sabato 23 marzo 2019

Nicola Zingaretti indagato per finanziamento illecito. M5S attacca, lui si difende: «Estraneo ai fatti». - Fulvio Fiano

Nicola Zingaretti

Il neosegretario del Pd nel mirino della procura di Roma per una vicenda di un anno fa che coinvolge anche l’imprenditore Fabrizio Centofanti.


Il neosegretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, è indagato dalla Procura di Roma per finanziamento illecito in una vicenda risalente a oltre un anno fa ma della quale si è appreso solo ora.

La posizione del presidente della Regione Lazio potrebbe presto essere archiviata mancando riscontri investigativi sugli ipotetici passaggi di denaro. La vicenda viene fuori da un interrogatorio rilanciato dal settimanale L’Espresso in cui l’avvocato Giuseppe Calafiore — arrestato nella maxi inchiesta sul giro di presunte tangenti pagate da legali di importanti aziende per ottenere sentenze favorevoli al Consiglio di Stato — riporta ai magistrati una confidenza che avrebbe ricevuto dall’imprenditore Fabrizio Centofanti, anche egli finito in carcere nel febbraio 2018, e in passato capo delle relazioni istituzionali dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone. A Calafiore, che ha patteggiato la pena e collabora con le indagini, i pm chiedono dei finanziamenti elargiti da Centofanti: «Lui — è la risposta — mi parlava solo di erogazioni verso Zingaretti. Mi disse che non aveva problemi sulla Regione Lazio perché Zingaretti era a sua disposizione».

«Una ricostruzione non credibile», secondo l’avvocato Maurizio Frasacco, che difende sia Centofanti che il segretario del Partito democratico: «Sia perché Centofanti non l’ha mai confermata, sia perché contro la Regione è ricorso al Tar». Anche due dei più stretti collaboratori di Zingaretti, l’ex capo di gabinetto, Maurizio Venafro, e il tesoriere delle sue campagne elettorali, Giuseppe Cionci, erano indagati per corruzione e finanziamento illecito per delle consulenze avute da Centofanti dopo aver lasciato gli incarichi in Regione, ma per entrambi le accuse sono già cadute, restando però quella di false fatture. Contro Zingaretti si scaglia il Movimento Cinque Stelle che parla di «pessimo inizio della sua segreteria», e di «soliti metodi del Pd», e ne chiede le dimissioni. Zingaretti si dice invece «estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti. Mai nella mia vita ho ricevuto finanziamenti in forma illecita e non mi farò intimidire dalle bassezze del Movimento Cinque Stelle».

Mare Jonio, Luca Casarini indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. - Antonio Massari

Mare Jonio, Luca Casarini indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

Dopo otto ore d'interrogatorio come persona informata sui fatti il nome del capo missione della Ong Mediterranea è stato iscritto nel registro degli indagati. Ha condiviso operativamente le decisioni prese dal comandante della nave Mare Jonio, Pietro Marrone, quindi è anch'egli sotto indagine per le medesime accuse.

È entrato come persona informata sui fatti ed è uscito da indagato. Dopo un interrogatorio di quasi otto ore Luca Casarini esce dalla caserma della Guardia di finanza di Lampedusa con l’accusa di concorso favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
In qualità di capo missione della Ong Mediterranea Casarini ha condiviso operativamente le decisioni prese dal comandante della nave Mare JonioPietro Marrone, quindi è anch’egli sotto indagine per le medesime accuse. È accusato in concorso di aver violato anche l’articolo 1099 del codice della navigazione, ovvero di aver disobbedito all'alt impartito dal pattugliatore della gdf prima di entrare nelle acque territoriali italiane. La prossima settimana, nella nuova veste di indagato, quindi con la presenza del suo avvocato, Casarini sarà nuovamente interrogato ad Agrigento dai titolari del fascicolo Salvatore Vella e Cecilia Baravelli.
I magistrati della procura di Agrigento, che è coordinata dal procuratore Luigi Patronaggio, sono da giorni ormai sull’isola per coordinare personalmente le indagini sul caso della nave della Ong Mediterranea, avvicinatasi alla costa di Lampedusa nonostante un iniziale divieto della Guardia di finanza. La nave aveva salvato 49 migranti naufragati sulle acque di fronte alla Libia.
La notizia dell’indagine su Casarini era attesa da quando nel registro degli indagati era finito il comandante della nave. “Sono tranquillo, ho fatto il mio dovere. Avrei dovuto lasciarli morire? Rifarei tutto per salvare le persone”, il commento di Marrone. Due giorni fa i pm hanno convalidato il sequestro probatorio della nave disposto ieri dalla Guardia di Finanza. “Ovviamente nei prossimi giorni faremo ricorso. Noi non godiamo di nessuna immunità, ma siamo certi di avere operato nel rispetto del diritto e felici di avere portato in salvo 50 persone”,  ha annunciato la portavoce di Mediterranea, Alessandra Sciurba.

Lasciati a Conte 479 decreti bloccati.



Risultano ancora da approvare 307 provvedimenti risalenti a Gentiloni, 172 a Renzi e 14 persino a Letta.

Dopo un silenzio lungo otto mesi, finalmente – anche a seguito della denuncia de La Notizia – l’Ufficio per il programma di Governo che fa capo direttamente al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha aggiornato i dati relativi allo stock di decreti che l’Esecutivo Conte dovrà attuare nel corso dei prossimi mesi e dei prossimi anni.
Dal report (fino al 28 febbraio 2019) emerge che dall’insediamento del Governo un gran numero di decreti sono stati attuati e il (pesante) lascito, di Matteo Renzi prima e Paolo Gentiloni poi, si è sensibilmente ridotto. Se infatti a luglio 2018 i decreti da adottare per rendere esecutivi i provvedimenti legislativi approvati ammontavano a 641, a febbraio si è scesi a 479. Si è registrata, dunque, una diminuzione dello stock di oltre il 25% in 8 mesi.
Nel dettaglio sono 307 quelli relativi al periodo Gentiloni e 172 quelli del periodo Renzi. A tutto questo, come se non bastasse, si aggiungono 14 decreti risalenti addirittura a Enrico Letta. Ovviamente anche il Governo Conte ha i “suoi” provvedimenti che richiedono un secondo intervento attuativo. L’andazzo anche qui non è encomiabile: dei 230 decreti previsti, solo 23 sono stati finora adottati. Rimandare, a quanto pare, è la parola d’ordine.

Banca Etruria, Cassazione conferma le multe a Boschi, Nataloni e Orlandi.

Banca Etruria, Cassazione conferma le multe a Boschi, Nataloni e Orlandi

Sono stati sanzionati da Bankitalia per "quattro distinti tipi di violazione": quelle inerenti le regole della governance, carenze nell’organizzazione e nei controlli interni, carenze nella gestione e nel controllo del credito, omesse e inesatte segnalazioni all’autorità di vigilanza.

La Cassazione ha confermato le multe inflitte da Bankitalia a Luciano Nataloni (156mila euro), Pier Luigi Boschi (144mila euro) e Andrea Orlandi (144mila euro), ex componenti del consiglio di amministrazione di Banca Etruria fallita e commissariata nel febbraio 2015. Per i supremi giudici è ben motivato il decreto della Corte di Appello di Roma che nel 2016 aveva contestato ai tre consiglieri, tra cui il padre della ex ministraMaria Elena Boschi, “quattro distinti tipi di violazione”: quelle inerenti le regole della governance, carenze nell’organizzazione e nei controlli interni, carenze nella gestione e nel controllo del credito, omesse e inesatte segnalazioni all’autorità di vigilanza.
Senza successo, la difesa di Nataloni, Boschi e Orlandi ha cercato di scaricare tutte le responsabilità sull’ex presidente della banca Giuseppe Fornasari dicendo che “non si adoperava efficacemente per favorire la dialettica interna e l’adeguata circolazione di informazioni”. Per la Cassazione toccava a loro pretendere tutte le informazioni nel rispetto del dovere di “agire informati”.
Boschi è stato indagato per vari reati in oltre 10 fascicoli. Ha visto archiviare la propria posizione per il falso in prospetto e l’accesso abusivo al credito. Fornasari è stato assolto dall’accusa di ostacolo alla Vigilanza “perché il fatto non sussiste”.

Formazione, milioni di euro per progetti inutili: condannati Crocetta, Bonafede e Corsello. - Antonio Fraschilla

Formazione, milioni di euro per progetti inutili: condannati Crocetta, Bonafede e Corsello

I giudici della Corte dei conti accolgono in parte le richiesta della procura sul progetto Spartacus: poteva costare un terzo e molte attività non sono state svolte. Condanna all'ex governatore, l'ex assessore al Lavoro e all'ex dirigente del dipartimento per 2,1 milioni di euro.

La Corte dei conti ha condannato a un risarcimento da 2,1 milioni di euro, circa 700 mila euro a testa, l'ex governatore Rosario Crocetta, l'ex assessore al Lavoro Esterina Bonafede e l'ex dirigente del dipartimento Anna Rosa Corsello. Nel mirino della sentenza dei giudici contabili il progetto Spartacus, costato 35 milioni e affidato senza gara al Ciapi di Palermo: un progetto di formazione per gli ex 1.800 sportellisti che, secondo la Corte dei conti, poteva costare appena un terzo. Il danno è confermato come chiesto dalla procura, pari a 35 milioni di euro, ma il risarcimento inflitto è minore per una serie di attenuanti.

La procura regionale della Corte dei conti aveva citato in giudizio per danno all'erario  tutto l'ex giunta regionale guidata da Rosario Crocetta e gli assessori Ester Bonafede, Nino Bartolotta, Luca Bianchi, Lucia Borsellino, Dario Cartabellotta, Mariella Lo Bello, Nicolò Marino, Nelli Scilabra, Michela Stancheris, Patrizia Valenti e Linda Vancheri, l'ex dirigente del Lavoro Anna Rosa Corsello e gli ex dirigenti del Ciapi. Tutti accusati di aver dissipato 35 milioni di euro di fondi europei e statali che avrebbero dovuto essere utilizzati per retribuire l'attività di formazione e di politiche attive del lavoro espletata, per otto mesi, da circa 1.800 ex sportellisti a favore di novemila cassintegrati. Lo scandalo Ciapi per il progetto Spartacus scoppiò nel 2014. In base alle indagini della Guardia di finanza scattate dopo un esposto di alcuni ex sportellisti, si appurò che pressoché nessuna attività lavorativa era stata fatta e che, invece di operare in uffici del dipartimento Lavoro, gli ex sportellisti erano stati assegnati ad alcune scuole e ad altri rami dell'amministrazione ma sempre per restare sostanzialmente inattivi, almeno secondo quanto dichiarato da alcuni capi di istituto.

I giudici alla fine hanno assolto il resto della giunta e ridotto, di molto, la condanna chiesta dalla procura. Si legge nella sentenza: " 
Innegabilmente, infatti, il governo Crocetta ha ereditato le mai risolte problematiche legate alla complessa situazione regionale che ogni amministrazione si è trovata, di volta in volta, ad affrontare, in modo sempre più complesso, ad ogni legislatura. Le pressioni delle parti sociali, soprattutto in un tema così delicato come quello dell’occupazione, relegano, innegabilmente, i politici e gli organi amministrativi, in angusti spazi di azione entro i quali è oggettivamente difficile potersi districare, tali e tante sono le pressioni che gli stessi spesso si trovano a subire. Dette problematiche emergono palesemente nel caso in esame ove i dipendenti degli ex sportelli multifunzionali lamentavano a viva voce la loro precaria situazione da anni; proprio loro che, alla fine, sembrano essere i soggetti che hanno beneficiato delle già censurate scelte poste in essere dall’Amministrazione. Questa serie di circostanze, che il Collegio non può non ignorare, porta il Collegio medesimo a ridurre nei più ampi termini il danno di cui oggi si discute. Del danno, così come rimodulato dal Collegio in euro 31.623.410, deve essere preso in considerazione il 70% (euro 22.136.387), da ripartirsi in parti uguali, come richiesto da parte attrice, tra i convenuti Crocetta, Corsello e Bonafede, per arrivare ad una somma di euro 7.387.795,67 per ciascuno. Il Collegio, però, alla luce delle argomentazioni poc’anzi esposte, ritiene di poter ricondurre alla condotta dei convenuti, ritenuti oggi responsabili, unicamente il 10% dell’intero danno contestato; conseguentemente, i convenuti Crocetta Rosario, Corsello Anna Rosa e Bonafede Esterina devono essere condannati al pagamento della somma di euro 738.780,00 ciascuno, a favore della Regione Sicilia".


https://palermo.repubblica.it/politica/2019/03/22/news/formazione_35_milioni_di_euro_per_progetti_inutili_condannati_croetta_bonafede_e_corsello-222231287/?fbclid=IwAR3rNidsNyzxHWSu3tZMFz1VzseRrLePHkRzv40ZBEG-zhvrDct5EgWgAro

venerdì 22 marzo 2019

L’altra guancia del Movimento. - Tommaso Merlo



Dopo anni d’opposizione anche aspra, il Movimento si è messo il vestito della festa ed è entrato nei palazzi che contano sottovoce. Ha cioè preso il potere con senso di responsabilità e di servizio. Ed invece di regolare i conti col vecchio regime che l’aveva ghettizzato e infamato per anni, ha ritenuto opportuno porgere l’altra guancia. Come risposta il Movimento si sta beccando violenti schiaffoni. Porgere l’altra guancia nella vita è sicuramente un gesto nobile e perfino ammirevole, in politica è molto pericoloso soprattutto se dall’altra parte hai un regime spietato che non vuole rassegnarsi ed hai cittadini stremati da decenni di malapolitica. È vero, in democrazia le istituzioni appartengono a tutti e non solo a chi vince le elezioni, ma un approccio troppo morbido e perbenista sta logorando il Movimento. Il Movimento non è mai stato considerato una forza politica pienamente legittima dal vecchio regime, ma una sorta di anomalia da debellare, una malattia passeggera da curare. E il vecchio regime non ha affatto rinunciato alla sua intenzione di distruggere il Movimento 5 Stelle. I pupazzi politici e giornalistici dei potentati economici vogliono che la politica torni in mano a partiti controllabili da loro e in linea coi loro interessi e le loro idee. Vogliono levarsi dai piedi quel maledetto Movimento e tornare a farsi i propri sporchi comodi. È palese oggi più che mai. La crudeltà con cui viene aggredito da sempre il Movimento 5 Stelle è la più plastica dimostrazione della sua validità e della natura innovativa. Se il Movimento fosse un partito come gli altri, i potentati economici sarebbero già scesi a patti e i loro giornaloni sonnecchierebbero tranquilli. Un esempio concreto di “altra guancia” sono proprio i fondi dell’editoria tagliati gradualmente invece che tutti e subito. Il risultato è che il dibattito pubblico rimane infestato dai giornaloni del vecchio regime e non è ancora sorta un’informazione libera alternativa che possa competere con loro. E così il Movimento si ritrova a governare ed affrontare le elezioni intermedie con l’informazione mainstream in mano ai suoi peggiori nemici. Altro esempio è la legge sui conflitti d’interessi che inspiegabilmente si fa attendere. Ma in politica, porgere l’altra guancia è doppiamente dannoso. Non solo ti espone agli schiaffoni dei tuoi nemici, ma ti espone anche al giudizio dei cittadini che ti vedono prenderli. Se il Movimento è arrivato così in alto, lo deve ai cittadini, lo deve alle vittime del vecchio regime che hanno compiuto un mezzo miracolo nella selva individualistica italiana e cioé hanno ritrovato il coraggio di crederci e si sono riuniti in milioni intorno ad un sogno. Dopo decenni di umiliazioni e prese per i fondelli, quei cittadini esasperati non vogliono affatto che il Movimento porga l’altra guancia. Anzi, vogliono che la loro ansia di cambiamento radicale si rispecchi nelle parole e nei comportamenti dei portavoce dentro ai palazzi. Ogni ammiccamento, ogni inchino, ogni stucchevole perbenismo fa venire l’orticaria e dai marciapiedi italiani si sente puzza di tradimento, di rammollimento rispetto alle ambizioni rivoluzionarie del Movimento 5 Stelle. Non c’è dubbio che Di Maio stia facendo un gran lavoro, ma si sente una dannata mancanza di uomini come Alessandro Di Battista. Si sente un dannato bisogno di un Movimento che la smetta di porgere l’altra guancia e ritorni a prendere a schiaffoni il vecchio regime.

https://infosannio.wordpress.com/2019/03/22/laltra-guancia-del-movimento/?fbclid=IwAR2HMoQhLBQohvxXlfy6_HKmGcj4QkPOF2qNoTqvBrC5TRHjrh-J6zLa3xg

giovedì 21 marzo 2019

Devitalizzati. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 21 Marzo:


L’arresto per corruzione di Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea capitolina, cioè del consiglio comunale della Capitale, è una notizia gravissima. E il fatto che non sia la prima volta – era già toccato nel 2015, per Mafia Capitale, a quello del Pd Mirko Coratti, poi condannato a 6 anni – non la sminuisce. Anzi, se possibile, la aggrava. Sia perché De Vito è un uomo di punta dei 5Stelle, storico militante fin dalla loro fondazione, soi disant campione dell’onestà. Faceva la morale alla sua acerrima nemica Virginia Raggi, che aveva il torto di averlo battuto alle primarie online nel 2016 e vinto le elezioni, diversamente da lui che le aveva straperse quattro anni prima. Accusava la Raggi e Daniele Frongia di avergli fatto la guerra a colpi di dossier, mentre si erano limitati a chiedere spiegazioni su alcune sue condotte opache, com’è giusto in un movimento che sbandiera la trasparenza. Ora, col senno di poi, si può dire che avrebbero dovuto approfondire meglio. Ma non è detto che avrebbero scoperto qualcosa di paragonabile a quel che si legge nell’ordinanza di arresto. L’impressione è che De Vito all’inizio non fosse una mela marcia, ma che – sempreché le accuse siano confermate in giudizio – lo sia diventato strada facendo, accumulando risentimenti per la mancata sindacatura e magari pensando a sistemarsi in vista della fine della sua carriera politica, tra due anni, alla scadenza del secondo mandato.
Di Maio ne ha subito annunciato l’espulsione, marcando la diversità da tutti i partiti che gridano al complotto, alla giustizia a orologeria, alle manette elettorali per rifugiarsi nella comoda scusa della presunzione di innocenza fino alla Cassazione. Si spera che l’espulsione sia stata decisa dopo aver letto le carte, perché un arresto è un fatto pesantissimo, ma non sempre risolutivo. Dipende dagli elementi d’accusa già dimostrati o suffragati da ampi riscontri, e in questo caso ce ne sono parecchi. Leggere le carte è sempre importante per sapere chi ha fatto cosa e assumere le decisioni che la politica deve prendere allo stato degli atti, a prescindere dagli aspetti penali, che seguono tutt’altri binari. Ora, cacciato De Vito, si tratta di decidere la sorte dell’amministrazione Raggi. La sindaca è stata rivoltata come un calzino dalla Procura e ne è sempre uscita pulita. La condanna dell’ex capo del personale Marra riguarda fatti dell’èra Alemanno e le tangenti addebitate al consulente Lanzalone non hanno inquinato alcun atto della giunta. Se però ora emergesse che De Vito aveva complici fra gli assessori, la sindaca dovrebbe trarne le inevitabili conseguenze.
Ma non pare questo il caso: sia per la correttezza dei vertici della giunta, sia per i pessimi rapporti di De Vito con la Raggi e i suoi fedelissimi, sia per gli scarsi poteri operativi del presidente dell’Assemblea, che al massimo può promuovere mozioni o interrogazioni, non risulta che costui abbia assunto o condizionato decisioni sulle operazioni immobiliari contestate dai pm (peraltro bloccate da un’eternità). Evidentemente i palazzinari – veri, eterni e intoccabili re di Roma – non riuscivano a penetrare nella giunta. E, in mancanza di meglio, hanno aggirato l’ostacolo agganciando l’anello più debole della catena, l’unico big M5S risultato finora permeabile alla tentazione. Un tizio che, in attesa delle sentenze, non possiamo ancora definire un corrotto, ma possiamo già considerare un fesso: un politico con un minimo di sale in zucca non parla al telefono con faccendieri di soldi da spartire pochi mesi dopo l’arresto di Lanzalone e tre mesi prima delle elezioni europee che tutto il sistema attende con ansia per ammazzare i 5Stelle. Tutti sanno che ogni scandalo targato M5S fa mille volte più notizia di quelli targati Pd (Zingaretti indagato per finanziamento illecito, ma lui si dice “tranquillo” e morta lì), FI (c’è l’imbarazzo della scelta) e Lega (49 milioni spariti, un sottosegretario bancarottiere, vari amministratori condannati, e tutti zitti). Dunque sta ai 5Stelle spalancare gli occhi per scoprire in anticipo qualunque trave nell’occhio del vicino di banco.
Chissà, forse senza la radicalizzazione della guerra intestina fra meetup “devitiani” e “raggiani”, qualcuno avrebbe potuto notare e segnalare credibilmente certi rapporti poco chiari di De Vito prima che arrivassero le forze dell’ordine. In ogni caso questo ennesimo scandalo in casa M5S, il primo che vede coinvolto un iscritto (e che iscritto) con l’accusa di corruzione, proprio questo segnala: l’incapacità di distinguere non tanto fra politici onesti e disonesti (spesso indistinguibili, specie quando si tratta di mele sane che si guastano strada facendo), ma tra politici capaci e incapaci, tra persone di valore e gentaglia o gentuccia. La selezione a caso, anzi a cazzo, praticata finora è un terno al lotto: può premiare gente valida, come alcuni ministri e sindaci M5S, ma anche soggetti che è meglio perdere che trovare. Ed è stupefacente che, dopo sei anni di esperienza parlamentare, si continui a discutere di regole interne, espulsioni di dissidenti, voti online, doppi mandati e scontrini, e mai di creare una scuola di politica e di amministrazione: cioè uno strumento fondamentale per attirare energie positive dalla società, selezionare una classe dirigente e formarla adeguatamente. Questo non basterebbe mai a scongiurare i casi di corruzione, almeno quelli legati alla disonestà di un singolo. Ma aiuterebbe a far crescere, maturare e nobilitare un movimento a cui, come ha detto Giorgia Meloni, “se levi l’onestà, restano solo gli show di Grillo”.