venerdì 8 novembre 2019

Foggia, hotel di lusso e biancheria intima coi soldi della Asl: condannato ex manager Sanitaservice. - Massimiliano Scagliarini

Foggia, l’Asl rassicura  Sanitaservice va avanti

Per la Corte dei Conti Di Biase dovrà risarcire 480mila euro.

Per molti anni ha percepito stipendi d’oro dalla Sanitaservice di Foggia, sperperando anche 120mila euro in cene, buffet per centinaia di persone e persino biancheria intima femminile e i servizi di un investigatore privato. Per questo l’ex amministratore unico, Antonio Di Biase, dovrà risarcire la Asl con 480mila euro. Lo ha stabilito la Corte dei conti, dopo che lo scorso anno il manager 70enne di Trinitapoli fu destinatario di due sequestri di beni: uno da parte del gip di Foggia, nell’ambito di un fascicolo per peculato coordinato dal procuratore aggiunto Francesca Pirrelli, l’altro da 527mila euro su richiesta dell’allora vice-procuratore contabile Pierpaolo Grasso.

L’inchiesta erariale è nata da una denuncia del successore di Di Biase, Massimo Russo, che ha collaborato con la giustizia anche nell’indagine penale a carico di Angelo e Napoleone Cera. Nel fascicolo sono poi confluite le risultanze degli accertamenti fiscali svolti su Sanitaservice Foggia dalla Finanza di Lucera, che hanno fatto emergere altre irregolarità.
In breve, secondo la sentenza della Corte dei conti (presidente Raeli, relatore Fratini), Di Biase avrebbe disposto liberamente dei soldi della società che si occupa di ausiliariato, liquidandosi a vario titolo compensi non dovuti a titolo di stipendio e indennità di fine mandato, con «reiterati prelievi del valore di migliaia di euro mensili compiuti dal Di Biase a mezzo di carta di credito aziendale» e «polizze assicurative contratte dalla società a beneficio dello stesso amministratore - del valore di centinaia di migliaia di euro - prive di qualsivoglia riscontro contrattuale o convenzionale», oltre che gravi illegittimità nelle assunzioni del personale.

A Di Biase era stato accordato prima uno stipendio annuo di 98mila euro, poi (dopo il rinnovo dell’incarico) un compenso di 8.300 euro lordi mensili più il 5% «del reddito netto conseguito», Nel primo mandato - ha accertato la Corte dei Conti - Di Biase si è liquidato 63mila in più, nel secondo 67mila euro in più sulla parte variabile. A questi vanno aggiunti 156mila euro di «prelievi in acconto» illegittimi sul trattamento di fine mandato, 112mila euro di spese di rappresentanza «che per nulla risultano riconducibili alle finalità socio assistenziali» (dalle sponsorizzazioni a squadre di calcio ai pernottamenti in hotel di lusso), per arrivare al telefonino e ai «fringe benefits» (l’uso a fini personali delle auto di servizio) non giustificati.
La Procura contabile aveva quantificato il danno in 527mila euro, chiamando in causa anche l’ex direttore generale della Asl, Attilio Manfrini. Ma i giudici hanno escluso alcuna responsabilità a carico di Manfrini, e hanno ridotto a 480mila euro il risarcimento dovuto da Di Biase perché la Sanitaservice non era tenuta ad applicare la decurtazione del 10% dei compensi ai manager introdotta dal governo Monti. Le giustificazioni presentate dal manager sono state respinte: i giudici parlano di «condotta dolosa» e rilevano l’utilizzo spregiudicato del denaro pubblico. Di Biase inventò - ai tempi della giunta Vendola - il modello delle Sanitaservice, con cui furono internalizzati i lavoratori degli appalti delle Asl. I beni che gli sono stati sequestrati verranno ora pignorati e venduti.

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/foggia/1185537/foggia-hotel-di-lusso-e-biancheria-intima-coi-soldi-della-asl-condannato-ex-manager-sanitaservice.html


Se non si procede con condanne  pesanti, non smetteranno mai di rubare. E' diventato uso normale approfittare dei soldi pubblici destinati al sociale. Cetta

Per Alessandro. - Marco Travaglio

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono

Alessandro Morricella era nato a Martina Franca, aveva 35 anni, una moglie e due bambini di 2 e 6 anni. Era un bravo operaio dell’Ilva di Taranto, sequestrata nel 2012 dai giudici di Taranto e subito riaperta per decreto da Monti e dai suoi successori.

L’8 giugno 2015 si è avvicinato, come sempre, al foro di colata dell’altoforno 2 per controllare la temperatura. E, probabilmente per un accumulo anomalo di gas, certamente per la scarsa sicurezza del vetusto impianto, è stato investito da una fiammata mista a ghisa incandescente, che l’ha trasformato in una torcia umana.

Ricoverato in ospedale, è morto dopo quattro giorni di atroce agonia il 12 giugno, proprio nel giorno dedicato alle vittime del lavoro. Una data tutt’altro che casuale: il 12 giugno 2003, sempre all’Ilva, Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre erano stati uccisi dal crollo di una gru e subito dimenticati da tutti.

Fuorché dal rapper pugliese Caparezza, che dedicò loro il brano Vieni a ballare in Puglia: (“Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru perché può capitare che si stacchi e venga giù”). E dai coraggiosi magistrati di Taranto, che da 7 anni tentano di imporre il minimo rispetto per la sicurezza dei lavoratori e per la salute dei cittadini, facendo lo slalom fra decreti salva-Ilva e scudi penali sfornati dai governi dei più svariati colori per garantire l’impunità a chi gestisce il più grande impianto siderurgico d’Europa.

Dopo la morte di Alessandro, quinta vittima dell’Ilva in tre anni, l’allora procuratore Franco Sebastio indaga vari dirigenti per omicidio colposo e inosservanza delle norme di sicurezza sul lavoro e additano il mancato ammodernamento degli altiforni dell’“area a caldo” dell’Ilva come “concausa non trascurabile” della sua e delle altre quattro morti.

E ottengono il sequestro dell’altoforno 2, poi dissequestrato il 31 ottobre. Ma a condizione che vengano attuate 7 prescrizioni, fra cui l’automazione del campo di colata che ha ucciso Alessandro e gli altri.

Obblighi che in quattro anni non saranno mai rispettati, malgrado il miliardo di evasione fiscale sequestrato dai pm di Milano ai Riva e destinato alla gestione commissariale per gli interventi sulla sicurezza, più il miliardo che i nuovi titolari di Arcelor Mittal prometteranno di investire allo scopo.

Ma intanto il governo Renzi, nel 2015, ha varato l’ennesimo decreto salva-Ilva che autorizza l’uso dell’altoforno 2 appena sequestrato. E ha addirittura regalato l’impunità penale ai commissari di governo, anche per i morti in fabbrica. Nel 2018 la Consulta boccia il decreto Renzi sull’altoforno 2 come incostituzionale.

Motivo: il dl “privilegia in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa”, diritti “cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso”.

Invece sullo scudo, studiato per i commissari e poi finito a coprire Arcelor-Mittal, la Consulta non può pronunciarsi perché viene revocato e poi parzialmente ripristinato da 5Stelle e Lega, e infine cancellato da M5S, Pd, LeU e Iv.

Il 31 luglio 2019, visto che nessuno degli obblighi è stato rispettato, i giudici di Taranto tornano a sequestrare l’altoforno 2. E poi a dissequestrarlo, ma a patto che entro 100 giorni vengano finalmente eseguiti i lavori per mettere in sicurezza l’impianto entro il prossimo 13 dicembre.

Ma l’altro ieri il gruppo franco-indiano comunica al governo la disdetta del contratto che lo impegnava a gestire in affitto e dal 2021 a rilevare gli stabilimenti ex Ilva accampando due scuse.

1) “Con effetto dal 3 novembre 2019 il Parlamento italiano ha eliminato la protezione legale necessaria alla Società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso”.

2) “In aggiunta, i provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto obbligano i Commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019, termine che gli stessi Commissari hanno ritenuto impossibile da rispettare – pena lo spegnimento dell’altoforno numero 2”, quello che ha ucciso Alessandro.

Cioè: Mittal ha scoperto con sgomento che in Italia esistono una Costituzione e un Codice penale. E sfodera due alibi che non reggono: lo scudo penale non esiste in nessun Paese d’Europa, dove Mittal gestisce quasi tutte le acciaierie, con standard di sicurezza e ambiente molto più stringenti di quelli che pretende di perpetuare in Italia; quanto alle prescrizioni sull’altoforno 2, non sono una novità, visto che i giudici le invocano dal 2012 (quando sequestrarono per la prima volta l’Ilva) e ancor più stringentemente dal 2015 (quando morì Alessandro) e nel 2018 la Consulta ha già sentenziato che l’altoforno 2 non può restare aperto se non è messo in sicurezza.

In 7 anni si sono succeduti 6 governi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte 2) e 3 gestioni manageriali (Riva, commissari di governo, Arcelor Mittal). I manager hanno sempre disobbedito alla legge, ai giudici e alla Costituzione.

I governi, fino al 2018, han permesso loro di farlo impunemente, sulla pelle dei morti e dei malati. Ora che finalmente la musica è cambiata, si scatena la canea: non contro chi se ne fotteva allegramente del diritto alla vita e alla salute, ma contro chi ha smesso di fottersene.

Ps. Un mese fa, il 1° ottobre, si è aperto al Tribunale di Taranto il processo a sette dirigenti Ilva imputati di omicidio colposo per la morte di Alessandro. Fuori dall’aula, i suoi amici hanno riassunto in uno striscione di sei parole gli ultimi sette anni di storia dell’Ilva:

“Giustizia per Morricella, morto per decreto”.

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