martedì 25 giugno 2019

Evasione fiscale, Ubs paga al Fisco 111 milioni. Scoperto manuale anti-Gdf. - Angelo Mincuzzi

Ubs, la banca svizzera verserà all’Italia 111,5 milioni di euro: “Evasione fiscale”

Ubs, la principale banca svizzera, verserà all’agenzia delle Entrate 111,5 milioni di euro per chiudere un contenzioso fiscale con risvolti penali.

C'era anche un manuale segreto che illustrava ai gestori patrimoniali di Ubs le precauzioni da adottare quando, senza esserne autorizzati, venivano in Italia per incontrare i clienti che investivano il proprio denaro nel colosso bancario svizzero. Slide e istruzioni simili a quelle ritrovate nel 2014 dagli uomini della Guardia di Finanza nella sede milanese del Credit Suisse durante un'inchiesta che aveva portato alla scoperta di un'evasione fiscale da 14 miliardi di euro e che si era chiusa con il pagamento di oltre 100 milioni al Fisco italiano. Ora quel copione si ripete per Ubs, la principale banca svizzera, che verserà all'Agenzia delle Entrate 111,5 milioni di euro per chiudere un contenzioso fiscale con risvolti penali. L’accordo è stato firmato la scorsa settimana nella sede della direzione provinciale di Milano dell’Agenzia. Il fronte penale, con un probabile patteggiamento, non si è invece ancora concluso.
Grazie all'attività svolta proprio dall'Agenzia delle Entrate sono, infatti, 220 le banche estere sulle quali la procura di Milano ha acceso un riflettore e sta, da tempo, indagando con un pool di magistrati apposito guidato dal procuratore Francesco Greco. Si tratta di istituti finanziari non solo svizzeri ma anche domiciliati in altri paradisi fiscali come Lussemburgo, Liechtenstein, Principato di Monaco, Isole Vergini Britanniche, Bahamas, San Marino, Panama, Dubai e molti altri.
Per mesi sono stati passati al setaccio i movimenti e le telefonate che I gestori patrimoniali di Ubs e delle altre banche si sono scambiati tra loro e con I clienti. I colloqui telefonici con i relativi metadati (posizione, celle agganciate, durata, giorno e ora) sono stati monitorati e classificati da un pool di agenti della Guardia di Finanza e di Vigili urbani di Milano in servizio presso la polizia giudiziaria della procura di Milano. Una quantità di dati e di informazioni impressionante.
Poiché tutti i redditi di capitale percepiti da soggetti non residenti sono assoggettati alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, le banche estere sono tenute a trattenere l'imposta sulle commissioni percepite sui mutui o sulla gestione patrimoniale e a girarla al Fisco italiano. Ma questo, per anni, non è stato fatto. Ed è su questo che gli uomini dell'Agenzia delle Entrate hanno lavorato in collaborazione con la Procura di Milano sfruttando l'enorme mole di dati finanziari ricavati dalla voluntary disclosure.

Iva, abbassare le aliquote non frena l’evasione. Almeno in Romania. - Riccardo Saporiti


Torna Fiume di denaro, l’inchiesta di Angelo Mincuzzi e Roberto Galullo sui paradisi fiscali. In quest’occasione l’attenzione si concentra sulla Romania, da vent’anni terra di delocalizzazione per molte imprese italiane. Infodata accompagna l’uscita di questa nuova puntata con un focus sull’evasione dell’Iva in questo Paese.
Sul grafico sono rappresentate, come percentuali, l’Iva incassata (in verde) e quella evasa (in rosso). Il dato arriva da un rapporto della direzione generale per la Fiscalità e l’unione doganale della Commissione Europea. Come si può osservare dal grafico, in buona sostanza il fisco rumeno riesce ad incassare solo due euro su tre di quelli che gli sarebbero dovuti.
Il risultato migliore, con un’evasione “ferma” al 34,47%, è il 2015, che è anche l’anno migliore per l’economia rumena. Nel senso che la previsione di incasso dell’Iva era pari ad oltre 87 miliardi di Leu, la cifra più alta nel periodo preso in considerazione.
Da notare che nel 2016 il governo di Bucarest ha introdotto una riforma fiscale che ha abbassato l’aliquota ordinaria dal 24 al 20%, con l’aliquota reale che è scesa dal 17,2 al 13,5%. Una decisione che però non è servita a ridurre l’evasione fiscale, che anzi è aumentata di un punto e mezzo rispetto all’anno precedente. Il risultato più significativo è rappresentato da una riduzione delle entrate fiscali legate all’Iva, scesi da 57 a 49 milioni di Leu. Cifra identica a quella incassata dal fisco rumeno nel 2012, quando però l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto aveva sfiorato il 39%. In Romania, dunque, l’abbassamento delle aliquote non è servito a porre un freno agli evasori fiscali.

domenica 23 giugno 2019

Braccianti, arrestato Infante (Pd) 19 marzo 2019 „Braccianti ridotti in schiavitù: arrestato Pasquale Infante di Eboli“.

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Braccianti, arrestato Infante (Pd) 19 marzo 2019
Il capogruppo del Pd al Comune, di professione commercialista, è stato condotto agli arresti domiciliari. Nei guai anche la sorella che lavora con lui come consulente.


Nell’inchiesta contro il caporalato, che vede indagate 40 persone (35 destinatari di misure cautelari di cui 27 arresti domiciliari e otto obblighi di dimora e contestuale presentazione alla polizia giudiziaria), condotta dalla Procura Antimafia di Salerno con il supporto dei carabinieri del comando provinciale, spunta anche il nome di un politico salernitano.

L'identikit.

Si tratta di Pasquale Infante, capogruppo del Partito Democratico al Comune di Eboli. Quest’ultimo – insieme al marocchino Hassan Amezghal – è considerato dagli inquirenti al vertice dell’organizzazione “specializzata” nel traffico umano di braccianti agricoli dall’Africa alla Piana del Sele. A Infante, di professione commercialista, vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione  clandestina oltre all’elusione delle norme in materia di braccianti agricoli e caporalato. Secondo gli inquirenti sarebbe stato affidato a lui il compito di mettere in ordine le carte riguardanti lo sfruttamento dei migranti. Nel mirino sarebbe finita anche la sorella, Maria Infante, che lavora nello stesso studio di consulenza. Il gip non ha accolto la richiesta del pm di restrizione in carcere modificandola in arresti domiciliari ritenendo che non ci fosse il pericolo di inquinamento probatorio. Ovviamente, Infante si difenderà dalle accuse attraverso il suo legale di fiducia.


http://www.salernotoday.it/cronaca/inchiesta-braccianti-arresto-pasquale-infante-eboli-19-marzo-2019.html

Terremoto, il senatore Michele Pazzaglini indagato. "Donazioni dirottate". - POLA pAGNANELLI

L’ex sindaco e attuale senatore della Lega Giuliano Pazzaglini

La procura: somme inviate a due società controllate dall’ex sindaco di Visso. Ma lui non ci sta: "Agito in buona fede con massima trasparenza".

Macerata, 22 giugno 2019 - Un'ipotesi di peculato, sei di abuso d’ufficio e una di truffa. Queste le accuse mosse all’ex sindaco e attuale senatore della Lega Giuliano Pazzaglini, in concorso con l’ex presidente della Croce Rossa di Visso Giovanni Casoni. Per la procura, Pazzaglini avrebbe dirottato circa 120mila euro di donazioni su due società, costituite ad hoc per intercettare la generosità arrivata da tutta Italia verso i terremotati. Il procuratore capo Giovanni Giorgio ha chiesto alla Finanza di riesaminare le donazioni, e nei giorni scorsi ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini.

Una contestazione, relativa all’accusa di peculato, riguarda una raccolta di denaro a favore dei commercianti del Comune fatta dal maceratese Vincenzo Cittadini con Moto Nardi, e dai motoclub Amici di strada di Civitanova e New Riders; 10.300 euro vennero consegnati al sindaco, che però non avrebbe versato quei soldi sul conto del Comune. Dopo le indagini, quella somma è stata messa sotto sequestro dal tribunale.

I casi di abuso d’ufficio riguardano invece altre donazioni, che Pazzaglini avrebbe dirottato su due società: la Sibil Projetc, di cui era socio, e la Sibil Iniziative, amministrata da Giovanni Casoni. A chi contattava il Comune per devolvere qualcosa, il sindaco avrebbe detto che se i soldi fossero finiti nel bilancio comunale sarebbe stato complicato utilizzarli per i terremotati. Era più semplice, avrebbe detto, girarli alle due società che si occupavano di iniziative in favore di chi aveva perso tutto. In realtà per la procura l’intenzione di Pazzaglini sarebbe stata quella di avvantaggiare le società.

Nella maggior parte dei casi si tratta di somme modeste. Una eccezione è la donazione della Emilbanca, a luglio del 2017: 91mila euro. Pazzaglini avrebbe chiesto alla banca di versare i soldi alla Pro loco. Poi all’inizio di settembre avrebbe convocato il direttivo della Pro loco per riaprire la collaborazione. In un secondo incontro avrebbe parlato della donazione in arrivo, specificando che parte dei soldi dovevano servire per le casette temporanee per i commercianti, un’altra parte per digitalizzare l’archivio storico, seimila per la Pedalata della Sibilla, e almeno 12mila però dovevano andare alla Sibil Iniziative come rimborso per l’organizzazione delle varie manifestazioni. L’ipotesi di truffa infine riguarda il fatto che un assegno, da duemila euro, sarebbe stato incassato in banca dalla compagna di Casoni.

La versione di Giuliano Pazzaglini.
«Eravamo rimasti in quattro gatti a Visso dopo il sisma, e in quattro gatti siamo riusciti a far ripartire il Comune. A questo punto, ha avuto ragione chi non ha fatto nulla e si è limitato a lamentarsi». C’è amarezza nella voce del senatore leghista Giuliano Pazzaglini, ma anche la fermezza di chi è sicuro di poter dimostrare «di aver agito in buona fede e nell’interesse della collettività». «La costituzione delle società era una cosa nota, fin da subito sono stato trasparente nel dire che in quella fase di necessità avrei contribuito in quel modo, l’ho detto in consiglio comunale. La nostra contabilità non ha utili, perché abbiamo solo fatto in modo che le donazioni fossero impegnate fino all’ultimo euro per lo scopo per cui erano state donate. Oltretutto, ho un parere del consigliere giuridico del commissario speciale alla ricostruzione che mi dà ragione: lo avevamo consultato per un’altra fattispecie, che però si attaglia benissimo anche a questa. Per il Comune e per i commercianti era stato escluso che ci fossero due ipotesi di delocalizzazione, e la nostra unica ipotesi era l’area del Parco Hotel da demolire, la nuova piazza. Allora ho pensato di scendere in campo come soggetto terzo, per dare modo ai commercianti di lavorare fino a quando non fosse stata pronta la nuova piazza».

Il senatore assicura di aver sempre avuto la massima trasparenza, «ma anziché motivo di linearità e correttezza è sembrato che volessi perseguire chissà quale intento. Se avessi voluto fare imbrogli non avrei usato la mia società, è evidente. La Sibil Iniziative tra l’altro ha quattro soci, io ho partecipato alla realizzazione della Pedalata per la Sibilla che ha consentito al Comune di avere un finanziamento da un milione di mezzo, gestendo tre operazioni per diecimila euro, tutte rendicontate. Dai bilanci risulta che le società a cui ho partecipato non hanno avuto un euro».

«Vivevamo nella situazione più disperata – ricorda l’ex sindaco –, l’80 per cento della popolazione era evacuata. Ho rinunciato all’aumento dell’indennità, mi hanno accusato per i rimborsi delle spese che avevo muovendomi con la mia auto ed è venuto fuori che avevo preso meno di quello che mi spettava. Non so cosa mi si contesti». Ieri Pazzaglini ha incontrato l’avvocato Giuseppe Villa, che lo difende con l’avvocato Giancarlo Giulianelli: «Abbiamo visto una parte degli atti, e preso atto che si tratta di un enorme malinteso, oppure ci sono aspetti da approfondire. Lunedì decideremo se presentare una memoria o chiedere di essere sentito per dare la mia versione».


https://www.ilrestodelcarlino.it/macerata/cronaca/michele-pazzaglini-indagato-1.4658346

PUBBLICARE TUTTO. - Marco Travaglio



L’altro ieri il cosiddetto ministro dell’Interno Matteo Salvini si sentiva tanto ministro della Giustizia. Partecipando a Milano al Festival del Lavoro (per farsene un’idea, si suppone), ha proposto di mettere “in galera chi fa uscire dalle procure e chi pubblica sui giornali intercettazioni senza rilevanza penale e sulla vita privata”.
E l’ha detto con l’aria di chi ha fatto una pensata originale, come se centrodestra e centrosinistra non ci provassero da 25 anni.
Nelle stesse ore, al Csm, Sergio Mattarella teneva il discorso più severo e drammatico mai pronunciato da un presidente della Repubblica in quell’organo costituzionale, che nell’ultimo mese ha perso per strada 5 dei suoi 16 membri togati elettivi per avere partecipato (4 da svegli, uno nel sonno) ai conciliaboli notturni con il capo di Unicost Luca Palamara e con i deputati Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri su chi nominare procuratore capo della Capitale e come sputtanare chi intralciava quelle manovre.
L’aspetto tragicomico della faccenda è che lo scandalo che ha terremotato e decimato il Csm si basa proprio su intercettazioni coperte da segreto e prive di rilevanza penale: quelle chieste dalla Procura di Perugia nell’inchiesta su presunte corruzioni di Palamara, disposte dal Gip, gestite dal Gico della Guardia di Finanza di Roma e trasmesse per la loro valenza disciplinare ad alcuni membri del Csm con l’obbligo di riservatezza, ma pubblicate parzialmente e in comode rate dai tre o quattro giornaloni ammessi al sancta sanctorum.
Trattandosi di atti segreti, chiunque ne abbia pubblicato anche un rigo ha commesso reato. Ma, diversamente che per altri scandali, non risultano indagini sui giornalisti e sulle loro fonti giudiziarie o investigative, di cui dovrebbero occuparsi le Procure di Firenze (competente su eventuali reati dei magistrati umbri) e/o di Roma (competente su eventuali reati di finanzieri romani o di membri del Csm).
Noi, che appena possiamo violiamo il segreto e ci battiamo per depenalizzare quel reato idiota sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non chiediamo certo di punire i nostri fortunati colleghi.
Solo ci domandiamo perché noi siamo indagati da 3 anni a Roma per aver fatto sull’inchiesta Consip molto meno di quel che stanno facendo da un mese i giornaloni sull’inchiesta Palamara-Csm.
L’aspetto paradossale della vicenda è che, senza fughe di notizie sulle intercettazioni, nessuno saprebbe nulla dello scandalo Csm: assisteremmo ogni giorno alle fughe con tante scuse di membri togati, alle vibranti denunce di Mattarella e del suo vice David Ermini.
E tutti ci domanderemmo perché gli uni se ne vanno e di che parlano gli altri. Perché, in base al Codice penale, nulla di ciò che è stato pubblicato avrebbe dovuto esserlo. E, siccome i pochi fortunati giornalisti in possesso dei faldoni segreti inviati da Perugia al Csm non li divulgano integralmente, ma vi colgono ogni giorno fior da fiore secondo i loro gusti personali, nessuno conosce il quadro d’insieme.
Un domani, quando sarà troppo tardi, si potrebbe scoprire che, accanto a una frase sputtanante per Tizio, ce n’era un’altra che lo riabilitava, ma è rimasta nelle penne dei depositari; o che chi oggi pare un santo è in realtà un diavolo, ma è stato graziato dagli omissis giornalistici; o viceversa.
Se, sugli scandali di pubblico interesse, il divieto di pubblicazione di atti segreti viene spesso violato, è perché non viene quasi mai perseguito e comunque le pene sono molto basse: il carcere è finto, facilmente sostituibile con un’“oblazione” (una multa di poche centinaia di euro).
Ora invece Salvini torna alla carica per alzare le pene e mandare in galera per davvero chi pubblica segreti “non penalmente rilevanti” e sulla “vita privata”.
Ma – come quasi sempre gli accade – non sa quel che dice.
Qui di vita privata non se n’è vista l’ombra, a meno di confondere i traffici per pilotare nomine giudiziarie, anche da parte del deputato imputato Lotti, col gossip sulle relazioni sentimentali o sulla salute. Ma tutte, diconsi tutte, le notizie fin qui uscite sullo scandalo Csm erano prive di rilevanza penale: infatti i togati che in base a quelle hanno lasciato il Csm non risultano indagati per quei traffici, e nemmeno i magistrati e politici loro interlocutori.
L’hanno fatto per questioni di etica e di opportunità e risponderanno eventualmente in sede disciplinare, non penale. Perché, almeno nella magistratura, non basta non commettere reati: si può finire nei guai anche per condotte inopportune, conflitti d’interessi, violazioni moral-deontologiche.
Quindi – paradosso dei paradossi – Salvini usa lo scandalo del Csm, che ha appreso solo grazie alle fughe di notizie non penalmente rilevanti, per chiedere la galera per chi le ha pubblicate.
“Non è civile – dice – che i giornali siano pieni di pezzi di intercettazioni senza nessuna rilevanza penale. È una cosa da quarto mondo”. Ma senza quei pezzi di intercettazioni penalmente irrilevanti né noi né lui né altri sapremmo nulla.
Se c’è una lezione da trarre dallo scandalo che sta travolgendo il Csm come ai tempi della P2, è che ne sappiamo troppo poco, mentre tutti i cittadini dovrebbero sapere tutto.
Per chiarire una volta per tutte chi ha fatto cosa. Il capo dello Stato, come presidente del Csm, dovrebbe chiedere la desecretazione integrale degli atti che hanno indotto i 5 consiglieri a dimettersi o ad autosospendersi e lui a pronunciare il severo discorso dell’altroieri. E metterli a disposizione di tutta la stampa. Così che nessuno sospetti l’esistenza di altri nomi e di altri comportamenti indecenti rimasti coperti.
Altro che galera. Come diceva il giurista americano Louis Brandeis, “la luce del sole è sempre il migliore dei disinfettanti”.

sabato 22 giugno 2019

Conte: "Nostri conti meglio del previsto".

Conte: Nostri conti meglio del previsto

Mercoledì prossimo il governo certificherà che il deficit previsto per il 2019 è pari al 2,1% del Pil, anziché al 2,5% come prevede la Commissione Europea. Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles. Per tentare di evitare la procedura per debito, dice il premier, "c'è un binario tecnico che va avanti: ieri abbiamo deliberato per rendere operativo il congelamento già previsto di 2 mld. Completeremo mercoledì prossimo, con il Consiglio dei ministri: faremo l'assestamento per certificare come i conti vadano meglio del previsto". "Potremo certificare che saremo intorno al 2,1%, non al 2,5% come prescrive e prevede la Commissione Europea", aggiunge Conte. "Non serve dire 'non rispettiamo queste regole, non ce le applicate'. Fino a quando non le cambiamo, sono queste", rimarca il presidente del Consiglio.

Quanto al "candidato ideale" dell'Italia "alla presidenza della Commissione" europea, "lo voglio rivelare, è quello che si predispone a ridiscutere le nuove regole, sulla base di quello che ho scritto" nella lettera inviata ieri sera, dice il premier. Ma c'è qualcuno disposto a farlo? "Lo verificheremo", risponde. "Il Patto - aggiunge Conte - è di molta stabilità e poca crescita. Dobbiamo invertire un attimo queste regole. Vogliamo un dialogo su questo fronte: riteniamo che si debba lavorare per contrastare la disoccupazione. Riteniamo che ci sia da lavorare per la crescita, non solo economica, ma anche per lo sviluppo sociale. Sono questi i temi che vogliamo ridiscutere", sottolinea. In merito all'ipotesi che Angela Merkel possa diventare presidente della Commissione Europea, il premier replica che Merkel "ha grande esperienza politica. L'ultima volta che abbiamo parlato abbiamo accennato anche a questo aspetto, non mi è sembrata disponibile. Vedremo".
Alla domanda se il discorso del presidente della Bce Mario Draghi, in merito alla possibile ripresa delle misure di stimolo all'economia, abbia in parte disinnescato la minaccia della procedura per debito, facendo calare i rendimenti dei titoli di Stato, Conte risponde che il fatto che lo spread, "cali fa piacere, perché favorisce l'intero nostro sistema economico. Avere lo spread alto non ci agevola. Ma la procedura non è collegata al livello dello spread".
In una dichiarazione diffusa a margine del Consiglio Europeo, Conte scrive: "Oggi vedo ricostruzioni molto fantasiose sui giornali. Con la Lega ci sarebbero dissapori: vorrei sottolineare che con Salvini e Di Maio siamo entrati in riunione ieri mattina alle 8 per la riunione economica e ci siamo lasciati ieri sera a mezzanotte: mai avuto diverbi o contrasti". "Abbiamo posto le basi per l'assestamento di bilancio e per le riforme sulla giustizia - continua Conte - quanto al bilancio ieri abbiamo assunto in Consiglio dei ministri la delibera preliminare sul congelamento già programmato dei 2 miliardi e mercoledì prossimo completeremo con l’assestamento definitivo". "Non tagliamo nuove risorse - dice ancora il premier - semplicemente certifichiamo in un documento ufficiale i risparmi di spesa e le maggiori entrate e rendiamo definitivo il congelamento già programmato dei 2 miliardi".
"La mia lettera ha un contenuto politico e mira alla revisione delle regole nella prospettiva della nuova legislatura europea. In essa si chiarisce che l'Italia non vuole sottrarsi all’applicazione delle regole vigenti sulla procedura di infrazione", prosegue Conte. "Il binario di interlocuzione tecnica che è in corso con Bruxelles - aggiunge - chiarirà, con l’assestamento, che l’Italia rispetta le regole vigenti. La lettera però chiarisce le ragioni e la direzione del cambiamento. Attualmente nel Patto di stabilità e crescita c’è molta stabilità e poca crescita. Dobbiamo lavorare per incrementare le regole per contrastare la disoccupazione, per il salario minimo, per lo sviluppo sociale".
"Qualche giornalista oggi scrive che sarei venuto a Bruxelles con le mani vuote - afferma il premier nella dichiarazione scritta - Io rappresento un Paese del G7, il terzo Paese dell’Eurozona, la seconda azienda manifatturiera d’Europa: come si può pensare che io venga a mani vuote? Io rappresento tutte le migliaia di realtà imprenditoriali italiani che esportano in tutto il mondo con punte di assoluta eccellenza".
Ai vertici del governo italiano ci sarebbe vera preoccupazione per la possibile procedura per deficit eccessivo legata al debito che potrebbe essere raccomandata dalla Commissione Europea, e poi lanciata dal Consiglio. E' quanto si apprende a Bruxelles, a margine del Consiglio Europeo. Il negoziato sarebbe più difficile rispetto alla fine del 2018, perché la Commissione Europea che deve decidere se raccomandare o meno l'avvio della procedura è una Commissione uscente, che quindi è relativamente più libera di decidere applicando le regole.

Reggio Emilia, nel comune del Pd due inchieste con 33 indagati: “Così funziona il Sistema che spartisce appalti e nomine”. - Paolo Bonacini

Reggio Emilia, nel comune del Pd due inchieste con 33 indagati: “Così funziona il Sistema che spartisce appalti e nomine”

Alla fine dello scorso febbraio 18 dirigenti sono finiti indagati per falso ideologico e abuso d’ufficio. Tra gli altri la moglie del sindaco Vecchi, allora dirigente all’urbanistica. Pochi giorni fa la nuova e più pesante tegola sull'amministrazione comunale: 15 indagati, tra cui l’ex vicesindaco, un assessore, dirigenti di primo piano nella gestione degli appalti e dei soldi pubblici.

Lo hanno ribattezzato il “sistema Reggio Emilia”. È quello messo sotto accusa dalla procura della Repubblica per la seconda volta in soli quattro mesi. Due inchieste con 33 indagati travolgono la città già scossa da Aemilia, il più grande processo alla ‘ndrangheta nel Nord Italia. Il sistema Reggio lambisce l’amministrazione del rieletto sindaco Pd Luca Vecchi. Alla fine dello scorso febbraio 18 dirigenti del Comune di Reggio Emilia, in servizio nel 2013 (e in buona parte ancora oggi), sono finiti indagati per i reati di falso ideologico abuso d’ufficio. Tra gli altri la moglie dello stesso sindaco, allora dirigente all’urbanistica. Pochi giorni fa la nuova e più pesante tegola sulla testa dell’amministrazione comunale: 15 indagati, tra cui l’ex vicesindaco, un assessore, dirigenti di primo piano nella gestione degli appalti e dei soldi pubblici, il responsabile del servizio legale del comune e un gruppo di avvocati esterni. Con reati ipotizzati pesanti: turbativa d’asta, corruzione, abuso d’ufficio,falso ideologico e violazione del segreto d’ufficio. Il tutto negli anni tra il 2015 e il 2017, quando a portare la fascia tricolore era lo stesso Vecchi, successore e fedelissimo dell’ex ministro Graziano Delrio.
Per gli inquirenti il “sistema Reggio” che potrebbe emergere da entrambe le indagini – non collegate tra di loro – è una sorta di legge non scritta per l’assegnazione di incarichi e nomine, per la scelta di consulenti e professionisti, per la costruzione e l’assegnazione delle gare di appalto. Con l’obiettivo di favorire persone e imprese predeterminate. Emblematico il caso della nomina, nel maggio 2016, di Maria Teresa Guarnieri a direttrice della neonata azienda Asp Reggio Emilia che offre servizi e assistenza ad anziani, disabili e minori. Per quel posto era stata indetta una procedura pubblica ed erano arrivati 40 curricola, ma già da mesi si discuteva dell’opportunità di mettere al comando dell’azienda la dottoressa Guarnieri. Il presidente dell’Asp Raffaele Leoni, ex assessore provinciale, era d’accordo, il vicesindaco con delega al welfare, Matteo Sassi, nutriva dubbi. Se e quanto quel confronto “a priori” influenzò o condizionò la Commissione giudicatrice, che assegnò poi l’incarico fino al 2021, sarà l’indagine a stabilirlo. Intanto Leoni e Sassi sono entrambi indagati. Come è indagato l’avvocato Santo Gnoni, responsabile dell’ufficio legale del comune di Reggio Emilia e membro della Commissione.
I corposi sequestri di atti compiuti dalla Guardia di Finanza riguardano questa e altre vicende di nomine e assegnazione d’appalti, per volumi complessivi di decine di milioni di euro. E con l’ipotesi che ai risultati voluti si adeguassero poi i bandi, i concorsi, le gare e le Commissioni, seguendo procedure magari formalmente corrette ma tagliate su misura per i prescelti con gradi di libertà tali da condurre all’esito cercato. La corruzione e la violazione del segreto d’ufficio ipotizzate aprono nuove vie e nuovi moventi per raggiungere l’obbiettivo che resta comunque lo stesso: favorire i favoriti.
Nel caso del global service per la gestione degli impianti comunali a vincere – secondo le accuse – doveva essere la Gesta spa, società oggi del gruppo Coopservice, potente cooperativa con sede a Reggio Emilia, che ha vinto un appalto di quasi 12 milioni esteso fino al settembre 2022. Per i servizi di mobilità collettiva uniti alla gestione delle aree di sosta ha vinto il consorzio Tea controllato all’88% dalla società Til srl, a sua volta in mano all’azienda pubblica di trasporti Act. Qui si parla di 25 milioni di euro per un contratto fiume dal 2016 al 2024,  che sollevò perplessità anche da parte dell’Anticorruzione: secondo la guardia di Finanza era  cucito su misura per la Tea.
Paola Cagliari è invece direttrice dal giugno 2015 della Istituzione Scuole e Nidi dell’Infanzia, con un contratto a tempo determinato rinnovato nel 2017. È indagata in merito alla assegnazione delle attività dell’asilo nido “Giulia Maramotti” alla cooperativa Panta Rei, che da vent’anni gestisce servizi educativi in convenzione col comune in diverse scuole dell’infanzia. In associazione d’impresa con Reggio Children, il marchio educativo reggiano noto in tutto il mondo, Panta Rei gestisce anche la scuola aziendale dell’Eni a San Donato Milanese. In qualche modo aziendale è anche il nido Maramotti che riserva 30 posti dei 78 disponibili a dipendenti del Gruppo Max Mara, sulla base dell’accordo tra Fondazione Maramotti e Comune che nel 2008 portò all’apertura dell’asilo donato all’Ente Pubblico. 
Panta Rei gestisce la scuola da allora ma la gara pubblica indetta nel 2016 per il rinnovo del servizio fu oggetto di una battaglia legale. Panta Rei vinse con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, partendo da una base d’asta di circa 850mila euro. Il 3 agosto 2016 all’apertura delle buste la Commissione guidata da Paola Cagliari accertò che due delle tre imprese partecipanti, Panta Rei e la Cooperativa “Nasce un sorriso” di Potenza, non avevano allegato l’autentica notarile prevista alla firma sulla fidejussione. Trattandosi di “irregolarità formale e non sostanziale”, sta scritto nel verbale, la Commissione ritenne di non applicare nessuna sanzione. Due settimane dopo l’offerta del terzo concorrente che aveva ottenuto il punteggio più elevato, la Baby & Job srl di Roma, fu giudicata anomala per il ribasso del 10% nella proposta economica e la Commissione affidò nuovamente la gestione del nido alla Cooperativa Panta Rei. Fu fatta una “consegna anticipata d’urgenza”, nell’agosto 2017, con un contratto valido fino al 30 giugno 2020. La Babj & Job si oppose a questa decisione ricorrendo al Tar di Parma e perse la causa perché, sentenziò la Corte, non si rilevavano “nel complessivo agire dell’Amministrazione profili di irragionevolezza e illogicità tali da palesare una distorsione nell’esercizio del potere valutativo”.
Su questi e altri fronti sarà l’analisi dei materiali sequestrati e delle intercettazioni ambientali a dire se esista davvero o sia solo fantasia il “Sistema Reggio”. Gli indagati sostengono di non aver commesso illeciti. Il Pd tace mentre il sindaco è fiducioso tanto nell’operato della magistratura che in quello dei suoi assessori e dirigenti. Ma sul suo futuro pende una spada di Damocle pesante come 33 avvisi di garanzia.