mercoledì 26 giugno 2013

Reddito di cittadinanza.



Il testo della mozione bocciata:

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=703964

F35: mozione Pd piace a Sel e M5S, ma non al Pdl che prepara alternativa. - Enrico Piovesana.



F35: mozione Pd piace a Sel e M5S, ma non al Pdl che prepara alternativa

Non c'è la richiesta di sospensione del programma, ma quella di "non procedere" ad alcuna fase di acquisizione dei cacciabombardieri senza che il Parlamento si sia espresso nel merito ai sensi della legge 244 del 2012. Dopo una difficile trattativa che aveva portato il Pd sull'orlo della spaccatura, il testo è stato approvato dall'assemblea del gruppo democratico alla Camera.

Alla fine il Pd ha partorito la sua mozione sugli F35: non c’è la richiesta di sospensione del programma, ma quella di “non procedere” ad alcuna fase di acquisizione dei cacciabombardieri senza che il Parlamento si sia espresso nel merito ai sensi della legge 244 del 2012. Dopo una difficile trattativa che aveva portato il Pd sull’orlo della spaccatura, il testo è stato approvato stamane dall’assemblea del gruppo democratico alla Camera quasi all’unanimità: solo quattro contrari e sei astenuti su un totale di 292 deputati.
Non è quello che voleva l’ala ‘pacifista’ del Pd, ma a nessuno sfugge che, tenuto conto della situazione, si tratti comunque di un buon risultato. “Sapendo da dove eravamo partiti e qual è la situazione data, è un risultato importante che tutto il gruppo Pd sia arrivato a questa posizione – commenta l’onorevole Gero Grassi, vicepresidente dei deputati Pd della corrente fioroniana. “Per chi come me è profondamente contrario all’acquisto degli F-35, oggi e domani, e vorrebbe una generale riduzione delle spese militari, rappresenta motivo di grande soddisfazione essere riusciti a portane il Pd a un equilibrio molto più avanzato rispetto al punto di partenza”. 
Un giudizio positivo arriva anche dall’onorevole Giulio Marcon di Sel, primo firmatario della mozione per la cancellazione del programma F-35: “Se rimarrà questa la mozione di maggioranza, sarebbe un piccolo passo avanti perché, grazie alle campagne delle associazioni e alla pressione della nostra opposizione parlamentare, sarebbe la prima volta che il Parlamento decide di sospendere non il programma ma almeno l’acquisto e ragionarci sopra per sei mesi con un’indagine conoscitiva. Noi voteremo comunque la nostra di mozione, ma se il testo della mozione Pd rimarrà così com’è potremmo anche valutare, insieme al M5S, la strada dell’astensione”, consentendo quindi l’approvazione del provvedimento di sospensione e l’avvio dell’indagine conoscitiva.
L’esito finale però potrebbero essere tutt’altro. Il capogruppo Pd Roberto Speranza sta trattando con gli altri partiti di governo, Pdl e Scelta Civica, per arrivare a una larga intesa su un testo condiviso da tutta la maggioranza e non sgradito all’esecutivo: un testo ulteriormente annacquato perderebbe qualsiasi sostegno, anche indiretto, da parte di Sel e M5S. Per l’onorevole Gian Piero Scanu, ‘padre’ e primo firmatario della mozione Pd, questo rischio non esiste: “Non verrà modificata neanche una virgola e io mi auguro vivamente che l’intelligenza politica di Sel e 5 stelle, che ne dispongono in grande quantità, venga fatta valere, sennò è un peccato”.
Il Pdl, dal canto suo, è restio ad accettare qualsiasi forma di stop al programma di acquisizione degli F-35, tanto che Brunetta e Cicu hanno già pronta una mozione alternativa che non sospende nulla e rimette tutto alla valutazione delle commissioni prevista dalla legge 244: una richiesta che potrebbe passare con i voti non solo di Scelta Civica ma anche di una nutrita pattuglia di deputati Pd. Scanu esclude nuove spaccature, dicendo che “tutto il Pd sosterrà la nostra mozione”, ma l’esperienza invita alla cautela. 
“L’eventuale approvazione della mozione Brunetta-Cicu significherebbe la prosecuzione del programma F-35 – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo – perché il meccanismo della legge 244 non prevede una bocciatura parlamentare definitiva dei programmi di armamento della Difesa, ma solo un veto temporaneo che può facilmente essere aggirato dalla Difesa ripresentando lo stesso programma fino alla sua approvazione da una commissione più compiacente, magari di diversa composizione politica. Per questo noi continuiamo a dire che l’unica soluzione è la cancellazione del programma, come da anni chiede la società civile: non dimentichiamo che è solo grazie a questa mobilitazione dal basso se finalmente oggi si discute di F-35 in Parlamento”.

Ballarò - Amalia Signorelli, sociologa - 25/06/2013



Una coppia ben assortita.



Lui PD, Presidente della commissione bilancio e programmazione, lei Pdl, Ministro dell'Agricoltura, accomunati da latente ignoranza. 

Rc auto, Autorità contro il caro tariffe.



Consumatori, nel 2013 aumenti di 35 euro.

ROMA - "L'amplissimo divario" fra i livelli delle tariffe Rc auto "prevalenti in Italia e quelli molto più bassi di altri paesi" Ue è un fenomeno che "sta assumendo una connotazione di ingiustizia grave". Lo afferma il presidente dell'Ivass Salvatore Rossi nella Relazione, aggiungendo che "le tariffe possono e debbono scendere".
Il presidente dell'Ivass ha spiegato il fenomeno dell'elevato livello delle tariffe Rc auto "sta assumendo una connotazione di ingiustizia grave nella fase di difficoltà in cui molte famiglie italiane versano per effetto della crisi che investe il Paese. Ne è un pericoloso segnale - ha aggiunto - il numero crescente di veicoli che circolano sprovvisti di assicurazione". "Nell'interesse dei consumatori onesti e dell'intero sistema é necessario individuare soluzioni rapide e durature", ha sottolineato Rossi indicando che le tariffe "possono e devono scendere, senza pregiudicare la solvibilità delle compagnie, se vengono messi in campo gli opportuni presidi. L'Ivass - ha aggiunto - si adopererà perché questo obiettivo si realizzi". Rossi ha spiegato che le misure introdotte lo scorso anno dai decreti 'liberalizzazioni' e 'sviluppo bis' "già consentono progressi" e l'Ivass "sta redigendo i numerosi regolamenti attuativi, sta collaborando con i Ministeri competenti a predisporne altri, sta realizzando le previste infrastrutture tecnologiche. Dobbiamo procedere speditamente, pur con la limitazione delle risorse imposta dalla legge".
L'Ivass intende avviare con l'Antitrust una "iniziativa comune" in tema di tariffe Rc Auto, ha aggiunto Rossi, precisando che lui stesso tornerà "più diffusamente" a parlarne in occasione dell'Assemblea annuale dell'Ania del 2 luglio prossimo, dando conto anche di questa iniziativa
A pesare sugli alti livelli dell'Rc auto in Italia "vi possono essere scarca concorrenza; inefficienze delle imprese, anche nella liquidazione dei sinistri; costi indebiti legati a comportamenti fraudolenti degli assicurati nel richiedere indennizzi sui sinistri, talvolta con l'intervento della criminalità organizzata". E "quest'ultima patologia produce forti distorisioni del mercato, acute in alcune aree del Mezzogionro".
CONSUMATORI - "Finalmente anche l'Ivass si accorge di come le tariffe rc auto rappresentino un 'flagello' per gli assicurati italiani". Così il Codacons commenta le dichiarazioni del presidente dell'Ivass Salvatore Rossi, che ha parlato oggi di "ingiustizia grave" riferendosi al divario tra le tariffe praticate in Italia e all'estero. "In Italia non solo i costi delle polizze rc auto sono i più alti d'Europa - aggiunge il Codacons - ma i rincari che hanno colpito negli ultimi anni le tariffe sono i più elevati del mondo, raggiungendo in meno di 20 anni quota +250%. Se da un lato cresce il divario tra il nostro paese e il resto del mondo, dall'altro si verifica un altro fenomeno altamente dannoso per gli automobilisti: aumentano le differenze tra Nord e Sud Italia, con i cittadini residenti nelle città del mezzogiorno costretti a subire tariffe stellari e aumenti annui a due cifre. Basti pensare che un neopatentato residente nel sud può arrivare a pagare una polizza rc auto fino ad 8.000 euro in più rispetto ad un neopatentato che vive al nord", conclude il Codacons.
Negli ultimi 18 anni (1994-2012), i costi medi delle tariffe rc auto sono più che triplicati, passando da 391 euro del a 1.350 euro. Anche per il 2013, nonostante il crollo del mercato automobilistico e dell'utilizzo dell'auto, sono previsti ulteriori rincari di 35 euro che faranno salire il costo di una polizza per una media cilindrata (max. 1.800 c.c.) a quota 1.385 euro. E' quanto calcolano Adusbef e Federconsumatori, giudicando "positiva" l'iniziativa comune Ivass-Antitrust. Quella dell'rc auto, proseguono, è infatti "una situazione insostenibile, che non ha pari in Europa". Ma il divario non interessa solo il confronto tra l'Italia e gli altri paesi europei: "negli ultimi anni si è fatta sempre più marcata la differenza tra i costi dell'rc auto al Nord ed al Sud Italia, aggravata dall'atteggiamento al limite della legalità adottato da molte compagnie che, soprattutto al Sud, operano disdette strumentali, per poi riproporre una nuova polizza con prezzi elevatissimi (nel migliore dei casi con un aggravio del 50%). Un comportamento che - concludono - si configura in piena violazione della legge dell'obbligo a contrarre".

Industria, sei ragioni del declino italiano. Tra queste il costo del lavoro. - Salvatore Cannavò


L’austerità, la competizione sul costo del lavoro, imprese piccole e poco innovative, la corruzione. Ecco come si smantella l’Italia produttiva. L’ultima tabella dei tavoli di crisi presso il ministero dello Sviluppo economico (fonte Cisl) descrive 136 situazioni di sofferenza per 160.024 lavoratori coinvolti. Ma è un dato che si riferisce solo alle grandi imprese.

I segnali del declino industriale italiano sono sotto gli occhi di tutti. L’ultima tabella dei tavoli di crisi presso il ministero dello Sviluppo economico (fonte Cisl) descrive 136 situazioni di sofferenza per 160.024 lavoratori coinvolti. Ma è un dato che si riferisce solo alle grandi imprese. Grandi marchi come IndesitNatuzziCandyBridgestone oppure la spina dorsale dell’Italia industriale: Ast Terni, Fin-cantieri, Ansaldo Breda, Alcatel, Menarini. Solo nella settimana tra il 3 e il 9 giugno la Cgil ha conteggiato circa 10 mila posti di lavoro a rischio.
Anche i dati del Centro studi Confindustria sono impietosi: tra il 2007 e il 2013, tutti i settori, tranne il farmaceutico, sono andati in crisi, “autoveicoli” in testa (-45%). Seguiti dal “legno” a -42, tessile (-34%), metallurgia (-29), mobili (-26) chimica (-20), o pellame (19,4%). Per capire le cause di un tale disastro occorre risalire a più ragioni.
RECESSIONE - La prima riguarda l’austerità. Grazie al rigore finanziario nel 2012 la spesa delle famiglie si è ridotta del 4,3% e la flessione degli investimenti fissi lordi è stata del 10% circa (fonte Banca d’Italia). La flessione viene da lontano, almeno dal 2007, inizio della crisi. In questo intervallo si sono perse 55 mila aziende manifatturiere e il saldo tra quelle cessate e quelle neonate, è stato per 10mila unità.
CONCORRENZA - Per un paese in cui la manifattura ha il 50% del proprio valore aggiunto nell’export, la crescita dei paesi emergenti è stata micidiale. L’Italia è stata spiazzata dalla globalizzazione: se nel 1991-‘92 la Cina occupava il 4% nella produzione manifatturiera, oggi è arrivata al 21,4%; gli Usa sono passati, nello stesso periodo, dal 21,8 al 15,4%; la Germania dal 9,1 al 6,1 e l’Italia dal 5,5 al 3,1%. “La posizione relativa raggiunta da economie demograficamente piccole come quelle europee negli anni 70 va considerata storicamente irripetibile” dice Confindustria. La Cina morde alla nuca di un occidente che resta sviluppato (l’Italia è al quinto posto nelle esportazioni manifatturiere) ma potrebbe non essere più il ponte di comando assoluto. In questo quadro, tutti i Paesi, soprattutto gli emergenti, puntano sulla “concentrazione settoriale”. Cioè, la specializzazione. Dove l’Italia perde terreno. Lo dimostra il dato di “complessità dell’export”, misurato dal CsC che misura la differenziazione dei prodotti e la loro esclusività: l’Italia è arretrata dall’1,7 del 1995 all’1,3 del 2008. I paesi emergenti, però, crescono e si rafforzano spalleggiati da un ruolo attivo dello Stato e dell’intervento pubblico. L’Italia sembra, invece, aver abbandonato qualsiasi politica industriale.
DIMENSIONE -  Il ritardo deriva anche dalla dimensione troppo piccola dell’impresa italiana garantita, un tempo, da alcuni colossi in regime di monopolio e sovvenzionati dallo Stato e oggi costretta a fare da sola. Ma, come rileva la Relazione annuale della Banca d’Italia, la ridotta dimensione aziendale “influisce negativamente ” e frena la capacità di competizione internazionale. Secondo i dati Eurostat relativi al 2010, “le imprese manifatturiere italiane hanno un numero medio di addetti di 9,4, il 12 per cento in meno della Spagna, poco più della metà che in Francia e meno di un terzo che in Germania. Le imprese con meno di 20 addetti sono quasi il 93 per cento del totale, quelle con almeno 250 addetti lo 0,3 per cento.
COSTO DEL LAVORO - Le imprese lamentano la scarsa produttività e, di conseguenza, l’alto costo del lavoro per unità di prodotto (Clup). Il sindacato sostiene però che per produrre di più serve un livello di tecnologia migliore. La produttività è un parametro scivoloso: il suo livello dipende anche dalla stagnazione della produzione. Scende in tempi di recessione e sale, ad esempio, se aumenta la disoccupazione. Per quanto riguarda il Clup, poi, nel confronto con la Germania, l’Italia ha perso, tra il 2007 e oggi, solo il 2%. Il grosso dello svantaggio, -15%, deriva dagli anni 2000, quando la Germania ha siglato un patto sociale molto vantaggioso per le imprese. Il ritardo, però, non è facilmente colmabile. A meno di scommettere sulla delocalizzazione come ha fatto la Fiat o la Bridgestone. E come si appresta a fare la Brembo di Alberto Bombassei.
INNOVAZIONE -  A garantire la tenuta dovrebbe essere l’innovazione tecnologica, propedeutica alla specializzazione e alla concorrenzialità intra-europea. Ma “l’incidenza della spesa in R&S sul Pil in Italia nel 2011 era dell’1,3% rispetto all’1,9 della media Ue e al 2,8 della Germania”. L’Italia spende poco, soprattutto nel settore privato, grazie anche a imprese troppo piccole e a conduzione familiare.
SISTEMA-PAESE - L’Italia ha, infine, una burocrazia elevata, tempi lunghi della giustizia civile, carenze infrastrutturali. Secondo la Banca d’Italia, negli ultimi due anni si sono fatti degli sforzi, ma non abbastanza. Per la Banca mondiale la corruzione equivale a circa il 3% del Pil mondiale. La Corte europea l’ha stimata al-l’1% del Pil europeo. Con questi parametri il costo per l’Italia dovrebbe oscillare tra i 15 e i 45 miliardi. Ma non esistono stime ufficiali. Nella classifica sull’indice di corruzione percepita nel mondo, però, l’Italia è al 72° posto. Al primo, a pari merito, ci sono Finlandia, Danimarca e Nuova Zelanda. Agli ultimi tre, Afghanistan, Corea del Nord e Somalia. Siamo nel mezzo. In tutti i sensi.