mercoledì 20 aprile 2011

Mafia, l'opzione del terrore. - di Umberto Lucentini


Ci sono diversi motivi per cui Cosa Nostra può tornare a mettere le bombe. Ad esempio, per una prova di forza dei boss detenuti verso alcuni partiti. O per regolare rapporti con le componenti politiche con le quali Cosa nostra ha ancora una interlocuzione».

«La scelta di iniziare una sanguinosa stagione stragista rimane sempre, tra le tante, una delle possibili opzioni della politica criminale di Cosa nostra». Paolo Guido, il pm antimafia che a Palermo segue da più anni le indagini sulla cattura di Matteo Messina Denaro, legge questi giorni di caos istituzionale dal suo osservatorio privilegiato. Ed è un'analisi da valutare con attenzione.

Guido, sostituto procuratore della Dda di Palermo, si occupa delle indagini sul boss di Castelvetrano protagonista delle bombe del '92 e '93 ma anche delle inchieste sulla trattativa tra pezzi dello Stato e mafia, sulle complicità di massoneria e uomini delle istituzioni.

Procuratore, ci sono segnali sul fatto che Matteo Messina Denaro potrebbe essere tentato dal ritorno alla strategia stragista firmata Cosa nostra? L'allarme è stato lanciato di recente da suoi colleghi come il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e da esponenti della società civile come Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo. La ritiene una eventualità probabile? Ci sono segnali in questo senso?
«Sulla esistenza di segnali ovviamente non posso rispondere. Posso però fare qualche riflessione. La scelta di iniziare una sanguinosa stagione stragista rimane sempre, tra le tante, una delle possibili opzioni della politica criminale di Cosa nostra. Opzione che deve corrispondere ad un preciso obiettivo dell'associazione. In passato è stato quello, tutto corleonese, di mettere in ginocchio lo Stato e costringerlo a trattare.
Oggi potrebbe essere una prova di forza dei grandi boss detenuti in carcere, unici, a loro dire, a pagare per le trascorse collusioni tra Cosa nostra e alcune forze politiche; o la necessità di regolare rapporti con singole componenti politiche o sociali con le quali Cosa nostra ha ancora una interlocuzione, o dalle quali teme ostacoli nei grandi affari pubblici. In ogni caso, Messina Denaro sarebbe l'unico uomo d'onore in grado di governare tali scelte, e ciò per due ragioni. La prima perché è l'ultimo dei boss stragisti ancora latitante; la seconda perché probabilmente è custode dei segreti più inquietanti che hanno attraversato la storia di Cosa nostra».

Sono ipotizzabili complicità istituzionali deviate - come nei casi di Totò Riina e Bernardo Provenzano- che potrebbero favorire la latitanza di Matteo Messina Denaro, inafferrabile dal 1992?
«Tutti i grandi capi di Cosa nostra – e Messina Denaro lo è certamente – sono arrivati al punto di avere, come dicono i pentiti, "i cani attaccati", cioè ad avere rapporti privilegiati con circuiti istituzionali in grado di informarli preventivamente di iniziative giudiziarie e/o investigative».

Si può dire che oggi Matteo Messina Denaro sia il capo di Cosa nostra in Sicilia?
E' difficile oggi affermare che Cosa nostra abbia, in questa fase della vita associativa falcidiata da un incessante intervento repressivo, una stabile struttura gerarchica, e quindi un capo riconosciuto, che governa ogni iniziativa criminale. Probabilmente sta cercando un modulo organizzativo in grado di stare al passo con i tempi, ben più snello e rapido nelle decisioni. E però un fatto è certo: il Dna che storicamente connota l'associazione, i geni della violenza sistematica, dell'omertà e del soffocamento di ogni più elementare legge di mercato, sopravvivono e si perpetuano grazie a chi mafioso lo è stato dalla nascita. Messina Denaro vive in modo direi monastico principi e regole di Cosa nostra, anche quelli più ortodosse: il suo codice genetico è, da questo punto di vista, purissimo».

Non le chiediamo di svelare particolari di indagini, ma ci sono segnali recenti sulla presenza di Matteo Messina Denaro in Sicilia?
«Chi si occupa di mafia sa bene che, all'interno di Cosa nostra, un capo, per continuare ad esserlo, non può lasciare il suo territorio per troppo tempo. Quindi, al di là delle risultanze investigative, sulle quali naturalmente non posso rispondere, Messina Denaro, per governare, deve rimanere in Sicilia e far sentire il suo respiro su ogni affare di rilievo, in ogni passaggio delicato che, di volta in volta, l'associazione si troverà ad affrontare, soprattutto in una fase di riorganizzazione come questa».

Il fratello di Matteo Messina Denaro, il bancario Salvatore, arrestato per mafia, in una recente udienza preliminare che deve decidere sulla vostra richiesta di rinvio a giudizio, ha detto: voi mi accusate di aiutare la latitanza di mio fratello, ma io sono detenuto da un anno e non lo avete preso. Cosa può significare una frase del genere?
«Credo che sia, tra le tante, una tesi difensiva, in verità sin troppo suggestiva. In ogni caso, secondo l'impostazione accusatoria, condivisa sino ad ora da diversi organi giurisdizionali, Salvatore Messina Denaro ha fatto ben altro che occuparsi della sola latitanza del fratello: ha retto le sorti del mandamento mafioso di Castelvetrano, quello più caro al latitante, dove ci sono il suo sangue ed i suoi affetti.»

Il titolare di un bar di un paesino vicino Castelvetrano, non immaginando di essere intercettato dalla polizia, disse: "Noi a Matteo lo dobbiamo adorare". E' una frase che svela complicità inaspettate?
«No. E' la tragica realtà di tante zone della Sicilia, dove ancora la mafia, tra la resistenza di pochi ed il consenso di troppi, governa indisturbata».

Dalle indagini siete riusciti a tracciare un profilo psicologico del boss? E' vero che Matteo Messina Denaro adora giocare con la Playstation? Potrebbe utilizzare Skype e, in caso affermativo, che strumenti avete per intercettare questo tipo di conversazioni?
«Oggi le investigazioni giudiziarie fanno fatica a stare al passo con i progressi della tecnologia e con le molteplici utilizzazioni che di essa ne fanno anche i criminali. I mafiosi non si sottraggono a questa realtà, e soprattutto in materia di comunicazioni, ricorrono, oltre che alla messaggistica tradizionale, anche a Internet, a Skype. Quanto a Messina Denaro, è un capo cui piace la Playstation, usa con grande padronanza il computer, ma non abbandonerà mai i "pizzini", che rappresentano ancora, in Cosa nostra, lo strumento di comunicazione ritenuto più affidabile.»

Tratto da:
espresso.repubblica.it



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