Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 7 aprile 2023
Governo ingiusto..
mercoledì 26 maggio 2021
Vi serve un disegnino? - Marco Travaglio
C’è chi le cose le intuisce subito, chi dopo un po’ e chi mai. Eppure non era difficile capire perché Conte non doveva gestire i soldi del Recovery Fund che lui stesso (non la Von der Leyen o la Merkel, come raccontava l’altroieri a Ottoemezzo quel furbacchione di Bernabè, insieme a varie balle sui vaccini) aveva portato a casa il 21 luglio: perché il suo governo non obbediva a Confindustria e agli altri padroni del vapore, tutti puntualmente tornati a trafficare dopo la sua caduta, ben nascosti dietro il supercurriculum di SuperMario. Il bello è che molti continuano a non capirlo neppure ora che i Migliori hanno gettato la maschera. Non basta nemmeno che si parli di Paolo Scaroni – che nel ’96 patteggiò 16 mesi per le tangenti Techint al Psi in cambio di appalti Enel – alle Fs al posto dell’incensurato Battisti. Né che sia sufficiente un titolo del Sole 24 Ore contro il ministro Orlando – accusato di “inganno” per la proroga del blocco dei licenziamenti, annunciata in conferenza stampa con Draghi – per indurre il governo all’immediata retromarcia al fine di non contrariare troppo il padrone delle ferriere Carlo Bonomi, che si crede pure il padrone del governo e in effetti lo è.
Questo curioso esemplare di imprenditore senza impresa (non ne ha neppure una) si permette di accusare di “imboscata” il ministro del Lavoro senza che nessuno – tipo il premier – lo rimetta al posto suo. Silenzio di tomba, a parte la solidarietà a Orlando da un frammento del suo partito e da Patuanelli e le proteste dei tre leader sindacali (bentornati sulla terraferma: due mesi fa erano tutti a cena chez Brunetta, ora è arrivato il dessert). Cosa deve ancora accadere perché i giallorosa prendano atto di far parte non di un governo di unità nazionale, ma di centrodestra, dove comanda la minoranza Lega-Forza Italia Viva e la maggioranza M5S-Pd-Leu si limita a metterci i voti? Oggi, se tutto va bene, la Commissione di Indecenza del Senato, che ha già restituito il vitalizio ai ladri, lo ridarà anche agli ex senatori, per ribadire la prima legge della Restaurazione: la legge è uguale per gli altri. Nel 1993, per 4 autorizzazioni a procedere su 5 contro Craxi negate dalla Camera al pool di Milano, il Pds ritirò i suoi ministri dal neonato governo Ciampi. Non perché il voto della Camera fosse colpa del governo, ma perché Occhetto e persino Rutelli ritennero che allearsi con partiti che calpestavano il principio di eguaglianza fosse complicità. Ci pensino, 5Stelle, Pd e Leu, se oggi i loro alleati forzaleghisti compieranno l’ennesimo scempio sui vitalizi. Nel ’93 il governo Ciampi stava in piedi anche senza il Pds, mentre il governo Draghi senza i giallorosa va a casa: quando si ricorderanno di essere la maggioranza, sarà sempre troppo tardi.
IlFQ
venerdì 14 maggio 2021
Grazie a tutti. - Luciano Scanzi
Sono abili, confondono le idee, ci spacciano la merda per finissima cioccolata. E noi abbiamo i neuroni rattrappiti da un devastante e perenne lockdown mentale, che rende quello dovuto alla pandemia una piccola pausa di riflessione.
martedì 2 marzo 2021
La mossa di Mattarella è politica (verso destra). - Tomaso Montanari
Ora che il “governo del Presidente” è tutto sotto i nostri occhi, è possibile criticare il Presidente? I manuali di Diritto costituzionale spiegano che non si è mai stabilito un divieto legale di criticare il presidente della Repubblica perché lo scopo della tacita regola per cui il capo dello Stato non si critica è quello di indurlo ad agire in modo da non ricevere critiche. Se l’attività del Presidente diventasse insindacabile, verrebbe meno la garanzia che questi non faccia un uso politico dei suoi poteri.
Ora, la decisione di non sciogliere le Camere è stata frutto di una valutazione dello stato del Paese: come tale, quintessenzialmente politica. La scelta di non comunicare questa decisione al presidente del Consiglio Conte, che aveva appena ricevuto la fiducia dal Parlamento, è stata politica. La decisione di incaricare Mario Draghi senza ricavarne il nome da un ulteriore giro di consultazioni, e mettendo i partiti davanti a un fatto compiuto, è un’altra scelta politica di Sergio Mattarella. Tutto nei limiti formali della Costituzione, sia chiaro, ma, come ha osservato Gustavo Zagrebelsky, fuori dalle consolidate convenzioni che circondando l’attuazione della Carta. E con la chiara volontà politica di uscire dalla crisi “dall’alto”, e non “dal basso”. Verso l’oligarchia, non verso la democrazia parlamentare. Coerentemente, Mattarella si è assunto davanti al Paese la responsabilità dell’identità del nuovo esecutivo: “Di alto profilo” e “che non deve identificarsi in nessuna formula politica”.
Come mentore e garante di un “governo del Presidente di alto profilo”, Mattarella ha assunto su di sé (ancor più di quanto non preveda l’articolo 92 della Costituzione) la responsabilità della scelta dei ministri, e quindi dei sottosegretari: ben sapendo, tra l’altro, che il Consiglio dei ministri è organo collegiale il cui presidente è solo un primo tra pari. Ora, come pensare che la credibilità della Presidenza non sia intaccata dalla qualità infima, in molti casi disdicevole fino al rigetto, della compagine ministeriale? Da cittadino, sono francamente sconcertato che il Presidente, dopo aver promesso al Paese l’“alto profilo”, abbia firmato i decreti di nomina di ministri come Stefani o Gelmini, e di sottosegretari come Molteni o Sisto. Borgonzoni alla Cultura e Sasso all’Istruzione, poi, sono veri e propri schiaffi alle parti più sensibili del progetto costituzionale.
E veniamo alla formula politica: che, in realtà, esiste eccome. Anzi, quella larghissima formula fino a ieri impensabile potrebbe essere la base per la rielezione dello stesso Mattarella al Quirinale: in un cortocircuito che avrebbe implicazioni inedite. Ancor più se questo secondo mandato, di cui si inizia a sentir parlare, avesse termine precoce: magari proprio per permettere l’ascesa di un successore (lo stesso Mario Draghi) che sarebbe così in qualche modo un erede designato, in una torsione dal sapore monarchico. E inoltre: la scelta di portare la Lega in un governo del Presidente comporta un’assunzione di responsabilità politica per nulla neutrale, visti i molti nodi irrisolti nei rapporti di quel partito con i neofascismi e il suo sostanziale rigetto di gran parte dei principi fondamentali della Carta. E anche la scelta di affidare l’opposizione a un solo partito, ancor più compromesso col neofascismo, è gravida di conseguenze politiche (a mio avviso, nefastissime). In Cecità di Saramago (libro che, a rileggerlo oggi, mette i brividi) la radio finalmente trovata, diffonde “notizie non confortanti: correva voce che fosse prevista a breve scadenza la formazione di un governo di unità e di salvezza nazionale”. Credo che anche oggi, nell’Italia resa politicamente cieca dalla pandemia, la notizia più sconfortante sia proprio questa. La resa della politica; la teorizzazione, dal più alto colle della Repubblica, che di fronte all’emergenza si debba abbandonare qualsiasi “formula politica”. E non per il presunto commissariamento da parte dei tecnici (che sembrano in verità assai poco autorevoli), quanto proprio per la dimensione dirompentemente antipolitica del messaggio che ne scaturisce. Tutti i partiti insieme, a correre sulla monorotaia imposta dal mercato e dalle banche (Draghi): a far capire che davvero There Is No Alternative, nessuna scelta è possibile. E cioè di fatto affermando che è inutile (oggi e domani) votare, perché comunque le scelte sono obbligate, e prese in alto: per il bene dello Stato.
Come dimostrano le prime mosse di Draghi (dalla scelta dell’ultraliberista Giavazzi alla incomprensibile opposizione, in sede europea, alla donazione dei vaccini per il personale sanitario africano proposta da Francia e Germania), la formula politica c’è: l’asse della politica italiana si è ulteriormente spostato a destra. E non per un voto, ma per una decisione politica del presidente della Repubblica.
Io credo che Mattarella si sia consultato con Napolitano prima di decidere, ed ha deciso seguendo il consiglio ricevuto, senza commettere, però, lo stesso errore fatto da Napolitano quando nominò Renzi a capo del consiglio per le sue doti di yesman, (bravo soldatino), ma che, alla fine , è risultato poco adatto, poichè ammalato di protagonismo ed egocentrismo. Draghi è stato scelto per le sue doti di "mago della finanza" e, quindi, a disposizione del mondo della finanza, mondo nel quale si muove benissimo. Naturalmente essendo un drago, farà gli interessi di chi conta, non certo i nostri.
Ancora una volta, la politica ci ha dimostrato che ciò che chiamano democrazia è solo un'utopia, il nostro voto non ha alcun valore, andare a votare o non farlo produce lo stesso effetto, se votiamo chi vogliamo noi il governo cade, se votiamo chi vogliono loro il governo prosegue fino alla scadenza naturale.
Mattarella mi ha molto deluso, pensavo fosse un buono, ma credo di aver confuso la sua bontà con una forma di debolezza, di mancanza di carattere.
Cetta.
sabato 20 febbraio 2021
Con la scissione. L’ammucchiata va verso destra. - Antonio Padellaro
Dopo la fiducia del Senato al gabinetto Draghi, forse a qualcuno è sfuggito che se le defezioni 5Stelle fossero definitive (15 voti contrari e 8 assenti) la coalizione uscente del governo Conte-2 (Pd-M5S-LeU) avrebbe meno voti di Lega-Forza Italia a Palazzo Madama (110 contro 115). Ragion per cui le lacerazioni dei grillini rischiano di spostare decisamente a destra l’asse della maggioranza. Ragion per cui, se si vuole evitare che Matteo Salvini conquisti la golden share della presunta unità nazionale, sembrano urgenti almeno tre interventi.
1. È del tutto evidente che perseguendo la via della espulsione in blocco dei parlamentari che dicono di no a Draghi (a Montecitorio se ne contano 20) i vertici del Movimento, Beppe Grillo in testa, non faranno altro che radicalizzare lo scontro, spingendo i dissidenti prima nella terra di nessuno del Misto e quindi verso lidi più accoglienti, a cominciare proprio dalla Lega.
Senza l’avvio di una ricomposizione interna, o almeno di una tregua armata, aumenterebbe la pressione sull’ala “governista” da parte di quel 40% di iscritti che sulla piattaforma Rousseau si è pronunciato contro l’ammucchiata con Berlusconi, Salvini e Renzi. Quando il governo si troverà, prima o poi, a decidere su temi altamente sensibili per i 5Stelle – uno per tutti, la rottamazione della riforma Bonafede che blocca la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, anche se la ministra Cartabia sostiene che non c’è fretta –, nei gruppi potrebbe crescere lo smottamento per togliere l’appoggio al gabinetto Draghi, e sarebbero guai seri.
2. A proposito di Mario Draghi, assistiamo a dotte disquisizioni (a sua insaputa) sulla cultura politica liberalsocialista di cui egli sarebbe portatore. A maggior ragione, potrebbe un Draghi sensibile alle idee della sinistra riformista accettare che il sovranismo antieuropeo cacciato dalla porta (dal suo predecessore) ricicci sotto mentite spoglie? Rafforzare e non indebolire il contrappeso Pd-5S-LeU è anche nel suo interesse.
3. Chi può utilmente strutturare l’intesa giallorosa è proprio Giuseppe Conte, soprattutto in vista del voto di giugno nelle più importanti città. Anche se a mettergli i bastoni tra le ruote è già in azione, al Nazareno, l’insaziabile quinta colonna renziana. Memore del fatto che, numeri alla mano, al Senato il tanto bistrattato Conte-2, sia pure di poco, la destra l’aveva messa sotto. E infatti lo hanno mandato a casa.
sabato 17 ottobre 2020
Gli opposti isterismi. - Marco Travaglio
Ieri mattina, appena due giorni dopo l’entrata in vigore dell’ultimo Dpcm anti-Covid, già dal Pd e dal ministero della Salute si levavano gridolini isterici su nuovi vertici di governo per nuovi giri di vite assortiti. Una prova d’orchestra felliniana, degno pendant agli opposti isterismi delle destre No Mask e dei giureconsulti No Dpcm. E che s’è fatta ancor più cacofonica nel pomeriggio, quando i dati sui contagi giornalieri hanno superato la soglia psicologica di 10mila. Per fortuna, Palazzo Chigi non pare intenzionato a varare nuove misure a breve: prima si misurano gli effetti delle nuove misure e della loro osservanza da parte dei cittadini, riscontrabili non prima di 10 giorni; poi si vede. Annunciare, invocare, far trapelare ora nuove strette serve solo ad aumentare il caos e a seminare il panico, oltre a svalutare i divieti e le raccomandazioni del Dpcm di martedì. Forse sarebbe il caso di ripristinare ogni pomeriggio la conferenza stampa della Protezione civile e del Cts che ci accompagnò nel lockdown: molti le imputavano un eccesso di allarmismo, invece era (e sarebbe) un’ottima occasione per fare il punto sulla pandemia e leggere correttamente i dati. Che, visti così, dicono tutto e il suo contrario. Viene spontaneo il confronto con quelli di sette mesi fa, che però è fuorviante. Il 21 marzo, giorno del picco massimo, i nuovi positivi erano 6.557: ieri 10.010.
Stiamo dunque peggio oggi? Al contrario: tutti gli altri parametri dicono che stiamo molto meno peggio. Il 21 marzo i tamponi furono 26 mila, ieri erano 150 mila, il sestuplo: più tamponi si fanno più positivi si trovano (il rapporto tamponi/positivi era del 25% e oggi è del 6,6). Il che significa che i positivi sommersi, all’epoca, erano molti più di oggi, quando il virus pare un po’ meno diffuso di allora. Ma allora si testavano solo i sintomatici: ora anche gli asintomatici. Che oggi sono la stragrande maggioranza dei positivi: infetti e contagiosi, ma non malati. I dati certi su cui giudicare e modulare le misure di contrasto sono altri. Anzitutto i morti: 793 il 21 marzo, 55 ieri (in forte calo rispetto a giovedì). E poi il numero di ricoverati (cioè di sintomatici malati e bisognosi di cure): sette mesi fa 17.708, di cui 2.857 in terapia intensiva; ieri 6.178, di cui 638 in terapia intensiva. Reparti Covid e rianimazioni sono lontani dal rischio di saturazione, almeno in media (52% il 21 marzo, 9% oggi, anche se alcuni sono semipieni e altri semivuoti). Ma siccome i ricoveri aumentano del 7-8% al giorno e la crescita è esponenziale, se non s’inverte la rotta si può arrivare in un mese all’overbooking. E qui si apre il capitolo delle colpe. Cioè di chi ha fatto e non ha fatto cosa da maggio a oggi.
Il governo si era impegnato a riaprire le scuole e l’ha fatto, anche se poi i ritardi sui trasporti della ministra De Micheli, delle Regioni e dei Comuni han messo a rischio arrivi e partenze. Il governo aveva promesso di raddoppiare i posti letto di terapia intensiva e ha fornito i fondi necessari, oltre alle attrezzature tramite il commissario Arcuri. Ma molte Regioni hanno dormito: malgrado i 3.059 ventilatori polmonari per terapie intensive e i 1.429 per sub-intensive già inviati da Roma, hanno attivato appena 1.500 posti letto, mentre gli altri 1.600 disponibili restano sulla carta. Arcuri ha pronti altri 1.500 ventilatori, ma attende che qualcuno glieli chieda, possibilmente per usarli. Tra le maglie nere, oltre alla solita Lombardia (che non riesce neppure a comprare i vaccini antinfluenzali), svetta la Campania del sedicente sceriffo De Luca, tutto chiacchiere e distintivo: “Prima del Covid – ricorda il ministro Boccia – aveva 335 posti letto di terapia intensiva. Il governo con Arcuri ha inviato 231 ventilatori per le terapie intensive e 167 per le sub-intensive. Oggi risultano attivati 433 posti, devono essere 566”. Così molti ospedali campani sono già al collasso e Don Vicienzo, anziché rivolgere il lanciafiamme contro se stesso, lo dirige sugli studenti, chiudendo scuole e università senza neppure avvertire il sindaco di Napoli. Lui che un mese fa voleva riaprire gli stadi. E trova a difenderlo pure Zingaretti. Altri sgovernatori, con la stessa (il)logica, insistono sulla didattica a distanza (già prevista dalla legge in casi di necessità) per sfollare i trasporti pubblici e coprire la propria e altrui incapacità di potenziarli e organizzarli meglio: sono gli stessi che a luglio riaprivano le discoteche, ad agosto si opponevano alle proposte dell’Azzolina sugli ingressi scaglionati nelle scuole e a settembre volevano riempire gli stadi di tifosi. A tutti sfugge un dato elementare: chiudere le scuole durante il lockdown aveva senso perché gli studenti restavano in casa, evitando i contagi attivi e passivi; ma senza lockdown chi non sta a scuola va a spasso o si assembra in locali molto meno sicuri delle aule (lì la percentuale di contagi è 0,08%). E aumenta le possibilità di contagiare e di essere contagiato.
Quindi, per favore, nervi saldi e basta isterie fondate su letture sbagliate dei dati. Il governo attenda qualche giorno per vedere se il Dpcm funziona, tenendo pronte misure più severe, ma sempre graduate all’evolversi della pandemia. E le Regioni facciano finalmente ciò che devono, stringendo le maglie del Dpcm dove serve, anche con zone rosse o arancioni nelle città e province più infette. Se poi qualcuna continua a dormire, si spera che stavolta scatti il commissariamento.
IL VIRUS FALCE MARTELLO E 5 STELLE. - Rino Ingarozza
martedì 1 settembre 2020
Sciagura-Conte: manca solo che la destra gridi ai caschi blu. - Antonio Padellaro
venerdì 24 luglio 2020
Fratelli di Poltrona. - Tommaso Merlo
La destra italiana si è spaccata anche sul Recovery Fund. Gli europarlamentari della Meloni e di Salvini si sono astenuti a Bruxelles. Se i soldi li avessero trovati loro avrebbero marciato su Roma per celebrare il trionfo, ma i soldi li ha trovati quel maledetto Conte reo tra le altre cose d’impedirgli di abbuffarsi di poltrone. Stando ai sondaggi la Meloni è quella che gode di migliore salute nella destra nostrana. Al punto che certi benpensanti hanno iniziato a spargere incenso nonostante la bolla meloniana si stia gonfiando più per demeriti altrui che altro. Berlusconi è in uno stato di decomposizione politica ormai avanzato mentre la renzite di Salvini peggiora a vista d’occhio. Se continua di questo passo il leader padano rischia di ritrovarsi sul prato di Pontida con la camicia verde e un elmo da vichingo in testa prima del previsto. Ma certi benpensanti non demordono e dipingono la Meloni come una novità nonostante faccia politica dalla notte dei tempi e tra le perle della sua biblica carriera spicchi quella come ministra di Berlusconi.
Un governo che passerà alla storia come una delle pagine più aberranti della nostra democrazia. Ma c’è di più. La Meloni viene dipinta come più competente di Salvini solo perché leggiucchia qualcosina prima di aprire bocca e non gli dà fiato a vanvera come il suo alleato padano. Bella consolazione.
A livello di stacanovismo sono invece considerati alla pari. Entrambi non si vedono in parlamento neanche col binocolo astronomico.
Anche a livello di sensibilità legalitaria si equivalgono. Entrambi possono vantare una sterminata e variegata collezione di scandali. L’ultimo alle pendici dell’Etna. Come grazia e finezza vince nettamente Salvini in compenso la Meloni viene dipinta come più moderata del leader padano.
Peccato che sia lei ad avere le radici nella destra dura e pura con camerati riciclati di ogni risma che ogni tanto rispuntano dalle ceneri fascistoidi.
Chi con una divisa addosso, chi con qualche frase agghiacciante. La verità è che la Meloni ma pure Salvini devono tutto a Berlusconi che si sta trascinando il suo partito personale nella tomba e con esso quella che un tempo era la casa della destra moderata, liberale ed europeista nostrana. Una destra che esiste eccome nel nostro paese ma che da anni ormai non ha più né un leader né un partito di riferimento e quindi prima si è rifugiata da Salvini poi quando quello si è beccato la renzite ha ripiegato sulla Meloni. L’estenuante trapasso berlusconiano ha consentito ai sovranisti di avere campo libero e di lucrare comodamente sulle gravi crisi degli ultimi anni raggiungendo consensi impensabili. Un’ascesa che sembrava inarrestabile fino allo scoppio della pandemia e alla reazione storica dell’Europa che sta rendendo anacronistici i rigurgiti sovranisti e che sta strappando via il velo d’ipocrisia dietro cui la destra italiana si nasconde da troppo tempo. In Italia come in tutta Europa le destre sono almeno due come conferma la vicenda del Recovery Fund. Una sovranista che da noi ha addirittura due versioni e due leader destinati prima o poi a scornarsi a vicenda.
Ed una seconda destra moderata che da noi vagabondeggia miseramente. A tenere insieme le destre italiane è la fame di potere e la colla del nemico comune.
Dei veri Fratelli di Poltrona che vanno d’amore e d’accordo soprattutto sotto elezioni ma che prima o poi dovranno fare i conti coi nodi politici che li dividono. La Meloni è quella che gode di migliore salute al momento, ma la sua bolla si sta gonfiando per demeriti altrui checché ne dicano certi benpensanti. La Meloni è sovranista e per storia personale ed indole non sarà mai il leader di quella destra moderata, liberale ed europeista vittima di Berlusconi e che prima o poi anche in Italia risorgerà.
https://repubblicaeuropea.com/2020/07/24/fratelli-di-poltrona/
mercoledì 20 maggio 2020
Castigo senza delitto. - Marco Travaglio
mercoledì 29 aprile 2020
Golpubblica. - Marco Travaglio
mercoledì 27 novembre 2019
La recita di Salvini e quei coglioni degli italiani. - Tommaso Merlo
giovedì 31 ottobre 2019
DEL PERCHÉ VINCE LA DESTRA (COMUNQUE SI CHIAMI) E DEL PERCHÉ È SCOMPARSA LA SINISTRA (COMUNQUE SI CHIAMI) - Turi Comito
I movimenti politici del XIX secolo più o meno rivoluzionari più o meno riformisti (non solo marxisti, non solo anarchici, non solo "utopisti") hanno tutti condiviso questa impostazione di base e si sono incaricati, ciascuno a modo suo, di trovare una maniera per ridurre o addirittura liquidare le enormi differenze di ricchezza che esistevano nelle società europee moderne giustamente chiamate società capitaliste.
Dal conflitto tra capitalisti e proletari - non risolto dal fascismo o dalla rivoluzione leninista - sono nate le società cosidette di Welfare. Prima (anni 20/30 del 900 nei paesi scandinavi), poi, nel secondo dopoguerra, in tutti i paesi dell'Europa occidentale.
Ad un certo punto della storia (fine anni 70) questa idea (cioè l'idea del conflitto tra classi) si logora, si indebolisce e, infine, muore. Perché? Perché viene sostituita da un'altra idea potentissima (e vecchissima allo stesso tempo).
E cioè che non esiste il conflitto tra classi, che non è vero che la diseguale distribuzione di ricchezza produce malessere sociale, sfruttamento, marginalità, ecc. Anzi, la diseguale distribuzione della ricchezza produce più ricchezza per tutti: per chi ne ha già e per chi non ne ha. Il conflitto tra capitale e lavoro è una assurdità. Poiché senza il capitalista (imprenditore creativo) il proletario (un fessacchiotto solo buono ad avvitare bulloni nella catena di montaggio) non ha lavoro e dunque neppure quel minimo di ricchezza che gli consentirà di vivere. La società perfetta è perciò quella in cui le classi collaborano, in cui ciascuno fa del suo meglio per accrescere la ricchezza complessiva della società, sapendo che più cresce la ricchezza complessiva più ciascuno starà meglio.
Questa idea è ormai radicatissima, praticamente inespugnabile, malgrado i fatti la contraddicano in continuazione. Un esempio per tutti: in questi anni di crisi (ormai dieci) la concentrazione di ricchezza in tutti i paesi europei è aumentata a dismisura mentre la povertà non si è affatto ridotta e anzi si è allargata a fasce sociali prima non contigue con quelle più marginali (non ho tempo né voglia di darvi qui le fonti: cercatevele se non ci credete, le troverete facilissimamente).
Ora, la domanda è: come è possibile che l'idea politica del conflitto tra classi - che ha generato, dentro le istituzioni democratiche, livelli di benessere sociale mai visti prima - sia morta mentre quella della collaborazione tra classi (malgrado sia falsa) sopravviva e domini senza alcun contrasto?
Viene in mente di applicare a questa situazione una felice frase, attribuita a Steinbeck, che parlando degli Stati uniti diceva: "in america non esiste il movimento socialista perché i poveri si considerano ricchi momentaneamente in difficoltà".
L'americanizzazione dell'Europa sta in questo: nell'avere espugnato dalla società e dalla politica l'idea del conflitto di classe e di averla sostituita con l'idea della felice collaborazione tra classi.
Si è passati dunque, nel giro di qualche decennio, dal considerare il capitalista un avversario di classe (addirittura un "nemico" per i più rivoluzionari) al considerarlo il benefattore che ti dà reddito, lavoro e soldini per comprare - a rate - l'iPhone.
Come si sia arrivati a questo credo non sia difficile da spiegare. Il capitalismo del secondo dopoguerra è un capitalismo dal volto umano. Ha due caratteristiche principali: è regolato dallo Stato in maniera pesante e produce, al massimo grado e più di quanto non abbia mai fatto prima, consumismo. Nazionalizzazioni, regolamentazione statalista delle industrie considerate "strategiche", costituzionalizzazione del sindacalismo e dei diritti sociali, regole che modificano fortemente le logiche classiche del mercato (si pensi allo Statuto dei lavoratori), pesante tassazione dei redditi elevati (redistribuzione della ricchezza) sono tutti elementi che si intrecciano fortemente con un capitalismo che offre sempre più beni di consumo a poco prezzo e sempre più "truccati" da status symbol. Tutto questo produce un effetto sociale, e quindi politico, non trascurabile: il proletario, lo sfruttato dal capitale, comincia seriamente a pensare non solo di non essere sfruttato ma di essere al centro degli interessi del capitale stesso. Non si sente manco più proletario (perde, secondo il linguaggio marxista, la "coscienza di classe") e si considera un'altra cosa. Non sa bene cosa ma non più uno sfruttato dal capitale visto che gode di una serie di diritti fino a pochi anni prima inimmaginabili (sciopero, assegni familiari, pensione, ferie e malattia pagate, bonus extra contratto collettivo, ecc. ecc.). Velocemente il proletario abbastanza ben pasciuto acquisisce una collateralità e poi una piena identificazione con quel ceto medio piccolo borghese che storicamente mai è stato di sinistra, mai ha creduto nel conflitto tra classi, mai ha pensato, non dico di rivoluzionare il capitalismo, ma neppure di riformarlo.
Se così stanno le cose - e per me non ci sono santi: stanno così - mi pare del tutto ovvio che non ci sia spazio, in politica, per chi ripete la vecchia storia del conflitto tra classi. C'è spazio invece per tutto il resto: per il liberismo, per il social-liberismo (liberismo + qualche ammortizzatore sociale), per il corporativismo (fascista e non), per il sovranismo (nazionalismo liberista/
Se questo è vero - e per me, anche stavolta, non ci sono santi: è vero - è inutile ripetere la tiritera (che tanti in questi anni, mesi, giorni, raccontano come pappagallini ammaestrati) che in Italia la "sinistra" non ha progetti, non ha idee, non ha programmi, non ha partiti in grado di opporsi alle destre.
E' semplicemente falso.
Ci sono millemila partiti di sinistra (dai marx-leninisti puri e duri che impugnano falce e martello pure al cesso, agli utopisti di PaP, ai tiepidissimi socialdemocratici di LeU) che continuano ad offrire piattaforme che si rifanno alla idea del conflitto sociale. C'è solo l'imbarazzo della scelta. Il fatto è che non li vota nessuno, non li segue nessuno, non li ascolta nessuno.
Perché? Perché nessuno crede più all'idea di conflitto di classe. E non perché quei partiti dicano scemenze (o solo scemenze) ma perché la società nella quale viviamo si è trasformata radicalmente (antropologicamente, diceva Pasolini) e domina un sentimento universale di opportunismo qualunquista che io, per mia comodità personale, chiamo piccolo-borghesismo. Un sentimento che fa ritenere, per esempio, al sottoproletario urbano di essere un benestante borghese perché ha in mano (non importa come lo ha ottenuto) un iphone e siede accanto al suo tavolo in un pub a bere una birretta.
Dalla parte opposta, a destra, invece viene votata - con una tranquillità che fa impressione - qualunque cosa a seconda degli umori del momento. Berlusconi, il Pd, la Lega, il M5S, qualunque cosa, insomma, non faccia più, manco per scherzo, riferimento all'idea del conflitto di classe. E dire che di cazzate immani, di stronzate intellettualmente infime e ridicole e razziste e pericolose e delinquenziali ed eversive, questi partiti ne dicono e ne fanno ben più di qualunque partitello di sinistra radicalissima.
A me la situazione pare questa. E me ne convinco sempre più che sia questa perché altrimenti non mi spiego il continuo successo delle destre comunque si chiamino e chiunque ne sia leader da un trentennio a questa parte (e non solo in Italia).
E fino a che non resuscita, per un qualche miracolo, l'idea del conflitto tra classi è inutile perdere tempo a schiamazzare sul fatto che in Umbria (in Sardegna, in Basilicata e ovunque) vinca la Lega e perda il Pd perché corrotto. E' una cazzata inaudita.
Il Pd perde perché non interpreta bene la voglia di destra radicale che circola nel paese. La corruzione non c'entra una minchia. Altrimenti non si voterebbe un partito che ha fatto sparire 49 milioni di euro di finanziamento pubblico. E non c'entra manco la questione dell'immigrazione: ché non mi pare che il PD abbia abolito, ora che è al governo, i decreti salvini. C'entra molto di più, invece, la questione della Flat Tax ad esempio, che tutti vogliono e desiderano come la panacea di tutti i mali. O l'altra questione pompata ad arte dai media: quella di ripristinare l'ordine sociale manomesso e sovvertito dalla crescente (altra stupidaggine) criminalità e microcriminalità.
Il fatto è che questa crisi, questo capitalismo libero dalla zavorra ideologica del conflitto di classe, ha prodotto milionate di incertezze ancora prima che milionate di disoccupati, sotto occupati ed emigrati. C'è una società in cui ogni cosa che sembrava eterna (il posto fisso, la casa di proprietà e quella di villeggiatura, la pensione, l'ascensore sociale dei titoli di studio, ecc.) si è sfarinata.
E alle incertezze si risponde con le certezze. In una politica fatta di spettacolo e di talk show vince chi ne offre di più. La Lega offre certezze, l'altra destra, quella social-liberista, offre dubbi, tentennamenti, distinguo (anche se poi fa le stesse cose della destra liberista: chi ha snaturato lo Statuto dei lavoratori? Berlusconi o Salvini? No, Renzi e il PD).
Il piccolo borghese in difficoltà non ama i dubbi e non ama chi li propone, ama le certezze e i capi.
Questo piccolo borghese adesso tutto patria e sovranità, tutto trumpista anti mondializzazione è lo stesso piccolo borghese intellettualmente mefitico e qualunquista che quando a Genova la polizia pestava a sangue e torturava i no-global non stava dalla parte di questi: stava dalla parte di chi le cariche di polizia le ordinava. A quei tempi, il sovranista nazionalista di oggi, era mondialista.
Fa schifo questa cosa, vero?
Eppure è così, ne conoscete tanti di questi qua. Ci lavorate accanto, ci andate a passeggio, ci parlate ogni giorno al bar.
Forse siete così anche voi.
Nulla di grave se è così.
Anzi, rallegratevene: siete ormai la maggioranza.
Vincerete voi.
Da noi, che crediamo ancora qualcosa che assomigli all'idea di conflitto di classe, non avete nulla più da temere.
Noi da voi sì.
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(1) per capirci: liberismo=forza italia, social-liberismo=PD/
https://www.facebook.com/turi.comito/posts/10217607687217948