venerdì 2 gennaio 2015

Tra arresti, indagini e voti scomparsi l’annus horribilis di Forza Italia. - Giuseppe Pipitone

Tra arresti, indagini e voti scomparsi  l’annus horribilis di Forza Italia

L’arresto per traffico d’armi dell’ex deputato Romagnoli, la condanna definitiva del fondatore Dell’Utri, catturato in Libano, la decadenza da parlamentare e cavaliere del leader Berlusconi: un anno nero per i principali esponenti forzisti. E nel frattempo le manifestazioni del partito azzurro falliscono miseramente anche in Sicilia, l’isola simbolo del successo berlusconiano lungo vent’anni.

L’ultima istantanea è del 6 dicembre scorso, a Palermo, al cinema Arlecchino. Sala semivuota, Gianfranco Miccichè che arringa una platea composta da qualche simpatizzante, un paio di giornalisti e decine di sedie vuote. Passano pochi giorni e a Podgorica, in Montenegro, finisce in manette Massimo Romagnoli, ex deputato di Forza Italia: è accusato di traffico d’armi a favore delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie colombiane. Romagnoli è stato eletto deputato nel 2006 nella circoscrizione estero ma è nato a Capo d’Orlando, in Sicilia, l’isola del tesoro per Forza Italia fin dal 1994, anno in cui, secondo i pm che indagano sulla Trattativa Stato mafia, Marcello Dell’Utri sigla il nuovo patto con Cosa Nostra: da quel momento la mafia va a votare in massa per il partito di Silvio Berlusconi, al governo per undici degli ultimi vent’anni.
Oggi, due decenni dopo, lì dove tutto era cominciato, dove Forza Italia nasceva ed in pochi mesi arrivava a conquistare la guida del Paese, in quell’isola diventata simbolo dello strapotere berlusconiano col 61 a 0 del 2001, sembra che del partito creato da Dell’Utri sia rimasto ben poco. Perfino l’epitaffio lo regala un forzista di ferro. “Più che una manifestazione di partito sembrava una riunione di condominio: Sinceramente ho provato un po’ di vergogna” diceva sconsolato il deputato regionale Vincenzo Milazzo dopo la convention del dicembre scorso. Di Forza Italia insomma non restano che i cocci: lontani i fasti degli anni ’90, con le manifestazioni variopinte affollate da migliaia di persone che intonavano l’ormai storico inno di partito. Sono ridotte in bianco e nero le sfavillanti immagini del 2001 con gli azzurri guidati sempre da Miccichè capaci di conquistare tutti i 61 seggi siciliani alle elezioni politiche. In archivio è finito persino il colpo realizzato nel febbraio del 2013 con il premio di maggioranza al Senato incassato in Sicilia dal Pdl. Nel 2014 la parabola di Forza Italia è definitivamente precipitata. Una caduta che ha avuto il suo epicentro in Sicilia, ed è parallela alle vicissitudini giudiziarie dei suoi principali leader: come se l’elettorato fosse evaporato via via che gli esponenti principali finivano in manette, condannati in via definitiva o in carcere.

Decaduto da parlamentare e cavaliere il leader storico, l’ex premier Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale dopo vent’anni di prescrizioni e assoluzioni, costretto all’umiliante affidamento ai servizi sociali. Rinchiuso nel carcere di Parma, dopo una latitanza fallita in Libano, l’ideatore del partito, quel Marcello Dell’Utri partito da Palermo per conquistare Milano, e quindi riconosciuto, secondo la sentenza definitiva che nel maggio scorso lo ha condannato a sette anni di detenzione per concorso esterno, come l’uomo cerniera tra Cosa Nostra e Berlusconi. Ma non sono soltanto i due principali volti di Forza Italia ad essere stati colpiti da una condanna. Anche per Franco Mineo il 2014 è stato un anno terribile: leader storico degli azzurri a Palermo, fedelissimo di Miccichè, poi passato con lui in Grande Sud, Mineo si è visto infliggere dal tribunale una condanna a 8 anni e due mesi di carcere: tre anni e due mesi di pena arrivano per peculato, perché avrebbe usato indebitamente un’auto del comune, cinque anni, invece, arrivano per intestazione fittizia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra, per i giudici è il prestanome del boss Angelo Galatolo. Condannato in appello finisce anche Alberto Acierno, ex deputato nazionale e regionale di Forza Italia, accusato di essersi appropriato di circa 150 mila euro della Fondazione Federico II, che il 10 dicembre del 2014 si vede infliggere una condanna a sei anni e sei mesi per peculato. Libero e fuori dalle indagini giudiziarie è rimasto soltanto Miccichè, che è tornato stabilmente nell’ovile berlusconiano. Solo che nel frattempo quell’ovile si è svuotato: tra indagati, detenuti e condannati, a cantare “meno male che Silvio c’è” non è rimasto quasi più nessuno. Solo Micciché appunto, ultimo generale di un esercito a corto di soldati e di voti, che dai fasti del 61 a zero è riuscito persino a farsi soffiare il seggio da europarlamentare alle ultime elezioni di maggio dal sardo Salvatore Cicu. Che manco a dirlo è finito anche lui indagato nel 2014: per la guardia di finanza sarebbe socio occulto del clan camorristico dei casalesi nella Turicost, società proprietaria dell’hotel S’incantu di Vissasimius, in Sardegna. Soltanto l’ultimo dei forzisti finiti al centro di un’inchiesta mentre il partito da un milione di posti di lavoro, che nel 1994 raccoglieva percentuali d’acciaio, si sta sciogliendo come neve al sole.

Prigione dorata solo per finta. Al Quirinale si vive nel lusso tra benefit e residenze esclusive. - Massimo Malpica




I nove anni di Re Giorgio presentati come un sacrificio. Dimenticando un incarico tra comodità e privilegi. 

Roma - È vero che nessuno dovrebbe essere costretto a lavorare alla soglia dei 90 anni, ma Giorgio Napolitano al Quirinale non è esattamente paragonabile a un operaio «condannato» a lavorare in fabbrica a vita.
Il capo dello Stato «stanco» si prepara a dare le dimissioni seguendo le orme di Ratzinger dall'altro lato del Tevere, ma per quanto sia comprensibile il suo desiderio di ritirarsi a vita privata, di certo la sua lunga permanenza al Colle non è stata proprio una pena da scontare alla Cayenna. Dalla sua elezione a maggio 2006 fino a oggi, Re Giorgio - sottratto alla dura legge del consenso a cui non sfuggono gli altri politici - ha ricevuto e incaricato cinque diversi premier. Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi sono tutti passati a giurare per il Colle. I governi passavano uno dopo l'altro e lui restava al suo posto al Quirinale, punto di riferimento politico, faro del potere. Entrato in politica nel 1953 con la prima elezione a Montecitorio, dopo 62 anni il quasi novantenne presidente della Repubblica è ancora in gioco. Anche se «costretto» finora a rinunciare alla pensione, e con vitalizi e indennità accumulate nella sua lunga carriera sospese «per dare il buon esempio», Napolitano ha comunque potuto contare negli ultimi otto anni su un dignitoso «stipendio» da 239mila euro l'anno, al quale vanno naturalmente aggiunti i benefit retaggio della prima carica dello Stato.
A cominciare da una «casa» di tutto rispetto (il Quirinale, la cui macchina costa alle casse dello Stato 228 milioni di euro l'anno, ossia circa 26mila euro ogni ora) con migliaia di dipendenti, lussuose automobili di rappresentanza e due residenze esterne sempre a sua disposizione. La tenuta presidenziale di Castelporziano - quasi 6mila ettari sul litorale romano - a un tiro di schioppo dal Colle, dove lo scorso 29 giugno il capo dello Stato ha festeggiato «in famiglia» il suo 89esimo compleanno. E - nella sua Napoli - la neoclassica Villa Rosebery, 66mila metri quadri di proprietà affacciati sul mare che bagna l'esclusiva Posillipo. E soprattutto, dopo 60 anni trascorsi in politica, Re Giorgio - undicesimo e dodicesimo presidente - esercita ancora il Potere. E il potere è un elisir antilogoramento, come amava ripetere un altro grande vecchio della politica tricolore, Giulio Andreotti. Per molti, Napolitano quel potere lo ha esercitato anche oltre i confini naturali del suo incarico, ridisegnando di fatto le funzioni del Capo dello Stato. Arbitro delle faccende di Palazzo, più che taglianastri come molti suoi predecessori, regista politico dove altri invece avevano picconato o lanciato «moniti», infine acclamato come salvatore della Patria al momento di accettare il suo secondo incarico dopo la fine del primo settennato, primo caso nella storia della Repubblica. E persino adesso che è al passo d'addio, Napolitano non si limita ai saluti ma detta ancora le priorità dell'agenda politica. È stanco, come è normale che sia guardando la sua carta d'identità. Ma è stanco per sua scelta, non è capo dello Stato in virtù di una condanna definitiva: la sua permanenza al Colle si interromperà quando sarà lui a deciderlo. Il Quirinale non è Sant'Elena. E Re Giorgio, a differenza di Napoleone, se è prigioniero lo è solo di se stesso.

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martedì 30 dicembre 2014

LA RUSSIA, VISTA DALL’INTERNO. - DI GEORGE FRIEDMAN


La settimana scorsa sono stato a Mosca, arrivando lì alle 4,30 del pomeriggio dell’ 8 dicembre.  A quell’ora a Mosca è già scuro e in questo momento dell’anno il sole non sorge fino alle 10 del mattino seguente, il cosiddetto periodo dei Giorni Bui  vs. Notti Bianche. Per chiunque abituato a vivere in aree equatoriali, questo è destabilizzante. E’ il primo segno che non solo ti trovi in un paese straniero, cosa a cui personalmente sono abituato,  ma anche in un ambiente straniero.   Tuttavia,  mentre ci dirigevamo verso il centro di Mosca, a più di un’ora di macchina, il traffico, i lavori stradali: tutto ci sembrava familiare.

Mosca ha tre aeroporti e noi siamo atterrati in quello più distante dal centro città, il Domodedovo — il primo aeroporto internazionale.  A Mosca ci sono continui lavori di ristrutturazione edilizia e stradale e anche se questo rallenta molto il traffico,  è un segno di prosperità, almeno nella capitale.
Il nostro ospite ci accoglie e ci mettiamo subito al lavoro cercando di stabilire tra noi un contatto scambiandoci riflessioni sugli eventi della giornata. Lui ha passato molto tempo negli Stati Uniti ed era molto più familiare con le sfumature della vita americana di quanto io fossi di quella russa. Di questa, poi, era padrone assoluto, traducendomi il suo paese sempre con uno slancio da patriota russo, quale egli è. Abbiamo parlato in macchina, girando per la città, andando sempre più a fondo nelle nostre conversazioni.
Da lui, e da scambi avuti con esperti russi sulla maggior parte delle regioni del mondo - studenti presso l'Istituto di Relazioni Internazionali - e con una manciata di comuni cittadini di Mosca (non alle dipendenze di enti pubblici impegnati nella gestione estera e negli affari economici della Russia), ho avvertito molte preoccupazioni. Che mi aspettavo, ovviamente.  Quello che non mi aspettavo, invece, era l’enfasi e l’ordine con cui me le comunicavano.

LE ASPETTATIVE ECONOMICHE DELLA RUSSIA
Pensavo che i problemi economici della Russia fossero nella testa di tutti.   In occidente sembra che il calo del  rublo e dei prezzi del petrolio, il generale rallentamento dell'economia e l'effetto delle sanzioni occidentali, stiano martellando duramente l’economia russa. Ma non era questo il discorso. Il calo del rublo ha interessato i programmi di viaggio degli stranieri, ma la gente comune solo da poco ha iniziato ad avvertire il reale impatto di questi fattori, in particolare attraverso l'inflazione.
Ma c'è un'altra ragione data per la relativa calma della situazione finanziaria, e proviene non solo dai funzionari del governo, ma anche dai privati, una ragione che dovrebbe essere presa molto sul serio.  I russi sottolineano che il caos economico è una cosa normale per la Russia, mentre la prosperità è un’eccezione.  C'è sempre la ‘speranza’ che prima o poi la prosperità finisca e che si torni alle normali condizioni di povertà.
I russi hanno sofferto terribilmente nel corso degli anni ’90 con Boris Yeltsin, ma anche sotto i governi precedenti, fino ad arrivare agli Zar. Nonostante questo, molti dicono,  hanno vinto delle guerre, avevano bisogno di vincere e sono riusciti a vivere una vita degna di essere vissuta. L'età d'oro degli ultimi dieci anni sta volgendo al termine. Questo lo avevano previsto e l’avrebbero superato.   I funzionari del governo l’hanno preso come un avvertimento e non credo si trattasse di un bluff.    Il fulcro della conversazione erano le sanzioni e l'intento era quello di dimostrare che esse non avrebbero cambiato la  politica della Russia verso l’Ucraina.                 
La forza dei Russi è che riescono a sopportare cose che normalmente distruggono altre nazioni.  Inoltre, tendono ad appoggiare il proprio governo indipendentemente dal suo grado di competenza, soprattutto in quei momenti in cui il paese è minacciato. Pertanto, dicono i Russi, nessuno dovrebbe aspettarsi che le sanzioni, per quanto prolungate, finiscano con il far capitolare Mosca.  I Russi, invece, dovrebbero rispondere con proprie sanzioni; non specificate, ma presumo significhino il sequestro dei beni delle società occidentali presenti in Russia e le restrizioni alle  importazioni agricole dall’Europa.  Nessun cenno e’ stato fatto al taglio delle forniture di gas naturale all’Europa (link).
Se è così, allora gli americani e gli europei si stanno illudendo sugli effetti delle sanzioni. In generale, personalmente, ho poca fiducia nel ricorso alle sanzioni (link) Detto questo, i russi mi hanno suggerito un altro prisma attraverso il quale osservare le cose.  Le sanzioni riflettono la soglia del dolore europeo e americano.   Sono progettate per infliggere un dolore che l’Occidente non potrebbe sopportare.  Ma applicate agli altri, tali effetti possono essere diversi.
La mia sensazione è che i russi che si sono espressi in questi termini, fanno sul serio.   Si spiegherebbe così il motivo per cui l’intensificarsi delle sanzioni, oltre al ritocco dei prezzi del petrolio, crisi economica e tutto il resto, non hanno provocato quell’erosione della fiducia nel proprio governo che ci si aspettava.   Proiezioni elettorali affidabili dimostrano che il presidente Vladimir Putin è ancora molto popolare. Se lui resterà popolare anche quando la crisi avanzerà ulteriormente e se l’élite finanziaria colpita resterà ottimista, è un altro discorso. Ma per me la lezione più importante che io possa aver appreso in Russia – “possa” è il termine adatto - è che i russi non rispondono alla pressione economica come farebbero gli occidentali, e che lo slogan reso famoso da una campagna presidenziale “ E’ l’economia, idioti!” potrebbe non applicarsi allo stesso modo in Russia (link).

LA QUESTIONE “UCRAINA”
I toni si sono fatti più duri sull’argomento Ucraina.  C’è opinione condivisa che i fatti in Ucraina siano stati stravolti a causa del risentimento dell’amministrazione Obama, la cui propaganda ha fatto in modo che la Russia apparisse come l’aggressore.  Su due argomenti erano tutti molto fermi: il primo era che la Crimea è sempre stata storicamente parte della Russia e sotto il dominio militare russo stabilito da un trattato.  Non c’e’ stata alcuna invasione, ma solo l'affermazione della realtà.  Secondo punto: si è insistito molto sul fatto che l’Ucraina orientale sia popolata da russi e che, come in altri paesi, a questi russi deve essere concesso un alto livello di autonomia. Uno studioso ha preso come esempio il modello canadese del Québec per dimostrare che l'Occidente non ha avuto  alcun problema con l’autonomia regionale in regioni con diverse etnìe, e ora invece si mostra scioccato per il fatto che i Russi possano desiderare una simile forma di regionalismo,  che in Occidente è considerata normale.
La questione del Kosovo (link) è estremamente importante per i russi, sia perché ritengono che le loro richieste in quella vicenda siano state ignorate, e perché si è trattato di un precedente.   Anni dopo la caduta del governo serbo che aveva minacciato gli albanesi del Kosovo, l'Occidente ha concesso al Kosovo l'indipendenza. I russi sostengono che i confini sono stati ridisegnati anche se non sussisteva alcun pericolo per il paese.  La Russia non voleva che accadesse; ma l'Occidente lo ho fatto perché poteva farlo.  Secondo i Russi, dopo aver ridisegnato i confini della Serbia, ora l’Occidente non ha nessun diritto di opporsi ad una nuova mappa dell’Ucraina.
Cerco di non farmi trascinare in questioni di giusto o sbagliato, non perchè io non creda che esista una differenza, ma perché difficilmente la storia si determina in base ai principi morali. Ho compreso il concetto russo di Ucraina come “cuscinetto” strategico necessario  e l’idea che senza di esso si ritroverebbero fortemente minacciati, se non oggi in futuro. E Considerano Napoleone e Hitler degli esempi di nemici sconfitti in maniera totale.
Ho tentato di illustrare una prospettiva strategica Americana. Gli Stati Uniti hanno passato il secolo scorso perseguendo un unico obbiettivo: impedire l’ascesa di un’ unica singola potenza in grado di impossessarsi delle tecnologie e dei capitali europei occidentali e delle risorse e della manodopera russe. Gli Stati Uniti intervennero nella Prima Guerra Mondiale nel 1917 per fermare l’egemonia tedesca; e anche nella Seconda Guerra Mondiale.  Durante la Guerra Fredda lo scopo era quello di porre fine all’ egemonia Russa.  Lo possiamo dire: la strategia politica statunitense è stata coerente per un intero secolo.
Gli Stati Uniti si sono abituati nel tempo a sospettare di qualsiasi egemonia nascente. In questo caso il timore di una Russia di nuovo rampante riporta alla loro memoria gli anni della Guerra Fredda, cosa affatto irragionevole. Come alcuni mi hanno detto, la debolezza economica non è mai stata sinonimo di debolezza militare o di divisione politica.  Su questo ero d’accordo con loro e ho detto che era proprio questo il motivo per cui il timore degli Stati Uniti di una Russia in Ucraina è più che legittimo.  Se la Russia riuscisse a riaffermare il suo potere in Ucraina, cosa accadrà dopo? La Russia ha una forza politica e militare tali da poter iniziare ad insidiare l’Europa.  Quindi, non è una cosa irrazionale che gli Stati Uniti ed alcuni paesi Europei vogliano affermare la loro influenza in Ucraina.
Quando ho esposto questo argomento a un ufficiale veterano del Ministero degli Esteri Russo, mi ha detto, in poche parole, che non capiva cosa intendessi.  Mentre comprendeva perfettamente gli imperativi che spingevano la Russia in Ucraina, secondo lui gli imperativi centenari che spingevano gli Stati Uniti sono di gran lunga troppo generali da potersi applicare alla questione Ucraina.  E non si tratta che la sua visione era limitata ad un solo lato della questione. Piuttosto, per la Russia l’Ucraina è un problema immediato,  e il quadro che avevo dipinto della strategia Americana era talmente astratto da non potersi applicare alla realtà immediata dei fatti. Davanti ad un’affermazione di potere da parte dei Russi, scatta sempre una risposta automatica degli Americani; tuttavia, i Russi pensano di non aver per niente adottato un atteggiamento aggressivo, anzi, è sempre stato difensivo.   Per il funzionario, I timori americani di una nuova egemonia Russa non erano affatto giustificati, in questo caso.
Durante altri incontri con, ad esempio, membri anziani dell’ Institute of International Relations, ho tentato una via diversa, cercando di spiegare che i Russi in Siria hanno messo in imbarazzo il Presidente statunitense Barack Obama.  Obama non aveva intenzione di attaccare quando sono stati usati i gas velenosi in Siria poichè era  militarmente difficile  e anche perché, rovesciando il regime del Presidente siriano Bashar al Assad, il controllo del paese sarebbe passato nelle mani dei sunniti jihadi.  Gli Stati Uniti e la Russia avevano gli stessi interessi, ho detto, ed il tentativo russo di mettere in imbarazzo il presidente americano - facendo credere che era stato Putin a bloccarlo -  ha scatenato la risposta statunitense in Ucraina.   Sinceramente, penso che mia spiegazione geopolitica sarebbe stata molto più coerente di quest’argomentazione, ma ho voluto tentare lo stesso.  L’incontro era a pranzo, ma passato tutto il tempo a spiegare e a parlare, mangiando poco o niente.  Penso di essermi trattenuto, geopoliticamente parlando;  ma mi sono reso conto che loro avevano pienamente appreso i meccanismi perversi e contorti dell’Amministrazione Obama,  e in un modo che neanche io potrei mai sperare di apprendere.

IL FUTURO DELLA RUSSIA E DELL’OCCIDENTE
La questione più importante era quello che sarebbe successo dopo. La domanda ovvia era se la crisi ucraina si fosse estesa o meno ai paesi baltici, la Moldova o il Caucaso.  Ne ho parlato con il funzionario del ministero degli Esteri. Si è mostrato enfatico, insistendo sul fatto che questa crisi non si sarebbe allargata. Questo voleva significare, secondo me, che non ci sarebbero state rivolte russe nei paesi baltici o disordini in Moldova o azioni militari nel Caucaso. Mi è sembrato molto sincero.I russi devono già affrontare diversi altri problemi e sopportare le conseguenze delle sanzioni occidentali, anche se sono storicamente allenati alle difficoltà economiche. L’Occidente dispone di risorse sufficienti per affrontare molte crisi. La Russia deve contenere la crisi in Ucraina.
I russi si accontenteranno di un livello accettabile di autonomia per quei russi all’interno di alcune aree dell’ Ucraina orientale. Di quanta autonomia parliamo, non possiamo dirlo. Hanno bisogno di un gesto significativo per tutelare i loro interessi ed affermare la loro posizione. Il loro punto che già esiste in diverse parti del mondo l'autonomia regionale è molto convincente. Ma la storia è fatta di potere e l'Occidente sta usando il suo potere per colpire duramente la Russia.  
Ma, attenzione, non c'è nulla di più pericoloso che ferire un orso. Meglio ucciderlo. E  uccidere l’orso Russia si è dimostrato quasi impossibile.
Ne ho ricavato due pensieri. Uno è che Putin è più solido di quanto pensassi. Nell’ordine attuale delle cose, questo non significa molto. I presidenti vanno e vengono.  Ma è un avvertimento: le cose che fanno a pezzi un leader occidentale possono non scalfire un leader russo. Secondo, che i russi non stanno preparando alcuna aggressione.   E questo mi preoccupa molto, non per il fatto che vogliano invadere, ma poiché spesso le nazioni non si rendono davvero conto di quello che accade e potrebbero reagire in modi inaspettati.  E’ questo il maggior pericolo della situazione attuale. Non è tanto quello che intendono fare, che appare piuttosto pacifico.   Il pericolo sono le azioni inaspettate, sia da parte di altri sia della Russia stessa.
Allo stesso tempo, la mia analisi generale resta la stessa. Qualunque cosa la Russia possa fare altrove, per essa l’Ucraina è di importanza strategica fondamentale.  Anche se l’est del paese conseguisse un maggior livello di autonomia, la Russia resterebbe comunque preoccupata per il rapporto del resto del paese con l’Occidente.  Per quanto questo sia difficile da comprendere per gli occidentali, la storia russa è una storia di “cuscinetti”.  Gli stati “cuscinetto” salvano la Russia dagli invasori occidentali. La Russia vuole un accordo che lasci l’Ucraina per lo meno neutrale.
Per gli Stati Uniti, ogni potere in crescita in Eurasia innesca una risposta automatica che dura un secolo di storia.  Per quanto sia difficile da capire per i Russi, quasi mezzo secolo di guerra fredda ha reso gli Stati Uniti ipersensibili ad una possibile rinascita del ‘pericolo’ Russia. Gli Stati Uniti hanno passato l’ultimo secolo ad impedire l’ unificazione dell'Europa sotto un'unica potenza ostile. Ciò che intende la Russia e quali siano le paure dell’ America sono cose molto diverse.
Gli Stati Uniti e l'Europa hanno difficoltà a capire i timori della Russia. La Russia ha difficoltà a capire soprattutto i timori americani. I timori di entrambi sono reali e legittimi.  Non si tratta di una questione d’ incomprensione tra paesi, ma di imperativi incompatibili. Tutta la buona volontà del mondo - e c'è n’è ben poca – non può risolvere il problema di due grandi paesi costretti a proteggere i loro interessi e nel farlo fanno sentire l’altro minacciato. Ho imparato molto da questo mio viaggio. Non ho imparato come si risolve questo problema, salvo che ognuno è chiamato a comprendere le paure dell’altro, anche se non può fargliele passare.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14426

MA ORELLANA CI E’ O CI FA? DOVE L’HA NASCOSTA LA CIOCCOLATA? - Rosanna Spadini



Bastarda disinformazione degli organi di distrazione di massa, veri dispositivi deflagranti che minano continuamente la sopravvivenza della democrazia e che ne hanno determinato l’agonia prolungata, fino all’attuale dissoluzione dello stato nazione in un organismo piovra imperiale e sovranazionale, all’insaputa di molti cittadini italiani che credono di vivere ancora in uno stato di diritto, o nel mondo di Alice e della Lepre Marzolina.

Che credono di vivere ancora in quel mondo “moderno”, in cui il capitale era dotato proprio di quel senso del sacro che è stato messo in discussione in questa fase di cambiamento epocale del  potere  e dei suoi assetti sociali. 

Ora masse di produttori sono state messe alla porta ed escluse definitivamente dal ciclo produttivo. Borghesie di vario tipo si scontrano con altre borghesie per la gestione del capitale, in una sorta di fondamentalismo 
a-ideologico dell'attuale fase capitalista neoliberista, dove si sono confuse le identità tanto del nemico che dell'amico, per cui è venuta meno la contrapposizione di coscienza di classe. La postmodernità ha disinnescato tutto ciò che poteva essere d'intralcio al progetto del capitalismo finanziario, democrazia inclusa, e ci lascia solo la virtualità illusionistica della tivù, per convincerci a produrre ipotesi politiche tanto miseramente fallimentari.

Mentre nel frangente  sentiamo tuonare le tivù di stato e non:  
- Fuga dei militanti M5S, così tramonta il sogno della democrazia diretta di Grillo-        Casaleggio; 
- quasi dimezzati i voti espressi sulle espulsioni dei dissidenti; 
- Metà delle proposte di legge non raggiunge i 200 commenti; 
- Oggi di quel sogno resta ben poco: un forum online sempre meno partecipato, poche centinaia di militanti attivi, un confronto spesso sterile.

Però  quando qualche giorno fa l’ex senatore 5 Stelle Luis Alberto Orellana ha salvato il governo Renzi sul voto relativo al Def per lo spostamento del pareggio di bilancio al 2017, la verità sui cosiddetti “grillini scilipoti” è emersa in tutta la sua miseria morale.  
Orellana allora si è difeso pietosamente nel suo recente presenzialismo mediatico, anzi invitato “ad arte” dai vari talk show di regime: prima ha detto che non sapeva che il suo voto si sarebbe rivelato decisivo, poi ha dato la colpa alla Lega che non si è opposta come doveva, infine ha ripetuto ovunque  che lui è “una persona libera e non devo rendere conto a nessuno a differenza di altri”.

Ma Orellana, con quella faccia da marmocchio discolo precocemente invecchiato, che ha ancora la bocca sporca di cioccolata, ci è o ci fa? 
Non aveva promesso  di dimettersi da senatore, come garantiva solennemente, dopo l’espulsione?  Poi ha ritrattato tutto dicendo che “glielo chiedeva la sua coscienza”.  È innegabile che l’amico non abbia chiaro il significato del termine coscienza, forse si è sbagliato, voleva dire credenza, dispensa, deposito, cantina, rimessa, magazzino, giacenza, scorta …
Dunque  non importa che questo “trasformismo canaglia” abbia demolito la democrazia, con il suo gioco immorale del passaggio da uno schieramento all’altro, come fosse il camuffamento impazzito di un puzzle perverso, che salva governi rovinosi, epigoni delle oligarchie finanziarie, che hanno come unico scopo quello di effettuare programmi di lacrime e sangue. Invece per buona parte dell’informazione bastarda e dell’opinione pubblica, relegata a comparsa e insieme vittima di una tragedia greca che si dipana giorno dopo giorno sotto i nostri occhi, la gravità della situazione non consiste nelle esclusioni di un parlamentare che non rispetta il regolamento per cui è stato votato dai cittadini (revoca del mandato) e il tradimento trasformista di un parlamentare che sceglie di cambiare casacca, gagliardetto, colore, coscienza e dignità, passando da uno schieramento all’altro con l’espediente appunto dell’espulsione ingiusta e antidemocratica.

Ma insomma cosa afferma l’art. 67? Ecco qua il testo: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”


Questo è il significato di “senza vincolo di mandato”,  il senatore o il parlamentare eletto sarebbe così  “irresponsabile” nei confronti dell’elettore, o in altre parole, non gli dovrebbe nulla in termini di “lealtà e coerenza” politica e in termini di “onestà elettorale”.

Il parlamentare che non rispetta il proprio mandato elettorale nei confronti dell’elettore dunque secondo quest’articolo non violerebbe alcuna norma “contrattuale”?  Non sarebbe tenuto a rispettare le scelte di fondo dell’elettore che gli ha dato il voto? Quelle scelte che magari hanno spinto lo stesso elettore a preferire proprio lui rispetto ad un altro? Insomma l’art. 67 su un punto è chiaro: il deputato sarebbe libero di tradire il proprio elettorato e le aspettative dei propri elettori. Allora non è altro che il “cavallo di troika” della democrazia.

Infatti questo grave difetto costituzionale ha di fatto spesso alimentato il fenomeno del trasformismo e delle maggioranze variabili. Il costante flusso di parlamentari da un gruppo all’altro rende spesso gli esiti elettorali molto relativi e instabili e l’elettore non sa mai se la maggioranza che prevale rimarrà la stessa per tutta la legislatura oppure se a un certo punto cambierà, divenendo addirittura minoranza. La volontà popolare sembra non avere più alcuna rilevanza, ma  piuttosto viene in questo modo favorita la volontà gratuita dei singoli parlamentari di dare vita a maggioranze diverse rispetto a quelle prescelte dal “popolo sovrano”, che li ha eletti. Ma nella “democrazia rappresentativa” i parlamentari non dovrebbero “rappresentare” il volere degli elettori che li hanno votati?
Se il cittadino vota un partito, dovrebbe poter essere sicuro che la politica promossa da quel partito venga realizzata. Se su questo punto vi fossero delle inadempienze, non dovrebbero  dipendere dalla volatilità politica dei singoli membri del parlamento, o peggio dalla “mercificazione dei mandati elettorali”, se mai solo dall’incapacità di quel gruppo di realizzare quella politica.
L’elettore ha il diritto di scegliersi effettivamente i suoi rappresentanti politici ed ha il diritto di vedersi rappresentato nel modo migliore.  Se fosse previsto il “vincolo di mandato”, non esisterebbero i giochi di potere e le maggioranze variabili, soprattutto non sarebbero possibili i ribaltoni, poiché ogni decisione contraria all’esito elettorale comporterebbe il ritorno davanti al corpo degli elettori.
Quindi a Orellana, che cita a sua difesa  (e a sproposito) l’art.67 della Costituzione e l’assenza del vincolo di mandato, andrebbe ricordato che lui deve eccome “rendere conto” a qualcuno, per esempio a quegli elettori che lo hanno votato, che hanno permesso ad un “emerito sconosciuto” di rivestire quella carica prestigiosa, e che si aspettavano che lui avrebbe rispettato i principi e i valori del M5S, e se gli elettori avessero saputo che lui era pronto a mercificare il suo mandato al miglior offerente, avrebbero sicuramente votato qualcun altro. 

Per di più il nostro amico, in un’intervista illuminante, avrebbe sostenuto che crede nelle politiche espansive (sic) di Renzi, che frutteranno 11,5 miliardi, dunque si potrà ancora confermare il bonus degli 80 euro, iniziare a ridurre l’Irap, avviare cioè una manovra positiva, nei limiti di quanto si può permettere l’Italia (doppio sic), e che ognuno ha la sua appartenenza politica, ma deve sentirsi  libero di poter votare secondo i propri convincimenti.

Ma forse Luis Alberto ha la memoria molto corta e non ricorda più che aveva votato un regolamento ben preciso del M5S, il quale sosteneva che: 
Gli iscritti al MoVimento 5 Stelle hanno l'onere


a) di mantenere i requisiti di iscrizione indicati nel “non statuto”;

b) di attenersi al presente regolamento;

c) di rispettare le decisioni assunte con le votazioni in rete;

Gli iscritti al MoVimento 5 Stelle sono passibili di espulsione:

a) per il venire meno dei requisiti di iscrizione stabiliti dal “non statuto”;

b) per violazione dei doveri previsti dall'articolo 1 del presente regolamento;

c) se eletti ad una carica elettiva, anche per violazione degli obblighi assunti all'atto di accettazione della candidatura.

C’è poi un altro particolare, che pare conferire al voto di Orellana l’aspetto dello scambio di favori,  Luis Alberto infatti sarebbe dovuto diventare Presidente della delegazione parlamentare Ince (Iniziativa Centro Europea). Orellana, ora nel Gruppo Misto “Italia Lavori in Corso” (sic), verrà probabilmente eletto nelle prossime settimane. Hai capito il moccioso che ha rubato la cioccolata? Visto dov’è finita?  Molto comodo tradire in questo modo gli elettori, riprendersi il pieno stipendio e ritirare le dimissioni !

Orellana poi va in tour per tutte le trasmissioni tivù di approfondimento politico buttando fango sul M5S e dando del bugiardo a Beppe Grillo,  turbosforzando i neuroni disponibili e dicendo di non essere mai stato sfiduciato attraverso un voto assembleare.  Invece la verità è ben diversa. Durante un’assemblea provinciale tenutasi a Pavia il 7 febbraio scorso, nel confronto col Senatore Orellana è emerso un generale e consolidato stato d’insoddisfazione da parte dei gruppi per la persistente assenza del Senatore dal territorio e lo scarso confronto con gli attivisti locali, nonché l’inopportunità delle sue continue critiche mediante stampa e TV nazionali, lesive dell’immagine dei portavoce e degli attivisti impegnati sul campo, suoi stessi elettori. 

Pertanto, i gruppi del MoVimento 5 Stelle del territorio della Provincia di Pavia hanno preso ufficialmente le distanze dalle dichiarazioni e dalle azioni a titolo politico o personale di Luis Alberto Orellana, non riconoscendo più in lui un portavoce affidabile e rappresentativo.  (Gruppi M5S e Meetup della Provincia di Pavia)

https://www.youtube.com/watch?v=qQkHZDtkFfM


Insomma Luis Alberto Orellana, nel suo nuovo ruolo di senatore dalla coscienza libera, salvatore della patria da uno sorta di dittatura pentastellata, lavorerà per il bene  dei cittadini italiani o per il proprio bene? Terrà a bada la violenza del neoliberismo finanziario della troika oppure ne sarà complice? Avrà rispettato il vincolo di mandato o lo avrà tradito? Si accettano scommesse ...

Come diceva Howard Beale nel film “Quinto potere” di Sidney Lumet, contro la bastarda disinformazione che sta demolendo democrazia, diritti, lavoro, benessere degli italiani, basterebbe affacciarsi alla finestra e gridare: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!"

“Dovete dire: "Sono un essere umano, porca puttana! La mia vita ha un valore!"  Quindi io voglio che ora voi vi alziate. Voglio che tutti voi vi alziate dalle vostre sedie. Voglio che vi alziate proprio adesso, che andiate alla finestra e l'apriate e vi affacciate tutti ed urliate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!".  Le cose devono cambiare, ma prima vi dovete incazzare. Dovete dire: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Allora penseremo a cosa fare per combattere la crisi, la deflazione e la crisi economica, ma Cristo alzatevi dalle vostre sedie, andate alla finestra, mettete fuori la testa e ditelo, gridatelo: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!"    (liberamente tratto dal discorso di Howard Beale del film “Quinto potere” di Sidney Lumet).


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14427

sabato 27 dicembre 2014

Marco Travaglio: carriera amici incarichi di Giulio Napolitano figlio di Giorgio. - Marco Travaglio

zzz

“Il primo, Giovanni, è in forza alla Direzione conflitto di interessi dell’autorità Antitrust, dando un tocco di surrealismo al tutto.
Il secondo, Giulio, classe 1969, è il più attivo nel bel mondo (si fa per dire) romano fra salotti, atenei, palazzi del potere e spiaggia di Capalbio. È l’Infante d’Italia, omologo dell’Infanta di Spagna Elena María Isabel Dominica de Silos de Borbón y Grecia che tanti guai ha procurato al povero Juan Carlos, accelerandone l’abdicazione (istituto previsto dai cerimoniali della Corona spagnola, non di quella italiana). Nel 2003, a 34 anni, Giulio già beneficiava – per la sua leggendaria bravura, s’intende, mica per i lombi e il lignaggio - di due consulenze legali da 15mila euro dalla giunta romana di Veltroni (la Corte dei conti accertò poi che le sue prestazioni potevano essere tranquillamente svolte dal folto ufficio legale del Comune e condannò la malcapitata funzionaria che l’aveva reclutato a risarcire 10mila euro).
Intanto Giulio era già passato a migliori incarichi,tra consulenze pubbliche (Coni, Federcalcio, presidenza del Consiglio) e fondazioni private o quasi (VeDrò di Letta jr. e Arel del duo Amato&Bassanini).
Sempre grazie ai meriti scientifici conquistati sul campo, partecipò alla stesura del decreto sulle Authority, che in ultima analisi fanno capo al Papà Re.
Poi fu chiamato dal n.1 dell’Agcom, Corrado Calabrò, a presiedere l’Organo di vigilanza sull’accesso alla rete Telecom.
Senza trascurare la travolgente carriera universitaria, all’ombra del suo maestro Cassese (di cui ha curato il Dizionario di diritto pubblico), amico del Genitore Regnante (che nel 2013 tenterà di issarlo sul suo trono).
Un’irresistibile ascesa, quella dell’Infante prodige, fin sulla cattedra di Istituzioni di diritto pubblico all’università Roma Tre. Lì, per puro caso, ha regnato per 4 mandati (15 anni) il magnifico rettore Guido Fabiani, marito della sorella di donna Clio, cognato di Giorgio e zio di Giulio. E lì, sempre in ossequio alla meritocrazia, insegnano il Divo Giulio e la cugina Anna Fabiani, figlia del rettore, mentre il di lei marito Alberto Tenderini, non potendo proprio insegnare, cura le iniziative sportive dell’ateneo.
Quando l’anno scorso l’amico Letta Nipote va al governo, due fedelissimi dell’Infante diventano finalmente sottosegretari. Alla Giustizia l’inseparabile Andrea Zoppini, avvocato, autore di libri a quattro mani con Giulio e ordinario di Diritto privato a Roma Tre, ça va sans dire (presto costretto a dimettersi da un’indagine per frode fiscale, poi archiviata). Al Lavoro l’indimenticabile Michel Martone, che si segnala per gaffe memorabili prima d’inabissarsi nel nulla.
Ma ci vuol altro per oscurare la stella di Giulio, che séguita a collezionare poltrone: riformato il diritto sportivo per il Coni di Giovanni Malagò, è commissario ad acta alla Figc di Giancarlo Abete.
Sulle prime Matteo Renzi pare infastidito dall’ubiquo Infante, ma poi – in piena “emulsione” con S.A.R. – si arrende. Il Colle storce il naso per il decreto Franceschini sulla Cultura? Ecco sbucare al suo fianco il consigliere Lorenzo Casini, altro gemello siamese di Giulio, con cui firmò l’imprescindibile “Prospettive della globalizzazione. Come uscire dalla crisi”.
La Madia tribola a partorire il decreto PA, respinto con perdite dal Quirinale? Chi meglio del rampollo, che le fu pure fidanzato, per lubrificare l’ingranaggio?
Lui nega tutto: quello avvistato qua e là dev’essere un fantasma, o un sosia. La Napoli del dopoguerra ironizzava sulla somiglianza fra Umberto di Savoia e Giorgio Napolitano, il “figlio del Re”. Ora che questi s’è incoronato da solo come Carlo Magno, Giulio è figlio di un re e nipote di quell’altro. Viva l’Italia, viva la Repubblica.

Sorrento, prescrizione in appello per gli sversamenti nel parco marino. - Vincenzo Iurillo

Sorrento, prescrizione in appello per gli sversamenti nel parco marino

È andata a finire così per il processo di appello per il malfunzionamento del depuratore di Torca e dei relativi sversamenti delle acque di Punta Campanella. Uno dei tasselli del puzzle di impianti scadenti e obsoleti che nel tempo hanno ridotto le acque della costiera sorrentina nello stato documentato da un fotoreportage del Wwf, pubblicato sul Fatto.it.


Certo, non è il caso Eternit e nemmeno la discarica di Bussi. Ma anche dal mare di Sorrento giungono notizie preoccupanti sulla generale impunità che la prescrizione assicura ai reati ambientali. 
È andata a finire così per il processo di appello per il malfunzionamento del depuratore di Torca, frazione di Massa Lubrense, e dei relativi sversamenti delle acque nel Parco Marino di Punta Campanella. Uno dei tasselli del puzzle di impianti scadenti e obsoleti che nel tempo hanno ridotto le acque della costiera sorrentina nello stato documentato a fine agosto da un fotoreportage del Wwf, pubblicato su ilfattoquotidiano.it.
Il depuratore era in cura alla società che gestisce il ciclo integrato delle acque di 76 comuni della provincia napoletana e salernitana, la Gori. È un carrozzone pubblico-privato (partecipato al 40% da Acea e per il restante dagli enti pubblici locali raggruppati in Ato) dove comanda la politica che si spartisce incarichi e prebende, il cui attuale presidente è un ex parlamentare del Pdl e vice coordinatore campano di Forza Italia, Amedeo Laboccetta, del tutto estraneo ai fatti oggetto del processo, che ha riguardato invece gli ex vertici dell’azienda, quelli in sella a metà degli anni 2000.

In primo grado i cinque imputati erano stati condannati a otto mesi di reclusione (pena sospesa) dal giudice monocratico del tribunale di Torre Annunziata.

In primo grado i cinque imputati erano stati condannati a otto mesi di reclusione (pena sospesa) dal giudice monocratico Fernanda Iannone del tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento. In secondo grado la prescrizione ha cancellato il reato di danno ambientale. Tra i “salvati” ci sono l’ex presidente dell’Ato sarnese vesuviano Alberto Irace, piazzato lì in quota Ds (oggi Pd), e l’ex amministratore delegato di Gori Stefano Tempesta. Assoluzione piena per tutti dall’accusa di aver consentito lo sversamento senza le autorizzazioni della Provincia di Napoli. Al processo si è costituito parte civile il Wwf. Hanno rinunciato a farlo l’Ente Parco Marino e il Comune di Massa Lubrense.
In primo grado la sospensione della pena era stata “condizionata al risarcimento dei danni e all’esecuzione degli interventi di bonifica dei luoghi entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza”. Risarcimenti e bonifiche che vanno in fumo con le fiamme della prescrizione. Perché i fatti contestati risalgono a un periodo concluso il 29 giugno 2006, la data di dismissione del depuratore. Bisognava arrivare in Cassazione entro sette anni e mezzo da quella data. Traguardo mancato, nell’indifferenza degli organi di informazione locali, con eccezione del quotidiano Metropolis, l’unico a rendere noto l’esito del processo.

Il presidente Wwf costiera sorrentina, Claudio D’Esposito: “In Italia la via giudiziaria per la difesa dell’ambiente è fallimentare”.

L’inchiesta prese il via nel 2007. Due anni prima sul rivo Zappino precipitò da Torca una impressionante cascata di schiuma bianca. Segnale di grave sofferenza di un impianto non a norma e affaticato dalle quantità fuorilegge di reflui provenienti da attività industriali e turistiche della zona. 
Le porcherie finivano nel mare dell’oasi protetta di Punta Campanella. 
Protetta dagli escursionisti occasionali, dai sommozzatori e dai pescatori senza licenza, ma non dagli scarichi inquinanti. Il processo e la condanna in primo grado non ha impedito ad alcuni imputati di proseguire luminose carriere. A cominciare da Irace, consigliere di amministrazione della “Fondazione “Mezzogiorno Europa”, il think thank dei fedelissimi di Giorgio Napolitano. Irace recentemente è diventato amministratore delegato di Acea spa a Roma, su input del sindaco Ignazio Marino, dopo essere stato ad di Publiacque Spa, azienda che si occupa del ciclo idrico a Firenze e in tutta la Toscana.
Il presidente Wwf costiera sorrentina, Claudio D’Esposito, chiede se “valga ancora la pena denunciare i reati ambientali” e ricorda che la prescrizione è già intervenuta nel cassare il procedimento penale sul cattivo funzionamento del depuratore di Marina Grande a Sorrento. 
“Purtroppo prendiamo atto che in Italia la via giudiziaria per la difesa dell’ambiente è fallimentare. Ancora una volta gli inquinatori sono stati assolti per prescrizione ed è stato violato il principio comunitario fondamentale ‘chi inquina paga’. Questa sentenza è un vero e proprio schiaffo ai cittadini: il nostro mare è stato pesantemente inquinato ed è stata messa in pericolo la salute dell’ecosistema e dei bagnanti. È assolutamente avvilente per gli ambientalisti riuscire ogni volta a dimostrare di avere ragione ma senza che, alla fine, nessuno paghi per avere avvelenato il mare, la terra e l’aria”.