Pochi giorni fa i ricercatori della Ohio University hanno descritto, su Clinical Infectious Diseases, l'ottavo coronavirus capace di infettare l'uomo, dopo i quattro noti per causare un raffreddore, il Sars-CoV (che ha provocato la SARS), il responsabile della MERS e Sars-CoV 2: il CCoV-HuPn-2018. La scoperta è stata fatta su 301 campioni di pazienti ricoverati per polmonite all'ospedale di Sarawak, in Malesia, nel periodo 2017-2018, il 2,5% dei quali è risultato positivo a un test specifico.
Il nuovo coronavirus, che ha causato polmoniti soprattutto in bambini, ha alcune caratteristiche inquietanti, perché si configura come tipicamente canino, ma contiene anche una mutazione che, finora, è stata riscontrata solo nei coronavirus umani e, in particolare, in Sars-CoV e nella prima versione di Sars-CoV 2.
L'ipotesi più probabile è che il contagio sia avvenuto dai cani all'uomo ma si ipotizza, anche, che questo virus abbia sviluppato le caratteristiche che permettono il passaggio di specie o spillover verso l'uomo: le stesse acquisite dai suoi cugini.
Si complica così il già articolato quadro dei coronavirus che possono o potrebbero infettare l'uomo, e quello della datazione e localizzazione dei primi spillover. Oltre a quello malese, nei mesi scorsi erano infatti stati descritti altri coronavirus simili a Sars-CoV2 in reperti di pipistrelli analizzati in Cambogia nel 2010 e in Giappone nel 2013, nei pangolini ancora in Malesia, e in alcuni altri mammiferi in diversi paesi, tutti variamente omologhi rispetto a Sars-CoV 2, e variamente capaci di legarsi ai recettori umani. E quasi tutti trovati in reperti precedenti il 2019.
Il rapporto dell’Oms in linea con le tesi cinesi.
La domanda sul momento zero resta dunque, per ora, senza risposta, almeno per quanto riguarda le indagini genetiche e il percorso compiuto dal coronavirus originario fino ai primi pazienti umani. Ad essa avrebbe dovuto iniziare a rispondere la missione dell'OMS sbarcata in Cina a fine gennaio che, tuttavia, dopo sole 4 settimane, senza aver avuto accesso a nessuno dei luoghi e dei documenti rilevanti allo scopo né, tantomeno, aver potuto parlare con i testimoni realmente importanti, è tornata a casa e ha reso nota una relazione che non ha convinto la comunità scientifica e, al contrario, ha rafforzato i dubbi e gli interrogativi.
In essa infatti si legge, in 4 delle 313 pagine, e senza dettagli, che sarebbe estremamente improbabile un'origine nei laboratori di virologia di Wuhan, dove però non è stato possibile accedere alle aree a più alto rischio biologico, né ai dati degli esperimenti degli anni scorsi.
Si legge inoltre che potrebbe essere probabile una contaminazione attraverso il mercato alimentare di Wuhan, che però è chiuso da un anno, ed è stato sanificato molte volte, al punto che non conteneva, al momento dell'ispezione, alcuna traccia di Sars-CoV2.
Si legge poi che potrebbe altresì essere plausibile un'origine attraverso alimenti congelati arrivati da altri paesi: circostanza più volte smentita categoricamente da autorità scientifiche internazionali come la European Food Safety Agency (EFSA), da molti esperti di microbiologia e da numerosi studi, con una motivazione che suona quasi banale a chi conosce la biologia di base dei virus: i coronavirus, come tutti i virus, hanno bisogno di cellule vive per riprodursi, e la carne o, in generale, il cibo surgelato non ne contengono.
La sopravvivenza di particelle virali vitali nei lunghi viaggi delle filiere globali, magari sul packaging, è un'evenienza ai limiti dell'assurdo, e il successivo contagio sarebbe dovuto avvenire per contatto diretto da parte di qualche operatore: un evento più che improbabile.
La relazione, in altri termini, ricalca fedelmente le prese di posizione del governo cinese degli ultimi mesi, e le conclusioni suggerite da alcuni dei ricercatori più conosciuti, come Shi Zhenli, ribattezzata batwoman, grande esperta di pipistrelli e protagonista, negli ultimi anni, di una carriera fulminante, che l'ha portata ai vertici della virologia cinese e, parallelamente, a perdere molta della credibilità che aveva acquisito a livello internazionale con i suoi primi studi.
Le richieste della comunità scientifica.
Tra le affermazioni che hanno contribuito al discredito, anche il fatto che tracce della presenza di Sars-CoV 2 in Europa e non solo – il riferimento è allo studio dell'Istituto dei tumori di Milano su campioni di persone risalenti all'autunno 2019 e ai riscontri delle analisi delle fogne di paesi come la Spagna - metterebbero in discussione l'origine dello spillover in Cina.
Troppo, per la comunità scientifica internazionale. Che ha fatto sentire forte la sua voce attraverso una lettera firmata da una ventina dei massimi esperti mondiali statunitensi, britannici e svizzeri, pubblicata su Science, nella quale si chiede che siano finalmente condotte indagini degne di questo nome, e che sia assicurato l'accesso a tutto ciò che serve per capire che cosa è successo, con uno scopo molto chiaro: prevenire il prossimo spillover o, quantomeno, organizzare per tempo le contromosse adeguate.
Si tratta, salvo mutamenti a oggi del tutto improbabili, di una sorta di libro dei sogni, perché il governo cinese non dà alcun segno di voler collaborare più di quanto non abbia fatto finora. E questo fa capire perché quei sogni potrebbero trasformarsi in incubi, qualora microrganismi come CCoV-HuPn-2018 decidessero che il serbatoio canino è meno accattivante di quello umano, e lo decidessero in Cina.
Il libro inchiesta di Fabrizio Gatti.
Tuttavia, la collaborazione delle autorità di Pechino potrebbe essere meno indispensabile di quanto si pensi per ricostruire i fatti, perché di molto di ciò che è accaduto, in realtà, esistono tracce, a volerle cercare. Lo ha fatto Fabrizio Gatti, giornalista d'inchiesta pluripremiato, che ha appena pubblicato L'infinito errore (la Nave di Teseo ) un libro che ricostruisce minuziosamente quanto accaduto fino dai tempi della SARS.
E ciò che impressiona è che il copione, con il Covid, si è ripetuto quasi identico rispetto ad allora, con l'aggravante dell'esistenza appunto di un precedente: negazioni, ritardi, omertà, distrazioni di massa, fumo negli occhi e vittime: tutto, pur di allontanare da sé l'idea o anche solo il sospetto di una crisi sanitaria. In quel caso, se la catastrofe fu evitata lo si deve soprattutto a Carlo Urbani, il medico italiano dell'OMS che riuscì convincere le autorità vietnamite del pericolo, dando così l'avvio a contromisure che permisero di circoscrivere il contagio.
«Ma con Sars-CoV2 l'OMS era ormai molto diversa, e non c'era un Carlo Urbani a preoccuparsi del resto del mondo, a costo della sua stessa vita» sottolinea Gatti.
Dall'analisi di migliaia tra documenti, lavori scientifici, corrispondenze, tutti riportati e spiegati in modo comprensibile a chiunque, Gatti ha tracciato il lungo percorso del virus. Un'indagine che dimostra, carte alla mano, come la Cina abbia studiato per anni, e sempre con modalità più che imprudenti, i coronavirus dei pipistrelli, in diverse zone del paese.
«A parte il coinvolgimento dei militari (che in Cina, in questi ambiti, c'è sempre), sono presenti, in letteratura e nei database genetici, le prove della scoperta di due coronavirus che condividono il progenitore con Sars-CoV 2 già nel 2015-2017 (ZC45 e ZXC21), volutamente ignorati, nel 2019. Inoltre ci sono molti altri studi sui coronavirus, perché fino dai tempi della Sars sono stati allestiti laboratori e progetti di ricerca con lo scopo di verificare la pericolosità di questi virus, la possibilità di contrastarli con farmaci e vaccini, la loro contagiosità e così via, anche con tecniche quali il discusso aumento di funzione, cioè il potenziamento, per via genetica, di alcune caratteristiche, o la creazione di ibridi tra virus diversi. Il tutto senza alcun controllo da parte della comunità scientifica internazionale».
Tutto questo dimostra che Sars-CoV 2 è uscito da un laboratorio cinese? «La risposta forse non l'avremo mai - afferma Gatti - ma di certo aver manipolato pipistrelli, guano, interiora, colture di virus, chimere e così via per anni, in strutture non adeguate, spesso con l'intervento di personale non preparato, anche sul campo (centinaia di studenti si sono avvicendati nelle diverse campagne di raccolta campioni nelle grotte frequentate dai pipistrelli) ha fatto aumentare in misura esponenziale i rischi. Capire quali sono stati i comportamenti sbagliati aiuterebbe non poco a predisporre procedure adatte».
«Di fronte alla complessità della pandemia e alla confusione del dibattito pubblico - conclude Gatti - ho cercato di rendere semplici e comprensibili a tutti argomenti complicati. Perché proprio dentro questa complessità sono maturate le condizioni e gli infiniti errori che hanno portato al disastro».
Quanto si sia avvicinato alla realtà lo suggeriscono fatti inquietanti accaduti dopo l'uscita del libro. Tra questi il boicottaggio, da parte di Google, di un podcast in cui Gatti parla del libro con lo scrittore Daniele Rielli, finito misteriosamente nella black list, cioè nella lista dei siti che non sono pubblicizzati a causa di quanto contenuto, genericamente considerato non consono ai canoni di Google.
IlSole24Ore