venerdì 22 febbraio 2019

Ve ne andate o no? - Marco Travaglio

In Edicola sul Fatto del 22 Febbraio: Ermini e i pasdaran Pd, la rimpatriata a pranzo

In un Paese serio, il presidente della Repubblica e del Csm Sergio Mattarella convocherebbe il vicepresidente del Csm David Ermini e gli chiederebbe le dimissioni. A meno che non riesca a smentire le notizie pubblicate ieri dall’Huffington Post sul suo pellegrinaggio mattutino alla Camera (dov’è stato eletto un anno fa in quota Renzi) per confabulare con gli ayatollah renziani, impegnati a fucilare i giudici di Firenze che hanno osato arrestare i genitori del loro capo. Gli stessi giudici che Ermini dovrebbe difendere dagli attacchi, come si usava quando l’attaccante era B. e ancora si usa quando lo è Salvini. Invece Ermini tace e anzi acconsente, incontrando gli aggressori. Secondo l’Huffington, ha fatto “due chiacchiere con Maria Elena Boschi”, che ieri sul Foglio tuonava contro “l’uso politico della giustizia”. Poi, a pranzo, si è “attovagliato con Alessia Morani, Stefano Ceccanti e Carmelo Miceli, avvocato siciliano di granitico garantismo”. Garantismo si fa per dire, visto il forsennato giustizialismo della combriccola contro le toghe fiorentine, già condannate per leso Tiziano. Quale imparzialità potrà avere d’ora in poi questo Ermini nel tutelare, come sarebbe suo dovere, i magistrati aggrediti dai politici suoi amici? Già ne aveva poca prima, viste le sue sparate contro altri pm sgraditi a Renzi, quelli di Consip. Ma da ieri la sua terzietà è pari a zero. E mai come oggi il Csm ha bisogno di un vertice al di sopra delle parti e dei sospetti.
Anche perché finalmente sta per chiudere l’inaudito processo disciplinare contro i pm napoletani Woodcock e Carrano, rei di avere scoperchiato la fogna Consip. Chi gridava al complotto (Ermini compreso) sosteneva che l’inchiesta era mirata a infangare il Giglio Magico tramite quel giglio di campo di Tiziano, ora agli arresti, con “prove false” taroccate dal capitano Scafarto. L’ufficiale del Noe fu indagato, perquisito e financo destituito dalla Procura e dal gip di Roma. Ma, come dice Renzi, “il tempo è galantuomo e basta solo aspettare”. Infatti Scafarto fu scagionato e reintegrato nell’Arma dal Tribunale del Riesame, che attestò la buona fede dei suoi errori (per i quali i pm di Roma vogliono pervicacemente processarlo, dopo aver chiesto l’archiviazione di babbo Tiziano). La Procura ricorse in Cassazione e fu respinta con perdite: rigettati tutti i suoi ricorsi. Ieri sono uscite le motivazioni: nessun reato di falso per incastrare Tiziano e screditare Matteo, solo errori involontari. Il punto centrale dell’accusa è la famosa telefonata in cui Italo Bocchino, ex deputato di Fli e consulente di Alfredo Romeo, diceva di aver “incontrato Renzi”.
Nell’informativa Scafarto attribuiva erroneamente quella frase a Romeo e individuava quel “Renzi” non in Matteo, ma in Tiziano (a riprova di un incontro fra i due sempre negato da entrambi, ma ora ritenuto probabilissimo dagli stessi pm). Anche la Cassazione smentisce la Procura, ritenendo quell’errore una svista e non una congiura con prove false per incastrare i Renzis. Per tre motivi. 
1) Tiziano era già coinvolto nell’affaire Consip da ben altri e più solidi indizi e non c’era bisogno di inventarne di nuovi: “Dalle intercettazioni e dai primi riscontri… risultava che Romeo stesse stipulando con il Russo, che affermava di parlare anche a nome di Tiziano Renzi…, un ‘accordo quadro’, che prevedeva il versamento periodico di denaro da parte sua al Russo ed al Renzi in cambio di un intervento di quest’ultimo sull’Ad di Consip Luigi Marroni”. E, appena partirono le indagini babbo Renzi fu avvisato da una fuga di notizie che lo indusse a non parlare più al telefono. 
2) Se davvero Scafarto voleva screditare i Renzi, “non si comprende perché (come risulta dalle chat, ndr) chiese a tutti i suoi collaboratori un riscontro di verifica diretta” sulla telefonata Bocchino-Romeo, sollecitandoli a “riascoltarla” e a controllare meglio chi diceva cosa e poi “a controllare che la sua informativa non contenesse inesattezze”. 
3) “Scafarto – aggiunge la Cassazione confermando il Riesame – invitò il maresciallo Chiaravalle a controllare meglio un’intercettazione e soprattutto l’identificazione di uno dei soggetti che si era incontrato con Marroni in Marco Carrai. Chiaravalle ha dichiarato che fu Scafarto a fargli notare che la persona identificata in Carrai, in realtà, era Marco Canale, presidente di Manutencoop. La vicenda è decisamente rilevante perché smentisce la volontà dell’indagato (Scafarto) di voler coinvolgere nella vicenda Consip, anche mediante la commissione di reati di falso, l’allora presidente del Consiglio. Carrai infatti è un imprenditore molto vicino a Matteo Renzi”. Anche in quella occasione, insomma, per i giudici di Cassazione ha ragione il Riesame: Scafarto “perseguì l’accertamento della verità”, anche se scomoda per l’accusa. Senza preconcetti né complotti.
Ora che del golpe Consip non resta più nulla, nemmeno la cenere, e nessuna persona sana di mente si beve la storia del golpe contro papà Tiziano e mamma Lalla, è paradossale che il renzismo sopravviva proprio ai vertici del Csm. E pure del Pd alla vigilia del congresso. Lì le sole voci udibili sono quelle contro i giudici, mentre chi dovrebbe difenderli tace. L’on. avv. berlusconiano Francesco Paolo Sisto annuncia di aver appena “presentato un ddl sulla separazione delle carriere dei magistrati. A parte i 5Stelle, il clima non è ostile, neanche dal Pd. Perché non è un provvedimento in quota opposizione, ma in quota Costituzione”. Per la verità, è sempre stato in quota P2. Ora è nel programma della mozione Martina (“Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”) e nelle interviste di Giachetti. Molto più comodo separare i giudici dai pm che i politici dai delinquenti.


qui l'articolo del Huffingtonpost:

Trapani, “finanziava famiglia di Messina Denaro”: arrestato re delle scommesse online. Indagato deputato regionale di Fi. - Marco Bova

Trapani, “finanziava famiglia di Messina Denaro”:  arrestato re delle scommesse online. Indagato deputato regionale di Fi

Mafia ed estorsione: arrestati il re delle scommesse online Luppino e altri due imprenditori. Hanno anche sostenuto la candidatura all'Ars di Stefano Pellegrino, sotto inchiesta per corruzione elettorale.

Centri scommesse per finanziare la latitanza di Matteo Messina Denaro, il capomafia originario di Castelvetrano(Trapani) ricercato dal 1993. Tre arresti e una decina di indagati tra cui un deputato regionale che siede nella Commissione antimafia regionale. Il meccanismo emerso nell’indagine dei carabinieri condotta dalla Dda di Palermo, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Francesca Dessì è rodato e sorge sulle ceneri dei business già consolidati. Dai rapporti con la politica fino alla gestione dei centri d’accoglienza per migranti. A partire dal principale arrestato, Calogero John Luppino, imprenditore di 39 anni divenuto bancomat della famiglia mafiosa di Castelvetrano dopo aver ricevuto il benestare per l’apertura dei centri di scommesse. Fondatore del movimento politico “Io Amo Campobello”, gestito assieme allo zio Mario Giorgi, anche lui arrestato dai carabinieri. In manette anche Francesco Catalanotto, di 47 anni originario di Castelvetrano cugino di Lorenzo Catalanotto e sodale di Luppino.

Il deputato regionale indagato è Stefano Pellegrino, politico originario di Marsala (Trapani) di 61 anni accusato di corruzione elettorale senza l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Pellegrino è un avvocato penalista e dal dicembre 2017 è stato eletto deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana con oltre 7mila preferenze e adesso siede nella Commissione regionale antimafia. Pellegrino secondo la Dda di Palermo avrebbe ricevuto il sostegno elettorale di Salvatore Giorgi, detto Mario, e Calogero John Luppino animatori del movimento politico “Io Amo Campobello” che alle ultime elezioni hanno sostenuto l’elezione dell’attuale sindaco Giuseppe Castiglione e quella del deputato regionale Stefano Pellegrino, originario di Marsala (Trapani). A Pellegrino, che ora sarà interrogato dai pm, viene proprio contestata l’elezione all’Ars, avvenuta – stando all’accusa – anche grazie ai voti di Luppino e Giorgi che a loro volta regalavano pacchi della spesa in cambio della preferenza elettorale.

“Nella compravendita dei voti commessa dal Giorgi era direttamente coinvolto il politico Pellegrino in prima persona”, così scrive il gip che aggiunge come in prossimità delle elezioni regionali Pellegrino incontrò Giorgi e Luppino. Dopo l’elezione i due erano “quelli di Campobello, che mi hanno aiutato” e che potranno avere una serie di incarichi in “tre, quattro enti”. “Tutti Pellegrino hanno votato”, diceva Luppino consapevole che anche Dario Messina (finito in galera l’anno scorso nell’operazione Anno Zero) aveva sostenuto Pellegrino. Ordine che, non escludono i carabinieri del Ros, potrebbe essere arrivato perfino da Franco Luppino, capo della mafia di Campobello di Mazara, che da anni si trova recluso in carcere.
Calogero “John” Luppino dal 2006 al 2011 invece è stato consigliere comunale con l’Udeur. Proprietario di alcune società nel settore delle scommesse online tra cui la “Non solo Vip”. Nel 2014 ottenne una concessione per un centro d’accoglienza e con l’associazione Menzil Salah ne aprì uno a Salaparuta (Trapani) per cinquanta persone in un immobile di proprietà del comune. Sequestrate anche società per il valore di 5 milioni, compresa una di trasporti che gestiva un pullman per far spostare i migranti ospitati in un centro d’accoglienza. Per il collaboratore di giustizia LorenzoCimarosa (morto nel gennaio 2018 per morte naturale) Luppino era “quello delle macchinette”, vicino a Raffaele Urso, adesso in carcere. “Rosario Allegra (cognato del boss, anche lui in galera ndr) li aveva autorizzati ad aprire”, disse Cimarosa. Luppino secondo i pm ha avuto “un’ascesa favorita dagli affiliati ai mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo, che obbligavano i vari esercizi commerciali ad istallare le apparecchiature delle società di Luppino e Giorgi, a fronte di pesanti ritorsioni”. Rosario Allegra è stato intercettato parlava con Catalanotto di 5000 euro che gli dovevano essere consegnati da Luppino aggiungendo che “la posizione che ha lui però la deve capire…”.

Era Catalanotto a mediare i rapporti con Rosario Allegra, cognato del boss e tra i colonnelli della famiglia di Castelvetrano, arrestato nell’operazione Anno Zero e da allora in carcere . Di recente Catalanotto è stato arrestato dai carabinieri per aver messo su una piccola piantagione di marijuana e da allora viveva con il braccialetto elettronico. Di lui parlò Lorenzo Cimarosadescrivendolo come “uno che lavora nel settore delle slot machine”. Almeno dal 2013 è uno dei collaboratori più fidati di Luppino. In alcune intercettazioni Catalanotto viene indicato come il “picciotto” di Rosario Allegra e secondo l’accusa era lui a portargli somme di denaro che sarebbero finite direttamente nelle casse della latitanza del ricercato Matteo Messina Denaro.
La politica, con i privilegi che rappresenta, è un piatto troppo gustoso e ghiotto da tralasciare. E, naturalmente, diviene la meta ambita da chi ha posto il denaro in cima alla lista delle sue aspettative di vita.
La mafia è ovunque sussistano potere e denaro, pertanto, poiché gioco d'azzardo e politica li rappresentano entrambi, li ha attaccati e conquistati utilizzando personaggi di dubbio spessore morale, e dotati di intelletto inesistente, per poter espandere i suoi lunghi tentacoli.
Cetta

Raptus omicida, uccide moglie a coltellate.

Raptus omicida, uccide moglie a coltellate

Uxoricidio in piena notte a Marghera (Venezia). Alle 3.25 della scorsa notte le forze dell'ordine si sono recate in piazza Mercato, in seguito alla chiamata di un uomo che affermava di aver ucciso la propria moglie in preda ad un raptus. Le parole dell'uomo sarebbero state: "Ho fatto una cavolata". Una volta giunti sul posto, gli agenti si sono trovati davanti una scena agghiacciante. La donna, che era ancora viva, era stata colpita con un vistoso taglio alla gola e da più ferite al torace.


L'uomo, che non era fuggito, aveva atteso l'arrivo dei poliziotti ed è stato subito identificato. Si tratta di un 43enne di Venezia arrestato per omicidio. Al momento sono in corso le indagini degli investigatori della squadra mobile e i rilievi degli specialisti della polizia scientifica, allo scopo di raccogliere ogni utile fonte di prova per risalire alla dinamica e alla causa dei fatti. A quanto pare, secondo le indicazioni fornite dai vicini, quella della scorsa notte sarebbe stata l'ennesima lite in un rapporto fra i due che negli ultimi giorni si era fatto sempre più difficile.


Non bastano le leggi a fermare la mano violenta dell'uomo, che la tradizione ha posto in una posizione di supremazia rispetto alla donna, è necessario, pertanto, rieducarlo al rispetto di colei che, con la gravidanza, durante la quale cresce e sviluppa nel grembo il nuovo essere umano, dimostra di essere l'unica e vera custode della vita sulla terra.

Hocking Hills State Parco in Ohio - Stati Uniti.





mercoledì 20 febbraio 2019

Venezia, per il Mose un conto di oltre 5,5 miliardi. - Iacopo Giliberti




Non funzionerà. Bisognava fare come in Olanda. È tutto un magna magna. Non funziona. Con quello che ci hanno mangiato. Non ha funzionato. Sono tutti corrotti. Servirebbe ben altro. Le locuzioni che avete letto sono una selezione ristretta dei pareri comuni sul Mose, il sistema di barriere mobili per trattenere fuori dalla laguna l’acqua alta che rovina Venezia ed eccita i turisti.
Come un magnete, dal 2003 l’opera attrae i dubbi degli scettici. Giustamente. Dopo 25 anni dai primi abbozzi del progetto, dopo 15 anni dalla posa della prima pietra, dopo avere spento e spanto con generosità babilonese 5 miliardi pubblici, Venezia non ha ancora le dighe mobili e l’altra settimana è finita ancora una volta sott’acqua, 156 centimetri.
Dopo il passato, ecco i fatti di oggi.
Primo. Il Mose non funziona ancora perché potrà funzionare solamente quando sarà finito.
Secondo. Ormai è quasi del tutto completo.
Terzo. Finora è costato la cifra paperonesca di 5,15 miliardi.
Quarto. La stagione delle tangenti e dei satrapi è finita e da 4 anni l’opera è gestita con oculatezza e sobrietà dall’Autorità anticorruzione con la Prefettura di Roma e il Provveditorato alle opere pubbliche.
Quinto. Alla fine dei lavori sarà costato 5,49 miliardi.
Sesto. Le barriere mobili saranno completate a settimane, ma per far funzionare il Mose bisognerà realizzare la parte impiantistica.
Settimo. Potrà essere sperimentato tra un anno con le acque alte dell’autunno 2019.
Ottavo. Si è visto che alcune parti si ammalorano prima del previsto e la manutenzione sarà assai cara, forse un centinaio di milioni l’anno.
L’acqua alta
Venezia sprofonda da quand’è nata perché i terreni sabbiosi con il tempo si compattano e si assestano. Il fenomeno si chiama subsidenza. La subsidenza è diventata velocissima nel Novecento quando il polo industriale di Marghera ha cominciato a estrarre dalle falde acquifere del sottosuolo fiumi di acque produttive. Le foto di un secolo fa mostrano una Venezia orgogliosa e alta sulle acque, oggi è una città seduta al pelo dell’acqua.
Al fenomeno della subsidenza si sono sommati sbancamenti e scavi in laguna e soprattutto si sommerà l’alzarsi del livello dei mari, che sarà reso più drammatico e veloce quando il riscaldamento del clima scioglierà i ghiacci polari.
La laguna di Venezia è un bassofondo di acqua salmastra diviso dal mare da un cordone di isole e unito al mare da tre vastissimi canali naturali, le bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia. Ogni sei ore la marea cresce e ogni sei ore scende. Quando luna e sole sommano il loro effetto astronomico con l’apporto delle piogge e con il vento di scirocco che gonfia l’Adriatico contro la laguna, a Venezia l’acqua sale fino ad allagare piazza San Marco (70 centimetri, il punto più basso della città).
Il 4 novembre 1966 (chi scrive aveva 5 anni e ne ha un ricordo vago in bianco-e-nero) ci fu la più devastante delle “tempeste perfette” in cui si concentrarono tutti gli effetti disastrosi, il livello dell’acqua arrivò a 194 centimetri, con danni incalcolabili.
Il 16 aprile 1973 venne varata la Legge Speciale che dichiarò Venezia «di preminente interesse nazionale».
Dighe invisibili, scandalo visibile
Nel mondo ci sono molti esempi di paratoie che difendono i bassopiani costieri, per esempio in Olanda o alla foce del Tamigi in Inghilterra. Ma invece di grandi opere di ingegneria semplice e ingombrante, per Venezia negli anni ’70 si decise: le barriere contro l’acqua alta dovranno avere due caratteristiche irrinunciabili.
Primo, dovranno essere invisibili, non come quei colossi olandesi che rovinano il paesaggio e ingombrano ettari su ettari.
Secondo, non solamente invisibili ma anche “reversibili”. Cioè se un domani si inventasse una tecnologia oggi sconosciuta, le barriere dovranno poter essere dimenticate come se non fossero mai esistite.
L’unica soluzione per conseguire questi due princìpi irrinunciabili era costruire barriere che quando fossero a riposo sparissero sott’acqua senza dare alcun ingombro. A scomparsa: questo il principio secondo cui dal primo progetto di massima del 1981 sono state progettate le dighe mobili.
Quando l’acqua salirà oltre il livello stabilito (è stato deciso di chiudere le barriere con una marea di 110 centimetri, ma con questa scelta sarà allagata parte di piazza San Marco) le barriere saliranno dal fondo delle tre bocche di porto e divideranno la laguna dall’Adriatico.
Fu creato un potentissimo concessionario unico per lo Stato, il Consorzio Venezia Nuova, formato da imprese, il quale dopo dissipazioni colossali di denaro il 14 maggio 2003, alla presenza del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, avviò la costruzione delle dighe a scomparsa.
Costo iniziale previsto, 3.200 miliardi di lire, ovvero 1,6 miliardi di euro. Di sperpero in sperpero, oggi si sa che l’opera costerà 5,5 miliardi di euro, tre volte e mezzo di più.
Gli euro scorrevano a fiumi con generosità: partiti politici, imprese, funzionari dello Stato, associazioni di ogni colore e tonalità, comprese bocciofile e cori di battellieri, ricevettero segnali di tanta generosità. Il gioco si interruppe con lo scattare di manette. Inchieste, retate, scatoloni di documenti, un’infinità di intercettazioni.
Spento il forno bruciasoldi, bisognava finire il lavoro. Nel 2014 la spesa finale di 1,38 miliardi fu messa sotto la gestione severa dei commissari scelti dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), Giuseppe Fiengo (Avvocatura di Stato) e Francesco Ossola (Politecnico di Torino), i quali controllano con minuzia ogni atto insieme con il provveditore alle opere pubbliche Roberto Linetti, il committente che èroga i finanziamenti (già stanziati fino all’ultimo euro).
Il Mose oggi.
Ai primi di novembre l’acqua alta è tornata. Più che l’altezza superba, stavolta ha colpito la continuità: nelle 6 ore di calo l’acqua non calava e rimaneva alta; per dimensioni la quarta acqua alta della storia di Venezia. Se ci fossero state le paratoie del Mose, la barriera sarebbe rimasta in funzione quasi 22 ore di fila.
Sono state posate 67 delle 78 paratoie mobili, ne vengono aggiunte un paio la settimana. Finora sono stati chiusi lavori per 5,14 miliardi. Lavori importanti, come il mini-Mose che difende il paesino di Malamocco (funziona). Vanno completati lavori per gli ultimi 300 milioni come l’allestimento degli edifici di comando, gli impianti elettrici, i sistemi di monitoraggio, le rapide per acqua e aria che movimentano le paratoie.
A mano a mano che l’opera viene realizzata se ne scoprono i difetti.
Per esempio le cerniere delle dighe mobili, garantite per 50 anni, in realtà hanno già punti di ruggine e se non si farà una manutenzione accurata potranno durare meno di 20 anni. I problemi finora scoperti portano a un sovraccosto di una cinquantina di milioni, l’1% di un’opera da 5 miliardi.
Qui i nomi, le cifre, le mazzette, i favori...

I file segreti di Soros: ecco come il miliardario "filantropo" manovra il mondo. - Lorenzi Giarelli

Rivoluzioni, diritti umani, finanza spregiudicata: la fondazione di George Soros è stata hackerata e migliaia di file segreti sono stati pubblicati svelando gli intrighi del ricchissimo imprenditore americano.


Il paradosso del miliardario di sinistra è noto e ritorna spesso nelle campagne elettorali della destra: chi propone progressismo sociale e uguaglianza economica o non è davvero di sinistra o non è davvero ricco. Una terza via, poco lusinghiera, aumenta l'imbarazzo della scelta: il magnate di turno potrebbe avere qualcosa da nascondere, da intendersi come interessi economici o politici in ballo.

Che i miliardari comandino il mondo non è soltanto roba da complottisti: accade da qualche millennio e nessuno se ne meraviglia. Ma vedersi sbattere nero su bianco le manovre di uno di questi magnati fa un certo effetto. Nelle scorse settimane la fondazione di George Soros, la Open Society, è stata hackerata e sono finiti online migliaia di documenti relativi alle attività gestite o finanziate dal miliardario di origini ungheresi. Si tratta di campagne elettorali, fondazioni umanitarie, associazioni per i diritti, società di ricerca che hanno ricevuto fondi per operare o indirizzare il consenso verso temi cari a George, vicino al Partito Democratico americano.

In questi 2.576 file pdf – consultabili su DCLeaks – è scritto che Soros avrebbe cercato di condizionare i risultati in ognuno degli Stati Europei in cui si è votato nel 2014. L'obiettivo di Soros era quello di contrastare i partiti anti-europeisti e favorire le politiche di integrazione interna ed esterna (relative all'ingresso dei migranti).

Si parla anche del coinvolgimento diretto di Soros nella gestione di rivolte sparse per il mondo, tra cui quella Ucraina, e di una pioggia di quattrini data ad associazioni in favore dell'aborto, dell'eutanasia e dei diritti LGBT. Ma c'è anche il sostegno diretto a candidati politici, come quello a Hillary Clinton - circa 8 milioni di euro - per scongiurare il pericolo Trump. Soros ci aveva già provato nel 2004, quando aveva fatto di tutto per non far vincere George W. Bush, arrivando a donare, secondo il Central for Responsive Politics, la bellezza di 23 milioni di dollari a 527 associazioni legate a John Kerry, allora condidato democratico.


La notizia dei file hackerati è di portata mondiale, eppure molti dei più grandi giornali, soprattutto americani, non ne hanno parlato.

Nell'home page del sito contenente i file hackerati si legge un riassunto ben poco lusinghiero: “Soros è l'architetto o il finanziatore di più o meno ogni rivoluzione o colpo di stato nel mondo negli ultimi 25 anni. Spilla sangue a milioni e milioni di persone solo per diventare più ricco lui”.

D'altra parte Soros è sempre stato un uomo controverso. Nato in Ungheria, di famiglia ebrea, è dovuto fuggire alla persecuzione nazista. Astuto, calcolatore, spregiudicato (soprattutto sulla pelle degli altri). Divenne celebre quando, nel 1992, riuscì a mandare sul lastrico la Banca d'Inghilterra e a far uscire dalla SME (il Sistema Monetario Europeo) sia la sterlina, sla lira italiana: il 16 settembre Soros vendette pacchi di sterline allo scoperto, approfittando del tentennamento della Banca inglese nell'aumentare i tassi di interesse e a far fluttuare il tasso di cambio. Mentre nella finanza di due Paesi regnava il caos, Soros andava a dormire con un miliardo netto di guadagno grazie alla sua speculazione.

Come si concilia, allora, questa spregiudicatezza finanziaria con l'animo da filantropo? Si concilia, dice lui, con il fatto che il lavoro da speculatore, se non lo facesse lui, lo farebbe qualcun altro, e che ciò che conta è cercare di cambiare il sistema. Che ci stia provando o meno non si può dire: intanto Soros si arricchisce, tanto che il suo patrimonio personale si aggira, a quanto pare, sui 25 miliardi di dollari.

Niente male, per un ex allievo di Karl Popper che predica una revisione del sistema. Nota a margine: i Soros Leaks hanno smascherato molti degli interessi del miliardario. Per molti sarà stata soltanto la conferma di ciò che si sospettava da anni, ma in ogni caso la notizia è di rilevanza mondiale, eppure in pochi ne hanno parlato. Baluardi del buon giornalismo come il New York Times o il Washington Post non ne hanno fatto menzione, persino il Guardian ne fa soltanto un rapido accenno in un editoriale. Gli interessi in campo, è evidente, pesano. Mentre Soros continua ad arricchirsi, nessuno si meraviglia più che la politica conti meno della finanza. Se credere ai leader politici non serve più, allora dobbiamo adattarci, e sperare che il miliardario di turno non abbia simpatie troppo diverse dalle nostre.

https://www.linkiesta.it/it/article/2016/09/26/i-file-segreti-di-soros-ecco-come-il-miliardario-filantropo-manovra-il/31887/?fbclid=IwAR3zL4wm8gCIH5BKLRmeauM8M1j6ugRe_qTnF22bTOr7SpGx_l7YeReB4OU

Leggi anche: 
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/17/usa-le-mail-hackerate-a-george-soros-finiscono-online-e-architetto-di-ogni-colpo-di-stato-degli-ultimi-25-anni/2979321/

e anche:
https://www.osservatoriogender.it/attacco-hacker-george-soros-tutti-documenti/

martedì 19 febbraio 2019

Tiziano Renzi e la moglie ai domiciliari. Ex premier: “Abnorme”. Il gip: “Disegno criminoso anche dopo inizio indagini”. - Pierluigi Giordano Cardone

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Per Matteo Renzi “chi ha letto le carte e ha un minimo di conoscenza giuridica sa che privare persone della libertà personale per una cosa come questa è abnorme”. Secondo l’ex premier, insomma, gli arresti domiciliari per i suoi genitori, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture dalla Procura di Firenze, sono un provvedimento esagerato. A leggere l’ordinanza del gip Angela Fantechi la realtà è ben diversa. Le date, in questo caso, sono fondamentali per comprendere la ratio della misuracautelare. La richiesta di arresti da parte dei pm titolari dell’inchiesta è datata 26 ottobre 2018il giorno prima la procura di Cuneo aveva chiesto il rinvio a giudizio per Laura Bovoli(madre dell’ex Rottamatore), accusata di concorso in bancarottafraudolenta per il crac della Direkta srl. Indagando sui conti di quest’ultima società, gli inquirenti piemontesi hanno scoperti alcuni intrecci con aziende legate ai Renzi, tra cui la Delivery Service e, soprattutto, la capofila Eventi 6, su cui i magistrati fiorentini stavano già indagando in altri filoni d’inchiesta. È l’inizio di un’indagine complessa che passa a Firenze per competenza e coinvolge la gestione di altre società, la Europe Service e, sopratutto, la Marmodiv, per cui i pm avevano già chiesto il fallimento il 4 settembre 2018. Scattano le perquisizioni e il 31 gennaio 2019 la Procura del capoluogo toscano ordina un’ultima consulenza tecnica d’ufficio proprio sulla Marmodiv. Quest’ultimo non è un particolare di poco conto: non si tratta di una situazione già chiusa, ma assolutamente in divenire. E che determina la scelta del gip di concedere gli arresti domiciliari a quattro mesi dalla richiesta del pm (istanza presentata il 26 ottobre, firmata il 13 febbraio).

Nell’ordinanza del giudice Fantechi la decisione è spiegata con dovizia di particolari: “Sussiste il concreto ed attuale pericolo che gli indagati commettano reati della stessa specie di quelli per cui si procede (tributari e fallimentari), ciò emerge dalla circostanza che i fatti per cui si procede non sono occasionali e si inseriscono in un unico programma criminoso in corso da molto tempo, realizzato in modo professionale con il coinvolgimento di numerosi soggetti nei cui confronti non e stata avanzata richiesta cautelare e pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini“. Quindi: “Unico programma criminoso in corso da molto tempo”, “pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini”. Il dato cronologico, a leggere il provvedimento del gip, diventa determinante proprio quando si parla della Marmodiv: “Attualmente, è in corso di compimento, da parte di Renzi Tiziano e Bovoli Laura, la fase dell’abbandono della Marmodiv ed è del tutto verosimile ritenere che, ove non si intervenga con l’adozione delle richieste misure cautelari, essi proseguiranno nell’utilizzo di tale modus operandi criminogeno, coinvolgendo altre cooperative, risulta poi pendente la richiesta di fallimento della Marmodiv avanzata dal P.M.”.

Domanda: ma non bastava l’interdizione all’attività imprenditoriale? Per il giudice Fantechi evidentemente no. E lo spiega così: “Sul punto occorre rilevare che avendo gli stessi rivestito ruoli di amministratori di fatto e avendo gli stessi agito tramite ‘uomini di fiducia’ non è possibile ritenere sufficiente una misura quale il divieto di esercitare uffici diretti di persone giuridiche ed imprese, atteso che essa consentirebbe di impedire agli indagati di rivestire solo cariche formali, lasciandoli invece liberi di agire con condotte assai più subdole e pericolose perché di più difficile accertamento“. Provvedimento esagerato, quindi? Sarà il tribunale del Riesame a dirlo. Fatto sta che il giudice per le indagini preliminari non ha avuto dubbi, tanto è vero che non ha neanche concesso la sospensione della pena a causa della “gravità concreta dei reati per cui si procede e la loro esecuzionein un contesto temporale rilevante”. Riferendosi a Tiziano Renzi e Laura Bovoli, poi, il gip Fantechi parla di “condotte volontarie realizzate non per fronteggiare una contingente crisi di impresa, quanto piuttosto di condotte imprenditoriali finalizzate a massimizzare il proprio profitto personale con ricorso a strategie di impresa che non potevano non contemplare il fallimento delle cooperative”. Insomma: Tiziano e Laura andavano fermati subito. Che piaccia o no e a prescindere da quel cognome importate.