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martedì 6 marzo 2018

Elezioni 2018, in Sicilia il cappotto del M5s grazie a ex astenuti ed elettori pentiti del Pd. Tradito dai voltagabbana. - Giuseppe Pipitone

Elezioni 2018, in Sicilia il cappotto del M5s grazie a ex astenuti ed elettori pentiti del Pd. Tradito dai voltagabbana

Sull'isola i pentastellati conquistano tutti i 28 collegi uninominali, gran parte di quelli plurinominali e superano il 48% Rispetto alle regionali di novembre hanno più che raddoppiato di voti grazie all'aumento dell'affluenza e al clamoroso flop dei dem, sotto il 12%. Renzi e Faraone pagano il risultato deludente dei tanti ex del centrodestra arruolati negli ultimi mesi con l'obiettivo di emulare il 61 a 0 di Berlusconi nel 2001. Tiene il centrodestra con Forza Italia al 21 e la Lega che supera il 5%.

“In Sicilia abbiamo la stessa forza del centrodestra alle elezioni del 2001”. Chissà se in queste ore Davide Faraone ricorderà quanto dichiarato in pompa magna nel marzo del 2015, quando accoglieva nel Pd l’ennesima pattuglia di transfughi del centrodestra fulminati sulla via della Leopolda. Una profezia, quella del sottosegretario, che si è rivelata nefasta esattamente due anni dopo. Il viceré di Matteo Renzi sull’isola ottiene il suo seggio al Senato – era capolista nel listino plurinominale – ma sarà ricordato inevitabilmente tra i volti del Pd che ha fatto registrare una delle più clamorose disfatte di sempre. Una sconfitta ancora più netta sull’isola, dove i dem non superano il 12% (a volte si fermano addirittura al 10) e l’intero centrosinistra raggiunge al massimo il 14%: meno di un terzo rispetto al risultato regionale del Movimento 5 stelle.

Il M5s ha guadagnato 100mila voti al mese – A ben vedere, infatti, aveva ragione Faraone: la Sicilia è stata nuovamente teatro di un altro clamoroso cappotto, come quello dei 61 seggi a zero conquistati dal centrodestra alle politiche di 17 anni fa. Questa volta, però, il bottino pieno è appannaggio totale del M5s, capace di conquistare tutti i 28 collegi uninominali: un successo talmente ampio non era stato ipotizzato neanche dai sondaggi più generosi. D’altra parte appena quattro mesi fa i pentastellati avevano perso le regionali pur imponendosi come prima forza all’Assemblea regionale Sicilia. In quattro mesi, però, la geografia del voto in Sicilia è cambiata moltissimo. A cominciare dall’affluenza: a votare per le politiche è andato il 63% dei siciliani, numeri inferiore alla media nazionale ma pur sempre diciassette punti percentuali in più rispetto al turno di novembre. Un dato che ha fatto la fortuna proprio dei 5 stelle capaci di raccogliere un milione e 181 milavoti alla Camera. Significa che a scegliere Luigi Di Maio è stato il 48%, quasi un siciliano su due: numeri che da queste parti non faceva registrare neanche la Dc. Il successo dei pentastellati, poi, diventa ancora più netto se confrontato con le cifre delle regionali, quando i voti raccolti dal M5s erano stati “appena” 513mila: vuol dire che in Sicilia i grillini di Giancarlo Cancelleri sono cresciuti al ritmo di 100mila voti al mese.

Il successo M5s: ex astenuti e pentiti del Pd – Un consenso arrivato soprattutto da elettori che a novembre si erano astenuti o che avevano scelto il centrosinistra. La coalizione di Renzi, infatti, si ferma a 331mila voti, 150mila in meno rispetto ai 488mila conquistati quattro mesi fa. E pensare che per il Pd le elezioni siciliane erano già state un’esperienza infausta: evidentemente non c’è mai fine al peggio. Perde qualcosa, nonostante l’aumento dell’affluenza, anche il centrodestra: la coalizione di Silvio BerlusconiMatteo Salvini e Giorgia Meloni si attesta sul 32% con 766mila voti, circa 50mila in meno rispetto al successo del 5 novembre. Se alle regionali il governatore Nello Musumeci aveva potuto contare sull’apporto di alcuni dei cosiddetti ras acchiappapreferenze, così non è stato a questo giro. Il risultato è appunto la schiacciante vittoria del M5s nei collegi uninominali dove i candidati poco noti dei pentastellati hanno sconfitto nettamente politici di lungo corso. A Palermo, per esempio, Aldo Penna batte a sorpresa il berlusconiano Francesco Cascio, ex presidente dell’Ars, mentre Roberta Alaimo supera Antonello Antinoro, noto come Mister Preferenza. A Monreale Giuseppe Chiazzese stacca di quasi dieci punti l’ex ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano. A Barcellona Pozzo di Gotto Alessio Villarosa vince lo scontro diretto con Maria Tindara Gullo, deputata uscente e diretta emanazione di Francantonio Genovese. A Messina Francesco D’Uva ha la meglio su Matilde Siracusano, vicina all’ex ministro Antonio Martino. A Paternò Eugenio Saitta col 51% lascia a casa Giuseppe Lombardo, nipote dell’ex governatore Raffaele.
Il cappotto del M5s – E se i 5 stelle riescono a vincere gli scontri diretti nei collegi dove il centrodestra aveva piazzato i suoi candidati più forti, in tutti gli altri – dove gli avversari non schieravano nomi da prima fila – dilagano. All’uninominale per la Camera di Mazara Vita Martingiglio prende il 53%, a Ragusa l’uscente Marialucia Lorefice supera il 52, come Simona Suriano a Misterbianco e Maria Marzana ad Avola. Quali sono i collegi più grillini di Sicilia e quindi d’Italia? Quello di Agrigento, dove alla Camera Michele Sodano prende il 50% mentre al Senato Gaspare Marinello supera il 52, e quello di Siracusa dove Paolo Ficara conquista un posto a Montecitorio col 57% e Giuseppe Pisano vola a Palazzo Madama col 53%. Entra alla Camera col 51% nel collegio uninominale di Marsala anche Piera Aiello, la testimone di giustizia cognata di Rita Atria, morta suicida nel 1992 dopo aver deciso di collaborare con la magistratura. “Ventisette anni fa ho detto basta alla mafia, ora a questo sistema dei partiti, un sistema vecchio e superato, fatto da gente inchiodata da 50 anni alle poltrone che ha sempre considerato la Sicilia un bacino di voti, in cui fare alla vigilia del voto promesse poi dimenticate”, dice Aiello che da anni vive in una località segreta con una falsa identità e ha condotto la campagna elettorale proteggendo il suo volto dagli scatti di fotografi e dalle telecamere delle tv. Con l’elezione tornerà a utilizzare il suo vero nome e a mostrare il suo volto pubblicamente.

La destra si salva con il proporzionale – Oltre al cappotto negli uninominali i pentastellati si impongono anche nelle liste proporzionali. I conti sono in corso ma dei 16 seggi al Senato la metà è appannaggio del Movimento di Di Maio. Che quindi eleggerebbe tutti i candidati per Palazzo Madama: i quattro del collegio Sicilia 1 e i quattro del collegio Sicilia 2. Gli altri 8 seggi saranno divisi tra  Forza Italia –  ne prende 3 con Renato Schifani, Gabriella Giammanco e Urania Papatheu – il Pd – due poltrone per Faraone e Valeria Sudano – e uno a testa per Fratelli d’Italia (Raffaele Stancanelli), Lega (Giulia Bongiorno) eLiberi e Uguali, che sfiora il 3% ed elegge Pietro Grasso. Stesso discorso per i listini della Camera: dei 33 posti, 17 spettano al Movimento 5 stelle che ha rischia di avere più seggi che persone in lista. Alcuni degli eletti al proporzionale, infatti, hanno anche vinto il collegio uninominale. Il Pd porta alla Camera solo quattro deputati che sono Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Totò, il segretario regionale Fausto Raciti, quello di Palermo Carmelo Miceli e il rettore di Messina Pietro Navarra, tutti piazzati dietro la Boschi. Due seggi a Leu, (Erasmo Palazzotto e Guglielmo Epifani), e undici per il centrodestra, che porta a Montecitorio tra gli altri Antonino Minardo, condannato a 8 mesi per abuso d’ufficio, il prescritto Franscesco Scoma e l’ex ministra Stefania Prestigiacomo. Da segnalare oltre all’incredibile 20% di Forza Italia (il risultato più alto d’Italia) soprattutto il 5 della Lega, che a Caltanissetta arriva al 7 e addirittura a Taormina supera il 23. È la città che ha ospitato il G7 e uno dei collegi dove Renzi aveva paracadutato Maria Elena Boschi: qualcosa vorrà dire.
Il Pd tradito dagli acchiappavoti venuti da destra –Insomma i numeri siciliani sono stati ancora una volta importanti in chiave nazionale. Sia per il successo del M5s che per la disfatta del Pd. E infatti è proprio dalla Sicilia che – come già annunciato in campagna elettorale – parte la ribellione contro Renzi. “In Sicilia più che altrove il Pd è apparso un autobus, in alcuni collegi c’erano candidati che non avevano nulla a che fare con la nostra storia. L’errore politico più grande è stato fare perdere identità al Pd, impurre una mutazione genetica al partito”, dice Antonello Cracolici, consigliere regionale e l’unico a votare “no” in direzione alle liste per le politiche. “Renzi ha avuto quello che merita, causando, in prima persona, una sconfitta che non riuscivano ad immaginare, poiché completamente distanti dalla società. Renzi voleva i voti a favore di un partito di sinistra, attraverso politiche di destra, candidando uomini di destra, impresentabili e cortigiani”, attacca l’ex governatore Rosario Crocetta. 
E in effetti a tradire il segretario e i suoi sono stati proprio quei volti ingaggiati dal fido Faraone con l’obiettivo di allargare il partito. Così non è stato: anzi i presunti acchiappavoti provenienti da destra alla fine hanno fatto perdere sostegno ai dem. Basti pensare che l’ex Udc Luca Sammartino, capace da solo di raccogliere ben 32mila preferenze personali alle regionali, nel collegio uninominale di Misterbianco si è fermato al 12% pari a 16mila voti: la metà di quanto aveva preso quattro mesi fa. La stessa percentuale raggiunta da Nicola D’Agostino, ex capogruppo del Movimento per l’Autonomia candidato ad Acireale, da Paolo Ruggirello, ex luogotenente di Raffaele Lombardo in corsa a Marsala e da Valeria Sudano a Catania, nipote di un potente ex senatore Dc e considerata da Totò Cuffaro come una sua amica. Erano questi i nomi che dovevano portare il Pd ai risultati del centrodestra nel 2001. E in effetti al 2001 il Pd c’è tornato davvero.

venerdì 2 marzo 2018

Elezioni – La guida per un voto consapevole: 146 tra indagati, condannati, prescritti (vince il centrodestra). 39 voltagabbana (vince il centrosinistra). Eccoli divisi per nome e per regione. - Diego Pretini e Thomas Mackinson

Elezioni – La guida per un voto consapevole: 146 tra indagati, condannati, prescritti (vince il centrodestra). 39 voltagabbana (vince il centrosinistra). Eccoli divisi per nome e per regione

Ilfatto.it ha analizzato i circa 5mila nomi dei candidati di centrosinistra, centrodestra, M5s e Liberi e Uguali. Una lista che tutti gli elettori - regione per regione, collegio per collegio - possono consultare per capire se la loro scelta è quella giusta. Tre requisiti: candidati sotto inchiesta, a processo o prescritti; quelli con una particolare predisposizione al cambio di casacca; e quelli che si sono fatti segnalare: dagli espulsi M5s per i rimborsi ai politici finiti nelle dichiarazioni dei pentiti. Non una lista di proscrizione, dunque, ma una mappa per sapere come muoversi.


Un sistema elettorale come il Rosatellum in cui si sceglie un candidato o un partito e si finisce per favorire qualcuno o qualcosa che non si immagina neanche, deve spingere l’elettore ad imbracciare l’unica arma: un voto consapevole. Così ilfattoquotidiano.it ha analizzato le storie e le biografie di tutti i candidati sia nei collegi uninominali sia nei listini bloccati del proporzionale. Ne sono venuti fuori 273 che, per motivi diversi, possono spingere gli elettori a una riflessione sul voto. La scelta, ovviamente, è libera, ma è bene essere informati.
I requisiti che hanno guidato questa ricerca sono tre. Il primo: gli “impresentabili” classici, cioè chi è indagato, imputato, condannato o prescritto per vicende giudiziarie di varia natura. Si va dai reati comuni fino a quelli contro la pubblica amministrazione, passando anche attraverso quelli di natura politica (ad esempio un radicale condannato per aver coltivato cannabis, che immaginiamo verrà valutato in modo diverso dagli elettori).
Il secondo: i voltagabbana conclamati, cioè coloro che hanno cambiato più volte partito o schieramento oppure l’hanno cambiato proprio negli ultimi mesi prima delle elezioni.
Il terzo criterio, che abbiamo chiamato “Hanno detto, hanno fatto“, raccoglie tutto ciò che l’elettore deve conoscere di “particolare” sul candidato: qui dentro, per esempio, ci sono dichiarazioni xenofobe, passioni per ideologie fascistedebitori, episodi particolari nelle esperienze amministrative di chi si presenta per fare il parlamentare, i “furbetti” del rimborso dei Cinquestelle, gli esponenti politici finiti in intercettazioni o deposizioni di pentiti o appartenenti alle associazioni mafiose.
La lista non vuole essere “di proscrizione”, ma uno strumento in più in mano all’elettore per capire se ciò che vota è davvero quello che vuole. “Il cambiamento – disse una volta Paolo Borsellino – si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello”. Dall’altra parte, aggiungeva il giudice ucciso da Cosa Nostra, dev’essere la politica a fare la selezione. “La magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire: be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. 

Però i consigli comunaliregionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto”. Questo, insomma, lo spirito con cui abbiamo fatto questo lavoro.
Il totale di 273 si basa su una ricerca effettuata su circa 5mila nomi, i candidati che cercano di essere eletti attraverso il sostegno di 10 partiti: Forza Italia, LegaFratelli d’Italia e Noi con l’ItaliaPdPiùEuropaInsiemeCivica PopolareM5sLiberi e Uguali. Da questo lavoro ilfattoquotidiano.it ha escluso tutti i candidati di CasaPound e di Italia agli Italiani (la lista che riunisce Forza Nuova e Fiamma Tricolore) che per i continui richiami al fascismo avrebbero finito per ingolfare i nostri elenchi. La ricerca ha coinvolto anche Potere al Popolo, ma tra le file della lista di sinistra sono emerse solo due condanne (una più grave a Livorno e una meno a Torino) per incidenti durante delle manifestazioni di piazza.
I numeri dicono che nella prima categoria (gli “impresentabili” giudiziari) vanno in 146. Il primato ce l’ha il centrodestra con 36 candidati all’uninominale più altri 59 nei listini proporzionali, divisi in 25di Forza Italia7 della Lega9 dei Fratelli d’Italia e 18 di Noi con l’Italia (il partito che in proporzione alla propria dimensione è certamente al top in questa categoria). Il centrosinistra arriva a un totale di 19 candidati indagati, imputati, condannati o prescritti nei collegi uninominali più 25 nei listini proporzionali, distribuiti tra Pd (15), PiùEuropa (4), Insieme (2) e Civica Popolare (4). Restano infine due grillini e 5 candidati di Liberi e Uguali.
Tra i voltagabbana (che sono in tutto 39) vince invece il centrosinistra anche per via della mareggiata di alfaniani dentro Civica Popolare17 candidati all’uninominale un tempo erano dall’altra parte. Nella categoria “Segni particolari“, per finire, si segnalano i Cinquestelle: il grosso lo fanno i candidati già espulsi (quelli dei rimborsi, ma anche l’indagato Caiata), ma poi ci sono alcune figure che hanno fatto parlare di sé per opinioni in libertà, magari sui migranti, sui vaccini o sulla chemioterapia. Tra le Regioni la spinta principale viene dalla statistica: dove ci sono più candidati, ci sono più casi da segnalare. Quindi in testa c’è la Sicilia e a seguire vengono PugliaCampaniaLombardia. Tra le Regioni più piccole una menzione la meritano Marche e Basilicata.
Il lavoro è stato curato da Diego Pretini e Thomas Mackinson con le collaborazioni e i contributi fondamentali di Vincenzo BisbigliaMartina CastiglianiEmanuele Di LoretoAndrea GiambartolomeiVincenzo IurilloErsilio Mattioni, Monia MelisLucio MusolinoGiuseppe PipitoneFerruccio SansaAndrea TundoGiulia Zaccariello.
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lunedì 10 dicembre 2012

Elezioni, Berlusconi a Monti: “Il tempo dei tecnici è finito”. Aut aut alla Lega.


Elezioni, Berlusconi a Monti: “Il tempo dei tecnici è finito”. Aut aut alla Lega


Il Cavaliere sfida il Professore: "Il mio governo migliore del suo". Dopo il vertice nella residenza milanese il Pdl sembra intenzionato a dare la Lombardia al Carroccio in cambio dell'appoggio a livello nazionale. Intanto si pensa a volti nuovi per le liste elettorali e alla strategia anti Grillo.

“Il tempo dei tecnici è finito, noi durante il nostro governo siamo stati migliori di questo”. E ancora, nessuna sorpresa per l’annuncio di dimissioni dato dal permier Mario Monti dopo lo sfilamento del Pdl dalla maggioranza: “Sorpreso? No, pensavamo che fosse doveroso un comportamento siffatto”. Silvio Berlusconi si tuffa in piena campagna elettorale parlando con i giornalisti fuori da una pizzeria di Milano (ironia della sorte, in via Vincenzo Monti), dove ha cenato dopo il vertice del Pdl sulle regionali lombarde nella villa di via Rovani. L’attacco al professore e al suo esecutivo è netto e fa capire i toni che Berlusconi utilizzerà nei prossimi mesi.
“Noi abbiamo tenuto fede agli impegni. Cambia poco perché abbiamo l’anticipo di un voto di un mese, un mese e mezzo”, ha continuato il Cavaliere, assicurando che il breve lasso di tempo che separa il paese dal voto è più che sufficiente per battere il Pd di Bersani: “Penso di sì, sono più giovane politicamente di Bersani, Casini” e di altri politici del centrosinistra “e sono assistito dal migliore giovane che c’è in campo, Angelino Alfano“.
Non manca l’apertura allo sfidante del leader del Pd alle primarie – “Se Renzi volesse venire con noi, sappia che ai liberali tengo sempre la porta aperta” – ma soprattutto è chiara l’impronta anti-europeista che Berlusconi intende imprimere alla competizione elettorale: “Non si può continuare con queste politiche germano-centriche in ossequio all’Europa“. In conclusione, i leader del Pdl ha affermato di confidare “nel buon senso degli italiani – cui cercherò di spiegare andando nel prossimo mese in tv che il voto frammentato rende il Paese ingovernabile“.
Il ritorno al passato si completa con la riedizione dell’alleanza con il Carroccio: “Mai venuta meno l’alleanza con la Lega. Un ragionamento che l’ex presidente del Consiglio ha fatto anche con il vertice lombardo del partito riunito per oltre quattro ore in via Rovani, storica residenza milanese del Cavaliere. Un incontro definito “molto costruttivo” dall’ex capo del governo che tra i vari argomenti ha discusso appunto con i suoi dirigenti del futuro della Lombardia e dell’ipotesi di un accordo con la Lega.
Elezioni in Lombardia. L’idea che il Pdl appoggi la candidatura di Roberto Maroni va bene al Cavaliere che però, come contropartita, chiede un impegno del Carroccio a siglare un’intesa a livello nazionale. “Prima di parlare di candidato in Lombardia, bisogna parlare di contesto nazionale. Anche noi abbiamo i nostri candidati”. E per questo “per noi è prioritario che la Lega esprima la sua posizione in un quadro nazionale” fa sapere, a termine della riunione, il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani. Per la poltrona del Pirellone l’ipotesi è infatti quella di un ticket di due ex ministri: il segretario della Lega Nord Roberto Maroni e di Mariastella Gelmini. Quello che è certo è il duo Maroni-Gelmini non piace al presidente uscente della Lombardia, Roberto Formigoni, che prima di entrare spiegava: “Preferisco Coppi-Bartali”. Perché per il Celeste il candidato giusto era Gabriele Albertini (che oggi in una intervista ha fatto sapere che non rinnoverà la tessera del Pdl, ndr). Il governatore ha sempre dichiarato la sua preferenza per la candidatura alla presidenza della Lombardia dell’ex sindaco di Milano, ma oggi questa candidatura potrebbe essere tramontata. Certo è che “si sono prese decisioni importanti” .
Per B. Monti avrebbe solo il 13% delle preferenze. Lega a parte, l’ex capo del governo attende che il premier faccia la sua mossa e dica apertamente se intende candidarsi o meno. E pensare – è il ragionamento – che sono stato il primo ad indicare Monti come la persona giusta per metter insieme tutti i moderati mettendo bene in chiaro al Professore che avrebbe potuto godere del mio appoggio. Ora – prosegue ancora l’ex capo con i suoi uomini più fidati – Monti decide di schierarsi e siglare un accordo solo con una parte politica. Il Cavaliere sa bene che il rapporto con il Professore è ormai irrecuperabile. Berlusconi ne avrebbe parlato anche con Gianni Letta che oggi lo ha informato di un colloquio avuto con il Capo dello Stato a margine del concerto di Natale al Quirinale. Il presidente della Repubblica avrebbe espresso le sue valutazioni sulla decisione assunta dal Cavaliere di sfiduciare il governo accelerando la fine di una legislatura ormai arrivata agli sgoccioli. In attesa di capire le mosse di Monti, il Cavaliere è convinto che il premier ancora in carica non riscuota successo in quella fetta di elettori a cui guarda il leader del Pdl. Parole che sarebbero supportate da una serie di sondaggi (quelli nuovi arriveranno domani mattina) secondo cui il premier non avrebbe un gradimento significativo, si parla di un 13% massimo. Sondaggi a parte però il capo del governo si prepara alla controffensiva. L’accelerazione sulle legge di stabilità e lo scioglimento della legislatura prima di Natale rafforza l’idea che si vada a votare a febbraio. L’obiettivo del partito è quello di provare a fare il più possibile ostruzionismo in Parlamento per allungare i tempi sperando che si voti il 24-25 febbraio. Il poco tempo a disposizione impone al Cavaliere anche una revisione su come impostare la campagna elettorale che ruoterà intorno al tema delle tasse e al rischio di un aumento nel caso al governo vada il centro sinistra. 
La strategia anti Grillo. L’ex capo del governo ha intenzione di alzare il livello dei toni ed anche l’allarmismo cercando di attrarre quegli elettori pronti a sostenere Grillo, che ancora oggi dal suo blog ha lanciato strali contro Monti e tutti gli altri. L’obiettivo – spiegano i pidiellini – è arrivare prima del Movimento 5 Stelle. Ecco perché l’intenzione è arrivare ad un’intesa con la Lega. Certo, l’idea di ‘consegnare’ al Carroccio anche la Lombardia non piace allo stato maggiore del partito, poco convinto che un’intesa nazionale con i leghisti consenta al Pdl di poter mandare in tilt il Senato. Già perché potrebbe essere quella la strategia da seguire visto il ‘peso’ in termini di elezione di senatori che ha la Lombardia. I sondaggi in questo momento danno il partito del Cavaliere in caduta libera in tutte le Regioni per cui risalire la china è complicato.
Volti nuovi per le liste elettorali. Occhi puntati poi sulla composizione delle liste elettorali. Raccontano che l’ex capo del governo sia intenzionato a fare ‘piazza pulita’ rinnovando con una serie di volti nuovi. Tra cui non ci sarà quello di Flavio Briatore che su Twitter ha ribadito che non si candiderà e che voterà turandosi il naso. L’idea di dare vita ad un partito che assomigli nei fatti ad un nuova Forza Italia potrebbe portare una parte degli ex An a lasciare il Pdl. Nel vertice Ignazio La Russa, a quanto raccontano i presenti, avrebbe esposto l’idea a Berlusconi che non si sarebbe detto contrario: “Ditemi quello che volete fare – avrebbe replicato il Cavaliere – se pensate che divisi si possa recuperare consenso io non metto ostacoli”.

domenica 9 dicembre 2012

Lo spread non si mangia.

il_ritorno_di_Berlusconi.jpg
L'inguardabile!

Ancora tu? Ma non dovevamo rivederci più? 
La riesumazione di Berlusconi e le elezioni anticipate sono alle porte. Non sembra che gli italiani siano sconvolti o sorpresi, molti al grido di "arridatece il puzzone" vogliono liberarsi il prima possibile di Monti rimettendo allo psiconano ogni peccato. 
Rigor Montis ci ha messo del suo, insieme a una stampa montiana compiacente fino al leccaculismo più esasperato. 
L'agenda Monti, sottoscritta con voluttà dal pdmenoelle, prevedeva un solo punto: lo spread, ma lo spread non si mangia e soprattutto non dipende da Monti, ma dalle agenzie di rating internazionali. Lo spread che è salito alle stelle in estate (colpa dei mercati?) e sotto i 300 punti a dicembre (merito di Monti?) è una variabile indipendente dal governo. E' un guinzaglio per tenere sotto controllo la politica italiana, una corda che si stringe a piacere in mano alla finanza internazionale. Non si vive di solo spread, e di spread, con la politica di Rigor Montis, si può solo morire.
Con il trio Monti, Passera, Fornero è scoppiata la disoccupazione, decine di migliaia di aziende hanno chiuso i battenti, la piccola distribuzione è alla canna del gas, il debito pubblico è aumentato come ai tempi di Tremorti, circa 100 miliardi all'anno. Macelleria sociale nella sanità e nella scuola, diminuzione dei diritti dei lavoratori, milioni di nuovi poveri e nessun taglio alle decine di miliardi di costi inutili, dai cacciabombardieri, alla Tav, alle pensioni d'oro. Nessun recupero della Grande Evasione, come per i 98 miliardi del gioco d'azzardo o il recupero almeno parziale sui 100 miliardi dello Scudo Fiscale tassati al 5%. Nessun esempio dall'alto mentre si colpevolizzavano gli agriturismi e i tassisti. L'unico successo del Governo è aver ricomprato i nostri marci titoli di Stato dalle banche tedesche e francesi e aver finanziato banche sull'orlo del fallimento come MPS. L'italiano è letteralmente terrorizzato da altri cinque anni di montismo, le aziende se possono scappano all'estero. Molti proprietari semplicemente le chiudono e portano i loro capitali altrove. Lo psiconano lo sa e lo sanno meglio di lui i suoi sondaggisti. Monti, i suoi aedi, la distruzione di una nazione in nome dello spread, non li sopporta più nessuno. Non si vive di solo spread. L'Italia è una pentola a pressione sul punto di esplodere. Ci vediamo in Parlamento. Sarà un piacere.


http://www.beppegrillo.it/2012/12/lo_spread_non_si_mangia.html#commenti