domenica 13 giugno 2021

Mario è Grande e traccia il solco: per la stampa è sempre capolavoro. - Tommaso Rodano

 

Ripresa, Covid, Nato… - Comunque ci pensa lui. il summit inglese raccontato in modo poco british.

A leggere le cronache della stampa italiana, sempre attenta e generosa con l’immenso Super Mario, doveva essere un vertice bilaterale che per poco non riscriveva i confini degli equilibri geopolitici nell’area Nato. L’incontro col presidente americano Joe Biden era stato anticipato e infiocchettato con grandi titoloni gonfi d’enfasi e ammirazione: “Draghi fa asse con Biden”, “Draghi apre il vertice dei Grandi”, “Draghi indica la strada”, “Draghi con l’Occidente”. Insomma Mario mostra la via dell’uscita dalla crisi al resto del pianeta; e poi Mario e Joe s’intendono alla grande, Mario e Joe sfidano Pechino, Mario e Joe giocano a canasta e bevono amaro del capo mentre decidono le sorti del mondo.

La cronaca del giorno dopo ovviamente è molto più modesta e meno affascinante: i giornali – è noto – invecchiano male e in fretta. Ma almeno stavolta i generosi titoli di 24 ore prima regalano grandi sorrisi.

Repubblica, pagina 8: “‘Avanti sulla crescita’. Draghi guida il G7 sul rilancio post Covid”. Densissimo il retroscena degli inviati di Molinari, che con voluminose pennellate di giornalismo raccontano l’investitura di Super Mario da parte del “padrone di casa” Boris Johnson: “Mario, qualche anno fa ti ascoltai in un seminario. Con una frase hai salvato l’euro. Ora dacci la tua prospettiva”. Il lettore, per magia, inizia a salivare come il cane di Pavlov: si apre un orizzonte di benessere e floridità. S’intravede la medicina di Draghi per l’Occidente ferito. Per fortuna “l’ex banchiere non si risparmia. E illustra la sua ricetta per dimenticare la crisi”. Sempre Repubblica nella stessa pagina anticipa le magnifiche sorti del vertice Draghi-Biden, con un menu ricco e ambizioso: “L’incontro bilaterale di oggi (ieri, ndr) tra il premier e il presidente americano. Nell’agenda di Italia e Usa un’alleanza su Libia e Nato”. Il Corriere della Sera è sulla stessa falsariga. Pagina 10, grande foto dei big mondiali, titolo enfatico: “Draghi apre il vertice dei Grandi: ‘Investimenti e coesione sociale’”. Lo spin è lo stesso pubblicato dai cronisti di Repubblica, Johnson, uno dei Grandi, ferma il premier italiano e gli chiede “la prospettiva”. E pure qui c’è un ulteriore succoso retroscena su Boris che scherza affettuosamente con Mario, paragonando le scogliere della Cornovaglia alla Costiera amalfitana (insomma…).

È un trionfo a giornali unificati. La Stampa: “Draghi indica la strada al G7, più investimenti meno sussidi”. Sempre grande è la sintonia con Biden: “Futuro della Nato, Libia e dazi nell’incontro tra Joe e Mario”. Menu ricco, perché l’Italia sogna la segreteria dell’alleanza atlantica e nello staff draghiano “nessuno se la sente di escludere che tra le tante cose che Biden e Draghi hanno da dirsi ci sarà anche la futura guida della Nato”. Da sinistra a destra, l’encomio è collettivo. Anche Il Giornale si spella le mani sulla sintonia tra Mario e Joe: “Draghi fa asse con Biden su Libia e stop ai dazi. E punta a guidare la Nato”. “Il premier, non è certo una novita, ha infatti un rapporto molto stretto con il nuovo inquilino della Casa Bianca”. Forse non quanto Matteo Renzi, ma quasi.

Poi c’è il filone del terrore cinese: mentre Mario faceva il filo a Biden, gli stolti Cinque Stelle rovinavano tutto con l’occhiolino alla Cina. Il Foglio e Libero hanno praticamente lo stesso titolo. Il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, più ermetico: “Draghi con Biden, M5s con Xi”. Libero lo traduce in italiano e ci mette entusiasmo: “Draghi con l’Occidente, Grillo dai cinesi”. Super Mario difende i valori occidentali, mentre i grillini giocano col Dragone cattivo. È irresponsabilità, mica diplomazia: “Può il capo del primo partito della maggioranza (Giuseppe Conte, ndr) andare in pellegrinaggio politico dall’ambasciatore cinese mentre il presidente del consiglio s’incontra con Joe Biden?”. Conte alla fine non è andato, forse proprio per timore di Sallusti.

ILFQ

Pd: la federazione-fuffa per rompere col M5S. - Wanda Marra

 

Si scrive “Federazione di centrosinistra”, si legge “No all’alleanza privilegiata con i Cinque Stelle”. Il dibattito dentro il nuovo Pd di Enrico Letta (o piuttosto presunto tale) in questi ultimi giorni si è concentrato sulla formula, vagamente creata a tavolino. Tra le difficoltà della nuova segreteria e la tattica scelta dalle correnti (ovvero, logorare, non affrontare), non si attacca frontalmente la linea del Nazareno, ma si lavora a indebolirla. Anche perché, poi, la linea non è diritta: l’alleanza privilegiata con il Movimento guidato da Giuseppe Conte finora si è scontrata con le difficoltà sia del M5S che del suo appena ufficializzato leader. E le Amministrative raccontano di accordi che si fanno e si disfano in 24 ore. Ma in tutto questo ieri il Pd in un sondaggio Ipsos risulta il primo partito. Una posizione che da un certo punto di vista consentirebbe di trattare tutti i compagni di strada da una posizione di forza.

Dunque, la “federazione”. Che significa unire le forze da Renzi e Calenda a Bersani. A lanciarla sono stati il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, ma soprattutto il senatore Luigi Zanda. Uno di quelli che quando parla fa raddrizzare le antenne: fu il primo a esprimersi chiaramente contro la linea “Conte o voto” allora strenuamente raccontata dalla segreteria dem targata Nicola Zingaretti. Quindi, sa tanto di slavina. La ridotta, poi, sta tutta in Senato. Andrea Marcucci a Letta gliel’ha giurata e non perde occasione per dirlo. Ma non è il solo. A Palazzo Madama è andata in scena giovedì una riunione del gruppo in cui a scagliarsi contro il segretario sono stati Gianni PittellaSalvatore MargiottaStefano Collina. “Il nostro destino è il matrimonio con Conte o la maggioranza Ursula?”, ha chiesto Pittella, con un tono molto polemico.

Dopodiché è tutta Base Riformista, la corrente di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, che inizia a contestare la strategia di Letta. Mercoledì sera c’è stata una riunione dei parlamentari nella quale è stato presentato un documento per ribadire la “vocazione maggioritaria” dei dem, intesa come approccio verso il centro e verso i Cinque stelle: il “contributo” ha l’obiettivo di riequilibrare, e al tempo stesso di proporsi come alternativa alla linea gauchiste di Enrico Letta. “Noi freniamo? No, non c’è alcuna contrarietà ma prudenza. I 5Stelle sono in evoluzione, vediamo dove arrivano”, per sintetizzarla con il coordinatore, Alessandro Alfieri. Nella riunione ha fatto capolino Graziano Delrio insieme a Debora Serracchiani (in teoria franceschiniana). Lui nega sia di essere entrato dentro Br, sia di essere contro l’alleanza con M5S. Di certo, però, i rapporti con Letta non sono dei migliori, dopo la sostituzione alla guida del gruppo dem alla Camera.

Va detto che quattro mesi dopo la fine del governo giallorosa, coloro che fecero da sponda nel Pd a Renzi per defenestrare Conte sono gli stessi che oggi iniziano a venire allo scoperto contro Letta. Ma non è questo l’unico tema.

A tre mesi dal ritorno da Parigi dell’ex premier, si è assistito a un proliferare di correnti.

L’ultima in ordine di tempo è “Prossima”, e praticamente riunisce gli zingarettiani senza Zingaretti: Nicola Oddati, ex responsabile Enti Locali, l’ex responsabile comunicazione Marco Furfaro, l’ex responsabile lavoro Marco MiccoliStefano Vaccari (ancora responsabile dell’organizzazione). Poi ci sono le “Agorà” di Goffredo Bettini e “Rigenerazione democratica” di Paola De Micheli. Anche qui, il gioco delle correnti si incrocia con quello delle alleanze. Gli zingarettiani, per dire, sono per un’alleanza con i Cinque Stelle, ma senza sudditanza. Lo stesso Bettini – il fautore dell’amalgama giallorosa – si va raffreddando, come si evince dall’uscita sulla giustizia della settimana scorsa, in cui più che a Conte si riferiva a Matteo Salvini. Perché il rocchetto si è ampiamente complicato.

Letta e Francesco Boccia hanno cercato in tutti i modi di chiudere accordi su candidati di coalizione con il Movimento, ma si sono trovati di fronte spesso e volentieri le resistenze dei grillini e le difficoltà dello stesso Conte a interpretare la sua leadership. O almeno così se la raccontano al Nazareno. A Roma, dopo aver cercato di chiudere su Nicola Zingaretti, hanno dovuto virare su Roberto Gualtieri, visto che il primo non aveva ottenuto la garanzia che i Cinque Stelle non avrebbero fatto cadere la sua giunta alla Regione Lazio. A Napoli, dopo aver puntato su Roberto Fico, hanno ripiegato su Gaetano Manfredi. A Torino, anche se in silenzio, sperano nella vittoria del civico Enzo Lavolta, con conseguente accordo con il M5S. Speranze, entrambe, piuttosto peregrine.

E poi c’è il caso Calabria: con il candidato dem, Nicola Irto che si è ritirato una volta, è tornato in corsa, è stato poi di nuovo indotto a ritirarsi in nome dell’accordo con il Movimento. Un pasticcio tutto ancora da risolvere e che la dice lunga sulle difficoltà dell’alleanza. Anche qui, l’alfiere dell’accordo con il Movimento è stato Peppe Provenzano. A proposito di sfumature.

Nel frattempo, Letta conduce la sua battaglia piuttosto complessa. Ha scelto i temi di sinistra, come identitari, dal ddl Zan allo Ius soli. Criticatissimo. Nella partita dei licenziamenti, si è visto scavalcare dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che poi però ha dovuto cambiare posizione e dare spiegazioni più volte. Per inciso, mentre Letta lanciava la dote sui 18enni da finanziare con la tassa di successione, Orlando era al tavolo per la conferenza stampa con Mario Draghi e non ne sapeva niente. In generale, i rapporti del segretario del Pd con il premier sono più difficili di quanto ci si potesse aspettare. Ma questa è un’altra storia. Nel capitolo “relazioni difficili con M5s” va aggiunta la storia della candidatura alle suppletive. Per Letta è pronto il seggio di Siena, ma lui tentenna. Tra i motivi, il fatto che Conte non vuole candidarsi a sua volta a Pietralata, a Roma. E questo, non aiuta l’immagine. In mezzo a questo mare di incertezze, però, ieri al Nazareno si consolavano con il sondaggio Ipsos, che dava il Pd al 20,8%.

IlFQ

Pronto Amerega me senti? - Marco Travaglio

 

Uno dei fenomeni più comici del momento è il ritorno di Nando Mericoni. Solo che al posto di Sordi ci sono gli atlantisti fuori tempo massimo de noantri (“Pronto Amerega me senti?”), tutti eccitati perché Draghi incontra Biden al G7, anzi gli dà la linea nella sua nuova veste di Capo del Mondo. Repubblica: “Draghi guida il G7” (anzi, G1+6). Stampa: “Draghi indica la strada al G7” (“Maestro, ìndicaci la retta via!”, Brian di Nazareth), “Merkel si allinea alle posizioni italiane” (buona questa). Messaggero: “L’asse tra Draghi e Biden: ‘Meno sussidi, ora investire’” (infatti Biden ha appena stanziato 1.900 miliardi di sussidi e Draghi 40, più i 32 ereditati da Conte). Altri invece sono affranti perché, mentre Super Mario assume le redini del pianeta, in attesa di impadronirsi della galassia, Grillo vede l’ambasciatore cinese. Ora, basta leggere i dati dell’economia per capire che l’Italia può fare a meno più degli Usa che della Cina: le esportazioni da Roma a Pechino sono balzate in sei mesi del 75% e gli scambi commerciali del 50. Gli Usa hanno tutto da perdere dalla Cina. Noi tutto da guadagnare. La guerra fredda è finita da un pezzo, la “guerra al terrorismo” modello Usa ha moltiplicato il terrorismo e sterminato centinaia di migliaia di innocenti in Afghanistan e in Iraq, oltre ad aver causato la nascita dello Stato Islamico e gli attacchi dell’Isis in tutto il mondo, trascinando alleati e camerieri (fra cui l’Italia berlusconiana e ulivista) in una debacle senza fine, culminata nell’ingloriosa ritirata dall’Afghanistan più che mai in mano ai Talebani.

Per fortuna dal 2018 i “populisti” 5Stelle hanno imposto una visione un po’ più multilaterale del mondo, rifiutando di riconoscere – unico governo in Europa insieme al Vaticano – il golpista venezuelano Guaidó (ora disperso). L’unica cosa che dovremmo importare dagli Usa sono le politiche sociali e fiscali di Biden: invece Draghi è filoamericano in tutto tranne che in quelle (niente salario minimo e neppure la tassina di successione modello Letta). In vista dell’auspicato remake di Un americano a Roma, segnaliamo un possibile protagonista e una eventuale comparsa. Il protagonista è Maurizio Sambuca Molinari, che a Ottoemezzo esalta tra lo sconcerto generale “la convergenza tra le politiche economiche di Biden e Draghi” (ciao core). La comparsa è l’italomorente Faraone, che al Tg3 dirama la fake news di “Conte, che abbiamo mandato a casa, all’ambasciata cinese col comico Grillo, mentre Draghi sta rappresentando i valori dell’atlantismo e dell’europeismo al fianco di Biden”. Senza dimenticare il Rinascimento saudita, che lo vedrà impegnato nel remake di Totò d’Arabia nei panni dello sceicco Alì el Buzur.

IlFQ

𝗟𝗔 𝗠𝗜𝗔 𝗟𝗘𝗧𝗧𝗘𝗥𝗔 𝗣𝗨𝗕𝗕𝗟𝗜𝗖𝗔𝗧𝗔 𝗢𝗚𝗚𝗜 𝗦𝗨𝗟 “𝗥𝗘𝗦𝗧𝗢 𝗗𝗘𝗟 𝗖𝗔𝗥𝗟𝗜𝗡𝗢”. - Giuseppe Conte

 

Gentile Direttore,
il prossimo autunno anche la città di Bologna sarà chiamata ad eleggere il suo nuovo sindaco. Come è noto, il Movimento 5 Stelle sta vivendo un importante processo di rilancio e di rinnovamento, che io ho l’onore di guidare, ma questo non ci ha impedito di lavorare sino ad oggi con impegno e passione per arrivare preparati a questo appuntamento elettorale.
L’entusiasmo e l’energia che animano questa fase di rilancio del Movimento 5 Stelle ci hanno guidato anche nel percorso che ci ha portato alla costruzione a Bologna di un progetto per un campo largo insieme alle forze progressiste, sulla base di un modello che stiamo sperimentando anche in altre città che andranno al voto, come Napoli, o nelle regionali in Calabria.
Sono fortemente convinto che a Bologna ci siano le condizioni migliori per sviluppare questo laboratorio politico basato sul dialogo e la collaborazione fra M5S, PD, la lista Coraggiosa e le altre civiche che hanno aderito a questo progetto. Il terreno è fertile e i tempi sono maturi.
Il raggiungimento di questo obiettivo, la realizzazione di questo progetto devono essere garantiti da un candidato credibile, che sposi questo percorso con convinzione, passione, nel solo ed esclusivo interesse dei cittadini bolognesi. Questo candidato è Matteo Lepore del Partito Democratico, che il Movimento 5 Stelle sostiene convintamente.
Oggi l’errore da non fare è indebolire questo percorso fra PD e M5S bolognesi, che grazie agli esponenti locali si presenta già in uno stato avanzato. Lo dico anche a chi oggi nutre perplessità su questo percorso: è stato fatto un grande lavoro di avvicinamento e di confronto su importanti temi che hanno posto le basi per una solida coalizione.
Gli effetti della pandemia e della crisi economica si sentono forti anche a Bologna. Noi abbiamo il dovere e la responsabilità di dare ascolto alle sofferenze e alle paure di larghe fasce di popolazione, di farcene carico, a partire dai più deboli, dalle famiglie, fino al tessuto produttivo che da sempre anima e fa prosperare quest’area del Paese. Non possiamo commettere l’errore di lasciare che tali istanze vengano solo apparentemente intercettate da forze politiche di destra che mostrano di avere soluzioni semplici, sempre a portata di mano anche di fronte a sfide particolarmente complesse. Abbiamo il dovere di parlare chiaro a tutti i cittadini e non dobbiamo nascondere il fatto che alcuni processi riformatori richiedono tempo. Quel che possiamo garantire è la nostra lucida determinazione, la nostra perseveranza a realizzare anche i più incisivi e complessi processi trasformativi, in modo da rendere le nostre città - dal centro ai quartieri più distanti - più sicure, più verdi, in breve “più a misura d’uomo”.
Ci sono lavori e battaglie comuni da portare avanti insieme, sapendo che alcuni elementi ci distinguono dal PD e dalle altre forze politiche di sinistra, ma la sfida in un momento così difficile anche a livello internazionale deve essere quella di rimettere al centro la persona e la responsabilità per garantire un futuro migliore ai bolognesi, riconoscendo più diritti a partire dalla sfera del lavoro, e perseguendo maggiore equità in modo da garantire a tutti condizioni di maggiore benessere, nel segno della sostenibilità e dell’equità.
Il Movimento, dal canto suo, si presenterà mettendo in campo i suoi principi fondamentali, che non cambiano ma anzi si rafforzano: etica pubblica, legalità e lotta alle mafie, tutela ambientale, innovazione, trasparenza, partecipazione dei cittadini.
Per la città di Bologna, da sempre crocevia nel Paese dal punto di vista geografico, politico e culturale, oggi è necessario fare uno sforzo dal punto di vista ambientale per migliorare la qualità dell'aria e la salute delle persone, dal punto di vista sociale e di diritti sul lavoro, nella lotta alle mafie che hanno pesantemente infiltrato un territorio ricco come quello emiliano, nella innovazione tecnologica al servizio del cittadino per garantirgli semplificazione burocratica e servizi efficienti.
Con tutto il Movimento di Bologna, a partire da Max Bugani e Silvia Piccinini fino a tutti i nostri attivisti che si impegnano quotidianamente sul territorio, vogliamo costruire qualcosa di importante. Vogliamo dare un contributo positivo all’intera Emilia-Romagna e anche per questo ci aspettiamo appoggio, dal PD e dalle altre forze di sinistra, per confermare il sindaco uscente di Cattolica, Mariano Gennari, che ha dato un’ottima prova di sé nella capacità amministrativa. Questa è la strada giusta da percorrere tutti insieme, convintamente.
Giuseppe Conte
FB

Ecco il Dpcm sul green pass: come funziona in dieci domande e risposte. - Andrea Carli

 

Il decreto, che deve essere firmato dal premier Draghi, è stato elaborato da tre ministeri: Salute, Innovazione ed Economia.

Si delineano le regole per il green pass italiano. Il Dpcm, che sarà firmato dal presidente del Consiglio Mario Draghi nelle prossime ore - il premier è in Cornovaglia per il G7, oggi avrà un bilaterale con il presidente Usa Biden - e che ha ottenuto il via libera con alcune osservazioni da parte del Garante della privacy, è previsto dal decreto sulle riaperture. Il provvedimento è stato elaborato da tre ministeri: Salute, Innovazione ed Economia . Ecco come funziona il green pass in dieci domande e risposte, stando alle indicazioni previste dal decreto Riaperture e dalla bozza del Dpcm (si veda anche Il Sole 24 Ore del 12 giugno).

Che cosa è il green pass?

Il certificato verde, comunemente chiamato “green pass”, attesta lo stato di avvenuta vaccinazione contro il Covid-19, lo stato di avvenuta guarigione dall’infezione o il fatto di aver effettuato un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus.

A che cosa serve?

Serve per viaggiare nell’Unione Europea (alcuni paesi chiedono la seconda dose del vaccino), per raggiungere zone arancioni o rosse (da lunedì 14 giugno Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna e provincia autonoma di Trento saranno promosse nella fascia bianca con minori restrizioni) e per partecipare a cerimonie o alle Rsa.

Chi lo rilascia?

La piattaforma nazionale Digital Green Certificate (acronimo DGC) emette e valida il certificato verde.

Quando viene prodotto?

Il certificato verde viene prodotto in tre casi: quando viene somministrato il vaccino, quando viene effettuato il test antigenico rapido o molecolare con esito negativo, nel caso in cui un medico attesta che la persona è guarita dal Covid-19.

Quante persone allo stato attuale sarebbero interessate?

Possono richiedere il green pass le persone che hanno ricevuto una dose di vaccino e quelli che sono guariti dal Covid. Stando alle indicazioni fornire da Lab24, le prime sono oltre 27 milioni (il 45,5% della popolazione), le seconde sono circa due milioni. Per la prima categoria ha una validità di nove mesi (a partire da 15 giorni dopo la prima dose); per la seconda sei mesi dalla guarigione. Il green pass si può ottenere dopo un tampone negativo (72 ore di finestra) e un test antigenico (48 ore).

Quali dati riporta?

Il certificato verde, nelle tre forme (avvenuta vaccinazione, avvenuta guarigione o test negativo) riporta cognome e nome della persona a cui fa riferimento, data di nascita, malattia o «agente bersaglio» (Covid-19), struttura che ha rilasciato la certificazione (ministero della Salute), identificativo univoco della certificaziione verde (si tratta del codice alfanumerico univoco attribuito automaticamente dalla piattaforma). Dopodiché i dati si differenziano a secondo delle singole forme. Il Green pass di avvenuta vaccinazione, ad esempio, riporta il tipo di vaccino somministrato, la denominazione del vaccino, il produttore o titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio, il numero della dose effettuata e il numero totale di dosi previste per l’intestatario della certificazione verde, la data dell’ultima somministrazione effettuata e lo stato membro Ue in cui è stata effettuata la vaccinazione. Il green pass di avvenuta guarigione riporta invece la data del primo test molecolare positivo, lo stato membro Ue che lo ha effettuato, la data di inizio e quella di fine della validità della certificazione verde. Infine, la terza forma riporta la tipologia di test, il nome (facoltativo per il test molecolare), il produttore (anche in questo caso facoltativo per il test molecolare), data e ora del prelievo del campione per il test, data e ora del risultato del test (informazione facoltativa per test antigenico rapido), il risultato del test, il centro o struttura in cui è stato eseguito, e lo Stato membro Ue in cui è stato eseguito.

Quando viene revocato?

La bozza del Dpcm spiega che qualora una struttura pubblica del Servizio sanitario regionale, un medico di medicina generale, un pediatra di libera scelta o un medico Usmaf (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera) o Sasn (Servizi territoriali per l'assistenza sanitaria al personale navigante, marittimo e dell'Aviazione civile) dovesse comunicare alla piattaforma nazionale la positività al Covid-19 di una persona vaccinata o guarita dal virus, la piattaforma genererebbe una revoca del Green pass eventualmente già rilasciato alla persona e ancora in corso di validità, «inserendo gli identificativi univoci nella lista delle certificazioni revocate e comunicandoli al gateway europeo». Sempre in tale ipotesi la piattaforma invierebbe all’interessato una notifica della revoca.

Con quali strumenti è consultabile?

Il Green pass può essere consultato dalla persona interessata dal sito dedicato, sia accedendo con identità digitale sia con «autenticazione a più fattori»; tramite fascicolo sanitario elettronico, App Immuni, App IO, Sistema Ts (per il tramite dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, dei farmacisti e degli altri medici delle aziende sanitarie, Usmaf, Sasn autorizzati alla funzione del Sistema tessera sanitaria).

Dove si possono ottenere chiarimenti?

Nella bozza del Dpcm si legge che «viene messo a disposizione un apposito sito web. comprensivo di sezione dedicata alle faq, per fornire informazioni su emissione, acquisizione, utilizzo, validità e verifica delle certificazioni verdi Covid, agli interessati e agli operatori coinvolti». Non solo: vengono messi a disposizione il numero di pubblica utilità del ministero della Salute (1500), il call center di Immuni (800.91.24.921) e l’assistenza di PagoPa per le segnalazioni che arrivano dall’app IO.

Chi può controllarlo?

Secondo la bozza del Dpcm possono verificare il green pass, attraverso la lettura del codice a barre (Qr Code) : i pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, il personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, i soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali è prescritto il possesso del certificato verde nonché i loro delegati, il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività per partecipare ai quali è prescritto il possesso del green pass nonché i loro delegati e i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali per l'accesso alle quali, in qualità di visitatori, sia prescritto il possesso della certificazione verde (nonché i loro delegati). Nel momento della verifica il titolare del Green pass deve esibire il documento di identità, qualora venga richiesto da chi effettua la verifica.

IlSole24Ore

Il Pulitzer onora la ragazza che ha filmato la morte di Floyd. - Alessandra Magliaro

 

Vincono inchieste NYT su covid e le foto dei disordini Usa. Giornalismo fondamentale per democrazia.


La morte di George Floyd, le rivolte degli afroamericani successive alle violenze della polizia, l'orgoglio black è stato il tema dominante del Pulitzer, i cui vincitori, nelle 22 categorie, sono stati annunciati. Insieme a un altro filone portante dei riconoscimenti: la pandemia, l'anno vissuto con il dramma del coronavirus.

Dalle fotografie della Associated Press dei disordini in America, all'immagine simbolo dell'abbraccio con le protezioni in plastica tra due anziani (AP anche quella), alla copertura da 'servizio pubblico' del New York Times per tutto quello che dalla salute alla crisi economica è stato il racconto di un anno 'dietro la curva dei dati'. Su tutto una premessa: l'anno vissuto pericolosamente dal mondo dell'informazione, una prima linea tutta orientata a schivare le false notizie, a dare il giusto peso alle tante notizie imprecise, uno slalom tra vero e falso che con temi come la salute mondiale e il razzismo ha avuto "mai come quest'anno" un valore decisivo, come è stato detto da Mindy Marques e Stephen Engelberg, presidenti dell'organizzazione che assegna i Pulitzer dalla Colombia University.
"Un anno senza precedenti anche per il mondo del giornalismo chiamato a raccontare la complessità dell'emergenza coronavirus, la resa dei conti razziale e le turbolenti contestate elezioni presidenziali". E ribadito "il ruolo cruciale dell'informazione per la democrazia. Non c'è stato un momento in cui più di questo c'è stato bisogno di documentare, raccontare, evidenziare con chiarezza e verità quanto stava accadendo". La vicenda Floyd ha fatto emergere come potente anche il valore dei cittadini-reporter per documentare fatti che altrimenti non avrebbero avuto luce. In questo senso va il riconoscimento prestigioso, una citazione speciale attribuita a Darnella Frazier, la 18enne che filmando con il cellulare l'ultimo respiro di Floyd sotto il ginocchio mortale del poliziotto di Minneapolis ha reso pubblica la brutalità di quella morte con tutto quello che è successo dopo. Nelle categorie giornalistiche premi sono andati tra gli altri alla copertura Floyd dello Star Tribune di Minneapolis, al Boston Globe per l'investigazione sulle mancate informazioni dei governi statali sui conducenti di camion pericolosi. Andrew Chung, Lawrence Hurley, Andrea Januta, Jaimi Dowdell and Jackie Botts di Reuters ex aequo con Ed Yong di The Atlantic hanno vinto per Explanatory Reporting; Staffs of The Marshall Project; AL.com, Birmingham; IndyStar, Indianapolis; and the Invisible Institute, Chicago per national reporting per una lunga inchiesta sulle unità K-9 e sui danni dei cani poliziotto, mentre per International Reporting a vincere sono stati Megha Rajagopalan, Alison Killing and Christo Buschek of BuzzFeed News, New York che hanno svelato al mondo una nuova infrastruttura costruita dal governo cinese per la detenzione di massa dei musulmani.
Per le categorie libri ha vinto per la fiction The Night Watchman di Louise Erdrich (Harper), un romanzo di lotte dei nativi americani nel 1950, per i drammi The Hot Wing King di Katori Hall una storia divertente sulla mascolinità black attraverso l'esperienza di vita di una coppia gay che si prepara ad una competizione culinaria; per la storia Franchise: The Golden Arches in Black America di Marcia Chatelain (Liveright/Norton), un ritratto di come la lotta per i diritti civili si sia intrecciata con il destino delle imprese nere del fast food, per le biografia ancora tema black dominante con The Dead Are Arising: The Life of Malcolm X, di the late Les Payne and Tamara Payne (Liveright/Norton). per la poesia Postcolonial Love Poem di Natalie Diaz (Graywolf Press), per la non fiction Wilmington's Lie: The Murderous Coup of 1898 and the Rise of White Supremacy, di David Zucchino (Atlantic Monthly Press), per la musica Stride di Tania León (Peermusic Classical).

Foto ANSA

ANSA

La campagna vaccinale rischia la frenata, ma arrivano 55 milioni di dosi.

 


Quasi 26 milioni di italiani che devono ancora avere la prima dose di vaccino e altri 13,6 che devono fare il richiamo, 900mila dei quali hanno avuto la prima dose con Astrazeneca e ora faranno la seconda con Pfizer e Moderna.

Dopo la circolare del ministero della Salute che dà indicazioni perentorie sull'utilizzo del siero dell'azienda anglo-svedese solo sugli over 60, rischia di rallentare la campagna di vaccinazione di massa, con il conseguente slittamento dell'immunità di gregge prevista dal commissario per l'emergenza Francesco Figliulo proprio a fine settembre.

Ma fonti del governo affermano che "la campagna vaccinale italiana procederà con la stessa intensità di prima", vista "l'ampia disponibilità" di "oltre 55 milioni di dosi Pfizer e Moderna" tra ora e la fine del terzo trimestre.
Un altro problema è che, se verranno confermeranno le previsioni sugli arrivi fino alla fine del terzo trimestre, l'Italia rischia di ritrovarsi nei frigoriferi milioni di dosi di Astrazeneca e Johnson e Johnson inutilizzabili.
La decisione presa ieri dal ministro della Salute Roberto Speranza, su indicazione degli esperti del Comitato tecnico scientifico dopo la morte della 18enne a Genova e le perplessità di parte della comunità scientifica, ha già obbligato le Regioni a cancellare gli open day - che se verranno riorganizzati, è scritto nel verbale del Cts, dovranno "rispettare le indicazioni per fasce d'età" - e a rivedere l'agenda delle prenotazioni. Con la Lombardia che ha prima annunciato di non voler dar seguito alla decisione del governo di somministrare un vaccino diverso per i richiami, "in attesa di una nota ufficiale di ministero della Salute e Aifa", salvo poi fare marcia indietro una volta ricevuta la circolare e la posizione della stessa Aifa. "La comunicazione contradditoria e semi assente del governo sui vaccini - ha detto la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni - è ciò che più sta contribuendo a scatenare il panico tra i cittadini. Si assumano subito la responsabilità di dare risposte chiare e trasparenti agli italiani poiché milioni di cittadini sono in attesa".

Ma al di là delle polemiche, a preoccupare, lo ha ammesso lo stesso Figliuolo, è il rischio che la campagna possa subire un rallentamento: "se si fa un piano che poggia su 4 gambe più una che poteva essere Curevac e se poi una di queste gambe viene azzoppata o limitata è chiaro che tutti i piani si rivedono. Non faccio fosche previsioni, sono convinto che a settembre chiudiamo, ma se dovessimo aggiungere un'altra platea, ad esempio 6-15 anni, se Curevac non arriva e se ci sono altri intoppi è chiaro che non ce la faremo". Stando ai numeri forniti da Figliuolo al Cts, entro la fine del mese dovrebbero arrivare ancora 7,2 milioni di dosi di vaccini a mRNA (5,8 di Pfizer e 1,4 di Moderna), ai quali vanno aggiunti i 45 previsti nel terzo trimestre (31 di Pfizer e 14 di Moderna) per un totale di 52,2 milioni. Se poi verrà approvato il siero di Curevac, entro la fine di settembre l'Italia potrà contare su altri 6,5 milioni, per un totale di 58,7 milioni di dosi di vaccini a mRNA. Una cifra che, come ha detto Figliuolo, consente di andare "lisci lisci" solo se non ci saranno altri intoppi. Lo stesso generale, tra l'altro, già il 10 maggio in una nota al Cts aveva segnalato che la quantità di vaccini a mRNA sarebbe stata inferiore alla necessità. "Alla luce del numero di persone già vaccinate e di quello che ha ricevuto la prima dose e che, pertanto, necessità delle seconda - scriveva - sono stati definiti i fabbisogni necessari per ultimare la campagna entro settembre in 73 milioni di dosi a fronte di un previsionale di afflusso di circa 68. in sostanza, il fabbisogno di vaccini a mRNA risulta superiore al previsionale delle forniture". Considerando che a questa situazione si sono aggiunti i richiami per 900mila e i 2,3 milioni di 12-15enni, i numeri sono al limite.

C'è poi l'incognita Johnson & Johnson. All'interno del Cts c'è stata una lunga discussione tra chi voleva equipararlo ad Astrazeneca e chi invece sosteneva che non ci fossero abbastanza dati e, alla fine, è passata questa linea. Pur considerando le analogie con Az, hanno scritto gli esperti nel verbale, "lo stato attuale delle conoscenze, il numero di poco superiore al milione di dosi somministrate e la rarità" delle trombosi, "non permettono di trarre valutazioni conclusive rispetto al rapporto beneficio/rischio". Valutazioni che però potrebbero arrivare nelle prossime settimane e cambiare gli scenari, fermo restando che in ogni caso già adesso questo vaccino è raccomandato per chi ha da 60 anni in su. Di certo c'è che, sempre in base ai numeri di Figliuolo, ci sono ancora 3,5 milioni di over 60 che non hanno avuto neanche la prima dose e 3,9 che devono fare i richiami. Che richiedono complessivamente tra i 7,4 e gli 11 milioni di dosi. Ma l'Italia, alla fine di settembre, potrebbe avere più di 50 milioni di dosi di Astrazeneca e J&J visto che a giugno erano previsti 10 milioni e nel terzo trimestre 40,7. Se non andranno ai paesi Covax, come ha ipotizzato il Commissario, il rischio che scadano nei frigoriferi è altissimo.

(foto:L'hub vaccinale Acea in occasione dell'Open Day Junior, Roma - ANSA)


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