martedì 23 giugno 2020

Bullizzata su Instagram da due 14enni perché obesa, 12enne finisce in ospedale e la mamma denuncia.



Credeva fossero suoi amici e invece l'hanno presa in giro per i suoi chili di troppo, fino a pubblicare su falsi profili social creati «ad hoc» sue foto «imbarazzanti». È accaduto a Napoli dove una studentessa di appena 12 anni preda di una sincope è finita in ospedale.
Una storia simile a molte altre che hanno avuto esiti ancora più tragici. La ragazzina è stata colta da malore dopo avere ricevuto minacce da due ragazzi, un 14enne e una quasi 14enne, che si sono scagliati anche contro la madre della vittima, una professionista di 50 anni la quale, alla fine, ha deciso di rivolgersi ai carabinieri. Durissimo il tenore dei messaggi postati dai due haters all'indirizzo di madre e figlia: «...io mangio e non ingrasso..., questo non tu non te lo puoi permettere…» ma anche del tipo «...ti faccio piangere sangue...», oppure «attenta alle cose che dici perché poi picchio a te e tua mamma, attenta che io mi suicido dopo che ho ucciso te», e infine «attenta che muori prima tu di me, stai scherzando con il fuoco non sai di cosa sono capace». Particolarmente eloquente un messaggio in chat in cui prendono di mira la donna: «Attenta che stiamo organizzando una vattuta (pestaggio, ndr) ... più continui più la pestiamo...». La chiosa è estremamente violenta: «...dimostra un po' di affetto per tua figlia...».
A causa dei maltrattamenti la vittima è diventata inappetente e preda di frequenti mal di testa e di pancia. Malori che alla fine sono sfociati in preoccupanti tremori e perdite di coscienza, manifestazioni di grave disagio che l'hanno logorata a tal punto da rendere necessarie le cure mediche.
La presunta amicizia tra la 12enne e i due ragazzi è iniziata lo scorso mese di marzo. Una relazione altalenante che poi ha preso una brutta piega quando il 14enne ha pubblicato quell'immagine sui social. Malgrado la disperazione la ragazza ha avuto la forza di chiedere aiuto a sua madre la quale ha contatto un genitore: ed è stato a questo punto che è scattata la ritorsione on-line, veemente. «Dovrebbero vietare i social ai minorenni - dice preoccupata la mamma della ragazza, - perché è troppo facile insultare nascondendosi su queste piattaforme». Ovviamente, tra le minacce, non è mancata quella di reiterare la pubblicazione di altre fotografie «imbarazzanti» per crearle intorno il vuoto intorno.
La madre si è rivolta all'avvocato Sergio Pisani il quale, dopo avere raccolto i messaggi pubblicati su Instagram e il referto dell'ospedale, ha presentato una denuncia ai carabinieri. «Quanto accaduto a giovane vittima impone una riflessione - afferma il penalista - i social non dovrebbero assolutamente consentire la creazione di falsi profili. I profili devono essere tutti certificati con una procedura di riconoscimento on-line previa esibizione e invio di documenti di riconoscimento». La giovane ragazza, intanto, pesantemente offesa, «bullizzata» e isolata dagli amici, continua a soffrire.
Ecco uno dei motivi che mi porta a diventare razzista.
Questi bulletti sono il risultato della mancata educazione ed attenzione genitoriale.
I figli non basta metterli al mondo, vanno seguiti amorevolmente e responsabilmente, insegnando loro che non è l'aspetto fisico o il colore della pelle o ciò che si indossa a fare di un essere una Persona, ma il contenuto dell'essere Persona.
In ogni caso, bisogna far entrare nella loro testolina vuota che tutti gli esseri viventi hanno diritto al rispetto.
Bisogna fargli capire che comportarsi da bulletti è, ahimè, sinonimo di senso di inferiorità nei confronti di chiunque possa confrontarsi con loro, non avendo argomenti da produrre a loro vantaggio.
Questi bulletti sono i futuri irresponsabili protagonisti di malefatte ovunque approderanno perchè privi di etica, sono i futuri corruttori o corruttibili, sono gli utili servi del potere marcio.
C.

Milano, tangenti su appalti metro: 13 arresti tra cui dirigente Atm. Greco: Gare truccate.



Tra gli indagati nell'operazione della guardia di finanza figura un dirigente responsabile degli 'impianti di segnalamento e automazione' delle linee metropolitane. Il sindaco Sala: "Ora provvedimenti immediati da Atm".

Tredici persone sono state arrestate dal Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Milano nell'ambito di un'inchiesta su presunte tangenti e appalti truccati relativi alle forniture per le metropolitane milanesi. Dodici, tra cui alcuni imprenditori, sono finite in carcere mentre un'altra persona è stata messa ai domiciliari. Al centro dell'indagine ci sono 8 appalti da 150 milioni di euro, mentre risultano indagate 30 persone fisiche e otto società tra cui Siemens Mobility, Alstom Ferroviaria, Ceit e Engineering Informatica. Tra gli arrestati figurano due funzionari Atm, Stefano Crippa e Paolo Bellini, dirigente dell'Atm (società municipalizzata del Comune di Milano) responsabile degli 'impianti di segnalamento e automazione' delle linee metropolitane, due manager di Alstom Ferroviaria e uno di Siemens Mobility.

Le accuse. 
Le accuse, a vario titolo, sono di associazione per delinquere, corruzione, turbativa d'asta, peculato, abuso d'ufficio. Il dirigente Atm, ritenuto pubblico ufficiale, secondo l'accusa avrebbe incassato o pattuito presunte mazzette per 125mila euro tra ottobre del 2018 e luglio del 2019. 
Tra gli appalti al centro dell'inchiesta, uno sulla manutenzione di impianti di telecomunicazione della linea 5 della metropolitana milanese e uno sui sistemi di segnalazione automatica della linea 2. Sono in corso perquisizioni in altre città d'Italia nelle sedi delle otto società indagate, oltre che in quelle Atm, a Cascina Gobba e in Viale Zara. L'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dal pm Giovanni Polizzi ha portato all'ordinanza cautelare firmata dal gip Lorenza Pasquinelli.

Indagini anche su appalto per sistema frenate d'emergenza su M1.
Durante le indagini sono stati anche "raccolti elementi" su un "episodio di corruzione" del 2006 per "l'assegnazione dell'appalto relativo al sistema di segnalamento" della linea M1, "nel cui contesto sono emerse le recenti criticità (frenate brusche d'emergenza)". In Procura a Milano, infatti, sono aperte anche indagini sulle brusche frenate (FOTO) con feriti che si sono ripetute per mesi. Del sistema di sicurezza se ne occupa Alstom, società finita ora indagata nell'inchiesta sugli appalti.

Le intercettazioni: "Ho un lavoretto da 18 milioni".
"Adesso c'è l'altra gara importante di 18 milioni, e questo sarebbe un bel lavoretto da fare, è l'installazione delle colonnine elettriche per gli autobus in tutti i depositi". Così in un'intercettazione parlava Paolo Bellini, il dirigente dell'Atm finito in carcere oggi. Lo si legge nell'ordinanza di custodia cautelare di oltre 400 pagine nella quale il gip parla esplicitamente di "metodo Bellini" sugli appalti. 
"C'è da chiudere la banchina e siccome non c'è da recuperare niente gli ho detto: con fiamma ossidrica e flessibile, due settimane, smantelliamo una banchina". In questo modo, intercettato nel marzo 2019, Paolo Bellini si interessava anche dell'esecuzione di lavori per la "eliminazione delle porte di banchina", da affidare ad una società a lui riconducibile, per il problema delle "frenate". 
Bellini inoltre avrebbe proposto all'amministratore di una società coinvolta nelle gare truccate di falsificare "la stampigliatura di un cavo" con caratteristiche diverse da quelle "richieste da Atm". Lo scrive il gip spiegando che per il dirigente, come emerge dalle intercettazioni, la "posa del cavo 'sbagliato'" sarebbe "sicuramente passata inosservata" salvo un incidente. "Un incendio, un cortocircuito ... per arrivare a quello deve bruciare la galleria", diceva l'uomo intercettato.

Negli ultimi 2 anni influenzate tutte le gare pubbliche.
Intercettazioni, come scrive il gip di Milano Lorenza Pasquinelli, che dimostrano "il livello di spregiudicatezza raggiunto da Bellini" che ha proposto a Piergiorgio Colombo, amministratore della Gilc impianti srl, una delle società che avrebbe ottenuto gli appalti grazie al "metodo Bellini", di falsificare "la stampigliatura di un cavo" per "occultare" all'Atm che "il prodotto fornito non corrispondeva a quello da contratto". Solo se ci fosse stato un incidente, come emerge dalle intercettazioni, per Bellini il "magistrato" avrebbe potuto prendere "il c.... di pezzo di cavo" e far fare "un'analisi chimica, tecnica". Per il giudice "l'imponente mole di elementi acquisiti descrive un fenomeno criminale in essere da ben più tempo rispetto all'inizio" delle indagini. Bellini avrebbe creato, infatti, una delle sue società, la Ivm, con la quale si inseriva "privatamente negli appalti" pubblici, già "circa 10 anni fa". Emergono, poi, elementi già del 2006 sulla gara per la "manutenzione del segnalamento" della linea M1, la "procedura gemella", scrive il gip, "a quella per la M2", ossia sul problema delle frenate, "oggetto di alcune delle attuali contestazioni". Dalle intercettazioni, aggiunge il gip, viene fuori che nemmeno "una procedura di gara pubblica negli ultimi 2 anni circa" si è salvata dal condizionamento, "più o meno penetrante", dell'intervento "abusivo di Bellini.”

Il procuratore Greco: "Metodica alterazione di gare".
Le indagini "hanno accertato l'esistenza di un sistema di metodica alterazione di gare ad evidenza pubblica indette da Atm spa gravitante attorno alla figura" di Bellini, "pubblico ufficiale con il ruolo di Responsabile dell'Unità amministrativa complessa sugli impianti di segnalamento e automazione delle linee metropolitane 1, 2, 3 e 5", e "alle società Ivm srl e Mad System srl", create dal dirigente per "interferire" negli appalti. Lo spiega il procuratore di Milano Francesco Greco.
Il "metodo" dell'associazione per delinquere, spiega ancora Greco, consisteva "nell'offrire alle imprese interessate a partecipare alle gare" la "consulenza del pubblico ufficiale", il dirigente indagato, che avveniva "sotto forma di fornitura di materiale e informazioni privilegiate, trafugate dalla stazione appaltante". Alle imprese sarebbe anche stata garantita la "possibilità di sopralluoghi riservati e perfino la supervisione e correzione delle bozze di offerta, sino all'indicazione precisa delle percentuali di ribasso da offrire ad Atm", che è "parte lesa", per prevalere sulle concorrenti. In cambio il dirigente avrebbe incassato tangenti "proporzionali al valore dell'appalto e cadenzate mensilmente". In più le imprese vincitrici delle gare dovevano "coinvolgere nell'esecuzione delle opere", come subappaltatori, le società Ivm e Mad System o altre imprese con cui l'uomo "concordava" le mazzette. 

"Assunzioni pilotate."
Il dirigente Atm avrebbe anche pilotato "alcune procedure di assunzione di personale nell'azienda di proprietà comunale, favorendo soggetti privi delle necessarie professionalità e competenze, ma legati alle imprese che lo remuneravano illecitamente, e quindi inseriti nel gruppo di lavoro alla sue dipendenze, garantendogli così l'assoluta riservatezza nelle gestione illecita della fase esecutiva dei lavori", spiega ancora il procuratore Francesco Greco. Sono stati ricostruiti "decine di episodi corruttivi e di turbativa d'asta" in particolare su appalti "per l'innovazione e la manutenzione" delle linee metropolitane. Tra indagati e arrestati, spiega Greco, "spiccano in particolare gli esponente di Siemens Mobility spa, Alstom Ferroviaria spa, Engineering informatica spa, Ceit spa, Gilc impianti civili srl e Ctf impianti srl", tutte società indagate per la legge sulla responsabilità amministrativa, assieme alle due riferibili al dirigente Atm che, oltre a 125mila euro di tangenti, tra promesse e versate, avrebbe ottenuto anche "prestazioni di servizi e benefit" e "l'acquisizione di rilevanti subappalti" per le sue due aziende. 

Il sindaco Sala: "Ora provvedimenti immediati da Atm."
"Atm è un'eccellenza milanese e il suo lavoro non deve e non sarà infangato dalle malefatte di pochi. Ovviamente mi aspetto provvedimenti immediati da parte dell'azienda nei confronti di chi è stato coinvolto nei procedimenti giudiziari e una seria verifica dei processi aziendali". Così il sindaco di Milano, Giuseppe Sala. "E' sconfortante scoprire che mentre tutti si impegnano e lavorano per il bene della comunità, qualche disonesto mette a repentaglio il lavoro fatto da una intera azienda", ha dichiarato. “Ho chiesto ad Atm - ha fatto sapere Sala - di prendere provvedimenti rapidi, queste persone devono essere allontanate, licenziate, quello che si può fare. Se le cose stanno così la giustizia intervenga rapidamente e le pene siano anche esemplari. Non me l'aspettavo e ho dentro tantissima rabbia perché tanti stanno facendo la loro parte in questo momento di difficoltà e due funzionari ti mettono in croce - ha aggiunto. È la dimostrazione che bastano due funzionari infedeli, ancora oggi per regole o per la mancanza di controlli, per gettare una macchia" sulla città "e questo non va bene”, ha concluso.

La nota di Atm.
In relazione "all’accesso della guardia di finanza di Milano alle sedi di ATM , al fine di acquisire documentazione e informazioni inerenti un’indagine in corso nei confronti, tra l’altro, di due funzionari ATM, Paolo Bellini e Stefano Crippa", l’azienda ha fatto sapere in una nota di aver "sin da subito prestato la propria fattiva collaborazione alle Autorità inquirenti anche al fine di determinare al più presto gli elementi relativi alle responsabilità dei soggetti indagati e assumere tutti i conseguenti provvedimenti a riguardo. L’Azienda - si sottolinea nella nota - è del tutto estranea ai fatti contestati, attribuiti ai singoli soggetti che, a quanto si apprende, avrebbero agito autonomamente in violazione del Codice Etico di ATM ancor prima che in violazione delle norme di legge. Di conseguenza, ATM ha già dato incarico ai propri legali al fine di tutelare l’Azienda in tutte le sedi opportune".

Conte chiude: rissa a destra e promessa di tagliare l’Iva. - Patrizia De Rubertis

Conte chiude: rissa a destra e promessa di tagliare l’Iva

Tirata d’orecchi ai Benetton: “Da loro nessuna proposta concreta”. Lite con Lega&FdI e annuncia aiuti alle donne manager.
“Stiamo discutendo in questi giorni di ritoccare l’Iva. Abbassarla un po’ potrebbe dare una spinta alla ripresa dei consumi: è un fatto di fiducia. Poi interverremo su misure concrete, come incentivi per i lavoratori del turismo in sofferenza. Non è sufficiente riformare il Paese ma occorre reinventarlo”. Al termine delle nove giornate degli Stati generali dell’Economia, nella verde cornice di Villa Pamphilj a Roma, il premier Giuseppe Conte dà una chiara indicazione di cosa conterrà il piano di rilancio che sarà presentato entro la fine di giugno dopo un “confronto” con i singoli partiti di centrodestra che hanno sbloccato la disponibilità a sedersi a un tavolo con il governo, ma non accettano l’ipotesi di inviti separati da parte del premier (ad esclusione di Forza Italia, “pronta” a incontri singoli). Tanto che la Lega sbotta: “Il centrodestra è unito e non bisogna perdere tempo: il governo convochi la coalizione”.
Il piano di rilancio costituirà l’ossatura del Recovery plan che l’Italia presenterà a settembre all’Ue per ottenere i fondi comunitari. “Ma ci sono anche misure di più immediato impatto per le quali valuteremo un ulteriore scostamento di bilancio con risorse in deficit”, spiega Conte in conferenza stampa con la forza di chi si sente “più forte e fiducioso di concludere la legislatura”.
Dal 13 giugno, il governo si è confrontato (“nessuna passarella”) con oltre 120 interlocutori tra imprese, sindacati, associazioni e una delegazione di cittadini comuni rappresentanti di diversi settori. Un dialogo da cui sono emerse le tre direttrici che per Conte consentiranno di “riformare” il sistema-Italia: la modernizzazione del Paese, la transizione energetica e l’inclusività che passano per l’alta velocità, i pagamenti digitali, l’impulso alla rete unica per superare il divario digitale esploso con la didattica a distanza e lo smart working. Ma Conte parla anche di blockchain, investimenti in ricerca e scuola, taglio del cuneo fiscale disposto dall’ultima manovra e promette a 500 donne che aspirano a diventare manager un master Mba Executive dal valore di 35.000 euro.
Il premier torna anche sulla questione Aspi. Una “soluzione chiara arriverà a breve sulla revoca della concessione di Autostrade – dice Conte – Sul tavolo non c’è una proposta accettabile da Aspi, ci avviamo verso una soluzione obbligata”.
Ieri Conte ha ricevuto diversi personaggi del mondo della musica, del cinema, del teatro, della letteratura, dell’architettura, come Alessandro Baricco, Stefano Boeri, Massimiliano Fuksas, Stefano Massini, Elisa, Giuseppe Tornatore e Monica Guerritore. “Un settore, quello della cultura, vero punto di forza del Paese, di fondamentale importanza e a cui questo governo vuole dare la dovuta attenzione”, dice Conte. Un comparto che in queste settimane sta manifestando, perché tra i più colpiti dalla crisi, “ha ricevuto ancora troppo poco”, ha spiegato la cantante Elisa.

Il Tomba. - Marco Travaglio

La sciacallaggine di Renzi raggiunge vette apicali, e la difesa ...
Non vorremmo che, a furia di sentirsi chiamare Innominabile, lo Statista di Rignano si fosse convinto che qualche legge proibisca di nominarlo. Lo fa pensare l’esilarante motivazione della causa civile che ci ha recapitato ieri, la tredicesima in sei mesi: “Il 1° maggio 2020 il Fatto Quotidiano pubblicava una prima pagina con immagini e titoli gravemente ed oggettivamente offensivi dell’onore, della reputazione del Sen. Matteo Renzi. In particolare al centro della pagina ‘campeggiava’ la seguente frase: ‘Renzi sciacallo lascia in pace i nostri morti’. Trattasti (sic, ndr) di affermazioni diffamatorie perché violano i limiti della continenza e sono dirette a denigrare la persona del Senatore Renzi che, attraverso la voluta strumentalizzazione e distorsione del senso e significato delle parole da quest’ultimo pronunciate, viene additato come ‘sciacallo’”, subendo un danno “indeterminabile”. In effetti siamo usi nominare il suo nome invano senza chiedergli il permesso e impostare la prima pagina e le successive senza il suo imprimatur. Il 1° maggio la notizia del giorno era il suo intervento in Senato del 30 aprile, quando aveva sparato a zero contro i presunti “pieni poteri” di Conte e la sua decisione di non abolire subito il lockdown, e aveva leggiadramente aggiunto: “Pensiamo di onorare la gente di Bergamo e di Brescia che non c’è più e che, se avesse potuto parlare, ci avrebbe detto: ‘Ripartite anche per noi’”. Frase definita “a dir poco infelice” persino dal sindaco renziano di Bergamo Giorgio Gori.
Siccome il genio incompreso aveva tirato in ballo i loro morti per farne i suoi ventriloqui (e i giornaloni facevano i salti mortali per nascondere la tragica figuraccia del loro beniamino), telefonammo ai comitati delle vittime di Bergamo e Brescia per raccogliere i loro commenti. Molti erano “indignati e offesi” e gli suggerivano di “vergognarsi” per le sue “parole scandalose”. I più ribattevano che i loro parenti defunti, se avessero potuto parlare, avrebbero chiesto la zona rossa subito, cioè avrebbero voluto chiudere di più, non di meno. I più gentili lo chiamavano “sciacallo”. Uno, meno diplomatico, direttamente “testa di c.”. Riportammo il tutto a pagina 3 e lo sintetizzammo nel titolo di prima, fra virgolette. Ora il tombarolo (lo chiamavano il Bomba, ora è il Tomba) denuncia noi: forse si vergogna di trascinare in tribunale i parenti delle vittime; o non sa che le virgolette indicano una frase altrui (peraltro sacrosanta); o, non conoscendo vergogna, chiederà i danni anche a loro. Se noi, oltretutto, avessimo voluto infierire, gli avremmo ritorto contro le sue parole del 30 aprile: “Se qualcuno dicesse di riaprire tutto, andrebbe ricoverato”.
Parole pronunciate un mese dopo l’intervista ad Avvenire del 28 marzo, in piena pandemia, in cui intimava di “riaprire le fabbriche prima di Pasqua, poi i negozi, le librerie, le messe e le scuole dal 4 maggio”. Cioè avremmo chiesto un Tso per farlo visitare da uno bravo. Invece ci limitammo, in un commento di Daniela Ranieri, a osservare che la sua parola vale zero: “Il merito per costui è irrilevante. È tutto cinismo d’accatto, giocoleria della tensione, esibizionismo da torero”, roba da “caratterista di Fellini”, da “Nando Orfei del 2%”. 
Parole, se possibile, vieppiù confermate dalla lettura della sgrammaticata richiesta di mediazione appena recapitata. Chiarito che il titolo riassumeva il pensiero dei parenti delle vittime da lui e macabramente richiamate dalle tombe per farle parlare come se stesso, ci resta una curiosità: quali sarebbero le “immagini gravemente ed oggettivamente offensive dell’onore, della reputazione del Sen. Matteo Renzi”? L’immagine in prima pagina era una sua foto: dobbiamo forse ritenere che l’Innominabile si pretende pure ineffigiabile, come Battisti e Mina, ma soprattutto considera diffamatoria la sua faccia? Noi, sul punto, potremmo anche concordare con lui (lo diceva già Dostoevskij: “Dopo i 40 anni ciascuno è responsabile della faccia che ha”). E impegnarci a nascondere per sempre le sue offensive sembianze. Ma prima ci vorrebbe una legge che lo renda ineffabile e invisibile, come il Dio ebraico: siccome non sembra, ma fa parte della maggioranza, potrebbe pure ottenerla, magari in cambio del ritiro della candidatura di Scalfarotto a presidente della Puglia (resa vieppiù improbabile dalla faccia dello Scalfarotto, che dunque andrebbe proficuamente aggiunto con apposito emendamento).
Ultimo punto: se chi dice sciacallo “viola i limiti della continenza e denigra la persona del Senatore Renzi”, che ci dice costui di quel premier che diceva “basta sciacalli nei talk show” (22.4.2015); chiamava Grillo “sciacallo” (5.5.2014 e 30.3.2015), anzi “squallido sciacallo” (5.3.2017); dava degli “sciacalli per lucrare due voti” a chi criticava il suo governo dopo gli scontri fra ultrà all’Olimpico (5.5.2014); paragonava a “Tabaqui” (lo sciacallo di Kipling) gli oppositori interni al Pd (15.4.2015); tacciava di “sciacallo” Salvini (20.4.2015, 14.11.2017, 29.11.2018 e 6.12.2018); diceva “bugiardo o sciacallo” a Di Maio che aveva ricordato i finanziamenti dei Benetton al centrosinistra (16.8.2018)? Bene: quel premier era lui. Ricapitolando: se lui dà dello sciacallo a mezzo mondo, è un complimento; se i parenti delle vittime del Covid gli danno dello sciacallo, è un’offesa e lui chiede i danni a noi. Ma un Tso, ogni tanto?

Consulenti finanziari. I venditori porta a porta non forniscono pareri: piazzano prodotti costosi. - Beppe Scienza

professionista o imbonitore
Caesar non supra grammaticos: anche l’imperatore non aveva potere sulla lingua. Così nessuna legge della Repubblica può cambiare il significato delle parole. Non vogliamo però affrontare questioni di purismo linguistico, ma una grave stortura della normativa sul risparmio in Italia. I venditori porta a porta di investimenti ci provarono subito, quando negli anni ’70 collocavano sciagurati titoli atipici.
Già allora cercavano di presentarsi come consulenti finanziari, per ispirare più fiducia. Ma per fortuna il Testo unico della finanza (Tuf) tenne la barra a dritta, imponendo la corretta denominazione di promotori finanziari. Poi però, con il governo Renzi e il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, all’industria del risparmio gestito riuscì il colpaccio. La legge di Stabilità 2016 ribattezzò in consulenti i promotori finanziari, senza per altro cambiare la sostanza delle cose. Così ora si fregiano di tale titolo soprattutto venditori, agenti di commercio o dipendenti di banca. In tal modo gli è più facile carpire la fiducia dei risparmiatori, intrappolando i loro soldi in tutta una serie di scatole nere: fondi comuni, polizze vita, piani previdenziali, ecc.
I pochissimi in Italia che davvero campano fornendo consigli ai risparmiatori, meno di 300 persone fisiche e 50 società, sudano quattro camicie per smarcarsi dai venditori porta a porta e sportello a sportello. In particolare dagli oltre 50 mila sedicenti consulenti ma di fatto promotori finanziari.
Raschiando sotto la denominazione ufficiale, tutto conferma che si tratta di venditori, persino il loro inserimento previdenziale. Risultano infatti agenti di commercio che versano contributi all’Enasarco. Se fossero davvero consulenti avrebbero una partita Iva come liberi professionisti. Per di più devono assolutamente agire per conto di un’unica società. Non possono cioè essere multimarca. Potremmo poi citare le gare di vendita delle reti porta a porta e le loro sontuose convention a Dubai o Miami , tutta roba da venditori, non da consulenti. Che poi, parlando coi clienti, diano anche indicazioni o consigli è scontato e irrilevante. Lo fa anche il negoziante di abbigliamento o di vini. In maggiore o minore misura lo fa qualunque venditore. Sono comunque meri venditori anche decine di migliaia di bancari attivissimi allo sportello o in salottini dietro la targa “consulenza investimenti” o espressioni simili.
Ultima precisazione: un consulente (vero) può anche suggerire di stare fermi e tenere provvisoriamente i soldi sul conto, come un legale onesto può consigliare di non fare causa. Invece un venditore, per sbarcare il lunario e magari comprarsi la Ferrari, deve per forza piazzare i prodotti e servizi del suo catalogo. E possibilmente i più costosi e più pericolosi, che gli fruttano provvigioni più alte.
www.ilrisparmiotradito.it Twitter @beppescienza

domenica 21 giugno 2020

Palamara, la replica dell’Anm agli avvertimenti: “Mente e inganna l’opinione pubblica”. Caputo: “Inventa realtà”. E Albamonte lo querela.

Palamara, la replica dell’Anm agli avvertimenti: “Mente e inganna l’opinione pubblica”. Caputo: “Inventa realtà”. E Albamonte lo querela

Il sindacato delle toghe diffonde un comunicato per spiegare perché non ha sentito il suo ex presidente prima di espellerlo: "Semplicemente perché lo Statuto non lo prevede. Non vi sono altre ragioni". Il leader di Area querela il collega, che ai giornali riferisce di cene con l'onorevole dem Donatella Ferranti per discutere della nomina del vicepresidente del Csm David Ermini. Il segretario dell'Anm Caputo, tirato in ballo sempre dal pm sotto inchiesta, replica: "Per difendersi attacca, ma con lui mai parlato di nomine".
“Un Giudice dovrebbe essere in grado di leggere lo Statuto di una associazione. Ancora di più quando ne è stato Presidente”. Nel day after dell’espulsione di Luca Palamara dall’Associazione nazionale magistrati – da lui presieduta tra il 2008 e il 2012 – le polemiche nel mondo delle toghe sono tutt’altro che svanite. Il sindacato dei magistrati, infatti, ha affidato a un comunicato stampa la sua replica per il pm al centro dell’inchiesta che imbarazza il mondo della giustizia. Ma a Palamara non è indirizzata solo la nota ufficiale dell’Anm, ma pure la smentita – si presume a titolo personale – del segretario del sindacato delle toghe, Giuliano Caputo. E poi l’annuncio di querela di Eugenio Albamonte, collega di Palamara alla procura di Roma e come lui ex presidente dell’Anm. Ma andiamo con ordine.
Anm: “Palamara mente” – Già ieri, quando il comitato direttivo centrale aveva respinto all’unanimità la sua richiesta di audizione, Palamara aveva attaccato: “Mi è stato negato il diritto di parola e di difesa, nemmeno nell’Inquisizione”. Poi aveva fatto trapelare alle agenzie di stampa il testo del suo discorso denso di rivendicazioni e avvertimenti. Quindi, in una serie di interviste ad alcuni quotidiani (compreso Il Fatto) rincara la dose: “Non ho agito da solo e non farò, come ho già detto più volte, da capro espiatorio. Questo deve essere estremamente chiaro”, dice il pm indagato dalla procura di Perugia. Ed è tornato nuovamente ad attaccare, che a suo dire non gli avrebbe dato modo di difendersi dalle contestazioni. “Quando dice che non ha avuto spazio per difendersi, Palamara mente” e “cerca ora di ingannare l’opinione pubblica con una mistificazione dei fatti”, replica la giunta dell’Associazione nazionale magistrati. “Il dottor Palamara – si legge nella nota dell’organismo guidato da Luca Poniz – non è stato sentito dal Cdc semplicemente perché lo Statuto non lo prevede. Non vi sono altre ragioni. Quando dice che non ha avuto spazio per difendersi Palamara mente: è stato sentito dai probiviri e in tutta la procedura disciplinare non hai mai preso una posizione in merito agli incontri con consiglieri del Csm, parlamentari e imputati. E, come lui, gli altri incolpati. Le regole si rispettano, anche quando non fanno comodo”.
“Albamonte a cena col Pd”. E lui querela – Molto diverso il dibattito che si è acceso per le dichiarazioni rilasciate da Palamara ai giornali, nei minuti dopo l’espulsione. Il pm è stato chiamato a chiarire cosa intende dire nel suo discorso quando si scaglia contro “quelli che ancora oggi siedono nell’attuale Comitato direttivo Centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento”. A chi si riferiva, gli chiede Antonio Massari del Fatto: “A Eugenio Albamonte e Donatella Ferranti, per esempio. Per quanto mi risulta, si sono frequentati come io ho incontrato Luca Lotti e Cosimo Ferri. Non credo che abbiano parlato solo di calcio”, risponde Palamara. Che poi evoca su quelle cene l’ombra degli accordi per le nomine degli uffici giudiziari: “Diciamo che non lo posso escludere. Esisteva un rapporto anche tra Ferranti ed il vice presidente del Csm David Ermini: erano compagni di partito”. Segretario di Area, la corrente di sinistra delle toghe, storicamente in buoni rapporti con Palamara – che era il leader di Unicost, la corrente moderata e per lungo tempo alleata di Area – Albamonte ha dato mandato al proprio legale per presentare querela nei confronti del collega. Il motivo? Lo ha diffamato – spiega l’avvocato Paolo Galdieri- parlando di fatti mai avvenuti, in particolare di non meglio precisate cene tra il mio assistito e l’onorevole Donatella Ferranti, già presidente della commissione Giustizia della Camera, nelle quali si sarebbe discusso della nomina del vicepresidente del Csm David Ermini e delle nomine di avvocati generali della Cassazione”. “Non vediamo cosa ci sia di diffamatorio nelle dichiarazioni del nostro assistito. Sarà comunque un’occasione di chiarimento. Piuttosto ci si dovrebbe seriamente interrogare sul trattamento ricevuto da Palamara, privato di difesa e di come il trojan inoculato non abbia carpito nulla di penalmente rilevante”, controreplicano i legali di Palamara, gli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti.
“Caputo? Ha beneficiato del sistema”. “Tutto falso” – Al quotidiano Repubblica, invece, il pm sotto inchiesta fa il nome del segretario dell’Anm, che come lui fa parte di Unicost: “Se penso a Giuliano Caputo – le parole di Palamara – penso a un beneficiato assoluto di questo meccanismo che si trova lì perché Enrico Infante, anche lui di Unicost, era ritenuto troppo di destra. Questi sono gli errori che hanno fatto fallire un sistema facendo prevalere gli accordi tra correnti”. Caputo, da parte sua, non querela ma smentisce: “Nel disperato tentativo di difendersi attaccando, Palamara inventa una realtà che non corrisponde ai fatti“. Il segretario dell’Anm smentisce di aver discusso con lui di nomine: “Mai ne avevo parlato con lui e la pubblicazione integrale delle chat chiarirà forse anche le sue idee sulla mia nomina.Con un chiaro tentativo mistificatorio accosta le dinamiche associative alle prassi relative alle nomine per posti direttivi e semidirettivi ed al mercato delle nomine di cui è stato assoluto (anche se non unico) protagonista negli ultimi anni. Non ho mai parlato né con lui né con altri di domande presentate da me o da altri magistrati”, dice Caputo. “Raramente – prosegue il segretario dell’Anm – mi sono confrontato con lui, come con altri ex esponenti apicali dell’Anm, su questioni dell’associazione. Era nota la sua aspirazione a diventare procuratore aggiunto a Roma, resa possibile dall’abrogazione di una norma, avvenuta con dinamiche ancora da chiarire, rispetto alla quale l’Anm ha assunto da subito una posizione di ferma condanna. Ignoravo assolutamente i suoi tentativi di condizionare la nomina del procuratore della Repubblica di Perugia che avrebbe dovuto gestire il procedimento a suo carico, che si confrontasse con un parlamentare imputato per la nomina del procuratore di Roma e che pensasse di screditare, per varie ragioni, altri colleghi, circostanze che hanno rappresentato le ragioni della sua espulsione dall’Anm”.

Luca Palamara espulso dall’Anm: “Gravi e reiterate violazioni del codice etico”. E lui manda avvertimenti: “Vantavano diritti anche probiviri che chiedono mia cacciata. Hanno rimosso cene con politici”.

Luca Palamara espulso dall’Anm: “Gravi e reiterate violazioni del codice etico”. E lui manda avvertimenti: “Vantavano diritti anche probiviri che chiedono mia cacciata. Hanno rimosso cene con politici”

Non era mai accaduto prima che l’Associazione nazionale magistrati decidesse di espellere un suo ex presidente. Il pm, cacciato per quanto emerso nell’indagine di Perugia, ha diffuso il testo del suo intervento, che non c’è stato perché è stata respinta la richiesta di poter parlare. "Non mi sottrarrò alle responsabilità politiche del mio operato per aver accettato regole del gioco sempre più discutibili. Ma deve essere chiaro che non ho mai agito da solo. La responsabilità non era soltanto mia. Non farò il capro espiatorio di un sistema", scrive.
Luca Palamara ha commesso gravi e reiterate violazioni del codice etico. Per questo motivo l’Associazione nazionale magistrati ha decretato l’espulsione del pm al centro dell’inchiesta che imbarazza il mondo delle toghe . È la prima volta che un provvedimento così drastico viene assunto nei confronti di un ex presidente dell’Anm: Palamara, infatti, ha guidato il sindacato delle toghe tra il 2008 e il 2012. “Oggi non abbiamo bisogno di capri espiatori, abbiamo bisogno di tornare a prendere coscienza della diffusività di comportamenti che dimostrano un modo distorto di formazione del consenso in magistratura – non intorno ad idee e valori – ma sulla base di interessi strettamente individuali, su impropri rapporti tra consiglieri o esponenti di correnti e magistrati aspiranti ad un incarico”, ha detto il segretario dell’Anm Giuliano Caputo al Comitato direttivo centrale prima del voto sull’espulsione. Un riferimento, quello ai “capri espiatori“, ripetuto anche dal presidente Luca Poniz e che non è casuale. Nessuna vittima sacrificale, ma “solo alcuni colleghi a cui sono stati stati addebitati specifici fatti”, ha detto il numero del sindacato delle toghe. Fonti di via Arenula fanno sapere che il guardasigilli Alfonso Bonafede rispetta “il percorso di rinnovamento dell’Anm” e “non entro nel merito delle loro scelte“. Il ministro ha raccomandato di mantenere il massimo impegno e concentrazione sul progetto di riforma del Csm: “Questa – ha detto – sarà la vera rivoluzione “.
L’espulsione – Nel giorno in cui i suoi colleghi decidevano di cacciarlo, infatti, il magistrato indagato a Perugia avrebbe voluto pronunciare davanti a loro un discorso. Quattro pagine in cui compaiono allusioniavvertimenti, rivendicazioni. E anche qualche ammissione di colpa. L’Anm, però, ha rigettato la richiesta di audizione all’unanimità. “Mi è stato negato il diritto di parola e di difesa, nemmeno nell’Inquisizione”, commenta il pm di Roma. “La richiesta del collega Palamara di rendere dichiarazioni davanti dal Cdc non è stata accolta ai sensi di Statuto, giacché esso assegna non alla fase decisoria, bensì a quella istruttoria, affidata ai probiviri, l’ascolto dell’incolpato e la possibilità di raccogliere sue memorie e documenti. Di tali facoltà il dottor Palamara ha potuto avvalersi compiutamente in quella sede, venendo convocato allo scopo più volte, come da sue richieste”, spiega una nota del Comitato direttivo centrale.
“Non farò il capro espiatorio di un sistema” – Palamara, però, ci teneva parecchio a parlare davanti all’intero parlamentino delle toghe. La sua non sarebbe stata una difesa tecnica sulle contestazioni, ma un discorso il cui senso è riassumibile nella chiusa: “Non farò il capro espiatorio di un sistema”. Bocciata la sua richiesta di audizione, Palamara ha quindi girato alle agenzie di stampa il testo del suo intervento. “Ognuno – scrive il magistrato – aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri, anche quelli che oggi si strappano le vesti, penso ad esempio ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ancora oggi ricoprono ruoli di vertice all’interno del gruppo di Unità per la Costituzione, o addirittura ad alcuni di quelli che ancora oggi siedono nell’attuale Comitato direttivo Centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento. Sarebbe bello che loro raccontassero queste storie. Non devo essere io a farlo. Io ascoltavo sempre tutti”.
“Io non ho agito da solo” – Una vera e propria messa in stato d’accusa dei suoi stessi accusatori. Palamara, infatti, riconosce di aver “fatto parte del sistema delle correnti, quel sistema che ora mi condanna, spesso mi insulta, perché a torto o a ragione individua in me l’unico responsabile di tutto. Io – dice l’ex presidente dell’Anm – non mi sottrarrò alle responsabilità politiche del mio operato per aver accettato regole del gioco sempre più discutibili. Ma deve essere chiaro che non ho mai agito da solo. Sarebbe troppo facile pensare questo“. Il magistrato al centro dell’inchiesta che imbarazza tutto il mondo delle toghe, insomma, rivendica un passaggio fondamentale: non è solo lui l’artefice della degenerazione rappresentata dal sistema delle correnti. “All’inizio – sostiene il pm – ero animato dal sacro fuoco del cambiamento, perché ovviamente anche io mi rendevo conto che era un meccanismo infernale, dal quale però mi sono lasciato inghiottire. Ma ciò non per sete di potere”, bensì in una logica – che oggi riconosco, comunque, erronea – secondo cui il rafforzamento della posizione, mia e del mio gruppo di appartenenza, avrebbe potuto assicurare opportunità di avanzamento di colleghi meritevoli. Ma il fine, ora non posso non ammetterlo, non giustifica mai i mezzi”.
Responsabilità non è soltanto mia”- Nel suo discorso Palamara rivendica: “Le nomine dei dirigenti giudiziari sono il frutto di estenuanti accordi politici. Talvolta essi conducono alla designazione di persone degnissime e meritevoli di ricoprire i posti per cui hanno fatto domanda. Nella consiliatura a cui ho preso parte, sono stati nominati più di mille nuovi dirigenti. E tra essi – alla guida delle Procure di Milano, Napoli, Palermo (solo per citarne alcune) – magistrati di grande valore come Francesco GrecoGiovanni MelilloFranco Lo Voi“. Poi, però, Palamara ammentte che “alcuni casi le nomine hanno seguito solo logiche di potere, nelle quali il merito viene sacrificato sull’altare dell’appartenenza. Dei risultati virtuosi di quella esperienza consiliare non ho la presunzione di dirmi l’artefice, ma solo un testimone. Degli altri che non hanno risposto a questa logica sento, invece, il peso della responsabilità. Che però non è soltanto mia”.
Le altre decisioni su Ferri e Criscuoli – Al centro dell’indagine che imbarazza il mondo della magistratura, Palamara è stato sospeso in via cautelare da funzioni e stipendio dalla sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli. La contestazione all’ex pm di Roma riguarda l’episodio dell’incontro in un albergo romano con i consiglieri del Csm, poi dimissionari, Luigi Spina, Corrado Cartoni, Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli e Antonio Lepre, e i deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri (poi passato a Italia viva), per discutere di nomine ai vertici delle principali procure italiane, in primo luogo quella di Roma. In quel momento Lotti era indagato dalla procura capitolina per l’inchiesta Consip. Subito tutti i magistrati coinvolti vennero deferiti ai probiviri, e la richiesta di espulsione è stata formulata per tutti, ma la maggior parte di loro si sono nel frattempo dimessi dall’Anm. Non lo aveva fatto Paolo Criscuoli, che oggi è stato sospeso per 5 anni. Diversa la posizione di Ferri, che è magistrato in aspettativa. Secondo il Comitato direttivo centrale, Ferri è ancora socio dell’Anm a differenza di quanto sostenuto dal diretto interessato e almeno da una parte dei probiviri: per questo sono stati rinviati gli atti al collegio dei probiviri, che ora dovranno procedere con una proposta.
Le accuse e l’hotel Champagne – Neanche Palamara ha voluto dimettersi dall’Anm: adesso è il primo ex presidente ad esserne espulso. Probabilmente lo sarebbe stato anche se avesse potuto parlare davanti al comitato centrale. Nel suo discorso, infatti, il pm non si difende da queste contestazioni: “Sugli aspetti deteriori del correntismo e sulle vicende che mi hanno riguardato allhotel Champagne devo potermi difendere nella competente sede disciplinare e spiegare quando sarà il momento a tutti i magistrati le mie ragioni e lo stato d’animo che mi ha accompagnato in quei giorni. Non posso farlo oggi perché per difendermi ritengddover utilizzartutti gli strumenti processuali che l’ordinamento mette mia disposizione. Non mi sottrarrò alle mie responsabilità su questi fattioggi posso dire che ho sottovalutato le mie frequentazioni di quel periodo perché in me prevaleva l’idea di schivare qualsiasi pericolo e di essere un incorruttibile”. I pm di Perugia, però, non la pensano così.
La riforma del Csm e la fine della crisi dell’Anm- Il comitato direttivo centrale ha all’ordine del giorno anche la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Nelle bozze che sono circolate della riforma sono state recepite molte delle nostre proposte”, ma “dobbiamo stare attenti che questa non sia l’occasione per un attacco all’indipendenza della magistratura“, ha detto il segretario dell’Anm Giuliano Caputo. Un concetto su cui ha insistito anche il presidente Luca Poniz: “Speriamo di non dover ricordare il principio di autonomia che il Csm è chiamato a tutelare e che ha legame con la democrazia”. Poniz e Caputo, tra l’altro, hanno chiesto una “rinnovata fiducia” e un “mandato politico pieno” alla giunta dell’Associazione nazionale magistrati per affrontare l’interlocuzione sulle riforme e la ripresa dell’attività giudiziaria dopo lo stop dovuto all’emergenza coronavirus. La richiesta arriva dopo la crisi che, per effetto delle nuove chat emerse dagli atti dell’inchiesta di Perugia sul caso Palamara, aveva portato lo scorso 23 maggio alle dimissioni della giunta. Poi, in una successiva riunione due giorni dopo, in assenza di un accordo “politico” si decise che sarebbe rimasta in carica per l’ordinaria amministrazione e per arrivare alle elezioni, rinviate a ottobre a causa dell’emergenza sanitaria. “Ho chiesto, dopo che ci siamo scontrati anche aspramente e abbiamo affrontato una crisi politica un nuovo mandato sui punti essenziali – ha spiegato Caputo, intervenendo al Cdc – riforme, per affrontare la ripresa totale dell’attività nei tribunali, per l’organizzazione delle elezioni telematiche che è complessa e rispetto alla quale non possiamo permetterci errori o disguidi. È necessario perché la sostanza dell’accordo e della ritrovata concordia tra di noi e l’appoggio dei gruppi all’attività della giunta sia percepito in modo chiaro e lineare anche all’esterno”. Poco dopo il mandato a Caputo e Poniz è stato votato dal comitato centrale. La crisi interna all’Anm, dunque, sembra essere rientrata nel giorno dell’espulsione di Palamara.