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lunedì 30 marzo 2015

Arresto sindaco Ischia, la coop finanziava D’Alema e gli comprava libri e vino. - Andrea Palladino

Arresto sindaco Ischia, la coop finanziava D’Alema e gli comprava libri e vino

L'ex presidente dei Ds, non indagato, citato nell'inchiesta che ha portato in carcere il sindaco Pd di Ischia per i suoi rapporti con la coop rossa Cpl Concordia. Che finanziava - in modo legittimo - la fondazione Italiani europei. L'ex Psi Simone intercettato: "Mette le mani nella merda".

Lo schema è quello di sempre. Ci sono gli imprenditori, ci sono i politici e – nel centro della galassia degli appalti – i broker. Gente dinamica, sveglia, veloce. Mediatori in grado di avere i contatti giusti al momento giusto, capaci di macinare milioni di euro in contratti, movimentando mazzette e favori. Francesco Simone, secondo i magistrati di Napoli, il mestiere lo aveva nel sangue. Così come la passione per la politica, ereditata dalla sua passata vicinanza con la famiglia Craxi. Così come le giuste entrature e la capacità di capire chi contattare per creare il clima “favorevole ”attorno alla Cpl Concordia, il colosso cooperativo “rosso” che a fine mese gli pagava profumate commissioni. E il cui ex presidente Roberto Casari è indagato dalla Dda di Napoli per concorso esterno in associazione mafiosa, accusato di rapporti con la camorra casalese.
La rubrica telefonica di Simone – finito oggi agli arresti insieme ad alti dirigenti della cooperativa emiliana e al sindaco di Ischia Ferrandino – era decisamente ricca. La procura di Napoli ha evidenziato un nome di peso. Anzi, il nome, quello di Massimo D’Alema. Non è indagato, ma – come nel caso Lupi – si trova ora al centro di regali politicamente pesanti.
“Le mani nella merda”. Gli arresti sono scattati per uno specifico appalto, la metanizzazione dell’isola di Ischia. Secondo i magistrati napoletani il sindaco del Pd Ferrandino avrebbe ricevuto una serie di favori in cambio dell’aggiudicazione dei lavori: un contratto di 160mila euro con l’albergo della famiglia e l’assunzione come consulente del fratello. Il sistema, però, era più ampio. Cpl Concordia per il Gip avrebbe infatti organizzato e gestito un vero e proprio “sistema affaristico”, mantenendo contatti con “l’esponente politico che è stato per anni il leader dello schieramento politico di riferimento per la stessa cooperativa, ovvero l’onorevole Massimo D’Alema”.
“Queste persone poi quando è ora le mani nella merda ce le mettono o no?”, chiedeva al telefono il direttore commerciale della coop rossa Nicola Verrini a Francesco Simone. Secca la sua risposta: “D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi ci ha dato delle cose”. Un rapporto dunque stretto.
Massimo D’Alema, secondo le indagini del Noe, era un politico decisamente amato dalla Cpl Concordia. Nel 2014 la cooperativa rossa decide di acquistare cinquecento copie del libro “Non solo euro” (ma risultano anche acquisti delle opere dell’ex ministro di Forza Italia Giulio Tremonti) e duemila bottiglie di vino prodotte dalla azienda vinicola gestita dalla moglie. C’è di più. Durante una perquisizione nella sede dell’azienda i carabinieri hanno trovato tre bonifici da 20mila euro ognuno a favore della fondazione di D’Alema “Italiani europei”. Soldi tracciati e quindi leciti, ma che per i magistrati sono il segno inequivocabile della vicinanza tra la Cpl Concordia e l’esponente del Pd.
Nelle indagini è finito anche il nome dell’ex deputato del Pdl Pasquale Vessa che, secondo i magistrati, avrebbe favorito alcuni appalti della cooperativa nella zona di Salerno, ricevendo in cambio una “fittizia consulenza” con una società riconducibile al parlamentare.
Tunisia mon amour. La storia delle tangenti della coop emiliana passa per la Tunisia. Quasi un revival degli anni ’90, quando Bettino Craxi usò i suoi contatti storici con il nord Africa per crearsi il buen retiro ad Hammamet. E, secondo alcune deposizioni, il broker Simone avrebbe goduto di ottimi contatti in Tunisia proprio grazie al suo passato di segretario di Bobo Craxi.
Nel paese nordafricano sarebbero infatti passati i soldi da usare per il pagamento delle tangenti. Secondo quanto hanno ricostruito gli investigatori Francesco Simone utilizzava una sua società tunisina per ricevere bonifici giustificati da contratti di consulenza, riportando in Italia i soldi per creare provviste in nero, distribuendo i contanti alle famiglie di amici che lo accompagnavano nei sui frequenti viaggi in nord Africa. In un caso – spiegano fonti investigative – una mazzetta di euro era stata nascosta in un passeggino, per passare la dogana all’ingresso in Italia.
Lo schema utilizzava anche passaggi di soldi estero su estero, con bonifici che partivano da San Marino per arrivare sui conti correnti tunisini riconducibili a Simone. Secondo la procura di Napoli il consulente della Cpl Concordia avrebbe corrotto anche alcuni funzionari di banche e doganieri tunisini, facendo così scattare nei suoi confronti anche l’accusa di corruzione internazionale.
Per ora la discovery dell’inchiesta si è concentrata solo sugli elementi indiziari relativi agli appalti di Ischia e di altri comuni minori della Campania. Le carte sono però coperte da numerosi omissis e – secondo fonti investigative – le indagini stanno proseguendo verificando diversi contatti con la politica. Le “mani nella merda” potrebbero essere tante.

giovedì 8 agosto 2013

Se perfino Epifani, nel suo piccolo, si arrabbia (forse). - Andrea Scanzi

 
Dalle interviste di D’Alema a L’Unità e di Epifani al Corriere della Sera, si evince che persino i piani alti del Pd hanno capito che qualsiasi cosa è meglio del governicchio Letta. Anche andare al voto a settembre. Persino con questa stessa legge elettorale (che fa schifo, ma Pd & Pdl non vogliono cambiare). Ci hanno messo più di tre mesi, ma il Pd ha notoriamente tempi biblici per (non) comprendere i propri errori.
E’ del tutto ovvio che qualsiasi partito minimamente decente non dovrebbe stare neanche un giorno al governo con il pregiudicato di Arcore: non poteva starci prima, non può starci ora che è condannato in via definitiva per un reato gravissimo (anzitutto per chi fa politica) come la frode fiscale. Parole come “responsabilità” o giochetti linguistici tipo “non esistono alternative” sono bischerate titaniche, usate unicamente per far ingoiare i rospi all’elettorato.
Mentre D’Alema ha sciorinato le solite supercazzole da finto-statista, dicendo tutto ma più che altro nulla, Epifani ha garantito che non verranno fatti sconti a Berlusconi (uh-uh) e che se il pregiudicato non fa un passo indietro (e lui non lo fa) tanto vale andare subito al voto. Banalità evidenti, ma sufficienti a far sembrare Epifani quasi un eversivo (infatti alcuni noti intellettuali berlusconiani, tipo Bianconi, lo hanno già definito “coglione” e “rompicoglioni”).
Il Pd non mantiene quasi mai la parola data, come assai noto a chi ha ancora un minimo di onestà intellettuale. Quindi potrebbe benissimo non accadere nulla da qui a dicembre. E le parole di Epifani e D’Alema servono anzitutto a preservare i gerarchi perdenti e disinnescare Renzi (che continua a dormire il sonno dei grulli) e Civati, togliendo a entrambi l’arma dell’antiberlusconismo – arma, peraltro, che né Renzi né il Pd hanno mai usato. Per quanto sembri folle, nel Pd sono davvero convinti che uno come Letta potrebbe vincere le prossime elezioni, e un gesto forte (far cadere il governo per “orgoglio e dignità”) lo aiuterebbe a recuperare consenso.
Sono comunque parole che sembrano avvicinare le oltremodo auspicabili elezioni, con annessa fine del governicchio inutile.
Sarà un autunno divertente. Durissimo, ma per certi versi divertente.

lunedì 8 luglio 2013

Rai, ecco a chi vanno i due miliardi di euro all’anno di appalti pubblici. - Carlo Tecce

Rai, ecco a chi vanno i due miliardi di euro all’anno di appalti pubblici


In un documento segreto di 20 pagine, consegnato dal dg Gubitosi alla Commissione di Vigilanza, ci sono i nomi delle 2400 società che si sono divise la torta: dall'ex dalemiano Velardi ai fratelli 'berlusconiani' Casella, per finire a Dino Vitola, 'protetto dall'ex An Rositani.

Le pagine, venti. Le società, 2400. Le scatole, infinite. Il denaro, 2 miliardi di euro. Ogni anno, a ogni sussulto di canone che rispetta l’inflazione, la Rai distribuisce centinaia di appalti e commesse per le serie televisive e per la ristorazione, per i varietà e i trasporti. Un documento di viale Mazzini, che il Fatto Quotidiano ha visionato e la Commissione di Vigilanza dovrà esaminare, prova a servire la trasparenza: le tabelle, in ordine alfabetico, sembrano un elenco telefonico. Ma di nome e in nome, di sigla in sigla, si scoprono le aziende che lavorano con i migliori contratti.
I fratelli Casella, Losito e Mediaset
Per fare impresa in viale Mazzini, società pubblica che può apparire inespugnabile, non occorrono grossi capitali: una società a responsabilità limitata, 10mila euro per cominciare, un preventivo, un progetto. Ifratelli Casella, Cristian e Marco, avevano esperienza. Il minore Marco ha in carriera sette anni e mezzo nell’ufficio stampa di Silvio Berlusconi e un incarico nei giovani per la libertà. Il maggiore Cristian, l’amministratore, aveva gestito la televisione di propaganda berlusconiana. Il passato di rilievo, seppur politicamente non imparziale, fa scorrere il cancello di viale Mazzini. Qualche sospetto e qualche accusa nascono presto e finiscono ancora prima. I ragazzi sono cresciuti e, in questa stagione, possono vantare un programma (costato 600mila euro, una parte ai fratelli) su Rai1 condotto da Paola Perego e i 10mila euro di 2B Team Group valgono ancora di più.
La presenza di amici al quadrato di Silvio Berlusconi non è un’ossessione per la Rai, anzi, è quasi una prassi, una tradizione che si rinnova e si amplifica. Quando Teodosio Losito, rinomato ammiratore e produttore di Gabriel Garko e Manuela Arcuri su Canale 5, ha incassato un paio di commesse per la televisione pubblica, subito il pensiero è volato a Mediaset, a Cologno Monzese. Proprio a Cologno Monzese, Losito ha residenza: una curiosità, nulla più. Perché fra i soci di Ares Film c’è Rti, acronimo di Reti televisive italiane, una controllata di Mediaset. Losito non si è fatto impressionare, non ha mai commentato né smentito, finché la quota di Rti è scesa al 5 per cento. Non si è mai mossa dal 10 per cento, né un passo avanti né un passo indietro, l’ex compagna di Paolo Berlusconi, Patrizia Marrocco. La Luxvide di Ettore Bernabei e figli non è mai la novità, né in negativo né in positivo: la torta per la fiction si riduce di qualche milioni di euro, ma i santi e i poeti raccontati non perdono spazio né puntate. Anche se il franco-tunisino Tarak Ben Ammar, da sempre alleato di Berlusconi, vorrebbe vendere il 18 per cento del pacchetto azionario che detiene attraverso Prima Tv. L’ennesima edizione di Don Matteo, il prete interpretato da Terence Hill, sarà pronta al prezzo di oltre 15 milioni di euro. E la presenza di Banca Intesa fra i soci trasforma la Luxvide in un colosso multinazionale, non soltanto per le propaggini che si estendono sino a Londra.
Fiduciarie anonime e scatole cinesi
Ecco, per rintracciare un committente di spessore, per la quantità dei prodotti offerti, vale la pena fare un salto nella capitale inglese. E magari, però non sarà facile, capire chi si nasconde (o non vuole farsi riconoscere) dietro la fiduciaria Reynolds Advisor Limited, azionista di maggioranza relativa (40%) diAlbatros Entertainment di Maurizio Momi e Alessandro Jacchia, entrambi italianissimi, entrambi riferimenti costanti per i palinsesti di viale Mazzini. Albatros ha un’estrazione di centro più destra, molte volte si è speso (a parole, sia chiaro) l’ex ministro Maurizio Gasparri. L’esterofilia può farci sbarcare persino in Olanda. Paypermoon Italia fu un’invenzione di Claudio Velardi, all’epoca reduce dagli anni di Palazzo Chigi con Massimo D’Alema. Il referente italiano di Paypermoon, che realizza serie televisive con i vari Neri Marcorè e Anna Valle, si chiama Mauro Mari. Le quote italiane sono divise in tre pezzi: il 3% sta a Londra, il 37% fa capo ad Aislin Italia e il restante a un’omonima olandese.
La parte italiana, però, è di proprietà olandese: leggendo l’ultimo bilancio disponibile, dichiara 714 euro di utile. Sarà che le buone idee premiano e così, nonostante una finanzia non certo multinazionale, la Paypermoon ha tante serate da girare e occupare per circa 8 milioni di euro. Ci sono produttori che non beccano una voce di spesa da anni e colleghi che non mancano mai. I direttori apprezzano la fantasia (e il successo) di Lorenzo Mieli, che non va legato soltanto a Fremantle ItaliaWildside, uffici in viale Mazzini, raccoglie giovani di talento e cognomi, il bravo regista figlio di Maurizio Costanzo, Saverio; l’esegeta diNotte prima degli esamiFausto Brizzi e Mario Gianani, da poco marito di Marianna Madia, deputata Pd.
I grandi affari dei soliti noti
Il calabrese Dino Vitola si è ritrovato in mezzo a una polemica sterminata perché durante il suo Canzoni e Sfide, al teatro Politeama di Catanzaro, in sala c’era il camorrista Gaetano Marino (poi ammazzato) che ascoltava la figlia cantare. Il nome di Vitola figura ancora fra i fornitori di viale Mazzini, quelli che, esaminati e vagliati, possono partecipare a una gara. Per vicinanza territoriale, di origine, s’intende, il consigliere d’amministrazione Guglielmo Rositani l’ha sempre difeso in Cda. In ascesa, va segnalata la Tunnel Produzioni di Ferdinando Mormone che, per Rai2, ha confezionato il contenitore di satira Made in Sudcon Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio Briatore. Il fallimento di soldi pubblici per Barbarossa,Umberto Bossi protagonista di un cameo, non ha stroncato il rapporto fra il regista Renzo Martinelli e viale Mazzini. Roberto Sessa ha cambiato tanto, ma non ha smarrito la sintonia con la Rai e ritorna operativo con Picomedia.
Di Benedetto & C. passato di ritorno
L’ex direttore generale Agostinò Saccà ha preso il largo, non senza qualche imbarazzo interno (ha i suoi amici e i suoi nemici) e, da ex capo di tutto in viale Mazzini, fa lievitare la Pepito. C’è un gruppo storico, plasmato nelle ultime stagioni, che conferma la presenza. C’è sempre la Goodtime di Gabriella Buontempo, ex moglie di Italo Bocchino. Come la Titania di Ida Di Benedetto, consorte di Giuliano Urbani. La Itc di Beppe Caschetto va bene anche con la cinepresa. E l’agente Lucio PrestaArcobaleno 3, presidia sempre il territorio. Questa settimana, i parlamentari in Vigilanza Rai avranno le venti pagine che il dg Gubitosi – dopo aver iniziato a ripulire l’albo – ha consegnato al presidente Roberto Fico: può annoiare e ricordare un elenco telefonico, ma ci sono notizie e incroci che possono aiutare la televisione pubblica a sconfiggere brutti sprechi e cattive abitudini.

venerdì 26 aprile 2013

Dalla Fondazione Craxi a quella di Brunetta: tutti i regali di Monte Paschi. - Davide Vecchi


Dalla Fondazione Craxi a quella di Brunetta: tutti i regali di Monte Paschi


Dalle casse della fondazione dell'istituto di credito senese sono usciti un mare di soldi nell'era Mussari-Mancini. 'Doni' milionari a esponenti di destra e di sinistra, contributi ai sindacati, alle organizzazioni religiose e alle associazioni degli amici.

Dalla fondazione Ravello, oggi presieduta dall’attuale capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, alla Giuseppe Di Vittorio della Cgil. Dai circoli Arci alla fondazione Craxi, fondata e presieduta da Stefania. Dai bonifici per l’ex senatore del Pdl, ora candidato sindaco a Pisa e storico braccio destro dell’ex ministro Altero Matteoli, Franco Mugnai (legale nel caso Ampugnano). Poi fondi a tutte le amministrazioni a guida Pd della Toscana. A partire dalla Regione fino a numerosi Comuni. Tranne uno: Gagliole, l’unico con un’amministrazione di centrodestra.
A scorrere le 400 pagine di estratto conto della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, degli anni compresi tra il 2007 e il 2009, si ricostruisce la fitta rete di sovvenzioni ed erogazioni distribuite ad amici e non. Per lo più si tratta di fondazioni, enti, amministrazioni targate centrosinistra. Ma Giuseppe Mussari, già passato alla guida di Rocca Salimbeni, guardava a Roma. All’Abi, dove approda nel 2010, ma anche al Palazzo nel quale sa di poter confidare in rapporti trasversali, da Giuliano Amato a Giulio Tremonti. Siena doveva essere solo un trampolino di lancio, come spiegano negli atti i pm titolari dell’inchiesta sull’acquisto Antonveneta, Aldo Natalini, Antonino Nastasi e Giuseppe Grosso. Banca e fondazione un utile portafoglio. Si sponsorizza tutto. Dai circoli ricreativi alle associazioni politiche, come la Karl Popper che, di matrice socialista, appoggia, negli anni, i due sindaci Maurizio Cenni e Franco Ceccuzzi. Quest’ultimo costretto a rinunciare a ricandidarsi perché avrebbe raggiunto un accordo di spartizione con Denis Verdini. L’indagine è ancora in corso.
Da Siena i soldi vanno anche a Lecce: arcidiocesi (120 mila euro), varie onlus e 50 mila euro alla provincia. Guidata da Antonio Maria Gabellone, ex Dc oggi Pdl, legato a Vincenzo De Bustis e, in particolare a Lorenzo Gorgoni, membro del Cda di Mps. Ma è anche terra politica di Massimo D’Alema e della Banca 121 acquistata da Rocca Salimbeni. I versamenti sono compresi tra i diecimila euro e i due milioni, che vanno alla fondazione Ravello, per un importo complessivo che sfiora il miliardo e che si perde nel totale delle uscite della Fondazione: 17.983.686.939 euro complessivi di movimentazione in 36 mesi. Per lo più dovuta alle operazioni di compravendita sui mercati in vista dell’aumento di capitale per l’acquisto di Antonveneta.
Alimentata dai fondi versati all’Università cittadina, alle società del Comune e di sviluppo, alla diocesi, alle contrade del Palio. Fino ad assottigliarsi e perdersi in mille rivoli con bonifici da 50 mila euro anche a singoli preti. Meglio assicurarsi la buona parola di tutti. Tra i 3 miliardi versati per l’aumento di capitale per l’acquisto di Antonveneta ai piccoli bonifici ci sono, ad esempio, uscite per dieci milioni alla Cressidra Sgr Spa, un gestore di fondi chiusi riservati nonché azionista di Anima Sgr insieme a Banca Popolare di Milano, Credito Valtellinese e la stessa Banca Monte dei Paschi. Rocca Salimbeni condivide con Anima il presidente dei sindaci: Tommaso Di Tanno, oggi indagato. Tra i più noti tributaristi italiani, legato ai Ds, in particolar modo a D’Alema e Vincenzo Visco, di cui è stato consigliere economico in via XX Settembre, Di Tanno non si è accorto della voragine che Mussari, Gianluca Baldassarri e Antonio Vigni, hanno creato in Mps. E’ stato anche revisore dei bilanci dei partiti per Montecitorio.
L’elenco delle uscite è infinito. L’estratto conto è negli atti del processo per l’aeroporto Ampugnano che vede Mussari rinviato a giudizio per falso ideologico in concorso e turbativa d’asta. Parte della documentazione raccolta durante le indagini, in particolare quella relativa alla Fondazione e a Mps, è confluita nell’inchiesta sull’acquisto di Antonveneta. Nulla, al momento, sarebbe stato rilevato di anomalo nelle operazioni partite dal conto corrente della Fondazione. A subire il contraccolpo maggiore è stata la città, dal Comune all’Università, dall’azienda ospedaliera alle contrade del Palio, che si sono ritrovate private, da un anno all’altro, delle laute erogazioni. Se ne sarà fatta ormai una ragione, invece, la fondazione oggi presieduta da Brunetta. La fondazione Ravello, che stava a cuore a Mussari anche per la presenza di Filippo Patroni Griffi nel consiglio generale di indirizzo, non riceve più nulla. Così come la fondazione Craxi: ultimo bonifico ricevuto 15 mila euro nel marzo 2009. L’anno successivo le erogazioni concesse si sono fermate a complessivi 109 milioni e su un totale di 2657 domande presentate solamente 779 sono state soddisfatte. Nel 2012 sono state ulteriormente ridotte a 21 milioni e per il 2013 è previsto lo stanziamento di appena cinque milioni di euro. Da Mps, del resto, non arrivano più i dividendi frutto del “maquillage bilancistico” di Mussari e la banda del 5 per cento.

mercoledì 10 aprile 2013

Serravalle, l’uomo di Penati: “Azioni in sovrapprezzo? Me lo chiese D’Alema”.

Serravalle, l’uomo di Penati: “Azioni in sovrapprezzo? Me lo chiese D’Alema”


Renato Sarno, già in carcere, riporta le frasi - raccontate da Il Corriere - del presidente della Provincia che nel 2005 comprò a prezzo maggiorato il pacchetto azionario di Gavio. L'ex braccio destro di Bersani, nega ogni addebito. Così come l'ex ministro degli Esteri che annuncia querela al quotidiano milanese.

“Le esatte parole di Penati furono: ‘Io ho dovuto comprare le azioni di Gavio. Non pensavo di spendere una cifra così consistente, ma non potevo sottrarmi perché l’acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D’Alema‘”. A riportare la frase – secondo la ricostruzione del Corriere della Sera – è Renato Sarno, l’architetto 67enne già incriminato dai pm di Monza come “collettore di tangenti e uomo di fiducia di Penati nella gestione di Milano-Serravalle“. 
Il pacchetto di azioni della società autostradale Milano-Serravalle cui fa riferimento Sarno sono quelle che la Provincia di Milano, presieduta dal ds Filippo Penati, acquista nel 2005 dal costruttore Marcellino Gavio a prezzo gonfiato. 
Il Corriere ha interpellato sulla vicenda lo stesso Filippo Penati che ha negato di aver fatto a Sarno il nome di Massimo D’Alema. “Costretto da D’Alema a strapagare le azioni di Gavio? – ha detto Penati – Non l’ho mai detto a Sarno, né avrei mai potuto dirglielo perché non è vero: difendo l’operazione Serravalle fatta nell’interesse della Provincia e destinata ancora oggi a procurarle una plusvalenza”. L’ex presidente della Provincia di Milano ha anche aggiunto che “non c’era alcuna ragione per la quale io dovessi parlare con lui dell’operazione Milano-Serravalle”.
“Leggo con stupore, in un lungo articolo a firma Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, alcune dichiarazioni che sarebbero state rilasciate dall’architetto Renato Sarno in merito ad un mio presunto interessamento, nei confronti dell’allora presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, nell’acquisto delle quote azionarie dell’autostrada Milano-Serravalle, oggetto di indagine da parte della Procura di Monza”. E’ quanto afferma Massimo D’Alema. “Nel rilevare che tutta la ricostruzione della vicenda è stata già smentita da Penati, ovvero colui che avrebbe riferito quelle evidenti sciocchezze all’architetto Sarno, mi sconcerta il fatto che i due giornalisti del Corriere della sera non abbiano avvertito l’esigenza di chiedere la mia versione prima di dare diffusione a dichiarazioni inventate di sana pianta, pubblicandole con straordinario e immotivato risalto”, continua il presidente della fondazione Italianieuropei. D’Alema conclude: “Nel ribadire di non essermi mai interessato a quella vicenda, comunico di aver incaricato il mio legale, avvocato Gianluca Luongo, di assumere ogni più idonea azione a tutela della mia immagine e della mia onorabilità nei confronti di tutti coloro che, nel corso delle indagini o nel riportarne in modo distorto o parziale le risultanze, si sono resi protagonisti di una deliberata azione di calunnia e disinformazione ai miei danni”.