domenica 22 aprile 2018

L’Amaca di Michele Serra (20 aprile 2018). E considerazioni mie.




Tocca dire una cosa sgradevole, a proposito degli episodi di intimidazione di alunni contro professori. Sgradevole ma necessaria. Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza. Cosa che da un lato ci inchioda alla struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società (vanno al liceo i figli di quelli che avevano fatto il liceo), dall'altro lato ci costringe a prendere atto della menzogna demagogica insita nel concetto stesso di "populismo".

Il populismo è prima di tutto un'operazione consolatoria, perché evita di prendere coscienza della subalternità sociale e della debolezza culturale dei ceti popolari. Il popolo è più debole della borghesia, e quando è violento è perché cerca di mascherare la propria debolezza, come i ragazzini tracotanti e imbarazzanti che fanno la voce grossa con i professori per imitazione di padri e madri ignoranti, aggressivi, impreparati alla vita. Che di questa ignoranza, di questa aggressività, di questa mala educación, di questo disprezzo per le regole si sia fatto un titolo di vanto è un danno atroce inferto ai poveri: che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori.


https://rep.repubblica.it/pwa/rubrica/2018/04/19/news/l_amaca_di_michele_serra-194340068/

L'articolo mi lascia dubbiosa.
Troppo facile ed anche opinabile attribuire la pessima educazione, dimostrata da alcuni adolescenti, alla cultura più o meno classica.
Io partirei da un'angolazione più recondita, quella della psiche e dell'ambiente in cui si vive o si bazzica, e non alla cultura ricevuta.
A questi ragazzi è mancata "la cura amorevole" che un attento e "responsabile genitore" avrebbe dovuto dedicare loro; questi ragazzi sono stati cresciuti davanti al televisore a guardare "moderni" cartoni animati, che nulla hanno di moralmente formativo, o a videogiochi che istigano, molto spesso, alla violenza come mezzo di auto difesa.
E a questo concetto, quello dell'autodifesa, dedicherei un altro capitolo, dopo ciò che si è letto e si continua a leggere sugli abusi perpetrati dagli insegnanti ai piccoli affidati agli asili nido e scuole materne, perchè il comportamento anomalo potrebbe anche essere la risposta agli abusi subiti in tenera età.
L'ambiente in cui si vive o ci si aggira è anch'esso un deterrente per la formazione di un essere che sta crescendo e sta formando il proprio carattere e, pertanto, anche il modo di porgersi verso l'esterno ed attingere da esso.
E non sempre questi luoghi corrispondono a quello in cui si vive, i ragazzi amano spaziare, conoscere, avventurarsi in mondi diversi a loro sconosciuti.
La vera ed unica causa è l'assenza di regole, l'irresponsabilità di tutti coloro i quali sono chiamati, in quanto educatori, ad assolvere il proprio compito.
Ai miei tempi esistevano le tanto deprecate punizioni corporali, odiosissime, vero, ma ora c'è il vuoto assoluto.
Educare, traslato dal latino "educere", significa "tirare fuori".
Noi genitori abbiamo questo compito: seguire con la responsabilità dovuta i figli che mettiamo al mondo; insegnare loro il rispetto verso gli altri esseri e verso il mondo che ci circonda, comprendere e sublimare le loro inclinazioni, accompagnarli durante il tragitto della loro formazione, correggere i loro errori spiegandone i motivi, e dare loro tanto amore ed abnegazione.
La scuola, infine, deve svolgere il suo compito che è quello di educare, nel senso di educere, ed istruire gli allievi sotto la guida di figure professionali della conoscenza.

Cetta.

martedì 17 aprile 2018

Tito Boeri a Mezz'ora in più: "Non solo vitalizi, gli onorevoli hanno un altro privilegio".



Il presidente dell'Inps spiega il meccanismo degli oneri figurativi (a carico della collettività): "Ho scritto a Fico ma non ho ricevuto risposta".


"In aggiunta ai vitalizi c'è un altro tipo di privilegio: gli oneri figurativi. Se un parlamentare era prima un lavoratore dipendente, durante il mandato" alla Camera o al Senato "l'Inps gli deve versare i contributi datoriali: si tratta di circa il 24% della loro retribuzione, che in alcuni casi l'Inps ha versato per 20 o 30 anni". A rivelarlo è il presidente dell'Inps, Tito Boeri, a Mezz'ora in più su Rai3. Boeri ha spiegato di aver scritto una lettera all'ufficio di presidenza della Camera (la struttura operativa del presidente Fico ndr) per sollecitare un intervento, ma di non aver ricevuto al momento "alcuna risposta".
Dura critica anche al sistema dei vitalizi. "I vitalizi - ha detto Boeri - erano uno schema insostenibile fin dall'inizio: si è partito già da subito in disavanzo. Nel 2016 io ero stato chiamato in audizione parlamentare e ho fornito i dati in nostro possesso, sollecitandone altri, ma trovo scandaloso che la Camera non ci abbia dato questi dati. Anche sulle valutazioni che ci sono state richieste, come sul ddl Richetti, non abbiamo avuto i dati sui contributi versati dai parlamentari: avrebbero dovuto darci la possibilità di fare analisi più dettagliate".
Boeri ha ricordato che secondo un calcolo dell'Inps, uniformando le pensioni dei parlamentari a quelle degli altri cittadini, si sarebbero ottenuti risparmi "importanti", pari a 150 milioni all'anno. "Adesso - ha aggiunto Boeri - vedo che con questa nuova legislatura c'è un impegno nuovo: mi auguro sia vero. Il primo segnale serio sarebbe quello di darci le informazioni per rifare un calcolo serio".
Boeri è intervenuto anche sul tema del reddito di cittadinanza, proposto dai 5 Stelle e ritenuto uno degli elementi che hanno decretato il successo dei pentastellati al Sud. La proposta "costa fino a 38 miliardi, se vogliamo essere più ottimisti 35 miliardi, si estenderebbe ad una platea che va ben oltre i poveri assoluti" e lo farebbe "su un piano rischioso" perché si tratterebbe di un "disincentivo a lavorare". Per il presidente dell'Inps, invece, è più opportuno potenziare il Rei: "Portando nuove risorse al reddito di inclusione, circa 4 miliardi in più, riusciremmo ad aiutare tutte le persone in difficoltà".
Al Sud voglia di ritornare all'assistenzialismo con un voto a favore del reddito di cittadinanza? "A mio avviso c'è bisogno di un'assistenza di base in Italia e questa assistenza deve essere erogata a livello nazionale: quei 4,7 milioni di persone che sono in povertà assoluta bisogna aiutarle. È un imperativo farlo, ma nel modo giusto, guardando alle loro condizioni di reddito e patrimoniale".
"Molto spesso - ha spiegato Boeri - al Sud chi ha bisogno si rivolge al politico locale o nazionale: quello è l'assistenzialismo, è un rapporto sbagliato con la pubblica amministrazione. Se la pubblica amministrazione, guardando al reddito e patrimonio e facendo accertamenti rigorosi, è in grado di stabilire di quale aiuto hanno bisogno allora quelle persone non hanno bisogno di rivolgersi ai santi in paradiso".
Stop alla riforma Fornero? Per Boeri costerebbe nell'immediato 11 miliardi, costo che potrebbe salire a 15 miliardi. L'impatto sul debito pensionistico, secondo il presidente dell'Inps, sarebbe circa 85 miliardi e si darebbe inoltre vita a un sistema "doppiamente iniquo" per i giovani e per chi ha pagato il costo della Fornero oltre che problemi si "sostenibilità al nostro Paese".

Attenti a quei due.

L'immagine può contenere: 2 persone, vestito elegante

Hanno, rispettivamente, 92 e 82 anni....ma non mollano la presa!
Che cosa li tiene legati alle poltrone in  Parlamento?
IL POTERE?
Chiunque preferirebbe godersi gli ultimi anni della propria vita crogiolandosi nel dolce far nulla, giocando con i nipotini, loro no...perchè?
Hanno le mani legate da vincoli indissolubili? 
Hanno contratto debiti che sono tenuti ad onorare? 
L'unica cosa che salta agli occhi palesemente è l'assurdità del loro comportamento!

In Portogallo energia pulita al 100%. - Claudio Mastrodonato

Energia pulita? Si può. Lo scorso marzo l’energia prodotta da fonti rinnovabili ha superato la richiesta del Paese.

Arriva un record dal Portogallo. E non ha a che fare con Cristiano Ronaldo, primo nome e argomento che ai più viene in mente se si parla della nazione lusitana. Questa volta il record ha a che fare con la sfera ambientale. Con le fonti di energia rinnovabili.

In Portogallo le rinnovabili superano il consumo totale.

Marzo 2018 sarà ricordato come il mese in cui l’energia pulita prodotta da fonti rinnovabili ha superato la richiesta totale del fabbisogno del Paese iberico.
Entriamo più nel dettaglio.
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Pale eoliche a Sobral de Monte Agraco, in Portogallo
Calcolando la media mensile, si è andati a constatare che la produzione di energia derivante dal sole, piuttosto che dal vento, è stata superiore (il 103%), e quando non lo è stato – ad esempio mercoledì 7 marzo – ha comunque raggiunto il confortante dato dell’86%.
Numericamente, sono 4812 i GW prodotti contro i 4647 richiesti.
Non è corretto, tuttavia, parlare di un exploit. Dietro questo successo ambientale ci sono anni di progressi del settore, di investimenti, di aggiornamenti e sperimentazioni sul campo. Già da 3-4 anni si sono registrati percentuali vicine al 90% del fabbisogno mensile del Portogallo, segno di un costante progresso. Adesso se ne raccolgono i frutti.
Nel dettaglio, i maggiori contributi derivano dall’idroelettrico – che da solo vale più della metà dei dell’energia pulita prodotta – e l’eolico, garantito dai venti che spirano incessanti dall’Oceano Atlantico.
E non ci si vuole fermare qui.
Spostando il naso un po’ più in là, si stima che entro l’anno 2025 si smetterà di utilizzare il carbone per la produzione energetica, ed entro il 2040 le energie rinnovabili saranno sufficienti a soddisfare – sempre, costantemente – il fabbisogno del Portogallo, andando drasticamente ad intervenire sulle emissioni di CO2.

Energia pulita in Italia?

Come i lusitani, anche il Bel Paese sta investendo in maniera massiva sulle rinnovabili, e condivide con lo Stato iberico la prospettiva del carbon free del 2025.
Tuttavia si è ancora lontani dal traguardo portoghese (e da altri Stati ad onor del vero, si pensi alla Penisola scandinava o alla Scozia, con percentuali anche qui vicine alla perfezione): allo stato attuale dalle fonti di energia alternative si copre solo un quinto della richiesta.
Estendendo il focus ai Paesi aderenti all’Unione Europea – comunque – l’Italia è il terzo Stato che genera energia pulita, con più di 10 punti percentuali, dopo Germania e Francia. Ma soprattutto è in linea con le direttive europee e con gli obiettivi fissati per il prossimo triennio.
C’è di più: la Strategia Energetica Nazionale, stipulata nel 2017, rappresenta un piano decennale adottato dall’Italia per meglio gestire la “rivoluzione energetica”
Il raggiungimento di questi scopi è legato a doppio filo con la modifica delle abitudini quotidiane di ogni singolo cittadino, dai loro consumi.
In Portogallo, evidentemente, si è raggiunta questa maturità sociale.
La strada intrapresa – anche dall’Italia e dagli italiani – appare altrettanto giusta.

LA GLOBALIZZAZIONE DELLA… POVERTA’. - Maria Pia Caporuscio

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Sarebbe interessante sapere se i governanti europei (italiani in particolare) erano al corrente delle conseguenze sulla perdita della sovranità politica ed economica e sugli effetti della globalizzazione, ossia che sarebbe stata globalizzata la povertà e l’accentramento della ricchezza mondiale in poche mani. 
Probabilmente si, visto che questi accordi sono stati presi all’oscuro dei cittadini. Ai cittadini italiani non è stato chiesto il permesso e nessuno li ha messi al corrente di quel che si stava architettando alle loro spalle. E’ chiaro che la popolazione è stata vittima di un inganno, avendo i propri governanti spacciato questo nazi-capitalismo per l’unione europea di cui parlavano i padri costituenti, cosa ben diversa da questa “unione monetaria” fondata su presupposti iper-liberisti e dal dominio della finanza speculativa privata sull’economia nazionale, aprendo in questo modo la strada verso la globale deregolamentazione dei capitali e la speculazione sulle monete nazionali. 

Chi ci guadagna dalla libera circolazione dei capitali è la grande finanza, essendosi aperti in questo modo mercati sconfinati e guadagni incalcolabili, che non vengono investiti sulla produzione, ma fini a sé stessi e in ogni parte del mondo, creando nel contempo crisi a ripetizione, disoccupazione di massa e povertà.

Questo capitalismo finanziario alimenta il debito e sfrutta le risorse produttive. Chiaramente l’obiettivo di questo sfrenato capitalismo sono gli Stati che posseggono ricchezze ingenti e sono anche i maggiori debitori, per cui avendo il dominio sulle monete estraggono valore anche dai debiti dei paesi, oltre che dalla mano d’opera sottocosto, dai mercati, dalle tasse dei cittadini, dai risparmiatori, dal lavoro e persino dallo stesso capitale produttivo. 


Questo sistema non è altro che una barbara forma di neocolonialismo dove la Democrazia e i diritti dei cittadini sono di ostacolo e vanno cancellati per non intralciare l’avanzare della globalizzazione. E’ un sistema speculativo che genera crisi e quando le banche mondiali sono in sofferenza chiedono l’intervento degli Stati per salvarsi: i guadagni sono privati e le perdite pubbliche e lo Stato logicamente li fa pagare ai cittadini. l trattati costitutivi dell’Unione Europea sono colpevoli di aver spianato la strada alla finanza speculativa, la totale libertà dei movimenti dei capitali nata col trattato di Maastricht e l’austerità imposta da questa unione, bloccano l’economia generando deflazione, disoccupazione e indebitando sempre più gli Stati europei che non potendo controllare la moneta, ne subiscono lo sfruttamento e i ricatti. Un sistema indegno che mette a rischio di fallimento uno Stato. Purtroppo nessuno sa come uscire da questo incubo.

I guai della popolazione italiana sono iniziati da qui, se i governanti di allora non avessero odiato i propri cittadini riducendo di 2/3 i loro stipendi e pensioni, ma avessero avuto un minimo di rispetto per chi li aveva votati e mantenuti alla dolce vita, non avrebbero permesso che un euro valesse duemila lire perché doveva valere 100 lire, era ed è questo il valore reale di un euro. Se i cittadini fossero stati al corrente che oltre a rinunciare alla sovranità nazionale dovevano anche finire in miseria, sarebbe scoppiata una guerra civile e oggi saremmo ancora una nazione ricca, invece di essere un terzo mondo. 


Prima di entrare in questo maledetto tunnel i capi di governo dovevano avere il consenso della popolazione tramite un referendum, ma anche in caso positivo dovevano battersi per impedire la liberalizzazione dei movimenti di capitali, perché è inammissibile che il risparmio di un paese finisca nelle fauci di insaziabili capitalisti, che cercano rendimenti immediati in ogni luogo. 

Si rende perciò necessaria una politica nazionale autonoma. Sono altre le cose che devono essere globali, ad esempio il rispetto degli esseri umani, che devono essere al di sopra degli interessi economici in ogni paese, deve essere globale la solidarietà, le idee, le conoscenze, le scoperte, ma i diritti, il denaro, l’economia, le merci, il cibo devono essere prodotte a livello nazionale. Nel mondo reale le popolazioni non sono tutte uguali, ognuna ha la propria cultura, le proprie abitudini, le proprie tradizioni e sarebbe un crimine cancellare passato e presente nel tentativo di robotizzarli. 


Nel dopoguerra fu costruito il Bretton Woods che imponeva restrizioni ai movimenti internazionali dei capitali e grazie ai quali gli Stati europei hanno potuto proteggersi dalle importazioni di merci straniere per cui l’economia di questi paesi è decollata nonostante le rovine della guerra, assicurando il benessere dei propri cittadini prima che le indegne politiche di Ronald Reagan e Margaret Thatcher non massacrassero tutto. 


Le vergognose politisi di questi “signori” hanno trascinato le nazioni nel caos di questa finanza sfrenata e sui pesanti condizionamenti che banche mondiali e multinazionali esercitano sulle nazioni. Con la fine del Bretton Woods si è aperta la strada ad una globale deregolamentazione dei capitali finanziari e la speculazione sulle monete nazionali. Quindi la fine dei cambi fissi con quelli flessibili ha consentito di speculare sulle monete e sulla finanza degli altri paesi. A questo punto è logica la perdita di fiducia anche nelle istituzioni sovranazionali (FMI, Banca Mondiale e ONU) in quanto non sono mai al di sopra delle cose, essendo sempre schierate verso le nazioni più forti. 

https://www.facebook.com/maria.caporuscio/posts/10216291664832702

venerdì 13 aprile 2018

Perché gli hedge fund sono negativi sull’Italia. - Andrea Franceschi

(marka)

Lo spread Bund-BTP è sotto controllo e la Borsa italiana è l’unica tra le principali piazze europee a poter vantare un rialzo da inizio anno del 5 per cento. L’incertezza sull’esito della partita politica nel nostro Paese non ha finora avuto le temute ripercussioni sui mercati. Ma il rischio Italia non è sparito dal radar dei grandi investitori. Tutt’altro. Il tema della sostenibilità del debito pubblico italiano anzi è stato sollevato dai gestori di fondi hedge intervenuti all’annual investor forum organizzato a Milano dal gruppo Banca del Ceresio.
Parlando con Il Sole 24 Ore due di loro, che preferiscono restare anonimi, si sono espressi negativamente sulle prospettive del mercato italiano alla luce del quadro politico emerso dal voto. Il più pessimista è il fondatore di una nota boutique finanziaria americana che ha già pesantemente scommesso al ribasso sui titoli di Stato italiani e, in misura minore, anche sulla Borsa di Milano. Il gestore ha indicato nella formazione del nuovo governo italiano, che prevede con una certa dose di ottimismo possa avvenire già a maggio, una delle potenziali incognite per i mercati finanziari nel 2018.
«Il Vecchio Continente - dice - continua ad essere un treno che viaggia a due velocità. C’è un’Europa “core”, rappresentata dai Paesi più stabili come Francia e Germania, in cui la crescita economica è stabile e il quadro politico consolidato, in grado di reggere senza problemi l’impatto dell’inevitabile graduale riduzione (in gergo tapering ndr.) del Quantitative easing della Bce. E c’è un’Europa periferica, di cui fa parte l’Italia, la cui crescita economica è invece dipendente dallo stimolo monetario della banca centrale e quindi inevitabilmente più vulnerabile».
Quali rischi comporta la fine del Quantitative easing, il rialzo dei tassi di interesse e la possibile nomina di un successore di Draghi meno comprensivo verso i Paesi “cicala” come il papabile numero uno della Bundesbank Jens Weidmann? Secondo il gestore il problema riguarda principalmente la crescita economica. «Senza crescita - si legge nero su bianco nelle slide della presentazione fatta al forum - il debito italiano non sarà sostenibile a lungo».
Meno tranchant la posizione dell’altro primario gestore che ha partecipato al forum. «Personalmente - spiega - mi sarei aspettato una reazione molto peggiore dei mercati al risultato del voto. Evidentemente gli investitori si stanno abituando al successo elettorale degli euroscettici». A differenza del collega con cui ha condiviso il palco, l’investitore, capo di un importante fondo hedge con base a Londra, non ha preso una posizione ribassista sul nostro Paese «perché finora chi ha scommesso al ribasso sul rischio politico in Europa ha perso» spiega riferendosi soprattutto a quanto accaduto l’anno scorso in occasione delle elezioni in Francia e altri Paesi europei.

Anche se non ha preso posizioni “corte” sul debito pubblico e la Borsa italiana il gestore dopo il voto ha escluso il nostro Paese dall’orizzonte del suo portafoglio. Troppa l’incertezza sulla composizione del prossimo governo e troppo alta la probabilità che le sue scelte possano entrare in collisione con i vincoli di finanza pubblica imposti dall’Unione europea. Specie alla luce delle promesse fatte in campagna elettorale come l’abolizione della riforma delle pensioni promessa dalla Lega Nord o il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 stelle. «Se devo investire su un’economia periferica - spiega il gestore - preferisco puntare su Spagna e Portogallo».

BlackRock negativa sull’Italia. Allarme su BTp e Piazza Affari. - Alessandro Graziani
Gli uffici di BlackRock a New York (Epa)
L'apparente mare calmo sui mercati italiani dopo le elezioni politiche italiane rischia di incresparsi. Borsa e titoli di Stato continuano a reggere sui livelli pre-voto. Ma i segnali che arrivano dai grandi investitori di oltreoceano non sono più positivi. Anzi. L'allarme più recente lo ha lanciato il grande fondo Usa BlackRock che ha preannunciato di assumere una posizione «underweight» (sottopesare) sui titoli di Stato italiani. Secondo Scott Thiel, vice responsabile per gli investimenti di Blackrock, l'esito delle elezioni del 4 marzo in Italia «è stato il peggior risultato possibile e ancora i mercati non hanno reagito per niente» ha detto Thiel, aggiungendo: «Se i timori e le paure non colpiscono i titoli di Stato italiani, cosa lo farà? Io penso che succederà, insieme al più ampio effetto combinato legato alla fine del Quantitative easing».

L'orientamento di BlackRock è importante perché non si tratta di uno dei tanti fondi internazionali ma del principale investitore Usa di lungo periodo in Italia. Un suo cambiamento di umore sul nostro Paese può avere effetti negativi sui corsi dei titoli di Stato ma anche, e forse soprattutto, sulla Borsa essendo azionista con quote intorno al 5% di tutte le maggiori banche italiane (a partire da Intesa e UniCredit) e delle principali blue chip pubbliche e private.
Le incertezze sulla formazione del nuovo Governo italiano hanno già determinato prese di posizione problematiche anche da parte delle grandi società di rating. I rischi per l'Italia del post-elezioni, ancora non visibili sulle quotazioni di azioni e BTp, sembrano crescere nella testa dei grandi fondi internazionali. Che in questi giorni stanno valutando se ribaltare le posizioni «lunghe» sull'Italia e porsi in scia a chi, come l'hedge fund Usa Bridgewater, già da ottobre si è posizionato allo scoperto contro le azioni italiane. 
Uno strano rumore di fondo anti-Italia si sta facendo largo sui mercati. Istituzioni, Autorità, partiti e parlamentari italiani presto potrebbero doverne tenere conto.

Bitcoin torna a 8mila $. Ora anche Soros e Rockefeller investono in asset digitali. - Vito Lops

Pubblicità del Bitcoin a Tokyo (Ap)


Il Bitcoin è tornato ieri a quota 8.000 dollari, come non accadeva da marzo segnando un balzo intraday massimo del 17%. Il nuovo scatto della criptovaluta più scambiata - tra le 1.565 conteggiate da Coinmarketcap.com - non è isolato. La ventata di rimbalzo ha interessato tutto il comparto la cui capitalizzazione è tornata a respirare sopra quota 300 miliardi di dollari dopo aver toccato un minimo di periodo il 5 aprile a 250 miliardi. Siamo ancora lontanissimi dagli 800 miliardi di inizio anno ma comunque abbondantemente sopra i livelli di un anno fa quando tutte le criptomonete messe insieme non facevano mezzo miliardo di dollari.
Resta in ogni caso un mercato molto volatile, estremamente complesso e difficile da valutare perché non esistono statistiche né parametri o multipli finanziari a cui appigliarsi per stabilire il cosiddetto fair value. La confusione tra i big regna sovrana tanto che a questo punto fanno notizia i casi di cambio di posizione. Il noto finanziere George Soros definiva il Bitcoin a gennaio nel corso del forum di Davos «speculazione allo stato puro» aggiungendo comunque che le criptovalute, «che sono una tipica bolla basata su una incomprensione», ma continueranno ad esistere «perché usate per riciclare denaro sporco».
A distanza di qualche settimana Soros sembra aver rivisto la posizione. Come rivela l’agenzia Bloomberg, il filantropo di origini ungheresi (ma a Budapest Soros non è ben visto) ha dato disposizioni al suo family office (che vale 26 miliardi di dollari) di avviare il trading di asset digitali. Tra questi difficile non annoverare il Bitcoin che ad oggi è a tutti gli effetti il primo asset digitale finanziario. Qualche malizioso potrebbe sostenere che lo schiaffone di Soros al Bitcoin è stato dato quando valeva circa 17mila dollari mentre la carezza è arrivata sul valore di 6mila dollari.
In ogni caso non si tratta dell’unico dietrofront tra i big del mainstream finanziario. Anche la famiglia Rockefeller pare abbia avuto un percorso analogo sdogandando l’ingresso di asset digitali nel portafoglio in Vernock, il venture capital fatto in casa che vale 3 miliardi di dollari.
Ha cambiato idea anche James Dimon, ad di Jp Morgan che prima ha definito il Bitcoin «una frode» e poi ha autorizzato il trading di criptovalute da parte della sua banca (peraltro citata in giudizio per le alte commissioni applicate).
Sarebbe a questo punto clamoroso se anche Warren Buffett, il fondatore del fondo Berkshire Hathaway, cambiasse idea. Tra i guru resta ancora molto scettico e per quel che vale agli atti per ora resta ancora la sua dichiarazione di ottobre: «Posso dire che quasi certamente le criptovalute faranno una brutta fine, anzi, mi piacerebbe comprare opzioni put di cinque anni sulle criptovalute».
Il partito degli scettici resta molto nutrito. Agustin Carstens, direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali, la pensa così: «Il Bitcoin è la combinazione di una bolla, uno schema Ponzi ed un disastro ambientale».
Noriel Roubini, premio Nobel per l’Economia: «Il Bitcoin inizia a sembrare come un dinosauro in via di estinzione».
Il dubbio amletico che divide molti operatori e opinionisti è quale è il confine tra blockchain (la tecnologia sottostante) e Bitcoin e altre criptovalute che la utilizzano. Perché sul fatto che in futuro la blockchain possa imporsi come uno standard in vari ambiti in pochi hanno dubbi.
Sul tema si è esposto ieri anche il Fondo monetario internazionale che continua a vedere nella tecnologia sottostante a Bitcoin delle opportunità. Nel capitolo analitico del suo Fiscal Monitor, il rapporto che verrà pubblicato nella sua interezza la settimana prossima nell'ambito degli Spring Meetings a Washington, l'istituzione guidata da Christine Lagarde ha scritto che Blockchain «può aiutare a garantire l'autenticità delle informazioni presentate, dato che tutte le transazioni sono registrate».
La blockchain potrà imporsi anche nel caso il Bitcoin vada a gambe all’aria oppure per farlo avrà bisogno di un Bitcoin sempre più forte e meno volatile?
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