giovedì 27 dicembre 2012

Elezioni, nel Pdl spunta la Lega Sud per “salvare” Cosentino e Dell’Utri. - Giuseppe Pipitone


Marcello Dell'Utri


L'ipotesi di creare una "scatola" elettorale per gli impresentabili gravati da seri guai giudiziari è confermata da fonti interne al partito, anche se arrivano le smentite ufficiali. L'operazione ruoterebbe intorno a Gianfranco Miccichè, leader di Grande Sud in Sicilia rimasto legato a Berlusconi. Il senatore a ilfattoquotidiano.it: "Buona idea, io mi candido comunque per legittima difesa".

“Non sarebbe una cosa negativa: ce pinsari (ci devo pensare n.d.a.)”. Così Marcello Dell’Utri commenta da Santo Domingo a ilfattoquotidiano.it la carta a sorpresa che Silvio Berlusconi potrebbe estrarre dalla manica per le prossime elezioni politiche. Ovvero un’unica grande Lega del Sud, guidata da due politici già noti alle procure di mezza Italia, per recuperare consensi e frenare lo spappolamento del Pdl nel meridione. Alla guida della costola meridionale del Pdl, Berlusconi piazzerebbe due fedelissimi con un curriculum giudiziario di tutto rispetto: lo stesso Dell’Utri, già condannato in primo e secondo grado per concorso esterno alla mafia e considerato dalla procura di Palermo “l’uomo cerniera” che condusse a Berlusconi “le richieste di Cosa Nostra” nel 1994, è l’uomo che condurrebbe l’operazione in Sicilia, mentre l’ex sottosegretario considerato vicino agli ambienti della Camorra Nicola Cosentino guiderebbe il partito indipendentista di matrice berlusconiana nella sua Campania. Un’indiscrezione lanciata oggi da La Stampa e confermata a ilfattoquotidiano.it dai vertici romani del Pdl. 
“Io mi candido certamente al Senato per legittima difesa, per difendermi da queste operazioni che ora si sono viste essere di natura politica”, spiega Dell’Utri. “Certo quest’ipotesi che mi prospettate è tutta da pensare, io stesso ci dovrei pensare, ma è tutt’altro che negativa”.
Un’operazione, quella della Lega del Sud, che nascerebbe sulla strada già tracciata da Gianfranco Miccichè, l’ex luogotenente di Berlusconi in Sicilia, che da qualche tempo ha deciso di “mettersi in proprio”. Solo a pomeriggio inoltrato Miccichè si è preoccupato di smentire l’indiscrezione: ”Non sono a conoscenza di progetti simili. Smentisco pertanto le indiscrezioni pubblicate oggi da ‘La Stampa’”. Ma che l’ipotesi sia almeno allo studio trova conferme non ufficiale nel partito. 
 Già nel 2009 Gianfranco Miccichè, ex manager di Publitalia, aveva dato vita al Pdl Sicilia, una fronda interna al “partito del predellino”, nata per continuare ad appoggiare l’allora governatore Raffaele Lombardo. L’operazione fallì in meno di un anno e i rapporti tra Miccichè e dirigenti meridionali del Pdl si deteriorarono definitivamente. Nacque così Forza del Sud, poi diventata Grande Sud, il secondo partito indipendentista siciliano, che in poco tempo riuscì a sottrarre consensi al Pdl. Tra Berlusconi e Miccichè i rapporti rimasero però ottimi, tanto che per le ultime elezioni regionali in Sicilia l’ex presidente del consiglio avrebbe voluto proprio il suo ex delfino come candidato governatore di tutto il centrodestra. Il segretario del Pdl Angelino Alfano, però, si mise di traverso e alla fine Miccichè dovette correre da solo, contro lo stesso partito di B.
I contatti tra Arcore e il leader di Grande Sud però sono continuati, garantiti da un trait d’union d’eccezione: lo stesso Dell’Utri, al quale molti accreditano il ruolo di eminenza grigia di Grande Sud, la stessa posizione occupata nei primi anni ’90 quando fu tra gli inventori di Forza Italia. Fraterno amico di Miccichè, che gli affiderebbe “le chiavi di casa e i miei figli”, sarebbe stato Dell’Utri a fornire i consigli strategici necessari a creare Grande Sud, costola del Pdl siciliano con una robusta iniezione di indipendentismo. Una ricetta che fino adesso ha funzionato, garantendo al partito di Miccichè una forte presenza nei quartieri popolari palermitani. Ed è proprio in vista delle elezioni politiche che Berlusconi non si è mai opposto alle strategie di Miccichè, che finora gli ha solo sottratto voti in turni elettorali importanti come le amministrative di maggio e le ultime elezioni regionali in Sicilia.
L’idea adesso sarebbe quella di confederare il partito di Miccichè, con un movimento che in Campania sarebbe appunto guidato da Nicola Cosentino: una sorta di Lega  del Sud, costola del Pdl, per recuperare terreno nei confronti del Pd, cominciando proprio dai quartieri popolari, dove Grande Sud ha finora dimostrato di essere molto presente.
L’idea di una lega meridionale non è però esattamente originale. Nei primi anni ’90 il boss Leoluca Bagarella spinse per la creazione di Sicilia Libera, un partito di forte spinta indipendentista che avrebbe dovuto incarnare gli interessi di Cosa Nostra. Nel 2001, nella richiesta di archiviazione dell’indagine sui “Sistemi Criminali”, la procura di Palermo scriveva che “nei primi anni ’90 i nuovi soggetti politici, consistenti in varie leghe meridionali da aggregarsi poi in un’unica Lega meridionale avrebbero dovuto agire in sinergia con la Lega Nord, movimento allora emergente e in grande crescita, che perseguiva da anni un autonomo progetto politico accentuatosi in quella fase storica in direzione del secessionismo di alcune regioni del settentrione.  La creazione di uno Stato autonomo nel Sud con prerogative di sovranità avrebbe consentito di monopolizzare la gestione politica degli interessi economici leciti e illeciti, trasformando questa parte del paese in una sorta di zona franca, governata da soggetti espressione del sistema criminale”.

Lodi, arrestati due funzionari Asl: chiedevano mazzette a gestore bar.



Milano - (Adnkronos) - Diverse le vittime della coppia e il 20 dicembre scorso i due sono stati sorpresi dalle Fiamme Gialle all'uscita di un bar con una busta contenente alcune centinaia di euro.

Milano, 24 dic. (Adnkronos) - Due funzionari dell'Asl di Lodi, dipendenti del Servizio d'Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, sono stati arrestati dai militari delle radiomobili del Servizio 117 delle Fiamme Gialle lodigiane subito dopo avere intascato una ''mazzetta'' dal gestore di un bar. Il 20 dicembre scorso i due sono stati sorpresi all'uscita dal bar con una busta contenente alcune centinaia di euro. Contestualmente all'arresto le Fiamme gialle hanno perquisito gli uffici dei due tecnici dell'Asl sequestrando una nutrita documentazione grazie alla quale sono state scoperte altre vittime della coppia.

http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/Lombardia/Lodi-arrestati-due-funzionari-Asl-chiedevano-mazzette-a-gestore-bar_314022127297.html

DOLORI CARNALI E MORTI D'ACCIAIO - Andrea Cinquegrani



Ho sentito un dolore “carnale” per la citta' di Taranto. Non e' il mitico Alighiero Noschese a parlare, ne' il Pinocchio di Collodi, ma il premier in persona, ovvero Monti in “carne” - e' il caso di dirlo - e ossa. Immaginiano lacrime a fiumi (ma per ora Fornero batte premier 2 a 1), viscere e budella ai quattro venti, conati di vomito che rompono gli argini (come nella nostra Italia che si sbriciola ad ogni maltempo), cuore strappato alla merce' di lupi famelici. Non osiamo pensare cosa' succedera' al martoriato corpo del fu SuperMario quando gli comunicheranno cosa sta combinando - ovviamente a sua totale insaputa - la band che da mesi s'e' acquartierata dei palazzi del Governo. Per uno spread che da' segnali di ripresa (ma chi cavolo l'aveva mai tirato in ballo fino a un anno e mezzo fa, ‘sto spread?), c'e' un pil - termometro leggermente piu' credibile - che cola a picco. Consumi che neanche nel dopoguerra (perche' - questa e' la tragica realta' - siamo in guerra, tra chi muore di fame e chi continua a rubare: e non va in galera). Pensionati che resta per molti neanche il suicidio (non semplice da praticare, e costa). Giovani che il domani e' peggio di uno tsunami, nero come la pece. Disoccupati, precari, sottopagati, strasfruttati, arcicalpestati a vita. Per i fortunati che un lavoro lo hanno, be'ccati l'amianto, fu'mati la diossina, crepa comunque presto e vaffanculo. A malati e “ammalandi” botte di vaccino per eliminare il problema alla base e ingrassare le big (pig) dei farmaci. Per le piccole (ma anche medie) imprese, morte assicurata a 30, 60 o 90 giorni: scegliere per poi sciogliere. 
Dietro a questa polveriera in via di esplosione, ci sono Lorsignori, la Casta, ancora alle prese con gli ultimi, ricchi regali natalizi: 500 milioni al Monte dei Paschi, perche' - si sa - le banche non arrivano a fine mese; evasori che - fregandose del Befera di turno - hanno barche da 30 metri e dichiarano 30 mila euro “lordi”. Come lordi, sporchi, marci di riciclaggio spinto sono i tranquilli, mai toccati fiumi da miliardi di euro delle mafie sempre piu' padrone di casa nostra.
Ma tutto questo Monti-Alice non lo sa. Mentre la sua band continua a suonare (gli italiani, “carne” da macello) e a proporsi per un domani governativo, come il sempregenuflesso fra' Riccardi (consorelle Acli al seguito). 
E a proposito di lavoro-salute, non ha pensato mica Monti di farsi restituire il bottino dai Riva, con il rampollo Fabio in vacanza a Miami? O di fare una telefonatina al vicino di casa Holland e chiedergli cosa ha combinato col suo acciaio? Perche' - pochi lo sanno - ora l'ha nazionalizzato. Siamo alle solite: un Paese svaligiato dei suoi tesori produttivi piu' grandi, per regalarli agli amici, e poi agli amici degli amici. Nei settori strategici.
Ora, per il futuro, c'e' il profeta di quelle privatizzazioni, il Bersani nazionale, uno che non ha mai perso tempo a pettinar le bambole, impegnato a ricevere i regali (da 98 mila euro) dei Riva, o a regalare concessioni che in nessun paese mai, come per l'Italo dell'altra band, i “carini” di san Luca (e lui, il vate pallido, puo' tornar utile nella “squadra”, col Casini multiuso e lo stuolo di burosauri “primarizzati” come miss Bindi for ever e forza 4). 
E caso mai, ciliegina sulla torta, il Prode Romano alle prese con la scalata al Colle. A tutta velocita'. Come l'altro regalo di “sinistra”, la Tav ammazzambiente voluta dal prof. e fatta dai soliti privati (piu' clan) coi soldi pubblici. Nostri. 

TRATTATIVE E SERVIZI - GARGANI CHI? - Andrea Cinquegrani



Un tempo dc doc, tra i piu' attivi nel “clan” degli avellinesi capeggiato da Ciriaco De Mita e Nicola Mancino. Sparito lo scudocrociato, eccolo tra i promotori del Ppi, quindi un balzo fra le truppe berlusconiane, lo scranno al Parlamento europeo, quindi ora tra le fila Udc. E' un identikit flash di Giuseppe Gargani, che parecchi ricordano tra i piu' attivi, insieme al giudice costituzionale Romano Vaccarella e all'ex presidente picconatore Francesco Cossiga (il “pool di saggi” fortemente voluto da Silvio Berlusconi), per dar forma e sostanza al primo lodo Alfano, a base di separazione della carriere tra giudici e pm, riforma del Csm, ripristino dell'immunita' parlamentare e via - e' il caso di dirlo - picconando quel che restava (e resta) del pianeta giustizia.
Defilato al punto giusto, comunque, in questi ultimi anni, Gargani: ben pochi sanno, infatti, che il suo nome figura nel registro degli indagati dei pm palermitani alle prese l'inchiesta sulla famigerata “trattativa” Stato-mafia”, a vent'anni e passa dalle stragi di Capaci e via D'Amelio. Insieme all'ex guardasigilli Giovanni Conso, infatti, e' indagato per false informazioni fornite ai pm, tra cui Antonino Ingroia, nel frattempo volato in Guatemala in attesa dell'incoronazione degli arancioni di Luigi de Magistris e C. Tra gli accusati, in prima fila i vertici - a quei tempi - del Ros, Mario Mori (gia' alle prese con le bollenti vicende della mancata perquisizione del covo di Toto' Riina e della mancata cattura di Bernardo Provenzano), il suo braccio destro Giuseppe De Donno, l'allora numero uno del Ros Antonio Subranni (la cui figlia Danila, oggi, e' portavoce di Angelino Alfano); un manipolo di mafiosi (Provenzano, Riina, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e Nino Cina'), e alcuni politici: Mancino, che deve rispondere di falsa testimonianza e non ha ottenuto il richiesto “processo stralcio”; Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino.
Ed e' proprio il rapporto tra Mannino e Gargani al centro dell'attenzione dei pm. In particolare, un incontro tra i due alla vigilia di Natale 2011 (per la precisione il 21 dicembre): tema della discussione, la trattativa e le stesse indagini della procura palermitana. E a verbalizzare su Gargani, sul suo ruolo in quei mesi al calor bianco, sono stati due politici che di quelle vicende sanno sicuramente molto, l'ex ministro degli Interni Vincenzo Scotti (poi sostituito da Mancino dopo la strage di Capaci) e l'allora ministro della Giustizia Claudio Martelli. 

VERBALIe#8200;SCOTTANTI
Verbalizza Scotti davanti ai pm Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Lia Sava (mancava Ingroia) l'8 giugno scorso. Allora - dichiara - «Gargani era membro della commissione giustizia della Camera, e mi consiglio' di non insistere sul rapido iter di ratifica del decreto 8 giugno 1992», ovvero il 41 bis alla base del carcere duro per i mafiosi. «Le perplessita' manifestatemi - aggiunge - riguardavano l'impianto complessivo del decreto. Martelli e io, comunque, decidemmo di tener fermo quel testo e di insistere sulla sua conversione in legge senza attendere l'insediamento del nuovo esecutivo». E cioe' il governo guidato da Giuliano Amato. 
Ecco invece quanto dichiara, sempre a giugno, Martelli. «Gargani si era proposto all'onorevole Bettino Craxi per assumere l'incarico di ministro della giustizia nel governo in formazione. Riteneva che io non fossi sufficientemente determinato a contrastare con forza le indagini di Mani pulite, assicurando invece che lui sarebbe stato in grado di fermarle». Per inciso, ha di recente dichiarato nel corso di un convegno, lo stesso Scotti, a proposito della nomina di Giovanni Falcone all'ufficio affari penali del ministero di via Arenula: «A chiamare Falcone per quell'incarico non fu Martelli, ma il suo nome venne fatto da Giuliano Vassalli».
Torniamo a Gargani. Quale effettivo ruolo avra' dunque avuto in quel periodo? E sul fronte della trattativa? Riuscira' il processo (dopo l'ok del gup di Palermo) a far luce sui tanti, troppi buchi neri di quelle stragi? Per ora Gargani non ha ricevuto alcun avviso di garanzia: il codice penale, infatti, prevede che per il reato di “false informazioni” la posizione dell'indagato rimanga “sospesa” fino a che non sia stata pronunciata la sentenza di primo grado. Un groviglio nel groviglio.
Una mano, forse, potra' dargliela il fratello Angelo Gargani, una vita in magistratura e con posizioni apicali. Caratterizzata, in particolare, da una spola continua fra tribunali e ministero della Giustizia, dove ha ricoperto il delicato ruolo di “capo del controllo interno”, una vera e propria supervisione sulle ispezioni ministeriali (per anni capo degli 007 di via Arenula e' stato un altro campano, Arcibaldo Miller, voluto prima da Romano Prodi, poi confermato dall'esecutivo Berlusconi). Altra strategica poltrona, quella di presidente della commissione che nomina i giudici tributari. Non mancano pero' le nubi, in una carriera tanto folgorante. Come quella dell'inchiesta sulla P3, che vede in pista - oltre al faccendiere Flavio Carboni e all'ex sottosegretario alla giustizia nell'ultimo governo Berlusconi, Giacomo Caliendo - l'ubiquo Pasquale Lombardi, il geometra da Cervinara, in provincia di Avellino, “amico” di tante toghe eccellenti, tra cui Angelo. 
Del resto, Pasqualino per hobby fa il “giudice tributario”. Mentre Franco Antonio Pinardi, figura di vertice della potente sigla paramassonica Parlamento Mondiale, capeggiato dal palermitano Victor Busa' (indagato in svariate procure italiane), da' vita alla Tribuna Finanziaria. Nel cui organigramma fa capolino proprio il nome di Giuseppe Gargani. Tanto per ritrovarsi tra “amici”. 
Ma finiamo con un tocco di gioventu'. Il rampollo di Giuseppe, Alessandro Gargani, a bordo di Sviluppo Campania e della Fondazione Ifel sta dando una mano al presidente della giunta regionale della Campania, Stefano Caldoro, per elaborare il “piano di stabilizzazione finanziaria”. Peccato che a Santa Lucia stiano sull'orlo del baratro, con il fresco crac di EavBus, la societa' pubblica dei trasporti affondata (con la “madre” Eav) in un mare da centinaia di milioni di euro. Cin cin.


http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=574

mercoledì 26 dicembre 2012

Per Gasparri, Storace e altri 5 ex-An scialuppa post-elettorale al Secolo d’Italia. - Marco Lillo


Per Gasparri, Storace e altri 5 ex-An scialuppa post-elettorale al Secolo d’Italia


Nonostante la grave situazione del giornale, in caso di sconfitta alle urne Meloni, Bocchino e gli altri si aprirebbe l'uscita di sicurezza verso il giornale della fiamma tricolore, dal quale sono in aspettativa parlamentare. Continuando a maturare la pensione da giornalista insieme al vitalizio parlamentare. L'ex ministro delle Comunicazioni: "E' un diritto, non un privilegio".

Mario Landolfi, Francesco Storace, Giorgia Meloni, Maurizio Gasparri, Silvano Moffa, Italo Bocchino, Gennaro Malgieri. Cosa hanno in comune questi sette politici oltre alle radici in Alleanza Nazionale? Oggi sono divisi: Giorgia Meloni ha fondato “Fratelli d’Italia” con Guido Crosetto, remake dell’omonimo cinepanettone del duo Boldi-De Sica. Francesco Storace resta fedele alla sua “Destra”, Maurizio Gasparri sta con Berlusconi. Il mite Silvano Moffa guida un manipolo semisconosciuto denominato “Popolo e Territorio”. Mario Landolfi e Gennaro Malgieri sono montiani e Italo Bocchino rimane l’ultimo giapponese accanto a Fini. I magnifici sette corrono sotto insegne diverse ma li accomuna l’uscita di sicurezza in caso di disastro elettorale: il 26 febbraio potrebbero mettersi in fila davanti al portone di via della Scrofa 43 per riprendere il loro posto nella redazione del Secolo d’Italia.
Mario Landolfi, assunto nel 1991 è in aspettativa parlamentare dal 1994, come Francesco Storace assunto nel 1986 e in aspettativa con la qualifica di caposervizio; Giorgia Meloni, consigliere provinciale a 21 anni nel 1998, è entrata nel 2004 ed è in aspettativa parlamentare dal 2006. Maurizio Gasparri assunto nel 1983 come Moffa è in aspettativa dal 1992, mentre Moffa è in aspettativa dal 1998. Italo Bocchino, assunto nel 1991 è in aspettativa dal 1996 mentre il più anziano e alto in grado è Gennaro Malgieri, assunto nel 1979 e in aspettativa dal 1996, con la qualifica di direttore, incarico ricoperto dal 1994, dopo Gasparri.
Il giornale che hanno lasciato in edicola non c’è più. Da ieri per la prima volta l’organo di An non è in edicola. L’editoriale di commiato del direttore-deputato (non retribuito), Marcello De Angelis, si chiude così: “da gennaio, sarà on line. La battaglia continua, con altri mezzi”. Il giornale vendeva a malapena 700 copie reali al giorno e la nuova legge sui contributi ai giornali di partito ha favorito il passaggio sul web permettendo il rimborso del 70 per cento delle spese invece del 50 per cento riservato ai giornali di carta. L’organico comunque dovrà essere ridotto. Oggi ci sono 14 giornalisti più i sette in aspettativa più l’ex direttore finiano Flavia Perina, in causa da quando è stata licenziata in tronco senza nemmeno il riconoscimento del Tfr. E c’è pure il caso anomalo dell’ex portavoce di Fini, Salvo Sottile assunto dal Secolo nel 2006 (anno dello scandalo Vallettopoli-Gregoraci) ma che figura “in distacco”. Il suo stipendio oggi non è a carico del Secolo ma è più alto di tutti i colleghi e preoccupa per il futuro i contribuenti.
Il Secolo, oltre alle iniezioni di liquidità permesse dai rimborsi elettorali ad An, è costato ai contribuenti più di 20 milioni solo negli ultimi sette anni. Il Dipartimento editoria della Presidenza del consiglio ha versato 2 milioni e 433 mila euro per il 2010, 2 milioni e 952 mila euro per il 2009, 2 milioni e 950 mila nel 2008, 2 milioni e 959 mila euro nel 2007, 3 milioni e 98 mila euro nel 2006, 3 milioni e 98 mila euro nel 2005, 3 milioni e 98 mila euro nel 2004, per un totale di 20 milioni e 588 mila euro che non sono bastati a sostenere un organico di 40 persone.
Per rimettere in equilibrio i conti nell’ottobre scorso, l’amministratore nominato dalla liquidazione del Tribunale, Alberto Dello Strologo, aveva preparato un piano – approvato dai liquidatori Marco Lacchini e Giuseppe Tepedino – che riduceva l’organico a sette giornalisti decretando di fatto la fuoriuscita dei parlamentari in aspettativa. Il Presidente del Tribunale di Roma, Mario Bresciano, però ha fermato tutto nominando due nuovi liquidatori, Davide Franco e Andrea D’Ovidio, ai quali ha chiesto di trasferire subito la proprietà del Secolo d’Italia dalla liquidazione (diretta dal Tribunale) alla Fondazione (di Alleanza Nazionale) dove comandano i politici che, alla fine, hanno deciso di salvare il posto ai giornalisti, compresi quelli in aspettativa.
La riduzione dell’organico alla fine riguarderà solo gli impiegati comuni. Gasparri e compagni possono restare in aspettativa. La Fondazione (presieduta dal senatore Francesco Mugnai, e diretta da un comitato di cui fanno parte anche il finiano Lamorte, La Russa, Alemanno, Matteoli e Gasparri) per permettere la sopravvivenza del Secolo ha comprato le quote e ha immesso nella società 700mila euro cash rinunciando anche ai suoi crediti per circa mezzo milione. I soldi non mancano: sui conti correnti della Fondazione ci sono 65 milioni di euro cash provenienti dai rimborsi elettorali più altri 35 milioni di euro in immobili.
Grazie al liquido della Fondazione An, la scialuppa dei sette parlamentari resta a galla, pronta ad accoglierli in caso di naufragio elettorale. Silvano Moffa nel 2003, dopo aver perso la provincia di Roma, è tornato al Secolo per nove mesi fino a quando è stato eletto sindaco di Colleferro nel 2004. Senza contare il vero vantaggio: la doppia pensione da giornalista che si unisce al vitalizio parlamentare. Fino al 1999, tutti i giornalisti in aspettativa parlamentare maturavano i contributi figurativi senza versare un euro. Dal 1999 i parlamentari pagano almeno la loro quota di contributi fissata all’8,69 per cento. Mentre la parte a carico dell’editore la paga l’Istituto previdenziale, cioè i giornalisti tutti. Al Fatto che gli chiede se, in un momento di sacrifici, non sarebbe il caso di rinunciare alla pensione da giornalista, avendo già diritto al vitalizio parlamentare, Gasparri replica: “Se qualcuno davvero volesse togliermi questo diritto mi dovrebbe prima restituire i contributi già pagati. E’ un diritto riconosciuto a chiunque vada in aspettativa e non è un privilegio. Se la vogliamo dire tutta io al Secolo ho fatto il direttore pagato solo come un caposervizio e, dopo l’elezione del 1992, l’ho fatto anche gratis fino al 1994, quando sono stato nominato sottosegretario e ho lasciato. Altro che privilegio”. Al Secolo sono avvertiti: poche storie o l’ex direttore Gasparri chiede pure gli arretrati.

lunedì 24 dicembre 2012

Trattativa, nell'inchiesta anche la mancata cattura del boss Santapaola. - Aaron Pettinari


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Si arricchisce di un nuovo tassello l'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia: la mancata cattura del boss Nitto Santapaola. Secondo i magistrati che stanno portando avanti l'indagine, i pm  Di Matteo, Del Bene, Sava e Tartaglia, tra il 1992 e il 1993 il vertice del Ros avrebbe offerto un salvacondotto, oltre che a Bernardo Provenzano, anche al capomafia catanese. Gli inquirenti hanno recuperato alcune intercettazioni dell'aprile 1993.
In alcune conversazioni due mafiosi avrebbero parlato di un incontro recente col capomafia catanese quindi in un'altra registrazione all´interno di un ufficio di autotrasporti tenuto sotto controllo a Terme Vigliatore, nel messinese, sarebbe registrata persino la voce del boss. Gli interlocutori lo chiamavano “zio Filippo”. “So che hanno fatto un blitz a Milano per droga... - diceva -. E lì ci hanno messo Totò Riina, a me, Madonia, tutti lì, tutti catanesi, perciò alcuni sbirri pensano una cosa, altri ne pensano un'altra...”. In un secondo colloquio intercettato lo stesso giorno, uno degli interlocutori dice all'altro: “Se non svieni e non lo dici a nessuno, io ti dico chi era quella persona che c'era qua dentro poco fa. Era Nitto Santapaola...”. Nonostante ciò non venne effettuato alcun blitz ed anzi gli uomoni dell'arma furono protagonisti di una sparatoria in cui fu coinvolto un ignaro passante, scambiato per il ricercato Pietro Aglieri. Un disguido, venne detto all'epoca. Per l'accusa un messaggio a Santapaola per proteggerne la latitanza che durò fino al 18 maggio, quando venne arrestato dalla Polizia. 
Adesso, queste intercettazioni sono state inserite nei cinque faldoni depositati agli atti dell´udienza preliminare del processo per la trattativa in corso a Palermo. I documenti sono stati scovati negli archivi di Messina, Reggio Calabria e Barcellona Pozzo di Gotto. Secondo gli inqurenti Santapaola si sarebbe nascosto a Barcellona Pozzo di Gotto e nella stessa zona, ad aprile, si sarebbero trovati anche l’ex ufficiale Giuseppe De Donno, tra gli imputati del procedimento sulla trattativa, e l’allora capitano Sergio De Caprio, l’uomo che arrestò Totò Riina e che fu processato (e assolto, come Mori) per la mancata perquisizione del covo del boss corleonese. Dopo la mancata cattura di Provenzano nel 1995, contestata all’ex generale del Ros Mario Mori, ‘concessione’, secondo i pm, fatta al boss proprio in nome della trattativa in corso, anche il mancato arresto di Santapaola sarebbe inserito in un possibile accordo. 
Trattativa che sarebbe continuata anche dopo l’arresto, attraverso Francesco Di Maggio, allora vicedirettore del penitenziario in cui si trovava detenuto Santapaola.
A raccontare questa fase della trattativa è l'avvocato Rosario Cattafi, arrestato l'estate scorsa dai magistrati di Messina che lo considerano il referente della cosca barcellonese e ora detenuto al “carcere duro”. Nell'aprile '93 il vice direttore delle carceri lo avrebbe contattato proprio per far arrivare un messaggio a Santapaola per fermare le stragi. 
E ieri, durante l'udienza preliminare, il pm Nino Di Matteo ha spiegato il perché nell'ottobre '95 non venne arrestato Provenzano: “Non si trattò di un episodio isolato ma della volontà di adempiere a un patto, un accordo che è parte della trattativa scaturita dal ricatto mafioso. Provenzano venne lasciato in latitanza perché una parte delle istituzioni  riteneva utile che prevalesse la fazione interna a Cosa nostra da lui guidata. Perciò conveniva che Provenzano rimanesse in libertà”.
All'udienza davanti al gup Piergiorgio Morosini è anche intervenuto con delle dichiarazioni spontanee Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di calunnia. “Sono stato il primo a parlare di una trattativa tra Stato e mafia” ha dichiarato mente i suoi legali depositavano agli atti un verbale di interrogatorio reso nel 2008 davanti ai giudici di Caltanissetta. Nel corso dell'udienza, che si è tenuta ancora a porte chiuse, sono state numerose le richieste avanzate dai difensori dei 12 imputati. Il legale di Mori, l'avvocato Basilio Milio ha chiesto la produzione delle intercettazioni fatte due anni fa a Verona tra Massimo Ciancimino ed un uomo ritenuto vicino alla 'Ndrangheta. Inoltre, il legale ha chiesto anche la produzione degli atti del processo Mori. I legali di Nicola Mancino hanno, invece, fatto sapere che nell'udienza del 9 gennaio 2013 l'ex ministro dell'Interno farà dichiarazioni spontanee. Anche i pm Nino Di Matteo, Lia Sava e Roberto Tartaglia hanno annunciato la produzione di nuovi atti. L'udienza è stata rinviata a lunedì prossimo quando il guo Morosini si esprimerà sulle decisioni.