“La persona intelligente è colei che, contemporaneamente, riesce a soddisfare se stesso e gli altri. Lo stupido è, invece, colui che riesce, contemporaneamente, a danneggiare se stesso e gli altri.” Carlo Maria Cipolla (storico) – 1922 - 2000.
L’Italia è sotto scrosci d’acqua: per mia fortuna è intervenuto il mutamento climatico – del quale, in questa sede, non m’interessa indagare le cause – che ha contribuito, grazie al riempimento delle “riserve” sotterranee delle sorgenti (dovuto alla siccità estiva), a non aggravare la situazione.
L’acqua dolce rappresenta il 3% delle risorse idriche del pianeta alle quali, sottratta la quota imprigionata nei ghiacci artici, rimane un misero 1% (scarso), col quale dobbiamo bere, lavarci, irrigare, ecc.
Tanto per capirci, la media annua di precipitazioni, in Italia, è di circa 1300 mm di pioggia: quando, in un solo giorno, scendono dal cielo 200-300 mm d’acqua significa 20-30 centimetri. Immaginate uno “strato” d’acqua pari a una spanna e mezzo che, in brevissimo tempo, cali ovunque: chiaro che saltano i tombini. E’ una maledizione divina, certo, e l’uomo non può farci niente.
Ci sono tante emergenze in Italia: Emergency ci racconta che stanno aprendo ambulatori in Italia – anche per gli italiani – poiché c’è un’emergenza sanitaria che fa paura. I sindacati non fanno più chiasso, ma c’è un’emergenza, una disuguaglianza fra ricchezza e povertà che aumenta ogni anno. Il sistema scolastico sta letteralmente perdendo i pezzi, quello industriale sta riducendosi al lumicino...tutto è in grave sconforto.
Ebbene, gli interventi per il sistema idrogeologico italiano – se paragonati a quelli pre-2000 – sono stabili: zero erano e zero sono rimasti.
Chiedo il vostro conforto, che potrete darmi – ritengo – sulle cose visibili, quelle che si toccano con mano.
Viaggiate su strade ben delimitate da strisce, con la mezzeria ben indicata?
Notate spesso transenne dovute a frane o raramente?
Avete notizia di morti annegati o sotto frane raramente o di frequente?
Non mi dilungo: credo che abbiate capito.
Le cosiddette “emergenze da maltempo” non sono dovute alla pioggia: capitano perché l’unica cosa che viene in mente alla classe politica, quando piove, è d’aprire l’ombrello. Oppure telefonare, così vi mandano un’auto-blu per scarrozzarvi.
Eppure, i mezzi per proteggersi non si fermano all’ombrello: ce ne sono altri, ma costano e bisogna pensarci, non fare i festini a base di coca ed escort come sono abituati.
Passiamo in rassegna soltanto due mezzi, ce ne saranno altri, ma fermiamoci a due.
Il primo è un accorgimento tecnico.
Nel 1966, dopo la rovinosa alluvione di Firenze, qualcuno meditò di mettere in sicurezza la città medicea per sempre: fu progettato ed attuato l’invaso (o lago, o diga) di Bilancino, sul fiume Sieve (affluente dell’Arno) per limitare le piene di questo fiume che si riversavano in Arno, di conseguenza su Firenze (1). Ci vollero 30 anni per arrivarci, ma ci arrivarono e Firenze non ebbe più catastrofiche alluvioni: questo perché – probabilmente – l’invaso iniziò a funzionare ben prima.
Ho avuto un allievo che si è laureato in ingegneria idraulica: un giorno, incontrandolo casualmente, mi raccontò lo sconforto nel vedere le sua capacità sprecate. In parole povere, nessuno aveva bisogno di un ingegnere idraulico: la cosa non serviva.
Oggi, Novembre 2016, la “conta” dei danni causati, nel savonese, da un’alluvione nemmeno poi così catastrofica (non penso che verrà ricordata negli annali come tale) si è fermata a 100 milioni: 100 milioni non sono più la vincita al totocalcio, erano la bellezza di 2.000 miliardi di lire! Più avanti chiarirò questo strano paragone. Di quei 100 milioni ne arriveranno pochi, poiché dovranno subire il “salasso” di Governo, Regioni, ex Province e Comuni: se ne arriveranno 50 ci sarà da leccarsi i baffi.
Eppure, con 100 milioni di euro, si potrebbero pagare per un anno 5 ingeneri 100 geometri e diciamo...2.000 operai, ipotizzando una retribuzione (lorda) pari a 50.000 euro!
Cosa potrebbe fare questa immaginaria “azienda”? Far guadagnare alla collettività dei soldi, non solo cautelarsi dai danni ambientali.
Se l’esempio della diga di Bilancino vale, allora perché non ampliarlo a realtà più modeste del bacino dell’Arno?
I guai, spesso, provengono da piccoli torrenti i quali – improvvisamente – si danno arie di grandi fiumi e raggiungono portate eccezionali: in questo, c’entra il mutamento climatico, qualsiasi causa abbia, poiché in passato sono esistite le alluvioni, ma su grandi fiumi. Qui si tratta di fenomeni quasi tropicali, con tanto di “occhio del ciclone”, ben diversi dalle ondate di precipitazioni che scendono con andamento Est-Ovest, dall’Atlantico alla Francia, all’Italia e si concludono sui Balcani.
Le precipitazioni sono bizzarre, si scaricano ora qui ora là, improvvisamente: come fare? Guadagnando soldi, chiaro.
Sapete cosa può fare, oggi, la tecnologia?
Fotografate il letto di un fiume, poi “ripassate” (in elettronico) il letto del fiume o torrente e delle sue sponde, mediante uno scanner ricavate la curva e quindi inviatela ad una macchina a controllo numerico la quale taglia ferro, acciaio, cemento, plastica o quel che più vi piace. Per la parte immersa misurate la profondità in alcuni punti della sezione: stiamo parlando di piccoli fiumi, o torrenti, ed avrete una sagoma perfetta (ovvio, aggiungete la parte immersa, per la profondità che ritenete congrua).
Avrete una sezione perfetta da inserire nel punto dove attuerete lo scavo e sistemerete la piccola diga: stiamo parlando di laghetti di 30-40 metri di lunghezza e di 6-10 metri di larghezza. Non più di 5 metri di profondità: ne esiste una del 1930 (circa) nei pressi della mia abitazione che ho visionato e che oggi è in disuso.
Le sezioni potrebbero essere costruite da un’azienda specializzata che ne sfornerebbe (volendo) decine la settimana: e il trasporto?
Camion? No, bisogna fare le strade, costa troppo.
Lo Zeppelin NT, oggi, ha un carico massimo “pagante” di 1.900 Kg (2), ma non ci sono problemi, visto che ci sono prototipi come il Pelikan (2) che sollevano 66 tonnellate!
Non ho citato la Zeppelin a caso, perché la fine del “più leggero dell’aria” fu politica, non tecnica:
La Grande depressione e la salita al potere del Partito Nazista in Germania contribuirono entrambe al tramonto dei dirigibili per il trasporto di passeggeri. In particolare, Eckener (proprietario della Zeppelin dopo la morte di Ferdinand von Zeppelin N.d.A.) e i nazisti avevano un'antipatia intensa e reciproca. La Zeppelin venne nazionalizzata dal governo tedesco a metà degli anni '30 e chiuse pochi anni dopo a seguito del disastro del LZ 129 Hindenburg, nel quale l'ammiraglia della Zeppelin prese fuoco in fase di atterraggio. (Wikipedia)
Più facile credere che i magnati dell’industria, che favorirono l’ascesa di Hitler al potere (Krupp, Thyssen, ecc), pretesero il “pagamento” della loro opera: non dimentichiamo che la lobby dell’aeroplano – ieri come oggi – ha sempre chiesto (ed ottenuto) di mandare all’aria i progetti di dirigibile, al punto che il Pelikan è stato realizzato grazie ad uno stanziamento federale di 35 milioni di $ degli USA, che hanno fatto prevalere le motivazioni d’interesse nazionale sul volere delle lobbies.
Bene: spostando tutto il cantiere con il mezzo aereo, quanti piccoli laghi si riescono ad installare? Non lo so, ma decine l’anno senz’altro.
Accidenti dimenticavo...proprio accanto alla diga, un bel condotto con una turbina Francis: energia elettrica a costo zero, che in capo a 5-10 anni ripaga il tutto.
Questo, per molti, sembrerà un progetto fantascientifico: tranquilli, chi ci governa lo sa benissimo che è realizzabile, per questo mi daranno del matto. Ma sono abituato, da molti anni, a queste tirate d’orecchi...da quando domandavo perché non installassero generatori eolici sullo spartiacque appenninico: i Comuni ci sono arrivati da soli, ed oggi – chi ci ha creduto – raddoppia i mulini in pochi anni.
Già...ricordo il mio editore – Angelo Quattrocchi – il quale mi rispondeva: “Carlo, tu vedi troppo oltre, troppo lontano...la gente rischia di non capirti...”. E fu un grande editore e scrittore.
Il secondo provvedimento richiede molti più soldi ed un tantino di cervello: in tasca alla classe politica i primi abbondano, il secondo nemmeno esiste.
Mi rattrista molto quando osservo campi pianeggianti abbandonati: il primo anno sono ad erbacce che seccano nell’Inverno successivo...poi, il contadino compie un ultimo sforzo, le fa arare e pianta noci, pioppi o nocciole. Un modo come un altro per dire “Qualcuno se li godrà...” già, forse qualcuno fra mezzo secolo venderà i noci ad una segheria, ne ricaverà un gruzzoletto e si farà una vacanza, alle Canarie od in Madagascar.
Eppure, sono stato testimone – bambino – dell’abbandono dei terreni di collina/montagna : “Eh, se avessimo quei bei campi pianeggianti e diritti...con il trattore come si farebbe in fretta!”
Il trattore è arrivato, ma per un contadino che lo acquistava ce n’erano 9 che vendevano il cavallo al macellaio e chiudevano bottega: “Vado in fabbrica, niente più pensieri...”
All’estero se si bravo, se sei capace a fare qualcosa...ma come fai ad imparare qualcosa se nessuno te lo insegna?
Restano i 110 lode, terminati però in 5-6 anni d’Università, non di più! Oppure i falegnami per slitte, che in Lapponia “tirano” sempre...
In qualche modo – o con la pensione dei padri, o con quattro voucher malandati lavorando più ore dell’orologio – li devi mantenere.
Gli agricoltori sono importanti per il regime delle acque, perché se sono presenti lungo i corsi dei torrenti, e poi dei fiumi, sono loro i primi “manutentori” della rete idrica. Helena Norberg-Hodge scrisse un libro dal titolo “Ispirarci al Passato per Progettare il Futuro”, dove spiegava come i contadini del Ladakh – parte indo-pakistana del Tibet – erano importanti per il regime delle acque.
In ogni villaggio, c’erano quattro tipi di ruscelli: quelli per bere, per lavare, per irrigare e, infine, per quelle che noi chiamiamo “acque nere”. In questo modo, le piene erano controllate sin dall’inizio, in montagna, ed i torrenti si riempivano più lentamente, non dando luogo a “ondate di piena” catastrofiche.
Osservate, oggi, l’Italia: come ho ricordato in altri articoli, il tasso di sostituzione degli agricoltori, in Italia, è di 8:1, ossi un giovane per 8 vecchi, mentre in Francia e Germania è di 1:1. Chi sorveglia ed agisce più sui corsi d’acqua?
Cosa ha causato il tracollo?
Due fenomeni: uno di matrice storico-culturale e l’altro d’origine economica.
Quello culturale affonda nelle nostre radici da prima dell’Unificazione: agricoltore, poi contadino, quindi campagnolo, colono, rustico, villano, bifolco...(Rusticani non sunt cives...)
Dall’Unificazione in poi – ne parla Indro Montanelli nella sua Storia d’Italia – mai si è riusciti a condurre gli agricoltori ad un livello sociale più elevato (pur esistendo contadini ricchi!) perché esserlo rappresenta un marchio indelebile, un sinonimo di grettezza ed ignoranza. I nostri giovani, ne sono tuttora intrisi.
Per questa ragione osserviamo i figli degli agricoltori che studiano e diventano medici, avvocati, ecc: nessuno vuole avere quel marchio sulla pelle, non c’è dignità per chi lavora i campi, e lavorare un orto è mestiere da pensionati.
La seconda ragione è economica.
Il Fascismo fu prodigo di provvedimenti e fondi per l’agricoltura, ma anche i successivi governi democristiani non trascurarono il settore: grazie alle associazioni di categoria (Confagricoltura, ecc) e ad appositi stanziamenti per la meccanizzazione, l’allevamento, l’acquisto di terreni, ecc. si riuscì a parare il colpo della veloce industrializzazione ed a mantenere in attivo i campi.
Ma il Ministero dell’Agricoltura fu addirittura abolito (referendum) per volontà dei radical-chic , ossia gli idioti radicali italiani.
Rinacque sotto nuove spoglie ma, oggi, vale di più un Ministero per le Pari Opportunità che quello – che dovrebbe essere più importante: se non altro per la ragione che se non coltivi, o importi, o non mangi – delle Risorse Agricole e Forestali.
Il motivo, però, è ancora un altro. Osservate il grafico (3):
Rappresenta l’inflazione italiana dal 1957 al 2015. Una serie di picchi intorno agli anni 70-80, con lenta discesa: quest’anno, per la prima volta, andremo in inflazione negativa, per ora i dati mostrano un -0,19. Il che significa, con i prezzi in ribasso, che il prossimo anno con gli stessi soldi comprerò più merci. E chi spende più!
Dalla fine degli anni Sessanta agli anni Ottanta la Banca d’Italia stampava banconote con le quali pagava i lavori pubblici e sovvenzionava, fra gli altri, anche l’Agricoltura. I grossi trattori che osservate in giro, sono quasi tutti figli di quella stagione, quando te li finanziava quasi completamente il Ministero.
Ma, nel 1992, la Banca d’Italia fu – di fatto – privatizzata e sottratta alla parte politica la quale – ad onor del vero – non ottenne un gran successo in quegli anni: nel 1976, un bene che costava 100.000 lire a Gennaio, al 31 Dicembre ne costava 120.000!
Oggi siamo giunti in prossimità dello zero, che significa deflazione, ossia “congelamento” della spesa privata, posticipazione degli acquisti, la quale innesca la spirale negativa verso la recessione. E’ un momento importante della nostra Storia, al quale mai siamo giunti.
L’inflazione però, se contenuta, dovrebbe indicare il tasso di sviluppo di una società: vuol dire più denaro perché la società produce di più. Cosa indica un’inflazione negativa?
Vuol dire che un governo (qualsiasi) non può finanziare progetti di sviluppo – oggi nemmeno più la manutenzione dell’esistente – ed i soldi che circolano diminuiscono. Meno soldi, meno sviluppo, meno sviluppo e meno soldi in circolazione...insomma, un cane che si morde la coda. E’ il capitalismo, baby...su...non lagnarti troppo.
Il maltempo di questi giorni ci fa pensare che – uno stato coraggioso – farebbe girare le rotative della Zecca per fornire denaro: ci vorrebbe, però, un poco d’attenzione su cosa puntare.
Se s’investisse in agricoltura – mutui a tasso zero, finanziamenti a fondo perso, prelievo (senza intaccare la proprietà di fatto) di fondi non coltivati, ecc – la produzione agricola aumenterebbe e potrebbe fornire un “volano” per far ripartire l’economia.
Così come finanziare i progetti, congiunti, di salvaguardia del territorio e di produzione d’energia...
Già...ma la Banca d’Italia non è più tale: è solo una filiazione, un settore della BCE di Francoforte...qui è il problema europeo, che non si risolve politicamente ai vertici – poiché il ricco non cederà mai un centesimo al povero – e, dunque, dobbiamo cambiare classe politica. Altrimenti, continueremo ad affogare ogni anno nella melma dei fiumi ed a vedere i frutti del nostro lavoro portati via dall’acqua.
In fin dei conti, si tratta solo di cambiare classe politica: il referendum è il primo scalino, forza.