venerdì 29 luglio 2016

Angelino Alfano, così il fratello del ministro fu assunto da Poste: un click “mirato”. - Marco Lillo

Angelino Alfano, così il fratello del ministro fu assunto da Poste: un click “mirato”

Reclutamento su Linkedin. Per sceglierlo andarono a colpo sicuro: digitarono proprio il suo nome e cognome sul sito dei curriculum.

Non bastavano 160 mila euro? Alessandro Alfano, fratello del ministro Angelino, si sentiva sottopagato? L’uomo scelto da Renzi per risanare le Poste, Francesco Caio, gli ha aumentato lo stipendio fino a 200 mila euro il 16 maggio 2016, appena 2 mesi prima che gli arresti scoperchiassero il calderone (leggi). Non è questa la sola novità che imporrebbe al Ministero dell’economia di chiedere conto al manager della società pubblica. È interessante anche come è stato scelto Alfanino ai tempi del precedente Ad Massimo Sarmi: digitando il suo nome su Linkedin. Così è uscito lui: Alfano jr, laurea triennale a 34 anni in Economia (leggi). Ohibò devono avere pensato alle risorse umane di Postecom quando hanno visto spuntare il suo volto sorridente sul computer: eccolo l’uomo giusto per fare il dirigente a 160 mila euro lordi più bonus e fringe benefits nella controllata di Poste. Niente cacciatori di teste, né bandi per scovare il cervello in fuga di Agrigento.
Miracoli di Linkedin. L’ufficio risorse umane, per mettere le carte a posto, però ha inserito nel fascicolo della ‘selezione’ oltre al curriculum di Alfano Jr, ricercato ad personam, anche una decina di altri curricula tirati giù dal medesimo sito però sulla base dei titoli e non con ricerca nominativa come con il prescelto. Così Poste attua la legge 133 del 2008 che all’art. 18 dispone: “Le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”. Poste non ha adottato il regolamento accampando la solita scusa delle società pubbliche che vogliono mano libera per assunzioni e stipendi (vedi la Rai) e cioé: ‘abbiamo fatto una quotazione di obbligazioni in borsa e la legge ci permette di fare come ci pare’. Tesi discutibile per Poste ma ancora di più per Postecom che non ha emesso obbligazioni.
Il Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza quando ha acquisito le carte dell’assunzione di Alessandro Alfano, il 10 novembre 2015, nella sede di Poste a Roma, ha scoperto che è stato selezionato nel settembre 2013 con il visto di Massimo Sarmi, allora Ad e poi scelto come amministratore della Serravalle, controllata indiretta della Regione Lombardia. Il faccendiere vicino ad Alfano, Raffaele Pizza (arrestato il 6 luglio) si vanta nelle conversazioni intercettate con Davide Tedesco, collaboratore del ministro Alfano, di avere fatto assumere lui a settembre 2013 Alfano Jr e poi si spende a maggio 2014 per la nomina di Sarmi all’Inps e in altre società pubbliche.
L’amministratore di Poste Francesco Caio, quando sono state pubblicate le intercettazioni ha dichiarato: “Se questo è il quadro, noi rappresentiamo una discontinuità e penso che anche con il nuovo management stiamo dimostrando quanto l’aria sia cambiata”. La prossima volta che dirà una frase simile tutti sono autorizzati a ridergli in faccia. Il 9 gennaio 2015 Pizza dice che Alfano Jr è scontento di guadagnare solo 160 mila euro. Quattro mesi dopo le Poste, già guidate da Caio, il primo maggio 2015 fanno una doppia festa al lavoratore Alfano: Postecom cede il suo contratto a Poste e Tributi come fosse un piccolo Higuain conteso tra le società del gruppo. Così alla faccia della discontinuità per lui scatta il primo aumento da 160 a 180 mila euro. Alfano Jr non è ancora soddisfatto. Cosa si inventa allora? Un contenzioso lavorativo. A marzo del 2016 fa scrivere una lettera al suo avvocato per lamentare di essere stato trattato male. Basta la lettera e Poste accetta una conciliazione.
Caio e i suoi sono evidentemente terrorizzati dalla possibile causa di un laureato con la triennale che guadagna 180 mila euro, solo per sana prudenza e che nessuno si azzardi a ipotizzare moventi di altro tipo. Caio il 16 maggio 2016 non fa una piega quando lo informano del passaggio di Alessandro Alfano a Poste Italiane Spa. Nè obietta nulla sull’aumento ulteriore a 200 mila euro. A Caio abbiamo chiesto se attuerà la discontinuità prendendo provvedimenti e se si vergogna un po’ nei confronti delle centinaia di laureati con 110 e lode che inviano i curriculum a Poste ogni anno. Non ci ha risposto.

IL DRAMMA DELLE SPOSE BAMBINE SENZA DIRITTI. - Dominella Trunfio

spose bambine

Non hanno nessun potere di scelta, sono isolate dalla società e private di un’infanzia normale. Spesso sono vittime di abusi e violenze, tagliate fuori dalla famiglia, dagli amici e dalla scuola.
Il dramma delle spose bambine è una piaga mondiale che tocca diversi paesi del mondo. In Turchia per esempio, tra il 2010 e il 2015, secondo il ministro della Famiglia di Ankara Sema Ramazanoglu sono state oltre 230 mila le unioni tra bambini e adulti.
Ma il numero potrebbe essere più elevato visto che molte delle nozze con minori vengono celebrate solo con rito religioso (non riconosciuto dalla legge turca) e quindi non registrate ufficialmente.
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A decidere il destino dei bambini sono le famiglie stesse, a volte addirittura sin dalla nascita. Famiglie povere che vedono in queste unioni un possibile cambiamento di vita, perché l’importante è riuscire a stipulare un accordo con gli uomini più ricchi e importanti.
Nulla a che vedere con i sentimenti, la libertà, l’amore. Per questo, sono tante le associazioni e le donne che si battono per impedire i matrimoni di spose bambine. In Africa, in India, in Turchia tanto per citarne alcuni: cambiano i luoghi ma non le dinamiche.
Si inizia con l’abbandono scolastico, una volta sposate le bambine sono costrette a rimanere a casa per accudire marito, figli e fare le faccende domestiche, non vi è alcuna possibilità che esse possano continuare a frequentare la scuola.
Spesso poi si arriva all’altare dopo anni di violenza fisica e psicologica da parte della propria famiglia e di abusi da parte del futuro marito. Ragazzine che diventano madri a 12 anni, che a volte muoiono di parto tra l’indifferenza di tutti.
Matrimoni precoci, combinati che possono sfociare nei casi più estremi in delitti d’onore. Nessuna possibilità di lasciare quell’uomo che non si è scelto e che le ha condannate per sempre all’infelicità.
Il governo turco è stato più volte accusato di non fare abbastanza per disincentivare queste pratiche assurde e di chiudere gli occhi davanti alla condizione di netta inferiorità delle donne che chiedono di non essere private della loro infanzia.
Cosa puoi fare tu
Tutti possono fare qualcosa per dare voce a queste spose bambine: raccontando ad esempio le loro storie sui social media, sensibilizzando l'opinione pubblica a intraprendere azioni di difesa dei diritti umani. Amnesty International ha lanciato la campagna #maipiùsposebambine e una petizione per chiedere al governo del Burkina Faso di far rispettare le leggi che vietano i matrimoni forzati e precoci.
"Il matrimonio precoce e forzato è una violazione dei diritti umani. È illegale secondo il diritto internazionale ed è vietato in molti dei paesi in cui è presente, ma le leggi esistenti spesso non vengono applicate oppure forniscono eccezioni per ottenere il consenso dei genitori o per le pratiche tradizionali.
In Burkina Faso, i matrimoni forzati sono un fenomeno estremamente diffuso, soprattutto nelle aree rurali. Nonostante siano vietati dalla legge, le autorità non fanno abbastanza per fermarli", dice la petizione.
Firma qui la petizione

lunedì 25 luglio 2016

L’ITALIA NON È IN CRISI BANCARIA: È IN CRISI DA EURO. - Saint Simon



Da Marketwatch, un breve ed incisivo articolo sulla crisi bancaria italiana: quella che sta vivendo l’Italia non è la classica crisi bancaria innescata dallo scoppio di una bolla; le banche, gestite per altro in modo molto cauto e assennato, sono in sofferenza perché la crescita nel paese è sparita da un ventennio, a causa del declino della produttività innescato dall’ingresso nell’euro. 
di Matthew Lynn, 21 luglio 2016
L’Italia ha una crisi bancaria – quindi presumibilmente ha avuto quel tipo di folle boom che in genere conduce ad un crollo finanziario.
Ad esempio, piccoli mini-appartamenti in vendita a Torino per un milione di euro. Banchieri che tracannano Asti Spumante e sniffano coca nei club di lap dance di Milano. Concessionari Ferrari che vendono ad adolescenti macchine nuove da duecentomila euro, senza alcun controllo sul credito. Vecchie signore che scivolano fuori dalla folla per piazzare ordini su azioni da due soldi coi loro smartphone.
Ma aspettate. L’Italia non ha visto niente del genere. Negli ultimi dieci anni, la crescita è stata completamente piatta. I prezzi delle case in realtà sono in discesa. I mercati azionari hanno avuto l’euforia di uno dei comizi elettorali di Angela Merkel, all’incirca. In effetti, l’Italia adesso ha la sbornia, senza mai aver partecipato alla festa.
In realtà, l’Italia non ha affatto una crisi bancaria. Ha una crisi valutaria. L’euro ha succhiato la domanda fuori dall’economia e ha ucciso la crescita. Il risultato? Le sofferenze sono salite alle stelle. Ora sta frenando il governo dal salvare il settore finanziario. Il primo ministro Matteo Renzi può nascondere la magagne, ma fino a quando il paese non trova il modo di vivere con l’euro, o una via d’uscita dalla zona euro, nessuno dei suoi problemi sarà risolto.
Dopo un mese di agitazione sul Brexit, che finora si è rivelato un non-evento, i mercati ora si stanno preoccupando del crollo del sistema bancario italiano – ed è giusto così.
Secondo i dati del FMI, le banche del paese hanno 360 miliardi di euro di crediti in sofferenza, pari al 18% del prodotto interno lordo. I prezzi delle azioni di tutte le maggiori banche sono in caduta libera. UniCredit, la più grande banca del paese, ha visto la sue azioni perdere oltre il 60% del valore. Banca Popolare di Milano ha perso oltre il 60% da inizio anno, e così anche Intesa Sanpaolo.
Queste sono il tipo di perdite che suggeriscono che una banca sta per finire in guai seri. Anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha detto all’inizio di questo mese che il settore avrebbe bisogno di una qualche forma di aiuto di Stato.
Ci siamo già passati, naturalmente. Le banche fanno un sacco di prestiti irresponsabili. Caricano aziende, promotori immobiliari e consumatori con i debiti, e poi, quando i mercati iniziano a scendere, molti di questi prestiti vanno male e non possono essere rimborsati.
Questo è quello che è successo negli Stati Uniti e nel Regno Unito nel 2008 e 2009, ed è un gioco che è stato giocato in molti altri paesi prima e dopo. In Italia, però c’è una giravolta. Non ci sono mai stati molti segni di prestiti irresponsabili.
Se l’Italia è passata in una bolla speculativa, di quelle che è sempre probabile che scoppino, è molto difficile trovare delle prove.
I prezzi delle case? Di solito sono un segno sicuro di surriscaldamento nel sistema. Ma, secondo i dati Eurostat, i prezzi degli immobili italiani sono in contrazione del 1,6% dall’ultimo anno. Il mercato azionario? Nemmeno quello è stato esattamente in zona bolla. A quota 16.700 l’indice di Milano è più basso e lontano da quota 25.000 che ha toccato l’anno scorso, ed è a malapena sopra il livello di tre anni fa. Che ne dite del credito al consumo? Secondo la Banca Centrale Europea, quest’anno sta crescendo ad un tasso di circa l’1% annuo.
In realtà, le banche italiane sono state gestite in modo perfettamente prudente e ragionevole. Il problema è che l’economia è diventata molto più piccola. La crescita ha colpito un muro, e sembra impossibile farla tornare in vita. Nel 2015, l’economia italiana è cresciuta meno dell’1%. In realtà, l’economia in Italia è tuttora più piccola dell’8% di quanto era prima del crollo del 2008, e non è più grande di quanto fosse nel 1999, quando è entrata nell’euro.
Non è difficile capire cosa sta succedendo. Quando l’economia è così fiacca, un sacco di piccole imprese lottano per ripagare i loro debiti. Allo stesso modo, i mutui vanno male e così i prestiti al consumo. Un debito che sembrava perfettamente gestibile un decennio fa, non sembra così sano a 10 anni di distanza, quando l’economia è quasi un decimo più piccola, la disoccupazione è molto più alta, e i salari reali sono continuamente in calo.
Quindi i livelli di debito sono aumentati inesorabilmente, solo perché l’economia annaspa.
Ciò ha portato ad una marea di crediti inesigibili. Semmai, è sorprendente non che le banche siano in difficoltà, ma che c’è voluto così tanto tempo perché i problemi emergessero.
In realtà, quello che ha l’Italia è una crisi da euro, non è una crisi bancaria. La moneta unica ha distrutto la competitività di quello che, 20 anni fa, era un settore manifatturiero perfettamente sano. Ha succhiato domanda fuori dall’economia, e ha sovraccaricato la spesa dei consumatori.
La situazione peggiora. Le regole dell’Eurozona introdotte all’inizio di quest’anno significano che i detentori di obbligazioni, che in Italia sta ad intendere molti investitori privati, devono essere utilizzati per il “bail-in”. Il governo non può semplicemente salvare le banche nei guai. Deve fare in modo che anche gli investitori privati ricevano un brutto colpo – e dal momento che molti sono semplici risparmiatori, questo significherà un calo anche maggiore della domanda, e lascerà l’economia in una forma ancora peggiore.
Come vi dirà qualsiasi medico, a meno che la diagnosi non sia giusta non vi sarà alcuna speranza di successo del trattamento.
In questo momento, la BCE e i ministri delle Finanze della zona euro stanno agendo come se si trattasse di una crisi bancaria come tutti le altre. Aggiustare le banche, fermare i prestiti irresponsabili, e tutto andrà di nuovo bene. Ma questo non è vero.
Anche se le banche questa volta vengono riparate, in una economia stagnante, in un’economia stagnatne saranno nuovamente nei guai in qualche anno.
L’Italia è intrappolata nel peggiore dei mondi possibili – ed è diventata una vivida lezione di quanto sia diventato disfunzionale l’euro.

EUREXIT: APPELLO PER UN’ALTERNATIVA ALL’EURO (DALLA GERMANIA). - Stefano Solaro

Formulato poco prima del referendum in Regno Unito e pubblicato nel mese di  luglio, il seguente appello vede diversi illustri economisti, politici e docenti universitari tedeschi esprimersi apertamente per la prima volta in favore di un superamento dell’Euro. Sebbene non escludano del tutto l’ipotesi di una nuova unione monetaria, i firmatari riconoscono con decisione l’Euro come un sistema economico fallace, autoritario e antidemocratico, e ne invocano la fine. Secondo i relatori di questo documento ai popoli europei deve essere consentito abbandonare liberamente l’Unione Europea e gestire autonomamente le proprie economie, in modo da poter promuovere un sistema politico e sociale più equo e democratico. 
Traduzione di Stefano Solaro
 Un’alternativa all’euro
C’è un fatto oggettivo messo chiaramente in luce dal referendum sulla Brexit: l’Unione Europea non può proseguire sulla stessa strada. E’ arrivato il momento di un cambio di rotta radicale. Se ciò non avverrà, si giungerà inevitabilmente a fratture incontrollabili, conflittuali o addirittura esplosive. Per evitare questa deriva un’analisi delle problematiche insite nella valuta unica è urgente oltre che indispensabile. Questo, sebbene non sia l’unico, è il punto cardine per il futuro dell’Unione Europea. Far passare questo messaggio è l’obiettivo del nostro appello, che è stato elaborato prima del referendum nel Regno Unito.
 Un’Europa sociale e democratica bloccata
Il disegno istituzionale dell’Euro svolge un ruolo decisivo nella crisi dell’Unione Europea. Una riforma della moneta unica richiederebbe almeno che il Sudeuropa venga in parte sollevato dall’attuale pressione competitiva. Tutto ciò è impossibile senza un innalzamento dei salari tedeschi e senza un piano coordinato d’investimenti statali per progetti sociali ed ecologici, nonché un’efficace regolamentazione dei mercati finanziari.
Al contrario, le istituzioni europee, sotto la guida decisa della Germania, impongono da anni al Sud programmi di austerità che hanno eroso stato sociale e democrazia. Il fallimento di questa politica è ormai evidente.
In Europa meridionale i popoli vivono i tentativi di salvare l’Euro come una serie di continue umiliazioni, schiacciati sempre più nel ruolo di meri destinatari di diktat imposti dall’alto. Le contraddizioni dell’Euro-regime alimentano il risentimento tra le popolazioni dei Paesi membri e dividono l’Europa. È qui che vanno cercate le ragioni che hanno portato alla nascita di focolai nazionalistici e populismi di destra.
L’Euro – un problema chiave
Il fatto che l’Euro sia un progetto fallace è ammesso ormai da molti professionisti.
Per sorreggere questa fragile costruzione è stato creato un intero sistema d’impalcature di sostegno, come il Fiscal Pact, il Six Pack, il Two Pack e il MES. La così detta Relazione dei Cinque Presidenti prevede una più profonda integrazione secondo logiche neoliberiste e prosegue con la via dell’austerità irreversibile, che si trasforma quasi in un dettato costituzionale.
È necessario pensare ad alternative concrete all’euro. Come elemento centrale di un’economia, una valuta è sempre espressione di dominio e potere sociale. L’Euro è molto più di una moneta, una banconota o un saldo sul conto in banca. Si tratta di un sistema di regole e istituzioni, con la BCE in cima alla piramide. Il modo in cui questo regime valutario è stato progettato ha un enorme impatto sull’economia e sulla società.
Un organismo monetario alternativo non risolverebbe tutti i problemi che a oggi bloccano il percorso verso una politica orientata al bene comune. Tuttavia, il sistema valutario resta un punto fondamentale. Che la moneta sia economicamente neutra è un’opinione diffusa spesso e volentieri anche nei circoli di sinistra. Ma si tratta di una convinzione sbagliata.
Ciò che è necessario è una discussione aperta al fine di esaminare le varie proposte che sono sul tavolo e verificare la loro validità. Al centro della questione ci devono essere le condizioni per una risoluzione consensuale della moneta unica, pensando eventualmente a un nuovo regime monetario europeo. Per i firmatari di questo appello appare indispensabile permettere a singoli stati o gruppi di paesi un’uscita dal sistema euro controllata e solidale. Un nuovo sistema dovrebbe impegnarsi per la cooperazione monetaria ed evitare politiche pubbliche puramente nazionali. Allo stesso tempo, è necessario porre termine alla corrente posizione di potere assoluto della BCE, e consentire alle singole economie flessibilità e autonomia per il loro sviluppo economico e per il superamento di eventuali crisi. Una santificazione dell’euro non è più accettabile.
Giustizia sociale, controllo dei mercati finanziari e democratizzazione
Vogliamo una politica economica allineata agli interessi della maggioranza della popolazione e alle esigenze ambientali, e una politica fiscale e sociale equa. Quale livello – locale, nazionale, europeo – debba ricoprire quale ruolo, è una domanda aperta alla discussione.
Vogliamo una riforma fondamentale del sistema finanziario; il casinò va chiuso immediatamente. I mercati finanziari devono essere messi al servizio dello sviluppo sociale e ambientale. Pertanto respingiamo il progetto di un’unione dei mercati dei capitali, che promuoverebbe ulteriormente la liberalizzazione dei mercati finanziari.
Vogliamo un rinnovamento democratico. Ciò vuol dire anche rafforzare le democrazie dei Paesi membri, e proteggerle contro l’intrusione autoritaria di UE e BCE.
Giugno 2016
I primi firmatari
  • Michael Aggelidis, Bonn, Rechtsanwalt, Europapolitischer Sprecher im Landesvorstand DIE LINKE. NRW
  • Jürgen Aust, Duisburg, Giurista, M DIE LINKE, NRW
  • Dr. Harald Bender, Heidelberg, Akademie Solidarische Ökonomie, Leitungsteam Koordinator Grundlagenarbeit
  • Stephan Blachnik, Berlin, Sozialpädagoge
  • Dr. Diether Dehm (MdB), Musikproduzent, Liedermacher und Politiker (Schatzmeister der Europäischen Linken)
  • Armin Duttine, Berlin, Gewerkschaftssekretär
  • Prof. Dr. Wolfram Elsner, Bremen, Wirtschaftswissenschaftler, iino – Institute of Institutional & Innovation Economics
  • Prof. Dr. Heiner Flassbeck, Genf, Herausgeber Makroskop
  • Nicole Gohlke, München, MdB Die LINKE, Hochschul- und wissenschaftspolitische Sprecherin
  • Prof. em. Dr. Eberhard von Goldammer, Witten (Ruhr), Biophysiker
  • Karl-Heinz Heinemann, Köln, Vorsitzender der Rosa-Luxemburg-Stiftung NRW
  • Inge Höger, Herford, Bundestagsabgeordnete für DIE LINKE
  • apl. Prof. Dr. Martin Höpner, Köln, Politikwissenschaftler, Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung Köln
  • Willi Hoffmeister, Dortmund, Ostermarsch Rhein Ruhr Komitee
  • Jules El-Khatib, Landesvorstand Linke NRW
  • Ralf Krämer, Berlin, Gewerkschaftssekretär, Mitglied des Parteivorstands DIE LINKE
  • Dr. Lydia Krüger, Berlin, Mitglied des wissenschaftlichen Beirats von Attac
  • Kris Kunst, Mainz, Initiative „economy for the people“
  • Oskar Lafontaine, Saarbrücken, Vorsitzender der Fraktion der LINKEN im Landtag des Saarlands
  • Wilhelm Langthaler, Wien, Autor
  • Christian Leye, Bochum, Landessprecher DIE LINKE. Nordrhein-Westfalen
  • Prof. Dr. Ekkehard Lieberam, Rechts- und Politikwissenschaftler, Vors. Marxistisches Forum DIE LINKE Sachsen
  • Fabio De Masi, Mitglied des Europäischen Parlaments (DIE LINKE)
  • Dr. Julian Müller, Amsterdam
  • Siegfried Müller-Maige, Frankfurt, Ökonom, Attac
  • Prof. Günther Moewes, Dortmund, Verteilungskritiker
  • Dr. Werner Murgg, Abgeordneter zum Steiermärkischen Landtag und Stadtrat in Leoben
  • Prof. Dr. Andreas Nölke, Frankfurt, Politikwissenschaftler, Goethe Universität
  • Peter Rath-Sangkhakorn, Bergkamen, wiss. Mitarbeiter/Verleger;
  • Albert F. Reiterer, Wien, Statistiker, Demograph und Sozialwissenschaftler
  • Dr. Werner Seppmann, Gelsenkirchen
  • Dirk Spöri, Freiburg, Landessprecher DIE LINKE Baden-Württemberg
  • Dr. Paul Steinhardt, Wiesbaden, Herausgeber Makroskop
  • Steffen Stierle, Berlin, Attac-Aktivist, europ. Lexit-Netzwerk
  • Ben Stotz, Berlin, Organizer, DIE LINKE Berlin
  • Peter Wahl, Worms, WEED-Weltwirtschaft, Ökologie & Entwicklung, Wissenschaftlicher Beirat Attac
  • Andreas Wehr, Berlin, Jurist und Publizist
  • Lucas Zeise, Frankfurt/M., Chefredakteur der UZ, Zeitung der DKP
  • Thomas Zmrzly, Duisburg, Krankenpfleger, Duisburger Netzwerk gegen Rechts
http://vocidallestero.it/2016/07/24/eurexit-appello-per-unalternativa-alleuro-dalla-germania/

Dalmaviva, la lezione dimenticata di un gigante. - Pancho Pardi



È venuto a mancare Mario Dalmaviva, animatore di spicco dell’assemblea operai-studenti attiva a Torino e alla Fiat nel lungo autunno caldo tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70.

Era un uomo grande e grosso di indole dolce e affettuosa. Dirigente nel ramo editoriale, fu convinto dal maggio francese a dedicarsi alla pratica sociale.

Con entusiasmo e contagiosa freschezza mise la sua enorme energia e la sua irresistibile simpatia nella costruzione dell’alleanza sociale tra operai e studenti. Ciò gli valse l’odio dei padroni e l’ostilità dei sindacati. L’apparato dello Stato preparava in silenzio la sua vendetta.

Quando alla fine della lotta Fiat si formarono Lotta Continua e Potere Operaio, Dalmaviva era già di fatto un dirigente di quest’ultimo gruppo. Contro di esso, pochi anni dopo, con il “teorema Calogero”, sostenuto dal Partito comunista italiano, scattò l’operazione giudiziaria del “7 Aprile” con l’accusa, infondata, di fiancheggiamento delle Brigate Rosse. Dalmaviva, con molti altri, fu incarcerato. A quel tempo il “garantismo” non esisteva e gli imputati del “7 aprile” scontarono interminabili anni di carcerazione preventiva. Dalmaviva passò più di cinque anni in carcere prima di vedere riconosciuta la sua innocenza.

Affrontò la prova con forza d’animo e si trasformò in vignettista dal carcere. La sua risposta all’oppressione fu l’esercizio instancabile di una mite ironia. Ora, chi non era stato fiaccato da cinque anni di ingiusta detenzione si è arreso a una malattia incurabile.

Molti dei suoi compagni di allora, che a quel tempo con presunzione mal riposta lo consideravano moderato, ormai troppo tardi devono avere l’onestà di dichiarare: Marione sei stato il migliore di noi e avevi ragione tu.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/dalmaviva-la-lezione-dimenticata-di-un-gigante/

L'islamofascismo di Erdogan e le complicità dell'Occidente. - Paolo Flores d'Arcais



Nella Turchia di Erdogan è ormai vigente il fascismo. Volendo essere più esatti il fascioislamismo o islamofascismo. Di questo esito è complice Obama, la NATO e anche le istituzioni europee. 

Ovviamente non si poteva prevedere quale regime sarebbe scaturito dal successo del golpe dei militari anti–Erdogan, che comunque Usa e Nato avrebbero potuto condizionare in direzione democratica, ma certamente era più che prevedibile cosa sarebbe accaduto se Erdogan lo avesse sventato.

Del resto che il regime di Erdogan fosse avviato verso una fascistizzazione sempre più integrale e in chiave islamista era sotto gli occhi di tutti e questa rivista lo ha documentato in numerosi saggi nei numeri scorsi.

Decisivo per il fallimento del golpe è stato l'appoggio esplicito di Obama e della Nato ad Erdogan e al suo governo, considerato unico potere legittimo, esattamente come decisivo per la vittoria elettorale di Erdogan era stato l'esplicito appoggio della cancelliera Merkel nel suo viaggio in Turchia.

Ora l'Europa si indigna per la ventilata pena di morte che Erdogan vuole reintrodurre e per le condizioni di tortura delle migliaia di prigionieri e minaccia addirittura di non ammetterlo nelle istituzioni europee se continuerà su questa strada. Siamo alla follia: l'Occidente dovrebbe combattere Erdogan anziché sostenerlo "criticamente", dovrebbe appoggiare tutte le forze democratiche e laiche che in Turchia possono in prospettiva rovesciarlo. Ma come è noto "quos perdere vult, Deus dementat prius".


http://temi.repubblica.it/micromega-online/lislamofascismo-di-erdogan-e-le-complicita-delloccidente/

domenica 24 luglio 2016

TTP, TTIP, TISA e CETA: Un esperto dell’ONU li definisce illegali. - ERIC ZUESSE

TTIP, TTP, TISA and CETA: U.N. Legal Expert Calls Proposed Trade Deals “Illegal”

Ad Alfred de Zayas , esperto indipendente dell'ONU per la Promozione di un Ordine Internazionale Equo e Democratico, è stato assegnato il compito di verificare se i trattati sul commercio internazionale proposti tra i paesi atlantici (TTIP, TISA, e CETA) siano o meno in accordo con il diritto internazionale. Venerdì, 24 giugno de Zayas ha pubblicato il suo resoconto, arrivando alla stessa conclusione di un altro rapporto pubblicato in precedenza il 2 febbraio scorso sul TPP, il trattato di libero scambio tra le nazioni del Pacifico e cioè che tali trattati violano le leggi internazionali, e sono incompatibili con la democrazia.

Il resoconto sui trattati atlantici li condanna affermando che "accordi commerciali preparati e negoziati in segreto, escludendo le principali parti interessate, quali sindacati, associazioni dei consumatori, operatori sanitari, esperti ambientali e i rispettivi Parlamenti, non hanno alcuna legittimità democratica". Questo dice molto sulla natura dei trattati proposti dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che comprendono appunto il TPP, il TTIP, il TISA, ed anche il CETA, il trattato proposto tra l'UE e il Canada.
Egli ha inoltre osservato che "escludere il pubblico dalla partecipazione a questo importante dibattito è antidemocratico e manifesta un profondo disprezzo per la voce del popolo."
Un comunicato stampa delle Nazioni Unite datato 24 giugno, emesso dall' Ufficio dell'Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR), nota in particolare:

"Una consultazione precedente condotta dalla Commissione Europea nel 2014 registro il 97% degli intervistati provenienti da tutta Europa esprimere un parere contrario all'inclusione della protezione asimmetrica degli investimenti nel Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) con gli Stati Uniti. "Lo stesso varrebbe per il CETA, tuttavia nessuna consultazione è mai stata avviata".
"La Protezione asimmetrica degli investimenti" si riferisce al potere che questi trattati concedono alle società internazionali di citare in giudizio (per presunta perdita dei loro profitti) nazioni che aumentano i regolamenti per proteggere la sicurezza del pubblico da prodotti tossici, e da danni ambientali e che proteggono diritti dei lavoratori e altri diritti umani che possono anche, in alcune circostanze, ridurre i profitti aziendali. "Asimmetrico" si riferisce all’assenza nel trattato proposto di qualsiasi potere simmetrico concesso a un governo, di citare in giudizio a protezione del pubblico, una società internazionale che violi le sue leggi.

De Zayas va oltre la sola condanna di asimmetria, aggiungendo che, "In caso di conflitto tra gli accordi commerciali e trattati sui diritti umani, sono questi ultimi che devono prevalere. Gli Stati non devono stipulare accordi che ritardino, eludano, ostacolino o rendano impossibile l'adempimento di obblighi derivanti dal trattato sui diritti umani ".
In una dichiarazione al Consiglio d'Europa, il 19 aprile, de Zayas aveva inoltre affermato: «Due ontologie sembrano essere state perse nella narrazione ideologica aziendale. In primo luogo, l'ontologia dello Stato, la sua ragion d'essere, di legiferare nell'interesse del popolo, comprese le misure preventive per scongiurare potenziali danni alla popolazione. In secondo luogo, l'ontologia del business, che è quella di assumersi rischi calcolati per il profitto." 
De Zayas intendeva dire che i trattati proposti consentono agli investitori internazionali di ignorare la sovranità delle nazioni democratiche, e imporrebbero un proprio sistema di “arbitraggio” che non è tenuto a rispettare le leggi e la costituzione delle rispettive nazioni, violando di fatto il diritto internazionale.

Il comunicato stampa dell' OHCHR conclude:
   
"Gli accordi commerciali devono essere ratificati solo dopo una valutazione del loro impatto sui diritti umani, la salute e l'ambiente, cosa che non accaduta nel caso del CETA e del TTIP".
"La ratifica del CETA e del TTIP farebbe iniziare una “corsa al ribasso”, sui diritti umani e comprometterebbe seriamente lo spazio normativo degli Stati. Questo è in contrasto con i fini ed i principi della Carta delle Nazioni Unite e costituirebbe un serio ostacolo al raggiungimento di un ordine internazionale equo e democratico", ha concluso l'esperto indipendente delle Nazioni Unite.

Queste dichiarazioni di de Zayas non lasciano scampo ai trattati proposti. Come consulente legale indipendente nominato dall’ONU, egli sta dicendo che indipendentemente dal fatto che essi diventino effettivamente legge in un determinato Paese, sono comunque in palese violazione del diritto internazionale.

Lo storico investigativo Eric Zuesse è autore del recente "They’re Not Even Close: The Democratic vs. Republican Economic Records, 1910-2010" [“Nemmeno vicini: confronto tra i dati economici democratici e repubblicani, 1910-2010”, N.d.t.] e di "CHRIST’S VENTRILOQUISTS: The Event that Created Christianity" [“I ventriloqui di Cristo: gli eventi che hanno creato la Cristianità”, N.d.t].
Fonte: http://www.globalresearch.ca
Link
23.06.2016

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org FRANCESCO C

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