lunedì 31 luglio 2017

I primi uomini arrivarono in Australia già 65.000 anni fa. - Dario Iori



Alcuni scavi nel Kakadu National Park in Australia hanno portato alla luce un gran numero di manufatti la cui datazione permette di anticipare di almeno 15.000 la prima colonizzazione del paese, mettendo ancora una volta in discussione le nostre conoscenze sulle migrazioni umane.

Molti aspetti legati alle migrazioni di Homo sapiens dall’Africa risultano ancora oscuri e ampiamente da chiarire; fino ad oggi i modelli proposti non riescono a rimanere al passo con i ritrovamenti e le scoperte che quasi quotidianamente mettono in discussione le ipotesi degli scienziati. Se lo scenario si presenta enormemente complesso per quanto riguarda le migrazioni in Europa e nelle Americhe, la matassa sembrava più facile da districare in relazione all’arrivo dell’uomo moderno in Australia: i primi uomini sarebbero giunti in Australia attraversando l’Asia meridionale circa 45-50.000 anni fa, come confermato anche da analisi del DNA mitocondriale (Pikaia ne ha parlato qui) e avrebbero contribuito, tra le altre cose, all’estinzione dei marsupiali giganti della Tasmania e della megafauna dell’Australia (Pikaia ne ha parlato qui).

Un team di ricercatori guidati da Chris Clarkson della School of Social Science dell’Università del Queensland, però, ha rinvenuto, nella grotta di Madjedbebe all’interno del Kakadu National Park, a nord dell’Australia, alcuni reperti la cui datazione suggerisce la presenza dell’uomo già intorno a 65.000 anni fa, ovvero più di 15.000 anni prima di quanto si pensasse in precedenza. A partire dal 1973, il sito archeologico di Madjedbebe ha restituito più di 11.000 manufatti, ma sono stati gli ultimi scavi del 2012 e del 2015 i più fruttuosi, che hanno visto la cooperazione degli aborigeni locali della Terra di Mirrar. L’analisi dei manufatti rinvenuti e le tecniche di datazione utilizzate sono stati descritti su Nature.

Tra i ritrovamenti all’interno del sito, degna di nota vi è la presenza di rudimentali pastelli (ocra e altri colori) probabilmente importanti per il simbolismo e le manifestazioni artistiche (portata alla luce anche la mascella di una tigre della Tasmania, Thylacinus cynocephalus, ricoperta di rosso) e di mortai per la macinazione e la lavorazione di semi. Sono state rinvenute anche le asce più antiche mai ritrovate (risalgono a 20.000 anni prima delle altre trovate in precedenza) e altri strumenti.

Per quanto riguarda la datazione dei manufatti, i ricercatori hanno utilizzato il metodo del Carbonio-14 (tecnica che può arrivare ad analizzare materiale organico di 45-50.000 anni) per i reperti più superficiali, mentre per quelli più antichi, rinvenuti a circa 2,5 metri di profondità, si sono serviti della luminescenza stimolata otticamente (OSL) che si basa sull’ultima volta che del terreno è stato esposto alla luce del sole. Alcuni studenti coinvolti nell’indagine hanno poi esaminato al microscopio ottico la composizione dei vari strati di sedimento rinvenuti nello scavo, e tali analisi, insieme ad altre prove (ad esempio la cottura di campioni di suolo a differenti temperature) hanno permesso una ricostruzione del clima nord- australiano al momento dell’arrivo dei primi colonizzatori, che doveva essere più umido e freddo rispetto ad oggi.

Come già affermato, la datazione dei sedimenti suggerisce che i primi insediamenti nel luogo siano avvenuti circa 65.000 anni fa, anche se alcuni reperti potrebbero risalire addirittura a 80.000 anni fa. Questa retrodatazione, che trova conferma in un’analisi condotta sul materiale genetico ottenuto dalla ciocca di capelli di un aborigeno dell’Australia sud occidentale risalente a circa 100 anni fa (Pikaia ne ha parlato qui) ha numerose implicazioni.

Prima di tutto, il fatto che gli antenati degli aborigeni fossero presenti in Australia già 65.000 anni fa, permette di affermare che essi convissero per quasi 20.000 anni con la megafauna locale (canguri, vombati e tartarughe giganti) e probabilmente non è dunque attribuibile a loro l’estinzione di queste specie animali. In secondo luogo, la presenza di Homo sapiens nel continente australiano 10.000 anni prima rispetto alle nostre conoscenze precedenti, consente di ipotizzare un loro contatto con Homo floresiensis (l’hobbit dell’isola di Flores, in Indonesia, di cui Pikaia ha parlato ad esempio qui) andando ad aggiungere altre possibili interazioni tra le specie del genere Homo (Neanderthal, Denisoviani) in uno scenario già di per sé estremamente complesso.

Riferimento:
hris Clarkson, Zenobia Jacobs, Ben Marwick, Richard Fullagar, Lynley Wallis, Mike Smith, Richard G. Roberts, Elspeth Hayes, Kelsey Lowe, Xavier Carah, S. Anna Florin, Jessica McNeil, Delyth Cox, Lee J. Arnold, Quan Hua, Jillian Huntley, Helen E. A. Brand, Tiina Manne, Andrew Fairbairn, James Shulmeister, Lindsey Lyle, Makiah Salinas, Mara Page, Kate Connell, Gayoung Park, Kasih Norman, Tessa Murphy, Colin Pardoe. Human occupation of northern Australia by 65,000 years agoNature, 2017; 547 (7663): 306 DOI: 10.1038/nature22968

Immagine da Wikimedia Commons

Siamo schiavi di una montagna di debiti o di un castello di carte? - Fabio Conditi

La piramide finanziaria del debito

C’è un sentimento che mi pervade da quando ho capito come funziona il sistema monetario e questo sentimento è di incredulità. Da quando ho acceso la luce su questo assurdo sistema, continuo a chiedermi come la gente non veda chiaramente che il suo funzionamento ci rende schiavi nella nostra vita di tutti i giorni.
La Crisi economica viene attribuita ai motivi più svariati e la popolazione non si rende conto che la realtà è ben diversa. Una realtà che ci viene descritta come l’unica possibile, ma che invece è solamente quella che ci fanno vivere. Un vivere virtuale, tipo quello di The Truman Show o di Matrix.
Frase di Henry Ford sul sistema bancario
Pensare che quasi un secolo fa Henry Ford disse apertamente come ci stavano ingannando e che bastava poi poco perché il popolo si svegliasse. Ma invece di svegliarci siamo caduti in un sonno profondissimo, che ha peggiorato addirittura le cose.
Siamo sempre stati e lo siamo tutt’ora Sovrani della nostra moneta. Ma essendo stata legata all’oro, è stata sempre scarsa quindi, ha avuto bisogno di essere affiancata da altri strumenti “a debito”, come le banconote e la moneta bancaria, che permettessero di ampliare la base monetaria per soddisfare le esigenze di scambi elevati della nostra economia.
Ma la moneta non è più legata all’oro dal 1971, e la base monetaria generata dagli Stati si è ridotta a tal punto che ormai tutta la moneta che usiamo proviene dal sistema bancario, alimentato dal più generale sistema delle Banche Centrali.
Purtroppo questa evoluzione è stata accompagnata dalla volontà dei nostri Governanti, di rendere il sistema bancario completamente indipendente dagli Stati, senza che nessuno si ponesse il problema di verificare chi controlla la creazione e gestione del denaro, ma soprattutto nell’interesse di chi.
Falcone diceva : “Segui il denaro e troverai la mafia”. Proviamo a seguire il suo consiglio e cerchiamo di capire dove finiscono i soldi e perché.
La piramide dei flussi finanziari del nostro sistema monetario
Abbiamo immaginato il sistema economico come una grande piramide, dove gli strati inferiori sostengono quelli superiori con continui flussi di denaro dovuti alla particolare situazione monetaria che è stata realizzata, mentre il vertice della piramide controlla e gestisce tutta la moneta che usiamo negli scambi economici.
Alla base di questa piramide ci siamo noi, come cittadini e come aziende. Noi cittadini ed aziende che lavoriamo e viviamo nell’economia reale, siamo più del 99% di tutta la popolazione mondiale e siamo la mandria di pecorelle inconsapevoli da tosare, grazie al nostro bisogno di moneta per scambiarci beni e servizi e alla necessità di pagare le tasse.
Sopra di noi lo Stato, che avendo rinunciato ad utilizzare la propria e quindi la nostra sovranità monetaria, non fornisce più moneta a cittadini ed aziende, ma anzi ne toglie, inventandosi tasse,  alzando aliquote, chiedendo nuovi oneri, non rigirando poi questi balzelli nella spesa pubblica. Avendo anche un debito pubblico elevato e dovendo pagare interessi, si finanzia con l’emissione di titoli di Stato per ricevere in definitiva moneta creata dal nulla dal sistema bancario privato, che in realtà avrebbe potuto creare direttamente.
Ma il denaro creato dal sistema bancario privato viene solamente prestato, per cui le banche private percepiscono sia gli interessi sulla moneta creata per comprare i Titoli di Stato, cioè sul debito pubblico, che sulla moneta presa in prestito da cittadini ed aziende, cioè sul debito privato, sottraendo risorse all’economia reale.
Solo il costo degli interessi sul debito pubblico e privato, in Italia raggiunge un valore orientativo di circa 200 mld di euro all’anno, pari a più del 12% del nostro PIL, ma c’è ben altro.
Le banche a loro volta sono inserite nel sistema delle Banche Centrali, alle quali pagano interessi sul denaro che ricevono prima di moltiplicarlo a dismisura attraverso la creazione dal nulla della moneta elettronica bancaria.
Le Banche Centrali, compresa la BCE, che dovrebbero essere indipendenti, sono in realtà controllate dal sistema bancario stesso, nominando uomini a loro “fedeli”, che fanno apertamente gli interessi del settore bancario e finanziario, come ho già spiegato nei miei articoli precedenti su Mario Draghi della BCE ed Ignazio Visco della Banca d’Italia.
Arrivando con non poca fatica fino in cima alla piramide troviamo il settore finanziario, che oltre a controllare buona parte del sistema bancario, quindi anche le Banche Centrali, viene continuamente alimentato di liquidità da parte di queste ultime, come la BCE, attraverso operazioni di Quantitative Easing, con giustificazioni ridicole come quella che in questo modo tutti saranno incentivati ad investire nell’economia reale.
Ma questo non avviene quasi mai!
Infatti l’economia reale continua ad essere depredata, attraverso la vendita alla popolazione, di prodotti finanziari sempre più complessi e di beni e servizi reali prodotti da multinazionali sempre più grandi e globali, che avendo accesso illimitato al credito, sono in grado di eliminare qualsiasi concorrenza da parte delle aziende locali.
Il risultato è una piramide finanziaria che permette a meno dell’1% della popolazione di arricchirsi, attraverso l’emissione e la gestione della moneta a debito, tutto ciò senza che il 99% se ne renda minimamente conto.
In questo modo una cerchia di persone sempre più ristretta, ha le risorse per aumentare la propria influenza nella società, annullando il potere degli Stati e colonizzando di fatto l’economia reale, cioè in definitiva la nostra vita.
Un sistema così congegnato sembrerebbe inattaccabile, ma la Crisi Finanziaria Globale del 2007 ha invece dimostrato che è fragilissimo, in grado di innescare grandi perdite non solo nell’economia finanziaria che l’ha generata, ma anche in tutti gli altri settori dell’economia in tutto il mondo.
Questo è accaduto perché tutti gli strumenti monetari che usiamo sono basati sulla fiducia perchè sono un debito, cioè un “pagherò”. Se dall’interno del sistema bancario e monetario qualcuno non è in grado di mantenere la propria promessa, a catena tutti si sentono a rischio e il sistema crolla perché basato solo sulla fiducia, soprattutto degli utilizzatori maggiori che siamo noi componenti di quel 99% della popolazione che sta alla base della piramide.
Il castello di carte nel cielo
In realtà più che di piramide potremmo parlare di castello di carte, dove gli strati inferiori, noi, sostengono tutta la struttura, senza rendersi conto, ignoranti o inconsapevoli, che intanto ai piani alti continuano ad arricchirsi grazie al nostro lavoro.
Come Nio all’inizio del film Matrix, o Jim Carrey in The Truman Show, sentiamo che c’è qualcosa che non va, cominciamo a capirlo pian piano vedendo che la fatica quotidiana che ci sobbarchiamo, dopo tanto lavorare, ci lascia fermi allo stesso livello di quando abbiamo cominciato.
In realtà lo sappiamo che così non va, ma le distrazioni a cui ci sottopongono, dal lavoro sempre più stressante, agli svaghi di massa, alla televisione o ai social sempre più strumenti di controllo assoluto, ci oscurano la vista non facendoci vedere la semplice realtà. Perché la realtà è semplice siamo noi che dobbiamo renderci conto che queste distrazioni sono fette di prosciutto sui nostri occhi. Abbiamo gli occhi foderati di prosciutto e non ce ne rendiamo conto.
La percezione che abbiamo nei riguardi della moneta, è che venga generata dal nostro lavoro o dalla produttività delle nostre aziende.
Niente di più falso, il lavoro è solo uno dei mezzi con cui viene fatta girare. Più lavoro c’è, più veloci sono gli scambi di beni, più moneta riesce a girare. Più beni si scambiano, meno lavoranti li producono, più moneta arriva ai piani alti. È un problema o un vantaggio, per la punta della Piramide, la dissocupazione?
Ma prima ancora di essere scambiata, la moneta deve essere creata da qualcuno, altrimenti non si genera da sé. Non è il lavoro a generarla, il lavoro produce solo beni e servizi, non moneta. E se manca la moneta tutto si ferma, anche se siamo in abbondanza di risorse ambientali ed umane.
La Moneta si crea, tutto il denaro che maneggiamo viene creato dal nulla, non nasce grazie alla nostra attività, ma questo fatto entra in totale contraddizione con la continua mancanza di denaro in ogni settore della nostra vita privata e pubblica.
Non ci sono soldi per manutenzioni ordinarie nei nostri Comuni, per nuove infrastrutture, per case e scuole sicure, per ampliare l’offerta dell’insegnamento ai nostri figli. Non ci sono soldi per aumentare le pensioni minime, anzi li vanno a prendere dalle pensioni, perché dicono che non ne hanno. Non ci sono soldi per nuovi ospedali, per assumere nuovi dottori e infermieri, non ci sono soldi per curare malati terminali, non ci sono soldi per nuove macchinari. Non ci sono soldi per raccogliere le macerie post terremoto, figuriamoci per ricostruire. E quando all’improvviso questi soldi appaiono, i politici si ergono fenomeni, salvatori della Patria, miracolanti 2.0.
Siamo arrivati all’assurdità, notizia di questi giorni è che il nostro sistema idrico perde letteralmente acqua lungo tutte le sue condutture, ma non abbiamo i soldi per ripararle. Nonostante l’emergenza siccità ci obblighi a risparmiare questo bene e nonostante sia evidente che il rifacimento della rete idrica potrebbe farci risparmiare acqua per gli anni a venire, continuano a dirci che non ci sono i soldi per farlo.
Questi sono tutti esempi nei quali un eventuale investimento da parte dello Stato, oltre a produrre un vantaggio immediato in termini di occupazione e di aumento del PIL, produrrebbe nel medio periodo un risparmio che permetterebbe di rientrare in pochi anni dell’investimento e nei successivi addirittura di guadagnarci.
Ma continuano a dirci che non ci sono soldi.
In realtà non è così perché sappiamo che il denaro viene creato in grandi quantità da parte della BCE, solo che viene utilizzato unicamente per fornire liquidità ai mercati finanziari, tramite il Quantitative Easing, ed al sistema bancario, tramite gli LTRO, cioè prestiti a tasso negativo.
Ma la quantità creata dalla BCE è volutamente scarsa, costringendoci ad richiedere prestiti al sistema bancario, che crea dal nulla moneta elettronica e genera la maggior parte dei flussi della piramide. Perché tutti hanno bisogno di moneta, che viene prestata a Stati, aziende e cittadini, alimentando il debito pubblico e privato e sottraendo con gli interessi, enormi risorse dall’economia. Interessi sempre maggiori che portano continui guadagni alle banche e scoraggiano la richiesta di ulteriori Prestiti.
La gestione da parte di soggetti privati quali banche e mercati finanziari della moneta evidenzia quanto assurdo sia questo sistema. Perché alla fine siamo noi cittadini, con le nostre spese quotidiane e con il pagamento delle tasse che lo Stato ci impone, a darle valore e a renderla legale.
E’ come se noi fossimo proprietari di un terreno dove crescono spontaneamente alberi da frutto, che diamo in gestione ad un privato, al quale oltre a pagare la frutta che ci fornisce con gli interessi, paghiamo anche i mezzi per coltivarla senza chiedergli costi di gestione o l’affitto del terreno.
Tra l’altro la maggior parte della frutta che cresce sul nostro terreno, viene fornita solo a pochi privilegiati che se ne approfittano per arricchirsi sempre di più a scapito di tutti gli altri. A noi ed allo Stato, che siamo i proprietari del terreno, non rimangono che le bucce !
Sistema monetario che aspira risorse dal 99% della popolazione
Siamo immersi in una truffa colossale, una enorme piramide che come un aspirapolvere, risucchia  continuamente risorse dall’economia reale, costituita dal 99% della popolazione, a favore di un 1% di privilegiati.
Un castello di carte che deve la sua stabilità alla fiducia tra i singoli componenti, soprattutto degli strati inferiori. ma soprattutto della loro inconsapevolezza di come funziona il sistema del debito.
Ma cosa succede se alcuni di noi tolgono la propria fiducia, cioè anche solo una carta del primo strato?
Il sistema crolla …
Ricordiamoci sempre che siamo noi e lo Stato che ci rappresenta a dare valore alla moneta che usiamo, dobbiamo solo diventare consapevoli e smetterla di credere che il sistema attuale sia l’unico possibile.
La moneta deve e può essere di proprietà dei cittadini, libera dal debito ed utilizzata per il benessere di tutti.
Fabio Conditi con la collaborazione di Enrico Pasini. Presidente e socio dell’Associazione Moneta Positiva www.monetapositiva.blogspot.it

Le tre forze.

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Il problema sta anche nel fatto che c'è chi comanda e vuole continuare a farlo, la prima forza, e chi, la seconda forza, vorrebbe, invece, ribaltare la situazione degenerata ed in putrefazione per creare qualcosa di più accettabile; 
ma si trova a dover lottare contro i primi, la prima forza, e contro una terza forza, la meno appariscente, quella più subdola, quella composta da chi spera di ottenere qualcuna delle briciole che cadono dal piatto di chi comanda, e gli si sottomette, infondendogli linfa vitale.
Sono quelli della terza forza, infatti, a far si che il danno provocato dai componenti della prima forza persista e apra la strada alla dittatura camuffata da democrazia.
In altri termini, quelli della terza forza, sono i maggiori colpevoli, quelli da combattere perchè, consci della loro inutilità, si appoggiano a chi li usa per il raggiungimento di scopi personali, accrescendone la supremazia. 
Ignari del fatto che, se si alleassero a quelli della seconda forza, accrescerebbero il benessere totale senza doversi prostrare ad alcuno.
Siamo, pertanto, in balia di corruttori e corrotti.
Credo che sarà molto difficile cambiare lo status quo; 
loro, quelli della prima forza, agiscono e tramano nell'ombra, hanno armi potenti: le leggi ad personam e i mass media al loro servizio, la terza forza, noi a nostro vantaggio abbiamo solo l'onestà e la libertà di pensiero...entrambe perdenti perchè armi potenti solo per l'intelletto..... ormai quasi estinto nella maggior parte dei casi.

Ater, cronaca di una crisi annunciata. Tra case in cambio di voti e affari dei clan, il 51% degli affitti non viene pagato. - Vincenzo Bisbiglia

Ater, cronaca di una crisi annunciata. Tra case in cambio di voti e affari dei clan, il 51% degli affitti non viene pagato

L’azienda regionale che gestisce le case popolari nella Capitale rischia il fallimento. Che potrebbe sfociare in un'ondata di sfratti. Colpa del maxi debito accumulato negli anni causa incassi mancati, canoni fermi a pochi euro al mese e tentativi di vendita delle abitazioni falliti. Per non parlare degli interessi criminali (nei quartieri di sud-est il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica) e degli inquilini facoltosi che sfuggono ai controlli.

“Il problema di Ater? Pensa ancora di essere Iacp”. Tradotto: una società di diritto privato – seppure a capitale totalmente pubblico – che si comporta ancora come un istituto assistenziale del secolo scorso. E’ probabile che questa spiegazione, ricorrente fra i sindacati degli inquilini, possa riassumere in un colpo solo i mali endemici che hanno colpito l’Ater di Roma, l’azienda regionale che gestisce le case popolari nella Capitale, fino a spingerla in queste ore sull’orlo di un drammatico fallimento, non ancora scongiurato dall’intervento straordinario di garanzia operato dal suo socio unico, la Regione Lazio. Per i suoi 48.426 alloggi la società – commissariata dal dicembre 2015 – incassa esattamente la metà degli affitti dovuti (48,91% l’ultimo dato aggiornato), non riesce a vendere gli immobili che mette all’asta (sebbene i prezzi siano anche 5 volte più bassi di quelli di mercato) e conta una percentuale di inquilini “senza titolo” o “abusivi” pari a circa il 60% del totale, fenomeno in cui negli anni si sono insinuate le classiche clientele politiche e gli affari di clan criminali come i Casamonica e gli Spada.
MOROSITA’ E CORTE DEI CONTI.Il dato che salta maggiormente all’occhio è quello della morosità. I numeri ufficiali relativi al bilancio 2015 – quelli del 2016 non sono ancora disponibili – parlano di canoni non incassati per il 51,08%. Tradotto in denaro, a fronte di bollette emesse per 78,9 milioni di euro, gli inquilini corrispondono regolarmente appena 38,6 milioni, ben 40,3 milioni di differenza: in 10 anni sarebbero oltre 400 milioni persi per strada. 
I più indisciplinati sono i cosiddetti “occupanti senza titolo”, cioè chi non avrebbe diritto ad abitare quegli alloggi per motivi reddituali o per mancato rispetto delle graduatorie: ogni anno non versano nelle casse Ater ben 28,4 milioni contro i 34,8 milioni emessi in bolletta (84%). Più sostenibile, si fa per dire, la morosità degli utenti regolari (6,1 milioni, il 20,76%) mentre anche coloro che sono “in attesa di regolarizzazione” non pagano canoni per 4,9 milioni l’anno (41,21%). “Tra l’altro l’azienda – spiega Guido Lanciano, segretario dell’Unione Inquilini – ha la pessima abitudine di inserire in bolletta canone e utenze condominiali, per cui i morosi abituali finiscono per non pagare ne’ l’uno ne’ le altre”. Non solo. Sempre nel 2015, il tentativo di “aggredire le morosità” pregresse è miseramente fallito: su un importo di 25,3 milioni ne sono stati recuperati appena 2,3 milioni, più 4 milioni rateizzati. Uno “scandalo” che ha spinto il procuratore regionale della Corte dei ContiGuido Patti, a portare sotto processo contabile ben 20 fra i dirigenti che si sono alternati ai posti di comando dell’ente fra il 2011 e il 2015, contestando loro un presunto danno erariale di ben 24,6 milioni di euro (sarebbero state spedite soltanto 844 diffide contro le 5.486 posizioni critiche): soldi che i manager in caso di condanna potrebbero essere costretti a pagare di tasca loro
DIATRIBA SUI CANONI.Altro tema è quello dell’importo dei canoni. E’ opinione comune che la quota degli affitti fissati dalla Regione Lazio sia troppo bassa. Gli assegnatari più indigenti, infatti, corrispondono l’importo minimo di 7,75 euro, la traduzione delle vecchie 15.000 lire previste da una legge regionale risalente al 1987. Da allora i canoni non sono stati più aggiornati. Un alloggio medio fra quelli presenti nel patrimonio Ater misura circa 75 metri quadri, mentre il canone mensile medio è di 128 euro, valori validi anche per quartieri romani oggi di pregio come Monti (zona Colosseo), San Saba e Trastevere. Da un confronto fra i ricavi da canoni Erp e i valori di mercato (dati dell’Osservatorio immobiliare) si evince sulla città di Roma una “perdita/utilità sociale” di circa 280 milioni di euro. “Da tempo proponiamo di elevare il canone del 20-25% – sottolinea ancora Lanciano – fattore che consentirebbe all’azienda di respirare. Per i più indigenti non cambierebbe molto spendere 7,75 o 10 euro al mese”.
VENDITE FALLITE.
In una concezione moderna, l’obiettivo finale di un’azienda che gestisce l’edilizia residenziale pubblica dovrebbe essere la vendita: costruisco (o rigenero) e assegno con l’obiettivo di portare la famiglia in graduatoria all’acquisto dell’alloggio. Un meccanismo virtuoso che in Ater Roma non è mai iniziato. “Qui siamo fermi a Petroselli – ricorda Nicola Galloro, consigliere capitolino di centrosinistra ai tempi di Walter Veltroni – quando si toglievano i poveracci dalle baracche e si dava loro un tetto. Una grande stagione, fondamentale per la città, ma ora i tempi sono cambiati: le famiglie vanno aiutate ad emanciparsi”. Dunque, a un certo punto, l’Ater dovrebbe vendere, per monetizzare e tornare a investire. Eppure non ci riesce, nonostante i prezzi fissati siano a dir poco concorrenziali: in media appena 61.000 euro, quanto un privato chiede per un box auto in periferia. Basti pensare che nel 2015 l’azienda è riuscita ad “alienare” solo 283 alloggi, per un incasso di appena 17,2 milioni di euro e anche l’ultima maxi-vendita voluta dalla gestione commissariale è terminata con la cessione di 8 locali e 2 aree di proprietà. Si legge candidamente sulla relazione allegata al bilancio: “I quartieri in lavorazione presentano problematiche di tipo tecnico-catastale”, mentre “i reiterati tentativi di completare le vendite nei condomini costituiti non hanno dato i risultati sperati, trattandosi per lo più di utenza che non ha mostrato interesse all’acquisto’.
CAOS ICI E DEBITI
Il caos generato da anni di “gestioni allegre” e problematiche sociali non semplici da affrontare ha portato all’attuale, drammatica, situazione contabile. Ater Roma ad oggi conta debiti per 1 miliardo e 448 milioni di euro. Il cappio al collo è rappresentato dai 543 milioni di euro dovuti a Equitalia, che grazie alla rottamazionedel debito potrebbero scendere a quota 280 milioni. Ma Ater deve versare entro la mezzanotte del 31 luglio la prima rata da 65 milioni. In pratica, l’azienda non ha mai pagato (dal 2000 a oggi) Ici e Imu, sperando che il governo approvasse una legge che la esentasse, provvedimento che non e’ mai arrivato. “E’ un po’ iniquo – afferma ancora Lanciano – che si debba pagare la tassa sulla casa popolare e il costruttore che ha un alloggio sfitto non debba versare un euro”. Ma non è l’unica voce passiva a preoccupare chi gestisce i conti. Ci sono anche 734 milioni relativi alla “gestione speciale per opere in corso di realizzazione”: in pratica sono soldi prestati dal Comitato Edilizia Pubblica che sarebbero dovuti servire per costruire nuovi alloggi popolari e “opere di urbanizzazione socialmente rilevanti” ma che nel corso degli anni sono stati utilizzati nella spesa corrente come liquidità.
FATTORE CLAN E CRIMINALITA’
Naturalmente, per analizzare a dovere la questione Ater, non si può far riferimento solo alla lettura dei bilanci e alle analisi economiche. L’edilizia residenziale a Roma, infatti, è da decenni preda delle organizzazioni criminali della capitale, le quali – al netto delle singole illegalità – hanno dato vita a un vero e proprio mercato nero degli alloggi. Basti pensare all’operazione “Sub Urbe”, grazie alla quale la Dda di Roma sgominò una parte degli affari del clan Spada a Ostia, protagonista di sfratti “coatti”, usura e traffico di alloggi. Situazione simile a quella che si vive nei quartieri a sud-est di Roma, dove il cognome di oltre 40 assegnatari è Casamonica e il prezzo è quasi sempre quello base di 7,75 euro. Secondo i rapporti della Polizia Locale – che negli anni ha indagato e provare ad arginare i fenomeni di illegalità – gli interessi degli “zingari” (Casamonica, ma anche Spada e Di Silvio) si incrociano con i “napoletani”, varie famiglie camorristiche fuggite dalle faide anni ’80 e ’90 all’ombra del Vesuvio e stabilitesi nella periferia romana. “Non mi stupirei se trovassi qualcuno dei Casamonica in case da sessanta metri quadrati e con la Ferrari in garage”, affermava beffardo qualche anno fa l’attuale deputato Pd Stefano Esposito. Secondo la Guardia di Finanza, il “traffico di alloggi” nella Capitale si aggira sui 1.500 appartamenti.
LA POLITICA E GLI INQUILINI “FACOLTOSI”Ma non è solo questione di criminalità. Anche (o soprattutto) la politica, negli ultimi decenni e con tutti i colori politici, ha sguazzato nel far west delle case popolari a Roma. D’altronde il tetto – insieme al lavoro – è da sempre merce di scambio elettorale, specie fra le classi meno abbienti. “Sindacati e politica – denuncia a IlFatto.it Annamaria Addante, voce storica dell’Associazione Inquilini e Proprietari Ater – si sono spartiti da sempre la torta. Per anni ho denunciato i funzionari che hanno portato avanti il business delle occupazioni: davano le dritte per sfondare, poi prendevano mazzette e voti”. E nelle case ci finivano anche vip e personaggi “facoltosi”. Celebre il caso del quartiere San Saba, una delle zone più affascinanti del centro capitolino, dove un tempo furono costruiti alloggi destinati alle famiglie dei ferrovieri. Oggi, in quelle case popolari – è la stessa Ater a dirlo – ci vivono decine di avvocatimedicidiplomatici, professionisti e familiari di politici, i quali puntualmente, all’arrivo dei controlli, non si fanno trovare in casa. Celebre il caso dell’ex marito di Renata PolveriniMassimo Cavicchioli, venuto alla luce poco le elezioni regionali del 2010: l’uomo, esperto informatico ed ex sindacalista, venne sfrattato nel 2014 dalla casa in cui era nato e che aveva “ereditato” dalla madre scomparsa, ma che aveva anche più volte subaffittato.
COSA ACCADE SE FALLISCEIl quadro, dunque, è questo. Ma cosa accade se Ater fallisce (oggi o fra qualche mese)? La prima conseguenza è quella comune a tutte le aziende in default: si blocca il pagamento degli stipendi (circa 460 persone) e delle fatture ai fornitori, creando un primo serio problema all’amministrazione regionale. C’è però dell’altro. Se il socio unico (la Regione Lazio) non ripianasse i debiti e, in pratica, internalizzasse la struttura, ai creditori potrebbe essere consentito di aggredirne il patrimonio, prendendo in custodia i quasi 50.000 immobili e, attraverso il curatore fallimentare, procedere alla vendita. A quel punto, non ci sarebbe alcuno spazio per la trattativa politica: indigenti o no, regolari o no, agli inquilini potrebbe essere concessa una prelazione (a prezzi di mercato), la cui alternativa sarebbe solo la vendita all’esterno e, quindi, lo sfratto. Con conseguente disastro sociale.

Putin caccia 755 diplomatici americani da Mosca.

Vladimir Putin © EPA

Presidente russo, 'è venuto il momento di rispondere a Usa'.

Vladimir Putin caccia 755 diplomatici americani dalla Russia in ritorsione alle sanzioni contro Mosca approvate dal Congresso statunitense. L'annuncio del presidente russo conferma il pugno duro di Mosca e arriva nonostante il provvedimento non sia entrato ancora in vigore.
Il testo del progetto di legge e' infatti sul tavolo del presidente Donald Trump che, pur essendosi impegnato a firmarlo, ancora non lo ha fatto. "Ha detto chiaramente che lo farà" precisa il vice presidente Mike Pence, smorzando le critiche.
In un'intervista a Rossiya 1, Putin parla di pazienza esaurita: "abbiamo aspettato per un po'" un cambiamento e un miglioramento dei rapporti con gli Stati Uniti, "ma giudicando da tutto, se qualcosa cambierà non sarà a breve" afferma il presidente russo. I diplomatici americani dovranno lasciare la Russia entro l'1 settembre: a partire da quel momento gli Stati Uniti potranno contare al massimo 455 diplomatici nelle loro rappresentanze in Russia, cioe' esattamente quanti ne ha il Cremlino fra ambasciata e consolati americani.
''E' venuto il momento di mostrare agli Stati Uniti che non lasceremo le loro azioni senza risposta. Washington ha assunto posizioni che peggiorano i nostri rapporti bilaterali e possiamo mettere in campo anche altre misure per rispondere" aggiunge Putin, confermando le parole del vice ministro degli esteri Sergei Ryabkov. In un'intervista ad Abc, Ryabkov ha parlato di ''varie opzioni'' a disposizione di Mosca, senza sbilanciarsi sui dettagli. L'annuncio di Putin rappresenta un'escalation negativa nei rapporti con Washington, nonostante il dialogo ''costruttivo'' fra Trump e il presidente russo ad Amburgo a margine del G20.
Non è escluso che Mosca possa inasprire ulteriormente la sua ritorsione contro gli Stati Uniti per sanzioni ritenute ingiustificate. Sanzioni criticate duramente anche dall'Unione Europea. E accolte con scetticismo anche da Trump: il provvedimento approvato dal Congresso non impone solo sanzioni alla Russia, ma limita allo stesso tempo l'autorità del presidente su una loro eventuale abolizione. Pur non convinto Trump ha assicurato che firmerà il progetto, decidendo cosi' di non aprire un nuovo fronte di scontro con il Congresso sulla Russia, che già è al centro delle indagini che vendono coinvolto il presidente.

sabato 29 luglio 2017

Perchè protestiamo.

Risultati immagini per oppressione,

Il problema della nostra continua protesta nei confronti di chi ci governa sta nei paradossi che compiono regolarmente legiferando.

Sta nel fatto che ci impongono cure che non vorremmo fare, ci impongono di tenere in vita ammalati senza speranza (accanimento terapeutico) e, nello stesso tempo, permettono alle fabbriche di veleni di continuare ad avvelenare l'aria che respiriamo, la terra che coltiviamo, l'acqua che beviamo; 
oltretutto, non fanno nulla per salvare la terra dal surriscaldamento globale, il mare dall'inquinamento e tanto ancora.
Il problema sta nel fatto che sono poco credibili, ed è per questo che ci sentiamo in diritto di dubitare di ciò che dicono quando legiferano volendoci far credere che lo facciano per il nostro bene.
Quando si legifera per il bene comune la cittadinanza vive bene, è soddisfatta.
Non non viviamo bene, non siamo soddisfatti e ci sentiamo oppressi dalle tasse che paghiamo senza ricevere nulla in cambio; 

se ne deduce, pertanto, che chi ci governa non legifera per soddisfare i nostri interessi, ma per agevolare chi gli permette di mantenere potere e prestigio.

Non ci sono alternative.

Primum Vivendi, deinde philosophari. - Marco Travaglio



Flavio Cattaneo non mi è mai stato particolarmente simpatico. L’ho attaccato duramente nel 2004, quand’era Dg della Rai berlusconiana che chiuse Raiot di Sabina Guzzanti (Rai3) dopo una sola puntata dedicata ai conflitti d’interessi di B., anche se poi si scoprì che il programma stava quasi più sulle palle alla sinistra che alla destra (il direttore di Rai3 Ruffini e la presidente Annunziata non mossero un dito). Ma confesso che il dibattito sulla sua buonuscita milionaria mi appassiona fino a un certo punto. È un bravo manager Cattaneo? Pare di sì, a giudicare dai risultati: ha fatto bene a Terna, ha fatto bene a Ntv (la società dei treni Italo), ha fatto bene a Telecom-Tim. Il mese scorso bastarono le prime indiscrezioni sulla sua cacciata dalla compagnia telefonica italo- francese (la controlla Vivendi di Vincent Bolloré), perché il titolo in Borsa perdesse 4 punti in un giorno: gli azionisti, soprattutto i fondi d’investimento internazionali, si fidano di lui. Poi quelle voci si rivelarono fondate e allora, per tranquillizzare i soci, Vivendi si affrettò a far circolare la leggenda che l’addio dell’Ad è concordato e consensuale: invece lo sanno tutti che un manager di quel livello non se ne va d’amore e d’accordo con la proprietà dopo appena un anno e mezzo. In caso di divorzio spontaneo, il suo contratto – ovviamente analogo a quello lasciato a Ntv – prevedeva una “penale” di 40 milioni: troppo alta? Può darsi, ma chi l’ha concessa doveva pensarci prima, quando firmò il contratto che, come per ogni top manager, anche per Cattaneo contemplava la possibilità del licenziamento senza giusta causa – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 28 luglio 2017, dal titolo “Primum Vivendi, deinde philosophari”.
In ogni caso, pare che Cattaneo uscirà con meno: circa 25 milioni lordi, inclusi i compensi legati ai risultati ottenuti. Per capire se la cosa deve impensierire noi comuni mortali, che quelle cifre non le vedremo mai neppure in cartolina, o se invece possiamo allegramente infischiarcene, dobbiamo porci una domanda: chi paga il conto? Se la Telecom fosse di Stato, il conto lo pagheremmo noi, dunque dovremmo preoccuparcene eccome. Ma dal 1999 la Telecom è privata: il governo D’Alema la vendette ai “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti, Consorte & C., che poi la vendettero alla Pirelli di Tronchetti Provera, che poi la vendette alla spagnola Telefonica e ad alcune banche italiane, che poi la vendettero a Vivendi (che è pure azionista di Mediaset). Quindi la buonuscita a Cattaneo la pagano gli stessi privati che ne hanno decretato l’uscita: monsieur Bolloré&C.
I quali sborseranno un bel po’ di milioni di euro, in gran parte stranieri, su cui oltretutto il manager italiano pagherà le tasse in Italia. C’è però un aspetto che ci riguarda, come cittadini e consumatori italiani: quel che è accaduto, sta accedendo e accadrà nella principale compagnia telefonica italiana. Cioè esattamente ciò di cui i nostri giornaloni e giornalini, così appassionati al chissenefrega della liquidazione, non si occupano. E perché non se ne occupano, continuando a guardare il dito anziché la luna? Perché dovrebbero rispondere a qualche domandina semplice semplice. Perché Cattaneo lascia Telecom dopo meno di un anno e mezzo da quando arrivò lasciando Ntv, di cui è pure azionista? Nessuno lo ha spiegato. C’entra qualcosa l’ansia di compiacere Matteo Renzi che, dopo aver ostacolato la nomina di Cattaneo a Telecom tramite la Cassa depositi e prestiti dei soliti Costamagna &C, ha sabotato in ogni modo il piano di banda larga targato Tim per sponsorizzare anche con bandi di gara compiacenti quello molto più costoso (per le nostre tasche) targato Enel (società amica del Giglio Magico, ma totalmente neofita nel ramo telefonico), col risultato che, più che larga, la banda è lentissima? È vero, come ha scritto La Stampa, che Renzi detesta a tal punto Cattaneo da arrivare a protestare con Bollorè per le critiche della sua compagna, l’attrice Sabrina Ferilli, al Pd, al governo e alla controriforma costituzionale? È vero che le perquisizioni disposte nei giorni scorsi dalla Consob con 60 militari della Guardia di Finanza per sequestrare computer e caselle di posta elettronica nelle sedi dirigenziali Tim di Milano e Roma erano finalizzate a verificare il sospetto – affacciato da varie fonti interne al Gruppo – che i francesi tentassero di usare risorse di Telecom per sistemare i conti delle proprie società, proponendo acquisti di fiction e nuovi fornitori parigini “amici” e caldeggiando joint venture con il pericolante Canal Plus (alleanza guarda caso ufficializzata in contemporanea con l’annuncio dell’uscita di Cattaneo)?
E ancora: le Procure di Milano e di Roma si stanno interessando al caso per gli eventuali profili penali?
E il governo italiano non ha nulla da dire su un’azienda non più pubblica, ma comunque fra le più strategiche rimaste nel nostro Paese (65mila dipendenti), fra l’altro proprio mentre il presidente Emmanuel Macron interviene a gamba tesa nel libero mercato per bloccare i legittimi interessi di Fincantieri oltralpe? Possibile che i nostri politici, da sempre aggreppiati a Telecom per i loro giochetti, improvvisamente se ne freghino, anziché domandare una volta per tutte a monsieur Bollorè che ci è venuto a fare in Italia? Ha investito contemporaneamente sia in Mediaset (socio di minoranza) sia in Telecom (azionista di controllo): ora, a parte le supercazzole sulle “sinergie” fra i due gruppi rimaste nel libro dei sogni, che progetti ha, se ne ha? E, visto che se lo chiede persino la Consob: i francesi vogliono gestire Telecom nell’interesse della Telecom oppure di Vivendi? Non è affatto detto che le due cose coincidano.