo tutto il tragitto che da Traqfalgar Square attarversera' Whitehall, la strada dei ministeri, per arrivare all'abbazia di Westminster passando davanti al Parlamento.
  La bomba sarebbe dovuta esplodere alle 14 sul Whitehallo alle spalle della Horse Guards Parade (il quartier generale delle Guardie della Regina da dove parte ogni giorno la cerimonia del cambio della Guardia e la cerimonia Trouping The Colour il 21 giugno, giorno del genetliaco ufficiale di Sua Maesta'). Altri obiettivi possibili la chiesa di St. Martin in The Fields, su Trafalgar Square, dove sara' celebrata la messa per ricordare i caduti e l'abbazia di Westminster.
  Lo scorso 'Remembrance Day' in novembre, che ricorda la fine della I Guerra Mondiale, venne sventato un altro attentato contro Elibetta II al monumeto ai caduti, il cenotafio di Lutyens, su Whitehall. (AGI) .

Renzi e la direzione Pd: un riassunto. - Andrea Scanzi

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Ieri ha avuto luogo la direzione Pd. La “direzione Pd” è un rito laico che si celebra ciclicamente, il cui unico scopo è quello di ribadire il dominio totale di Renzi nei confronti dei cosiddetti “dissidenti”. Funziona così: prima della direzione Pd i “dissidenti” rilasciano dichiarazioni minacciose nei confronti di Renzi e della sua ghenga tragicomica; poi, giunti al di Lui cospetto, i “dissidenti” si fanno trattare come pezzenti e godono visibilmente nel farsi trattare così. E’ una forma di masochismo come un’altra, anche se personalmente continuo a preferire un trampling da Rosario Dawson in tacco 12 che non un insulto ricevuto da un premier caricaturale.
Ieri, durante la direzione Pd, è successo questo:
- Il ducetto pingue, protetto dalle sue ancelle photoshoppate e dai suoi paninari invecchiati, ha garantito che rilancerà il Sud. Per farlo verranno adottati provvedimenti e ricette specifiche, che Renzi e i suoi, non conoscendoli, hanno accuratamente evitato di menzionare.
- Renzi ha accusato il Sud di eccedere in piagnistei, emulando in questo uno dei tanti pesci piccoli che però – in confronto a lui – sembra quasi un gigante: Salvini.
- Renzi ha criticato il Sud per essersi affidato a politici che ne hanno acuito la crisi. Curiosamente, larga parte di quella stessa gente che ha acuito i problemi del Sud era – ed è – seduta accanto a Renzi.
- Renzi ha indicato De Luca come esempio di Sud che funziona, che è un po’ come indicare il disastro di Fukushima come obiettivo massimo per uno scienziato.
- De Luca ha allegramente insultato e minacciato Peter Gomez. La direzione Pd, democraticamente, ha riso. E’ la stessa gente che, se scrivi che la Boschi si fa ritoccare le foto (copertina Sette) per camuffare le 70-80 libbre di adipe ruspante da caviglie, cosce e glutei, grida al “sessismo”. Ed è la stessa gente che, se chiami Renzi “ducetto pingue”, grida piccata alla lesa maestà. Vamos.
- Non meno dei loro maestri berlusconiani, i renzini ultrà di fronte alle critiche non replicano, ma si aggrappano all’insulto ipotetico. Se gli dici che è democraticamente infame sfasciare la Costituzione, salvare Azzollini, fregarsene della questione morale, distruggere la scuola pubblicabombardare lo Statuto dei Lavoratori (senza con ciò ottenere mezzo risultato positivo contro la disoccupazione), avere portato al governo una classe dirigente ridicola e comportarsi come e anzi peggio di Berlusconi, loro ti dicono che la cosa grave non sono i comportamenti di Renzi ma il fatto che tu abbia usato la parola “infame”. Sono meravigliosi. C’mon.
- Durante la direzione Pd Renzi si è puntualmente atteggiato a figo, con quel suo modo di fare a metà tra il Verdone tamarro e il fanfarone del bar di provincia zimbellato (giustamente) da tutti. Ogni volta che parla, e fa quelle pause da teatrante impacciato, basterebbe che qualcuno si alzasse e gli dicesse: “O grullo, vien via e vai a casa dal babbo, su, che c’è un limite anche alle bischerate”. Ma nessuno glielo dice, e se aspettiamo Bersani, buonanotte.
- Al termine della direzione Pd, Renzi ha promesso di rilanciare il Sud, di abolire la morte e di regalare a tutti l’ultimo di Jovanotti. Lì è partita la standing ovation.
(Questo articolo è maschilista e sessista. 
Se ne consiglia l’uso previa somministrazione di Boldrinox e Boschizina).

Dubbio amletico...



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sabato 8 agosto 2015

L’ARABIA SAUDITA PUO’ ANDARE IN ROVINA PRIMA CHE L’INDUSTRIA PETROLIFERA STATUNITENSE SI PIEGHI. - AMBROSE EVANS PRITCHARD

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Redazione: è troppo tardi perché l'OPEC possa fermare la rivoluzione dello “shale”. Ogni aumento dei prezzi petroliferi sarà limitato dall’aumento della produzione statunitense. L’OPEC si è di fatto sciolta. Era comunque veramente poco quello che avrebbe potuto fare per combattere i progressi della tecnologia americana. I costi di perforazione nel settore dello “shale” si sono ridotti del 50% e si ridurranno di un ulteriore 30% in un prossimo futuro. Ulteriori giacimenti da sfruttare in Argentina, Australia e Cina. La spesa sociale è l’unico collante che tiene insieme il medievale regime wahhabita, catturato nella versione mediorientale della “Guerra dei Trent'anni”

Se il mercato dei futures sul petrolio esprime valori corretti, l'Arabia Saudita comincerà a trovarsi nei guai nel giro di due anni e sarà in piena crisi esistenziale entro la fine del decennio.
Il prezzo del petrolio statunitense, con consegna a Dicembre 2020, è attualmente a 62,05 dollari/barile, la qual cosa implica un drastico cambiamento nel panorama economico sia del Medio Oriente che di tutti i paesi dipendenti dalla rendita petrolifera.
I sauditi hanno fatto un’enorme scommessa, lo scorso Novembre, quando hanno smesso di sostenere i prezzi del petrolio scegliendo d’invadere il mercato per scacciare i rivali, aumentando la propria produzione fino a 10,6 milioni di b/d [barili al giorno], in faccia alla recessione.
Se l'obiettivo era quello di soffocare il settore degli “idrocarburi di scisto” negli Stati Uniti, i sauditi hanno malgiudicato la situazione, sottovalutando grossolanamente la minaccia crescente dello “scisto”.
La “Bank of America” sostiene che l’OPEC si è ormai "effettivamente sciolta" … e potrebbe anche chiudere i suoi uffici a Vienna, risparmiando così del denaro.



La Banca Centrale Saudita, nel suo ultimo rapporto sulla stabilità, ha sostenuto che: "Contrariamente a quanto si era pensato, è ormai evidente che i produttori non-OPEC non sono poi così sensibili ai bassi prezzi del petrolio, almeno nel breve periodo".
Ed ha aggiunto: "La conseguenza principale [dei prezzi bassi] è stata la sospensione nello sviluppo dei nuovi pozzi di petrolio, e non la riduzione dell’estrazione dai pozzi esistenti. Per ottenere quest’effetto ci vuole una maggiore pazienza".
Un esperto saudita è stato molto schietto: "La politica non ha funzionato e non funzionerà mai".
Provocando il crollo del prezzo del petrolio, i sauditi ed i loro alleati nel Golfo hanno certamente eliminato una serie d’iniziative ad alto costo nell'Artico russo, nel Golfo del Messico, nelle acque profonde del medio-Atlantico e nel Canada – con riferimento alle sabbie bituminose presenti in questo paese.
I consulenti della “Wood Mackenzie” affermano che le maggiori compagnie nel settore degli idrocarburi hanno accantonato 46 grandi progetti, rimandando investimenti per 200 miliardi di dollari.
Il problema, per i sauditi, è che il settore statunitense degli idrocarburi di scisto non è ad alto costo, è per lo più mediamente costoso. Come ho riferito nei reports sul forum energetico “CERAWeek” che si è tenuto a Houston [1], gli esperti dell’IHS pensano che quest’anno le aziende del settore “shale” possano ridurre i costi del 45% – e non solo perché estraggono, intelligentemente, solo dai pozzi ad alto rendimento.
Le tecniche avanzate di pad-drilling [2] consentono ai frackers [operatori del settore] di perforare cinque o dieci pozzi in direzioni diverse, partendo dallo stesso sito. I Drill-bits intelligenti [3], guidati dai computers, possono trovare facilmente le fessure nella roccia. I nuovi dissolvable-plugs [4] promettono di far risparmiare 300.000 dollari per pozzo.
John Hess, della “Hess Corporation”, ha dichiarato che: "Abbiamo ridotto i costi di perforazione del 50%, ed intravediamo per il futuro un’ulteriore riduzione del 30%”.
Scott Sheffield, della “Pioneer Natural Resources”, sostiene la stessa cosa: "Abbiamo appena perforato, in 16 giorni, un pozzo profondo 18.000 piedi [1 piede = 0,3048 mt] nel Bacino Permiano [5]. L'anno scorso ce n’erano voluti 30”.
Gli impianti di perforazione nel Nord America sono scesi a 664, dai 1.608 di Ottobre, ma la produzione è comunque salita al picco ultra-quarantennale di 9.6 miliardi di b/d, toccato a Giugno. Ed ha concluso: “… ed abbiamo appena cominciato a reinvestire i proventi”.
Rex Tillerson della Exxon Mobil ha dichiarato che: "Il treno-merci del ‘petrolio di scisto’ nord-americano continuerà a viaggiare".



Ed ha aggiunto che la resilienza del settore-parallelo, quello dello shale-gas, è tale da consigliare di non perdere troppo tempo a leggere il rig-count [conteggio dei pozzi in funzione]. I prezzi del gas sono crollati, dal 2009, da 8 a 2,78 dollari/piede3, mentre il numero degli impianti per l’estrazione del gas è sceso da 1.200 a 209. Eppure la produzione è aumentata del 30%, nello stesso periodo.
Fino ad ora gli operatori del settore si sono cautelati con dei “contratti di copertura” [ritiro garantito delle quantità estratte]. Lo stress-test arriverà nei prossimi mesi, perché questi contratti sono in scadenza. Ma anche se decine dei “sovraesposti frackers” dovessero fallire, conseguenza dei mancati finanziamenti, non ci sarà comunque niente di buono per l’OPEC.
I pozzi saranno ancora lì, insieme alla tecnologia e alle infrastrutture. Le aziende più forti assorbiranno quelle più deboli ad un prezzo molto basso, rilevando i loro progetti. Una volta che il petrolio dovesse di nuovo arrampicarsi a 60 d/b, o anche a soli 55 d/b – dal momento che la soglia dei costi continua a scendere – potranno alzare la produzione in modo quasi istantaneo.
L’Opec deve ora affrontare un permanente vento contrario. Ogni aumento del prezzo sarà limitato da un aumento della produzione negli Stati Uniti. L'unico vincolo sarà quello della reale dimensione delle riserve statunitensi che possono essere estratte a metà prezzo, ma questa dimensione potrebbe essere molto più grande di quanto si era inizialmente supposto … per non parlare delle possibilità parallele in Argentina e in Australia, o della possibilità del "fracking pulito" in Cina – la tecnologia del “plasma a impulsi” [6] taglia il fabbisogno idrico necessario per l’estrazione.
Il Sig. Sheffield ha detto che già il “Bacino Permiano” del Texas, da solo, potrebbe produrre 5-6 milioni di b/d nel lungo termine, più del gigantesco giacimento Ghawar in Arabia Saudita, il più grande del mondo.
L'Arabia Saudita si è effettivamente arenata. Questo paese basa sul petrolio il 90% delle sue entrate di bilancio. Non c'è nessun altro settore di cui parlare, dopo ben 50 anni dall’inizio del boom petrolifero.



I cittadini non pagano le tasse sui redditi, sugli interessi o sui dividendi azionari. La benzina, sovvenzionata, costa 12 centesimi [di dollaro] al litro. L'elettricità viene venduta a 1,3 centesimi al chilowattora. La spesa clientelare è esplosa, dopo la “Primavera Araba”, per soffocare il dissenso.
Il Fondo Monetario Internazionale stima che il deficit di bilancio raggiungerà il 20% del PIL, quest'anno, ovvero circa 140 miliardi di dollari. Il “prezzo dell'equilibrio fiscale” è 106 d/b [l’immagine a seguire indica il prezzo in dollari/barile cui il petrolio dovrebbe essere venduto perché i paesi indicati possano pareggiare il bilancio pubblico 2015].



Lungi dal ridurre le spese, Re Salman continua a sperperare i soldi del paese. Ha elargito un bonus di 32 miliardi di dollari, in occasione della sua incoronazione, per tutti i lavoratori ed i pensionati.
Ha inoltre lanciato una guerra molto costosa contro gli Houthi dello Yemen ed è impegnato in una massiccio rafforzamento militare – del tutto dipendente dalle armi importate – che spingerà l'Arabia Saudita al quinto posto nella classifica mondiale dei paesi che più spendono per la difesa.
La famiglia reale saudita sta guidando la causa sunnita contro l’arrembante Iran sciita, in un'aspra lotta per il predominio in tutto il Medio Oriente.
Jim Woolsey, il precedente Direttore della CIA, ha dichiarato che: "In questo momento i sauditi hanno una sola cosa in mente, gli iraniani. Il problema è molto serio. I procuratori dell’Iran sono attivi in Yemen, Siria, Iraq e Libano".



Il denaro è cominciato ad uscire dell'Arabia Saudita [per fini clientelari esterni] dopo la “Primavera Araba”, con un deflusso netto di capitali pari all’8% annuo del Pil, anche prima del crollo del prezzo del petrolio. Il paese, da allora, sta bruciando le sue riserve in valuta estera ad un ritmo vertiginoso.
Le riserve, che erano salite a 737 miliardi di dollari nel mese di Agosto del 2014, sono scese a 672 miliardi a Maggio di quest’anno. Ai prezzi correnti, sono in calo di almeno 12 miliardi al mese.



Khalid Alsweilem, un ex funzionario della Banca Centrale Saudita, ora occupato presso la Harvard University, ha detto che il deficit di bilancio deve essere coperto quasi dollaro per dollaro, attingendo alle riserve.
Le riserve finanziarie saudite non sono particolarmente grandi, considerando il sistema di cambio fisso del paese [con il dollaro]. Kuwait, Qatar e Abu Dhabi hanno riserve pro-capite tre volte maggiori.
Ed ha aggiunto: "Noi siamo molto più vulnerabili [degli altri Paesi del Golfo]. E’ questo il motivo per cui il nostro rating sovrano, AA-, è solo al quarto posto fra i Paesi del Golfo. Non possiamo permetterci di perdere il nostro cuscino [l’ammortizzatore costituito dalle riserve] nei prossimi due anni".
Standard & Poor ha abbassato l'outlook a "negativo" lo scorso mese di Febbraio: "Consideriamo l'economia dell'Arabia Saudita come non diversificata e vulnerabile al calo, notevole e costante, dei prezzi del petrolio".
Il Sig. Alsweilem ha scritto, in un relazione per la Harvard University, che l'Arabia Saudita possiederebbe ulteriori assets per 1.000 miliardi di dollari, se avesse adottato il modello norvegese – ovvero un fondo sovrano per rimettere in circolo il denaro, invece di utilizzarlo come un salvadanaio a disposizione del Ministero delle Finanze.
Questa relazione ha causato una tempesta, a Riyadh. "Siamo stati fortunati in passato, perché il prezzo del petrolio ha recuperato per tempo. Ma non possiamo contarci di nuovo", egli ha concluso.
L’OPEC si è interessata della questione dello “shale” troppo tardi anche se, forse, era veramente poco quello che avrebbe potuto fare per combattere i progressi della tecnologia americana.
Col senno del poi, è stato un errore strategico tenere i prezzi così alti per così tanto tempo [palese il riferimento a quando il petrolio quotava ben oltre i 100 d/b], permettendo ai frackers – e all'industria del solare – di “diventare grandi”. Il “genio” non può più essere rimesso nella bottiglia.
I sauditi, ora, sono intrappolati. Anche se avessero fatto un accordo con la Russia e orchestrato un taglio della produzione per far aumentare i prezzi – fatto tutt'altro che semplice – avrebbero potuto guadagnare solo qualche anno, rimandando più in là nel tempo la produzione degli idrocarburi di scisto.
In ogni caso, le riserve saudite [in valuta estera] potranno scendere fino a 200 miliardi di dollari entro la fine del 2018. I mercati reagiranno molto prima, vedendo la scritta sul muro. La fuga dei capitali accelererà.
Il governo potrà tagliare gli investimenti, per un po' di tempo – come ha fatto a metà degli anni ’80 – ma alla fine dovrà affrontare un'austerità draconiana. Non può permettersi né di sostenere l'Egitto né di tenere in vita l’esorbitante macchina del clientelismo politico in tutto il mondo sunnita.
La spesa sociale è l’unico collante che tiene insieme il medievale regime wahhabita, considerando l’agitazione della minoranza sciita nella provincia orientale, gli attacchi terroristici dell’ISIS e i contraccolpi dell'invasione dello Yemen.
C’è solo la spesa “diplomatica” alla base della sfera d’influenza dell’Arabia Saudita, catturata nella versione mediorientale dell’europea “Guerra dei Trent'anni”, ed ancora convalescente dagli shocks derivati dall’aver schiacciato una rivolta democratica [la Primavera Araba].
Possiamo tuttavia constatare che l'industria petrolifera statunitense ha una maggiore capacità di resistenza rispetto al traballante edificio politico dell'OPEC.

Ambrose Evans-Pritchard
Fonte: www.telegraph.co.uk
Link:http://www.telegraph.co.uk/finance/oilprices/11768136/Saudi-Arabia-may-go-broke-before-the-US-oil-industry-buckles.html
5.08.2015
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da FRANCO

Fra parentesi quadra le note del Traduttore, ed inoltre:

[1] Pubblicati da Come Don Chisciotte qui: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14981 e qui:http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15030]
[2] Pad-Drilling: http://www.eia.gov/todayinenergy/detail.cfm?id=7910
[3] Drill-Bit Intelligente: https://en.wikipedia.org/wiki/Drill_bit
[4] Dissolvable-Plug: http://www.slb.com/services/completions/multistage_stimulation_systems/dissolvable_plug_and_perf/infinity.aspx
[5] Bacino Permiano: https://it.wikipedia.org/wiki/Bacino_Permiano
[6] Plasma Pulse Technology, http://www.novasenergy.com/  

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15413

IL PIANO DELL’ISTITUTO BROOKINGS PER LIQUIDARE LA SIRIA. - MIKE WHITNEY

Syrian-President-Bashar-al-Assad


Ecco il Vostro quesito di politica estera USA per oggi: Quand’è che un cambio di regime non è un cambio di regime? 
Quando il regime di turno resta al potere ma perde la sua capacità di governare effettivamente. Ed è questo l’obiettivo della politica estera USA in Siria, impedire al Presidente Bashar Al Assad di governare il paese senza necessità di rimuoverlo fisicamente dall’ incarico.

L’idea è semplice: scatenare “jihadisti” appoggiati dietro le quinte per catturare e tenere in scacco vasti territori del paese in modo che il governo centrale non sia in effettivo controllo del suo paese. E’così che l’amministrazione Obama vorrebbe chiudere l’affare Assad, rendendolo irrilevante. La strategia è spiegata nel dettaglio in uno scritto del Brookings Institute a firma Michael O’Hanlon intitolato: “Decostruire la Siria: una nuova strategia per la più complessa tra le guerre Americane”.

Eccone un estratto: 
“L’unico modo realistico di procedere da qui in avanti sarebbe in effetti un piano per decostruire efficacemente la Siria. La comunità internazionale dovrebbe lavorare a creare sacche con una maggiore agibilità in termini di sicurezza e governabilità all’interno della Siria e ad espanderle poi nel tempo. L’idea sarebbe, più esattamente, di aiutare elementi moderati a stabilire zone sicure ed affidabili all’interno del territorio Siriano una volta che gli elementi designati siano in grado. Forze Americane, Saudite, Turche, Britanniche, Giordane e di altri Stati Arabi agirebbero da costante supporto, non soltanto via aria, ma anche mediante l’uso di forze speciali di terra quando necessario. Questo approccio consentirebbe di trarre vantaggio dagli ampi spazi aperti desertici Siriani che consentirebbero la creazione di zone cuscinetto che si potrebbero tenere sotto costante controllo per riconoscere in tempo ogni possibile segno di attacco nemico. Le forze Occidentali in sè verrebbero stazionate in postazioni in generale più sicure, distanziate dalle linee di fronte all’interno delle zone sicure, quantomeno per tutto il tempo necessario affinchè queste difese, insieme alle forze locali alleate, siano certe in merito alla opportunità pratica di avanzare verso posizioni più avanzate ed essere in grado di mantenerne il controllo in sicurezza” La creazione di queste zone sicure rappresenterrebbe la creazione di zone autonome che non dovrebbero temere di tornare sotto il controllo, sia di Assad, sia dell’ISIL. L’obiettivo intermedio sarebbe una Siria confederale, costituita da varie zone largamente autonome. La federazione richiederebbe il supporto di un contingente di peacekeeping internazionale che renda le zone difendibili e governabili, che aiuti a provvedere aiuto alle popolazioni incluse in tali territori e che addestri e equipaggi ulteriori reclute in modo che le zone possano essere stabilizzate ed eventualmente espanse”.  
(“Deconstructing Syria: A new strategy for America’s most hopeless war“, Michael E. O’Hanlon, Brookings Institute)

Non è questa la strategia di fondo che vediamo in gioco in Siria già adessov?
E’il caso di notare come O’Hanlon non considera mai neanche un attimo le implicazioni morali di cancellare una nazione sovrana, di uccidere decine di migliaia di civili e di sradicarne altrettanti dalle loro dimore. Questo genere di cose sono semplicemente indifferenti per gli esperti che concepiscono queste strategie imperiali. E’solo altra farina da macinare. Notare inoltre, come l’autore si riferisca a “zone cuscinetto” e “zone sicure”, i medesimi termini che sono stati usati ripetutamente nell’ambito dell’accordo USA-Turchia sull’uso da parte degli Americani della base aerea di Incirlik. La Turchia ha chiesto agli USA di assistere nella creazione di tali “zone sicure” lungo il confine Nord della Siria in modo che fungano da “santuari” per l’addestramento delle cosiddette forze moderate da impiegare nella guerra contro l’ISIS. A quanto pare, tali ipotetiche zone sicure sarebbero parte fondamentale del più esteso piano di O’Hanlon per frammentare lo stato in milioni di enclaves disconnesse tra loro e ognuna retta da un manipolo di mercenari armati, affiliati ad Al Qaeda o signori della guerra locali. Ecco il sogno di Obama di una “Siria liberata”, uno stato fallito precipatato nell’anarchia con una bella spruzzata di basi Americane sopra così che si potranno arraffare ed estrarne tutte le risorse senza impedimenti. Quello che Obama vuole evitare a tutti i costi e un altro imbarazzante flop come l’Iraq, dove la rimozione di Saddam ha lasciato un vuoto di potere e una sensazione di insicurezza che ha portato a violenta e protratta rivolta che è costata cara agli USA in termini di sangue, finanze e credibilità internazionale. Ecco perchè al momento la strategia prescelta è quella che abbiamo descritto, che si ritiene essere un modo più intelligente per perseguire gli stessi scopi. In poche parole gli obiettivi non sono mai cambiati, cambiano solo i metodi.

Citiamo ancora un pò da O’Hanlon: 
“Il piano non sarebbe diretto soltanto contro L’ISIL ma in parte anche contro Assad. Riconoscendo le possibilità reali tuttavia, senza mirare a rovesciarlo direttamente, ma piuttosto a negargli ogni possibilità di tornare a governare i territori su cui potrebbe aspirare a riottenere controllo. Le zone autonome sarebbero liberate con l’esplicito intendere che non torneranno mai sotto controllo di Assad o eventuale successore. Secondo questa visione Assad non sarebbe un obiettivo militare diretto, ma le aree che al momento controlla (e bombarda crudelmente) lo sarebbero. E se Assad continuasse a rifiutare di accordarsi per l’esilio prima o poi si ritroverebbe vicino a costanti minacce al suo potere, se non alla sua persona”. 
Che vuole dire? 
Vuol dire che la Siria è designata come laboratorio per la gran strategia per i cambi di regime di O’Hanlon, una strategia nella quale Assad figura come porcellino d’India da esperimenti numero uno. E siccome non vogliamo lasciare spazio a fraintendimenti, riportiamo questa spiazzante ammissione di O’Hanlon: 
“ Questo piano differisce dalla strategia corrente principalmente in tre modi. Primo, provvederebbe un obiettivo chiaro ed esplicito per gli Stati Uniti nella questione (...) in secondo luogo scoraggerebbe chi possa pensare che Washington si accontenti di tollerare il governo Assad in quanto male minore”. 
In pratica, per come la vede O’Hanlon l’amministrazione dovrebbe abbandonare la pretesa di stare combattendo l’ISIS e ammettere esplicitamente che l’imperativo è “Assad deve sparire”, secondo O’Hanlon questo aiuterebbe a sistemare le cose con altri membri della coalizione che hanno dubbi rispetto alle reali intenzioni di Washington.

Ancora dal testo: 
“squadre di supporto multilaterali, divise in forze speciali di terra e unità di difesa aerea devono essere sempre pronte al dispiegamento nelle diverse parti della Siria ogni volta che le forze di opposizione riescano a conquistare e mantenere nuove postazioni sicure. Questa chiaramente sarebbe la parte più delicata e il dispiegare di squadroni sarebbe sempre pericoloso. Non bisognerebbe mai ordinare missioni in fretta e furia, ma farlo in maniera considerata, tuttavia è parte indispensabile dello sforzo”. 

Traduzione: stivali Americani marceranno sul suolo della Siria, possiamo scommetterci. Va benissimo fare il miglior uso della carne da cannone jihadista per condurre la carica e indebolire il nemico, poi al momento giusto basta mandare la prima squadra e si è chiuso l’affare. Questo vuol dire invio di forze speciali, no fly zone su tutta la Siria, basi militari sul campo e una bella campagna di propaganda per continuare a convincere la sheeple(sheep+people, popolazione gregge..) che per difendere la sicurezza nazionale USA occorre necessariamente distruggere la Siria. Tutto questo diventerà chiaro nella fase 2 della gierra fiasco Siriana, che è sul punto di intensificarsi e di parecchio.

Citiamo un'ultima volta O’Hanlon mentre ci regala una nota ispirata per proporci la sua bella strategia per cambi di regime nuova di zecca: 
“In tutta sincerità mi sembra questa l’unica maniera realistica di procedere. Inoltre, nonostante non posso affermare che sia priva di rischi per gli Stati Uniti d’altronde il livello di coinvolgimento militare diretto non sarebbe particolarmente più sostanziale di quello che è stato necessario in Afghanistan durante l’ultimo anno circa. Sarebbe auspicabile che il Presidente Obama non guardasse alla questione come un problema da lasciare in eredità al successore, ma piuttosto come una crisi urgente che richiede tutta la sua attenzione e la definizione di una nuova strategia al più presto” 
Ed ecco qui il piano per fare a pezzi la Siria, precipitarla in una crisi umanitaria anche peggiore di quella in cui già si trova e fare crollare Assad senza dover andare in prima persona a rimuoverlo dall’ufficio. Un bel pò di massacro e distruzione per starci tutto quanto in un saggio di 1.100 parole, complimenti all’autore per le doti di sintesi. A noi non resta che domandarci se questi cervelloni stretegici pensano mai a quanto dolore comportano le loro grandi strategie, se gliene freghi almeno qualcosa delle conseguenze.

Mike Whitney
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2015/08/05/the-brookings-institute-plan-to-liquidate-syria/
7.09.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15414