giovedì 27 settembre 2018

Ingv, si dimette pure il responsabile anticorruzione. Il capo dell’ufficio legale: ‘Se denuncio vado a raccogliere le olive. - Thomas Mackinson

Ingv, si dimette pure il responsabile anticorruzione. Il capo dell’ufficio legale: ‘Se denuncio vado a raccogliere le olive’


A distanza di 20 giorni lasciano sia il Direttore del Dipartimento Terremoti ("Manca trasparenza") che il responsabile anticorruzione. Da un fascicolo alla procura di Roma spuntano gli audio sulle mancate denunce del responsabile degli affari legali, all'epoca precario: "Non sono in condizioni di poter dire queste cose perché dopo sei mesi mi trovo in mezzo a una strada (…) Sinceramente me ne guardo bene perché mi fanno ritorsioni.

Dopo la direttrice del Dipartimento Terremoti si dimette anche il garante dell’anticorruzione. E intanto, si apprende che il responsabile dell’Ufficio Affari Legali a conoscenza di possibili illeciti non li denunciava perché “sennò mi mandano a raccogliere le olive”. Non c’è pace per l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che subisce un altro scossone a distanza di una manciata di giorni. Il 5 settembre, come anticipato dal fattoquotidiano.it, ha lasciato l’incarico per “mancanza di trasparenza” Daniela Pantosti, da due anni a capo del Dipartimento più delicato e importante dell’Istituto. Ieri si è appreso che anche il garante del Piano triennale anticorruzione, Gianluca Valensise, ha presentato le sue dimissioni e in circostanze tali da confermare la sensazione che un vaso di Pandora vada scoperchiandosi: Valensise era stato nominato poco più di un anno fa (l’incarico è triennale), e il caso è tale che il cda dell’Ingv ha convocato una riunione d’urgenza nella stessa giornata, modalità alquanto singolare e contraria alle previsioni degli statuti degli Enti di ricerca. Insomma, nel centro di monitoraggio del rischio sismico in Italia è allarme rosso.

Raggiunto al telefono, Valensise sceglie di non commentare ma conferma la sua decisione, mentre dentro l’ente non si fa più mistero di una situazione al limite dell’ingestibile dovuta alla concomitanza di due situazioni esplosive. Da una parte starebbero venendo al pettine i nodi delle crescenti difficoltà gestionali accompagnate anche da più gravi ipotesi di reato, segnalate in denunce e fascicoli aperti dalle procure di Roma e Napoli. Dall’altra – come nulla fosse – si sta procedendo ai concorsi interni per nominare direttori di struttura e di sezione. Selezioni per posti a tempo indeterminato che vanno avanti a oltranza anche mentre cadono come birilli figure chiave dell’ente, tutte con ruoli di presidio e funzioni delicatissimi.
Il nome di Valensise, tra l’altro, spunta anche in un fascicolo alla procura di Roma. È contenuto in una registrazione depositata a integrazione delle numerose denunce della dirigente Fedora Quattrocchi che al telefono, già due anni fa, contesta varie situazioni opache. Sui concorsi a direttore di sezione e di struttura Ingv lo stesso responsabile della trasparenza ammetteva irregolarità, tanto  che “sarebbero invalidi, anzi hai ragione, sono non validi”. Nella stessa dava poi degli “incapaci” ai vertici che si sarebbero macchiati anche di un presunto falso in bilancio. Il presidente Carlo Doglioni, del resto, era “non adatto a quel lavoro”. Parole di chi avrebbe dovuto vigilare sulla trasparenza e garantire la legalità nell’ente. Ma, a quanto è dato sapere, è rimasto in silenzio.

Cosa c’è dietro le dimissioni a raffica, i silenzi e le mancate denunce? Possono i concorsi interni per la regolarizzazione delle carriere aver contribuito a generare un diffuso clima di omertà tra i laboratori in via di Vigna Murata? Qualche sospetto arriva sia dai sindacati silenti sia dalla reazione fulminea del collegio dei Direttori. All’indomani della pubblicazione della notizia delle dimissioni della Pantosti, il collegio composto dai direttori di dipartimento, di sezione e dei principali uffici per la ricerca e le attività istituzionali non esprimeva preoccupazione per la denuncia che si portava appresso (“mancanza di trasparenza”, “nessuna collaborazione”) ma se ne dissociava pubblicamente. Forse più illuminante ancora è però lo stralcio di un’altra conversazione agli atti della procura di Roma.
A parlare stavolta è il responsabile ufficio Affari Legali dell’ente, Pasquale Guidace. È appena stato assunto a tempo indeterminato ma il 12 marzo 2016, quando era precario,  parlava così a proposito di un presunto falso in atto pubblico che sarebbe stato commesso nel 2015 dall’allora presidente Stefano Gresta: “È un dato oggettivo (che ci sia stato il falso, ndr), lampante per chi acquisisce i documenti ma io non lo posso fare per un semplice motivo, perché io già sono precario, poi vado a raccogliere le olive”. E ancora: “Non sono in condizioni di poter dire queste cose perché dopo sei mesi mi trovo in mezzo a una strada (…) Se fossi stato a tempo indeterminato, come in qualsiasi altro ente, forse qualche passo in più l’avrei potuto fare, ma sinceramente me ne guardo bene perché io vorrei avere una vita professionale non interrotta, perché mi fanno ritorsioni contro di me”. La vittima costretta al silenzio però ci mette del suo: “A me non me ne fotte niente, perché se nessuno ha il coraggio di esporsi, a me che cazzo me ne frega?”. Parole del responsabile Affari Legali dell’istituto che dovrebbe garantire per la sicurezza dei cittadini.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/27/ingv-si-dimette-pure-il-responsabile-anticorruzione-il-capo-dellufficio-legale-se-denuncio-vado-a-raccogliere-le-olive/4647961/

Aquarius, che coincidenza: quanti soldi pubblici dà la rossa Regione Toscana alla ong che tifa migranti.

Aquarius, che coincidenza: quanti soldi pubblici dà la rossa Regione Toscana alla ong che tifa migranti

L'Aquarius campa anche con i soldi dei contribuenti italiani. Il consigliere leghista in Regione Toscana Jacopo Alberti ha svelato il "dettaglio" sui finanziamenti che la Regione da sempre "rossa" e governata da Enrico Rossi, ex Pd, versa alla Ong Sos Mediterranée, attiva sulla nave che negli ultimi 3 mesi è entrata in conflitto con il governo italiano per far sbarcare migranti sulle nostre coste.
Nel dettaglio, Regione Toscana versa soldi ai soci fondatori di Sos Mediterranée Italia, la "Cooperazione allo sviluppo dei paesi emergenti (Cospe) onlus", nata nel 1983 con sede nazionale a Firenze. "Queste organizzazioni non governative - accusa Alberti - hanno fatto sostanzialmente i tassisti del mare negli ultimi anni. Ritengo fuori luogo che la Toscana contribuisca per una cifra importante: nel 2017 ha erogato a Cospe 434mila euro. Secondo noi è eccessivo, controllerò i documenti per vedere se i progetti finanziati hanno prodotto qualcosa. Pensiamo che questa cifra debba essere destinata alle famiglie toscane in difficoltà economica".

Portulaca oleracea: proprietà benefiche e utilizzi in cucina. - Caterina Lenti



Molto apprezzata, la portulaca oleracea è una pianta selvatica ricca di proprietà benefiche. Ecco quali e come utilizzarla in cucina.

Conosciuta anche come erba grassa o porcellana comune, lportulaca oleracea è una pianta molto presente nei giardini e nei campi italiani.
Considerata da molti erba infestante, è apprezzata per le sue molteplici proprietà benefiche. Questa pianta selvatica commestibile, infatti, è ipolocarica (20 calorie per 100 grammi), e le sue foglie, davvero succulente, la rendono un ottimo diuretico, depurativo, vermifugo natruale, dissetante e antidiabetico.
La portulaca riduce i livelli di colesterolo cattivo nel sangue, è un antinfiammatorio naturale, aiuta lo sviluppo cerebrale, rafforza il sistema immunitario, rallenta l’invecchiamento cutaneo. Nella medicina popolare è impiegata contro nausea e diarrea bei casi di enterite acuta, emorroidi, stati emorragici post parto.
Ricca di omega 3, previene malattie cardiovascolari e migliora la circolazione sanguigna, oltre a contenere il prezioso acido a-linolenico e mucillagini, che fungono da emollienti naturali, pertanto sono consigliati contro acne, eczemi, arrossamenti della pelle e punture di insetti.
Come consumarla? Cruda in insalate, centrifugata con altra frutta, cotta in zuppe e minestre, tritata nella pasta condita semplicemente con panna vegetale, in una frittata senza uova, fritta in padella, cotta come contorno, saltata in padella e condita semplicemente con olio e limone.

mercoledì 26 settembre 2018

L'ultima eclissi - James Rollins



Un estratto:

San Francisco. Durante un'eclissi totale di sole, un violentissimo terremoto scuote la città, che viene ridotta a un cumulo di macerie. E purtroppo non si tratta di un disastro isolato: nello stesso momento, infatti, l'intera costa occidentale del continente americano, dall'Alaska alla Terra del Fuoco, è colpita da una serie di calamità naturali... Okinawa. Karen Grace, un'antropologa di fama mondiale, non crede ai suoi occhi: al largo del Giappone sono emerse due enormi piramidi di metallo, coperte d'iscrizioni in una lingua sconosciuta. E, all'interno di una di esse, Karen trova un manufatto a forma di stella, realizzato con un materiale impossibile da ottenere anche con le tecniche più avanzate e che possiede proprietà sconcertanti... Oceano Pacifico. È un'emergenza nazionale quella che costringe Jack Kirkland, ex ufficiale della US Navy, a rientrare in servizio: l'Air Force One è precipitato in mare, trascinando verso una morte orribile il presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, quando giunge sul luogo dell'incidente, Jack si trova di fronte a ....

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Ponte Genova, il ministero: «Autostrade rinviava i lavori per far rincarare i pedaggi». - Maurizio Caprino

Risultati immagini per autostrade

Avrebbero risparmiato persino sulla manutenzione “spicciola” del Ponte Morandi, per poter poi fare tanta costosa manutenzione straordinaria. Che, contrariamente a quella ordinaria, si può far molto pesare per rincarare i pedaggi. Bisogna arrivare a pagina 84 (sulle 88 complessive di testo principale) della relazione della commissione ispettiva ministeriale sul crollo del Ponte Morandi per leggere quella che forse è l’accusa più grave mossa finora dal Governo ad Autostrade per l’Italia (Aspi) dopo la tragedia del 14 agosto.

Un’accusa alla quale la società controllata dai Benetton non pare aver replicato esplicitamente nel comunicato seguito alla pubblicazione della relazione sul sito del ministero, ma che andrebbe comunque dimostrata fino in fondo dalla Procura di Genova per essere utilizzata ai fini del processo ai responsabili del disastro. Andrebbe infatti accertato che i vertici di Aspi hanno consapevolmente scelto questa politica proprio per ottenere quella «massimizzazione dei profitti utilizzando a proprio esclusivo tornaconto le clausole contrattuali» di cui parla la relazione ministeriale.

Ma di sicuro su quest’accusa farà leva il Governo per andare avanti con la procedura di «caducazione» della concessione di Aspi, avviata già il 16 agosto. Un iter che, come quel giorno chiarì il premier Giuseppe Conte, non attenderà l’esito del processo. Ma di sicuro durerà molto e forse addirittura di più, considerato che poi probabilmente Aspi si opporrà alle decisioni governative, con ricorsi al Tar e/o al Tribunale civile.

Meno manutenzione, più corrosione.
Per argomentare la loro accusa, i commissari ministeriali parlano di «irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi da parte delle strutture tecniche di Aspi, perfino anche di manutenzione ordinaria». Come la mancata pulizia degli scarichi dell’acqua piovana, «segnalata con frequenza nelle schede di ispezione trimestrale».E già nel 1981 il progettista del viadotto, Riccardo Morandi, aveva rilevato infiltrazioni d’acqua nei «cassoni» - cioè all’interno degli impalcati (parti orizzontali di cemento sui cui si trova l’asfalto) che sono sostenuti dai piloni - che avevano innescato processi di corrosione. 

Un particolare importante, nella ricostruzione che fanno i commissari: secondo loro, le cause più probabili all’origine del crollo sarebbero proprio cedimenti negli impalcati cassonati e non negli stralli (le grandi “bacchette” di calcestruzzo che scendono oblique dall’estremità superiore delle «antenne», i tre piloni più alti del viadotto per completare il sostegno dei cassoni, che poggiano su «cavalletti» posti in corrispondenza di questi piloni), su cui invece pare si concentrino soprattutto i periti nominati dalla Procura di Genova.

La minimizzazione degli interventi è denunciata dalla relazione ministeriale anche per le condizioni di usura degli impalcati tampone (le parti orizzontali di cemento che stanno sospese, con gli estremi appoggiati sugli impalcati a cassone). Durante le normali ispezioni periodiche, era emerso che alcuni cavi metallici di armatura delle travi (le parti longitudinali che compongono la parte bassa degli impalcati tampone) erano rotti. Secondo i commissari, si sarebbe potuto ipotizzare con «alta probabilità» che la rottura dei cavi riguardasse tutti e 10 gli impalcati tampone da cui è costituito il viadotto.

Eppure «Aspi aveva effettuato interventi di rinforzo solo su tre di questi», mentre i rimanenti - quelli della parte ovest verso Savona non toccata dal crollo, dove non ci sono le pile alte con gli stralli ma i periti della Procura in effetti hanno riscontrato quasi subito un «degrado rilevante e diffuso» - non era stato ancora «previsto alcun intervento, per ragioni ignote a questa Commissione».

Sottovalutazioni e ritardi.
In generale, i commissari si soffermano molto su problemi riscontrati nelle ispezioni periodiche su varie parti del viadotto. Soprattutto per evidenziare la sottovalutazione nel classificarli (con voti) e il ritardo con cui sono stati sanati (quando lo sono stati), anche quando la gravità riconosciuta dagli stessi ispettori avrebbe comportato interventi in somma urgenza (secondo il manuale sulla manutenzione programmata predisposto proprio da Aspi).

Proprio i ritardi avrebbero contribuito a degradare il ponte sempre più. La relazione ministeriale sembra suggerire che l’intento del gestore fosse quello di arrivare alla fine a massimizzare i costi della manutenzione straordinaria da far riconoscere ai fini dei rincari del pedaggio, ma invece nel caso del Ponte Morandi l’effetto dei ritardi, unito alla sottovalutazione dei rischi potenziali, è stato il crollo.

Guerra di cifre sui costi.
In altre parole, non si sarebbe fatto in tempo a spendere i soldi che ormai erano divenuti necessari per mantenere aperto il viadotto. La relazione ministeriale vuole dimostrarlo anche evidenziando che dal 2005 a oggi (cioè dopo il primo quinquennio di gestione Aspi) per gli interventi non strutturali sul Ponte Morandi si sono spesi 8,7 milioni, per quelli strutturali appena 440mila euro (circa 23mila l’anno). Prendendo in considerazione la vita del viadotto dal 1982 in poi, appena il 2% dei costi per interventi strutturali è stato sostenuto da Aspi: il 98% era stato a carico della precedente gestione, quella statale dell’Iri.

Aspi nel suo comunicato di ieri obietta che non avrebbe dovuto spendere nulla di più: il grosso dei costi per interventi strutturali sarebbe stato dovuto alla necessità di correggere i difetti di costruzione del Ponte Morandi (su cui non a caso l’amministratore delegato Giovanni Castellucci ha battuto fin dalle sue prime dichiarazioni dopo il crollo), venuti fuori già durante la gestione Iri.

Ma i commissari scrivono che la spesa di Aspi si è mantenuta bassa «nonostante la vetustà dell’opera e l’accertato stato di degrado». Quindi anche per il gestore privato ci sarebbe stato da spendere.

L’autodifesa del ministero.
La minimizzazione, secondo i commissari, non riguardava solo le decisioni di effettuare lavori, ma anche il modo in cui il progetto di rinforzo («retrofitting») degli stralli del viadotto che stava per essere attuato era stato presentato al ministero delle Infrastrutture. L’operazione era stata definita solo come un mero ripristino conservativo dell’opera.

Ciò avrebbe tratto in inganno gli organi ministeriali dalla cui approvazione era passato il progetto, inducendoli a non far intervenire il Consiglio superiore dei lavori pubblici.

Ciò avrebbe comportato un’approvazione “meno accurata”, a causa della quale ora tra gli attuali indagati per il crollo ci sono anche membri del Comitato tecnico amministrativo dell’ufficio territoriale del ministero, il Provveditorato alle opere pubbliche.

Dunque, un’accusa pesante come la minimizzazione di interventi e problemi per massimizzare i profitti serve anche al ministero per allontanare da sé sospetti che, nelle prime settimane dell’inchiesta penale sulla vicenda, si erano fatte sempre più imbarazzanti.

Il modo di operare di Autostrade.
In ogni caso, il tono complessivo della relazione sembra suggerire che la noncuranza facesse parte del modo di Aspi di gestire la propria rete, pari a metà delle autostrade italiane: dal fatto che gli utenti sarebbero stati utilizzati come inconsapevoli cavie alla mancata preoccupazione per le incertezze dei metodi adottati per valutare il degrado del viadotto (aspetto già emerso almeno riguardo agli stralli fin dalle prime battute dell’inchiesta della Procura), fino alle risposte dei dirigenti di Aspi sentiti dai commissari.

D’altra parte, la relazione non li cita, ma gli episodi importanti emersi nella gestione della rete di Aspi che potrebbero confermare il sospetto di noncuranza si sono moltiplicati in questo decennio e sono di certo noti ai commissari. Dal degrado accertato delle barriere che avrebbe concorso a far precipitare un bus dal viadotto Acqualonga dell’A16 presso Avellino il 28 luglio 2013 (altri 40 morti, sentenza di primo grado attesa per il prossimo dicembre con imputati anche dirigenti di Aspi tra cui l’amministratore delegato, Giovanni Castellucci) alla mancata manutenzione degli impianti antincendio del delicatissimo tratto urbano bolognese dell’A14 (vi morì bruciata una ragazza a giugno 2013). Dai sequestri del 2014 sull’Autosole delle vecchie barriere del tratto appenninico dell’A1 presso Firenze (lasciate sui viadotti per anni in attesa dei lavori di ampliamento del tratto a sud della nuova Variante di valico) e a fine 2013 del cavalcavia dello svincolo di Ferentino (costruito male da un’impresa in odor di camorra che si era aggiudicata vari lavori di Aspi) al crollo di un portale segnaletico (di quella stessa impresa) a Santa Maria Capua Vetere nel 2011. Fino al crollo di un cavalcavia dell’A14 a Camerano (Ancona) il 9 marzo 2017 con due morti, nell’ambito dei lavori per la terza corsia che avrebbero richiesto massima attenzione perché si svolgevano a traffico aperto.

Briatore e l’attrazione fatale per il mare «dei ricchi» dal Billionaire al mega yacht. - Chiara Beghelli

Flavio Briatore, a destra, e Ferdinando Tarquini, comandante del Force Blu durante l’udienza preliminare al palazzo di Giustizia di Genova (foto Ansa)
Flavio Briatore, a destra, e Ferdinando Tarquini, comandante del Force Blu durante l’udienza preliminare al palazzo di Giustizia di Genova (foto Ansa)

"Uomo libero, tu amerai sempre il mare! Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima nello svolgersi infinito della sua onda, e il tuo spirito non è un abisso meno amaro»: anche se in passato ha affermato di non essere un appassionato lettore, Flavio Briatore potrebbe far suoi i versi di Charles Baudelaire. Il mare è un elemento ricorrente, un mantra, nella sua vita: in un’intervista di qualche anno fa ricordava quasi con nostalgia quando da ragazzo partiva dalla natale Verzuolo (Cuneo) con gli amici per andare in Sardegna, dove si accampava sulle spiagge e da lì ammirava i mega yacht «dei ricchi».
In riva allo stesso mare, quello di Porto Cervo, nel 1998 ha inaugurato il primo dei suoi locali “Billionaire”, nome emblematico come un desiderio, di un geometra figlio di maestri di scuola elementare di Verzuolo, che nel 2007 è arrivato sulla copertina del numero speciale di Forbes dedicato, appunto, ai “billionaries”, i miliardari. Sulle rive dell’oceano, in Kenya, un altro luogo simbolo, la villa che ospitò tanti illustri amici, da Silvio Berlusconi a Beppe Grillo, poi trasformata in resort cinque stelle.
E il mare è anche lo scenario dell’ultima vicenda che lo coinvolge, legata allo yacht Force Blue, 63 metri di lunghezza, palestra e 12 suites, e che ha le sue stesse iniziali: una vicenda che prosegue dal 2010, attraverso due gradi di giudizio (l’ultimo lo ha condannato a 18 mesi, pena ridotta rispetto ai 23 del primo grado) e che oggi si arricchisce di un nuovo capitolo.
«Non ho mai pensato né dovuto evadere le tasse. Le società che evadono il fisco sono quelle che vanno male», affermò Briatore al Tribunale di Genova, dove il processo si è tenuto, tre anni fa. «Il mio lavoro è avere l’intuito di fondare società che anticipano i desideri dei clienti. Nell’ambito dello yachting volevo fare barche per persone ricche. Le barche a sette stelle so come farle».

La magistratura farà il suo corso, ma è vero: Briatore, proprio perché li ha osservati a lungo, sa come esaudire i desideri delle «persone ricche». Il Billionaire ne è l’esempio: nei club da Dubai a Monte Carlo scorrono fiumi di denaro e champagne. Ad agosto un americano ha pagato un conto da 150mila euro a Porto Cervo, anche se Briatore non era lì ad accoglierlo. Nel 2013, infatti, ha ceduto la quota di maggioranza del marchio al fondo Bay Capital, con base a Singapore, con l’obiettivo di espanderlo in area Far e Middle East.
Con effettiva visione sul futuro, ha declinato l’anima del club anche in un marchio di abbigliamento superlusso, di cui nel 2016 ha venduto il 51% a Philipp Plein, giovane stilista e fenomeno della moda “massimalista” degli utlimi anni. Le collezioni sono pensate per uomini «dominanti, virili e impenitenti», con cappotti di cincillà da 20mila euro e mocassini (elemento distintivo dell’icona Briatore) da 750.
Sul mare di Marina di Pietrasanta, in Versilia, con l’amica d’infanzia Daniela Santanché e tramite la società Mammamia Srl, gestisce il Twiga Beach Club, stabilimento cinque stelle con tariffe a tre zeri. Aveva concesso anche l’uso del marchio Twiga a un gruppo di imprenditori salentini per aprire un club anche sulla costa di Otranto, ma i lavori sono stati bloccati con l’accusa di abusivismo, scatenandone le ire contro la burocrazia italiana.
Ancor prima di questi mari, un altro, molto più lontano, lo accolse: era un giovane imprenditore di se stesso nella Milano da bere degli anni Ottanta, venne accusato di truffa nell’inchiesta “Bisca Connection”, riguardante un giro di gioco d’azzardo, venne condannato. Se ne andò ai Caraibi.
Uno dei capitoli più curiosi della storia imprenditoriale di Briatore è la sua conduzione di “The Apprentice”, il reality show andato in onda nel 2012, dove le sue frasi rivolte ai concorrenti che si contendevano un posto da suo assistente sono diventate celebri: «Voi fallite prima di iniziare», «Tra tutti i fenomeni che pensate di essere io vi distruggo subito», e poi la formula per l’eliminazione, «sei fuori». Donald Trump, che per certi versi ricorda l’imprenditore piemontese, prima di entrare alla Casa Bianca lo diceva in inglese, «You’re out!», nella versione originale del programma made in Usa.
Il Force Blue, intanto, che appartiene alla società Autumn Sailing Limited, causa processo in corso si limita a poter solcare solo il Mediterraneo, non potendo dar piena forza ai suoi motori capaci di navigare sugli oceani. La tariffa invernale, secondo il sito Yacht Charter Fleet, parte da 235mila euro a settimana. Spese escluse.

Tangenti al Fisco per riavere lo yacht: Briatore indagato, arrestato commercialista e un ex capo delle Entrate. - Marco Grasso, Matteo Indice


Andrea Parolini e il patròn del Billionaire sono accusati di aver ammorbidito il funzionario pubblico.

Il blitz è scattato alle prime ore di questa mattina: la Guardia di Finanza ha arrestato Andrea Parolini, commercialista di Flavio Briatore, e l’ex direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Genova, Walter Pardini. Entrambi sono accusati a vario titolo di corruzione e frode processuale, mentre per corruzione è indagato a piede libero lo stesso Briatore.  


Briatore e il suo commercialista sono accusati di aver ammorbidito il funzionario pubblico, per tentare di alleggerire la posizione del patròn del Billionaire, inseguito dal Fisco per la maxi-evasione fiscale legata al suo yacht, il Force Blue. Gli uomini del Primo Gruppo della Guardia di Finanza di Genova, coordinati dal pm Walter Cotugno, e diretti dai colonnelli Ivan Bixio e Giampaolo Lo Turco, si sono presentati anche nella sede dell’Agenzia delle Entrate di Genova, dove hanno notificato la sospensione dagli incarichi a due funzionarie.  

Si tratta di due sottoposte di Pardini che si prestarono a falsificare un parere fiscale della medesima Agenzia delle Entrate che avrebbe di fatto sconfessato le accuse penali nei confronti di Briatore.