lunedì 29 agosto 2011

Supertassa, Iva, tagli ai comuni Berlusconi e Bossi riscrivono la manovra.



Addio al contributo di solidarietà, nessuna modifica all’Iva, riduzioni dei benefici fiscali per le società cooperative, ridotti di due miliardi i tagli agli enti locali. E poi un ritocco alle pensioni, calcolate solo “in base agli effettivi anni di lavoro”. Ma soprattutto un annuncio che sa di bluff: “Abolizione di tutte le province e dimezzamento del numero dei parlamentari per via costituzionale”. Cioè con tempi lunghissimi per via del doppio passaggio e maggioranza qualificata nei due rami del Parlamento. Dalle prime indiscrezioni sulle modifiche alla stangata decise nel faccia a faccia-fiume tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi esce l’immagine di una manovra stravolta.

Ci si aspettava un incontro lungo, ma nessuno immaginava che i due restassero chiusi per sette ore a villa San Martino: dalle 11 alle 18. E pensare che pochi giorni fa, dopo un dibattito a Bergamo, il segretario Pdl Alfano, il ministro dell’Interno Maroni e il ministro per la Semplificazione Calderoli (tutti e tre presenti all’incontro, insieme al ministro Tremonti) avevano detto che sulla manovra era già stata trovata “la quadra”. Insomma, nelle intenzioni degli aspiranti leader dei due partiti, tutto era stato risolto. Ma non avevano ancora fatto i conti con il Cavaliere e il Senatùr, e soprattutto con il superministro dell’Economia. A questo punto, ammettendo che alla fine l’accordo si sia trovato, visto che nessuno all’uscita ha rilasciato dichiarazioni, non si sa nemmeno se ci siano i tempi tecnici per presentare gli emendamenti entro le 20. Oppure se, in alternativa, il governo decidesse di adottare la strada meno auspicata dalle opposizioni, cioè un maxiemendamento che si accompagnerebbe a un voto di fiducia. Ecco nel dettaglio gli interventi annunciati

TAGLI AGLI ENTI – Le risorse recuperate per “diminuire le sofferenze per gli enti locali”, viene spiegato da fonti di maggioranza, sarebbero reperite da una rimodulazione dei vantaggi fiscali ed un intervento sulle pensioni. In ogni caso, per i piccoli comuni è prevista la “sostituzione dell’articolo della manovra con un nuovo testo che preveda l’obbligo dello svolgimento in forma di unione di tutte le funzioni fondamentali a partire dall’anno 2013″. Quindi niente accorpamento dei Comuni, pur restando immutato l’accorpamento delle funzioni.

CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ – “Sostituzione del contributo di solidarietà con nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive nonché riduzione delle misure di vantaggio fiscale alle società cooperative”. Il contributo resta però per i membri del Parlamento. La supertassa sarà rimpiazzata con nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’evasione sui patrimoni. E poi riducendo i vantaggi fiscali alle società cooperative

PENSIONI – Calcolo delle pensioni soltanto in base agli “effettivi anni di lavoro”. E’ quanto stabilito nel corso della riunione di maggioranza ad Arcore. Il calcolo per il raggiungimento degli anni di anzianità, viene spiegato da fonti di maggioranza, non dovrebbe più tener conto degli anni di servizi militare prestato e degli anni universitari. “Verranno scorporati”, mantenendo immutato l’attuale regime previdenziale. Gli anni in questione, però, verranno computati per il calcolo della pensione.



'ndrangheta POTERE DEL NON-GOVERNO. - di Claudio Dionesalvi



È nata mille anni fa, ben prima di mafia e camorra, è figlia di un'antica crisi politica ed economica e scaturisce dalla necessità di colmare un vuoto di potere. Un saggio appena uscito e ancora inedito in Italia racconta da dove nasce la malavita calabrese. A partire dal sostantivo bizantino «andragathia». Ne parliamo con l'autore, il linguista John Trumper.

La 'ndrangheta? È molto più vecchia di quanto si pensi. Nata mille anni fa, è figlia di un'antica crisi politica ed economica. Ed è scaturita dalla necessità di colmare un vuoto di potere. Parola di John Trumper, uno degli esponenti della linguistica moderna. Lo spiega in un suo recente saggio intitolato Slang and Jargons, che non ha ancora visto la luce in Italia, essendo apparso sinora solo in inglese per i tipi della Cambridge University, nel volume Romance languages curato da Martin Maiden, John Charles Smith e Adam Ledgeway. Roba che scotta! E che quaggiù farà discutere non soltanto gli studiosi di lingue antiche, quando sarà tradotta in italiano.
È uno studio destinato a riscrivere la storia della 'ndrangheta dalle fondamenta. Si fonda sull'etimologia della parola. Il prof non ha dubbi: «Andragatos è soltanto un nome, vuol dire "buon uomo". Per fare chiarezza, occorre osservare i verbi greci. Dai due elementi, cioè andros e agatos, si è creato un nuovo verbo greco andragatizo che significa: "in origine ho coraggio". Interessante, tuttavia, è l'uso dei due verbi nelle prime epopee popolari del medio greco. Ho studiato le tre edizioni del Digenes Acritas che è una famosa epopea popolare medievale. La più antica è quella di Grottafferrata, la seconda del monastero delle isole di Andros e la terza è nell'Escorial di Madrid. All'inizio sembra ci sia stato un conflitto: da una parte i termini andrio ("ho coraggio") con andria ("coraggio"), dall'altra andragatizo ("faccio il coraggioso") con il sostantivo andragathia. La seconda coppia (verbo e sostantivo) si specializza con il senso di "esercitare un ruolo di borghese o piccolo nobile che sa usare le armi". Sono quegli uomini che i Bizantini usavano per colmare i vuoti di potere della propria governance nelle terre periferiche».
Nell'amministrazione dell'epoca, per esempio, verso l'anno mille, c'è un famoso Andrea di Rende che diventa il giudice bizantino a Squillace. Lui è un giudice di carriera. Comunque, nel frattempo, molta piccola nobiltà bizantina, tipo i Malena, riempie gli spazi lasciati dal potere centrale in momenti di vacatio. «Eh sì - spiega Trumper - perché hanno studiato, allora possono leggere lo Ius civile di Giustiniano nella versione greca. Così riescono ad emettere sentenze in greco corretto. Ma sanno usare bene pure la spada, quindi hanno la capacità di comandare soldati. Per rendere esecutiva una sentenza, possono ordinare a una truppa di farlo. È gente che normalmente non ha una funzione amministrativa, però in casi straordinari, viene chiamata ad esercitarla». In questa fase storica si verificano spesso vuoti di potere. «All'epoca i Bizantini cominciano a perdere terreno in Calabria. Già nell'880 riprendono Santa Severina e Amantea, occupate dagli Arabi. Li rispediscono in mare. Santa Severina è fortificata nell'ambito della riconquista dello Ionio. Amantea invece viene persa una seconda volta. Gli Arabi ci resteranno per più di cento anni. Infatti sono presenti ancora arabismi nel lessico dei pescatori. Termini che non trovi nel resto della regione. Per esempio, l'ambra, cioè la rosamarina, una gustosa e piccante specialità calabra. I pescatori di Tropea e Amantea la chiamano ambra, che è la parola araba per la neonata di pesce».
Dunque nel cuore del medioevo, a queste latitudini, i cambiamenti geopolitici sono improvvisi e ripetuti. Trumper sottolinea che «a un certo punto al generale Niceforo Focas non interessa più la Calabria, perché c'è un vuoto di potere al centro dell'impero. Allora ritorna a Costantinopoli e diventa imperatore. Nei suoi domini italici, l'amministrazione bizantina riesce a malapena a fare il censimento delle proprietà. Lo affida alla chiesa. A Reggio fa il censimento dei gelsi, del vino, delle altre produzioni. I Bizantini inventano il famoso kapnikon: "vedi un filo di fumo, calcoli le tasse". Oggi possiamo anche quantificare la popolazione del tempo, in base a questo criterio. Di fatto, l'Impero d'oriente perde potere in periferia, eppure prova a trattenerlo. Quando nel 1060 arrivano i Normanni, trovano un paese allo sbando, con gli Arabi che invadono, depredano e si ritirano perché non possono gestire un territorio così tortuoso e vasto. Mantengono la Sicilia, ma non hanno i mezzi per controllare tutta la Calabria. Allora fanno delle scorribande. Una volta cercano persino di occupare Cosenza, ma muoiono tutti di malaria lungo il Crati. Arrivano fino a Montalto, addirittura a Gergeri. Cafaruni e Gergeri sono gli unici nomi arabi di Cosenza. Hafr vuol dire dirupo. Gergeri è il luogo in cui fanno crescere le canne da zucchero lungo il fiume».
Ma, con l'arrivo dei Normanni, la situazione sembra cambiare: presidiano alcune zone, normannizzano Cosenza, impongono la loro amministrazione, buttano fuori gli arcivescovi greci di Bisignano e Cosenza (Costantia), che erano suffraganei di Reggio, e li sostituiscono con Arnolfo I e Arnolfo II. «Arrivano quasi a chiudere Vibo e Nicotera. Ruggero - spiega Trumper - ci sistema il suo scrivano, Goffredo di Malaterra, che è suo biografo, ne racconta la campagna militare. Ruggero istituisce il vescovato di Mileto per il suo scrivano. Lui pensa: "quando passo da qui, voglio una casa, pace, lo scrivano al mio servizio, che poi è il vescovo". Lancia un ultimatum all'arcivescovo metropolita di tutta la Calabria e la Sicilia, che è greco: "se vuoi restare qui, tu devi dire la messa in latino". Il vescovo non la prende bene: "io non celebro messa senza l'acqua calda", che per un ortodosso rappresenta il momento clou dell'anafora della messa. Quando si mescola l'acqua col vino, nella liturgia greca c'è l'epiklesis. Non è la recita delle parole di Cristo che crea il corpo e il sangue di Cristo, bensì la preghiera rivolta allo spirito santo nell'atto di versare l'acqua calda nel calice. Quello rappresenta la figura dello spirito santo. Il vescovo non ci sta: "noi non siamo latini, noi non consacriamo nulla con le parole di Cristo, noi consacriamo con le tre hypostaseis della trinità". In sintesi, sta dicendo a Ruggero: "io la messa latina non te la recito". Ruggero capisce perché con lui c'è Brunone che lo consiglia, e risponde: "c'è una nave che parte per Costantinopoli. Le auguro un felice viaggio". E istituisce il vescovato metropolita latino-normanno della Calabria».
Però neanche lui possiede abbastanza potere. Deve tenere la Sicilia. Sta arrivando a Palermo. La capitale bizantina è stata Siracusa. «Con gli Arabi - prosegue lo studioso - Panormos diventa Al Balarm. Il termine moderno Palermo deriva dalla pronuncia araba del greco Panormos. I normanni seguono l'esempio arabo, cioè scelgono Palermo capitale. In Calabria invece dominano il Tirreno cosentino, vibonese e reggino, ma di fatto lasciano lo Ionio. Lì rimangono i vescovi greci, però questi non possono chiedere ai Bizantini di intervenire. Non sono più vescovi sotto un imperatore di Bisanzio, non hanno più il potere di riscuotere le tasse, prerogativa che spettava loro in precedenza, come il potere di organizzare l'esercito. Sono il vescovo di Cassano e quello di Locri a mandare l'esercito contro Ruggero. Non riescono comunque a frenare l'avanzata normanna. Ruggero vince perché questi vescovi non hanno capacità strategiche nell'arte della guerra. Tuttavia, sono loro i livelli più alti dell'amministrazione bizantina. Non ci sono giudici, non c'è un generale. Nella battaglia di Cassano, il vescovo greco indossa l'armatura, monta a cavallo e guida le truppe, seguito dal protopapas mandato da Locri. Perde, perché non sa condurre una battaglia. I vescovi erano stati buoni solo a riscuotere tasse per mandarne una parte a Costantinopoli. In questa fase, dunque, la Calabria è allo sbando. Ma neanche i Normanni istituiscono un forte governo. Si passa dal debole governo bizantino al debole governo normanno. Altrettanto fragile sarà anche quello angioino. Queste terre vivono per secoli in una palese debolezza istituzionale». Allora succede una cosa nuova: «gli uomini che prima esercitavano la funzione di giudici, formavano la corte, il tribunale, quelli che sapevano leggere e scrivere, gli andragatoi, diventano i nuovi capi. Andrangata è un deverbale che deriva dal verbo andragatizen. Se traduciamo andragatizen morfema per morfema dal greco al calabrese, arriviamo ad andragatiàri. Nel dialetto reggino la G velare di solito sparisce. La aguglia diventa aùgghia. Una gatta è la iatta. Per conservare il suono velare GH mettono davanti la N. Allora andragatiàri diventa andrangatiàri. Questa è la prova della provenienza reggina della parola. Il verbo reggino andrangatiàri è un deverbale, sostantivo: quelli che esercitano il potere di andragatiàri».
La conferma arriva dalla cartografia europea. Trumper segnala che «olandesi e inglesi, nel '400, chiamano la Calabria 'Andragathia regio', la regione della Andragathia, dove governa il non governo. Per primi riconoscono questo fatto. Ciò significa che la 'ndrangheta nasce, non solo come parola ma come istituzione, molto prima della camorra che emerge tra '600 e '700. Fare camorria significa fare compagnia. La camorra è una comitiva d'affari napoletana, a differenza della mafia siciliana che irrompe nel 1825. Incarna la ribellione contro gli inglesi che, dopo il congresso di Vienna del 1815, avevano ottenuto il controllo del commercio della Sicilia e nel centro del Mediterraneo. I nobili siciliani non se ne preoccupano, perché sono protetti, come i Borboni, dalla flotta inglese. E poi vanno a divertirsi altrove. Ma i loro intermediari, la nuova classe media, si ribellano, perché perdono la gestione dei traffici commerciali».
La questione del rapporto tra collasso del sistema socio-economico e nascita delle strutture linguistiche, è al centro del saggio. Il professor Trumper elabora un'affascinante ricostruzione della genesi dei gerghi escogitati dal cognitariato medievale. Al tempo della crisi finale che anticipò il passaggio all'età moderna, i possessori della conoscenza indispensabile alla produzione di beni e ricchezze materiali, reagirono al fallimento di quel sistema economico sfornando codici linguistici nuovi e riservati, pur di preservare il controllo delle tecniche di produzione. In sostanza, per sopravvivere, i mestieranti inventarono un linguaggio autonomo, unica possibile cassaforte in cui rinchiudere i segreti delle arti pratiche. È una scoperta destinata a riverberare suggestioni sul presente. Anche i gerghi tipici degli anni zero e delle reti sociali di oggi potrebbero essere il riflesso di una recondita volontà autoprotettiva, la risposta degli attuali mestieranti della comunicazione all'odierna crisi globale. La differenza con quel passato remoto consiste nel mutato contesto di riferimento: dai piccoli villaggi chiusi del medioevo, ai social network di oggi. Le moderne tecnologie e la potenza fagocitante del capitalismo contemporaneo, ramificano sull'intero pianeta qualsiasi innovazione lessicale, mettono a profitto ogni sforzo mitopoietico, rendendo accessibile anche ai non iniziati le forme codificate da comunità virtuali o sostanziali.
«Le lingue di mestiere - conclude lo studioso - nascondono segreti del tessile e della metallurgia. Nascono tra '300 e '500, quando il mondo medievale va a pezzi, collassa. È la necessità di conservare la proprietà esclusiva dei saperi. I mestieranti devono occultare questi segreti. Ne va della loro sopravvivenza. Per questo motivo elaborano un codice accessibile solo ai pochi detentori delle conoscenze relative a quei mestieri. La prima funzione del gergo è proprio questa. Le persone che lo sentono ma non lo capiscono, lo scambiano per il cinguettare degli uccelli: cip cip, ba ba, gar gar, ga ga. È questa l'origine etimologica del termine jargon: gergo. Gli iniziati, invece, riescono a identificarsi tra di loro, anche a distanza. L'artigiano calabrese dell'epoca, deve fidarsi di un Veneto, di un Toscano, di un Francese e di un Piemontese. Nasce così il nucleo comune gergale europeo occidentale. Devono poter parlare lo stesso gergo. Stanno proteggendo segreti di mestiere. La prima funzione del gergo è appunto quella che i francesi chiamano function idontemique, l'identificazione del gruppo. Il gergo all'inizio è di tutti, è un insieme di cose, ha un potere gerarchico. È solo in un secondo momento, quando i livelli più piccoli hanno contatti con l'instabile, cioè la parte criminale della società, che lo stesso gergo viene usato per nascondere identificando. Infatti i calabresi di quel tempo remoto creano comunità fuori dalla Calabria, nelle Marche, in Sardegna, hanno contatti con Veneti, Friulani, Piemontesi, Francesi. Questa è la vera Calabria. Che guarda fuori di sé, non quella che pensa a se stessa come l'ombelico del mondo e non capisce più un tubo. Penso alla politica calabrese di oggi. Il meridionalismo odierno è diventato sterile. All'epoca, invece, era tutto proteso verso l'esterno, perché quella gente era attiva. Tutti questi gerghi hanno un nucleo comune. Nell'ammaskante il capomastro si chiama erbaru, nelle Marche il gergo stesso si chiama ervaresk, in Sardegna abbiamo gli stessi nomi. Un po' dovunque questa parola si ripete. È indicativo. Nel medioevo l'erbaro è il mago. Possiede quindi un aspetto magico, conosce i segreti del tessile, della seta, dei metalli, realizza connessioni ai più alti livelli con l'alchimia. Ci sono nozioni di chimica in questi mestieri antichi. Non è solo la voglia di scoprire la formula dell'oro. Uno che possiede quattro forge, ha contratti con chiese, produce campane, statue, vanta una serie di appalti in giro per il mondo, paga il maestro per i suoi figli perché se lo può permettere, come un nobile. Convoca il maestro itinerante in casa sua: "mio figlio deve imparare a parlare latino, diventerà un avvocato". È esattamente quel che ha imparato a fare adesso la mafia, mandando i suoi figli a studiare diritto ed economia. Loro l'avevano capito nel 1400, 1500. La mafia lo ha capito solo ora. I discendenti di quei maestri artigiani oggi sono giudici, uomini di diritto».


Il Trota, alias Renzino Bossi.




Il trota ha detto che non ha bisogno di Windows Vista, il suo pc ci vede benissimo.
"da E.A. by FB"


Default Italia, 73 Giorni al Fallimento: Chi ha Fatto Veramente i Debiti in Italia?


È opinione diffusa che la Finanza, con la effe maiuscola, sia gestita da figure porche e operi secondo fini largamente innominabili, in danno degli interessi degli Stati Sovrani e dunque dei loro sventurati cittadini.

La Finanza, nella mente di molti galantuomini, è il fattore di dissesto che costringe i governi nazionali a prendere quelle odiose misure che sono sotto gli occhi di tutti. Come per esempio di spogliare i poveri dell’assistenza sanitaria, o del diritto all’istruzione, oppure di mandarli in pensione tardissimo, con appannaggi ridicoli, per recuperare i quattrini che servono a pagare gli Speculatori; individui amorali, disposti a sacrificare lo Stato, che è la casa di tutti, sull’altare dei propri sporchi interessi.

Sovente, sempre di questi tempi, davanti alle vittime di una frana, di un’alluvione, di un incidente in autostrada, l’Informazione parla di frana assassina, alluvione killer, autostrada maledetta. Se poi tra le vittime si contano mamme e bambini, apriti cielo, devi metterci sotto la bacinella perché lo sdegno delle inviate del tiggitre deborderà dallo schermo. Il servizio si chiude con una minaccia: la magistratura aprirà un’inchiesta! Chi vuol capire capisca!

Che c’entrano le due cose? Nulla nel merito, ma sono esattamente identiche sul piano del metodo. Esprimono il bisogno, per ogni calamità, di trovare una causa accessibile sulla quale potersi rivalere: il Vicario di Provvigione di manzoniana memoria, cui attribuire la mancanza del pane.

Torniamo alla Finanza assassina.

Quali sono gli stati sotto il tiro della Speculazione? I più malandati, quelli pieni di debiti, a rischio di insolvenza. Quelli i cui titoli non trovano sul Mercato, luogo di perdizione senza del quale nessuno Stato potrebbe finanziare il proprio debito, una domanda adeguata, se non a prezzi via via più alti, mano a mano che il rischio aumenta.

Perché e quando uno Stato è a rischio?

Di solito perché è male amministrato, perché spende più di quanto incassi; quando i suoi debiti sono improduttivi, non destinati a ricerca, servizi, infrastrutture, ma al mantenimento del consenso. Quando la pratica va avanti da troppo tempo e il debito diventa eccessivo, rispetto alle entrate e al capitale. Nel momento in cui la fiducia dei creditori viene meno.

Come se in una barca si modificassero gli assetti continuando a caricare in coperta, spostando il baricentro sempre più su, addirittura sopra il metacentro. Oppure si mettesse fuori troppa vela per quella che è la chiglia. Quando la barca scuffia solo chi non conosce le barche può prendersela col vento, con il mare, con le vele. Mentre volendo trovare le responsabilità bisognerebbe cercare tra chi ha deciso d’imbarcare in coperta l’obelisco di Axum, o tra chi doveva vigilare e non l’ha fatto.

Il mestiere della finanza è quello di spostare i soldi da chi ne ha in eccesso a chi ne ha in difetto, facendo incontrare domanda e offerta.

Non è la Finanza, ma chi imbarca l’obelisco di Axum che dovrebbe misurarsi la palla.

- Ma, dicono i detrattori, la Finanza cerca di guadagnarci.

- Oh bella, ribattono i fautori, neppure il cane muove la coda per niente.

- Ma con tutti gli strumenti possibili, alcuni addirittura diabolici!

- E allora? Facciamo delle regole, se è questo il problema.

- Si fa prima ad abolirla: che c’è da salvare? O non lo sa che lo short selling è un peccato gravissimo, i cds sono opera del diavolo, i subprime vizi capitali … Sono indignato, mi creda! Moralità! Ci vuole una nuova moralità, se vogliamo salvarci!

Una diatriba dove le ragioni e i torti non stanno tutti da una parte, dove tuttavia una cosa è certa: non è la Finanza che ha fatto i debiti. È la Classe Politica che ha usato il denaro pubblico per comprare il consenso della Popolazione, oltre che per riempirsi le tasche. Adesso dirò qualcosa di poco popolare: in termini complessivi la parte che è finita nelle tasche dei Politici è molto più piccola di quella che è servita per comprare il consenso della Popolazione. Anche se naturalmente ogni politico ha incassato incomparabilmente di più di ogni cittadino.

Ma se vogliamo seriamente cercare chi ha portato in coperta l’obelisco di Axum, lasciamo stare la Finanza.

Oltretutto, al punto in cui siamo, sarebbe un esercizio sterile. Dovevamo pensarci prima, dovremo tornare ad occuparcene poi, ora, potrà non piacerci, anzi non ci piacerà per niente, ma è soprattutto necessario scaricare l’obelisco.

http://www.mentecritica.net/default-italia-73-giorni-al-fallimento-chi-ha-fatto-veramente-i-debiti-in-italia/meccanica-delle-cose/chiamiamola-economia/fma/21180/

Scajola indagato a Roma per la vicenda della casa



Violazione della legge sul finanziamento illecito dei partiti politici in relazione all'acquisto dell'appartamento.


ROMA - L'ex ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, è indagato dalla Procura di Roma per violazione della legge sul finanziamento illecito dei partiti politici in relazione all'acquisto di un appartamento a pochi metri dal Colosseo.

L'immobile in via del Fagutale, secondo l'ipotesi degli inquirenti, è stato pagato in parte, anche se l' ex ministro sostiene di esserne stato all'oscuro, dall'imprenditore Diego Anemone, uno dei personaggi chiave dell'inchiesta sugli appalti del G8.

Il fascicolo per questo "episodio", in base a quanto si apprende, chiama in causa il solo Scajola. I magistrati della Capitale hanno sviluppato le verifiche e le indagini, sulla base degli atti trasmessi dalla Procura di Perugia. Il procuratore capo Giovanni Ferrara e l'aggiunto Alberto Caperna coordinano ulteriori indagini che sono state avviate sulla cosiddetta 'lista' di favori attribuita all'imprenditore Diego Anemone.

SCAJOLA: 'SONO SERENO, SARA' CHIARITA MIA ESTRANEITA' '- "Apprendo dalle agenzie che la Procura di Roma ha aperto un fascicolo su una vicenda per la quale la Procura di Perugia, dopo un anno e mezzo di indagini, non ha ritenuto di dovermi indagare. Attendo, comunque, con la stessa serenità e la medesima riservatezza che hanno sinora contraddistinto il mio comportamento, che i magistrati romani portino a termine il loro lavoro, nella convinzione che verrà certamente chiarita la mia estraneità ai fatti". Lo afferma in una nota il parlamentare del Pdl, Claudio Scajola.

DIFENSORE SCAJOLA: 'ATTENDIAMO SERENAMENTE ESITO INDAGINI' - "Prendiamo atto dell'iniziativa della procura di Roma ed attendiamo serenamente che i magistrati facciano il loro lavoro convinti che tutto sarà chiarito". Così l'avvocato Giorgio Perroni, difensore dell'ex ministro Claudio Scajola, commenta la notizia dell'iscrizione del suo assistito nel registro degli indagati della procura di Roma per violazione della legge sul finanziamento dei partiti.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2011/08/29/visualizza_new.html_730666099.html

Rossi(Idv):"Sciopero calciatori? Un insulto.Unico sciopero giusto il 6 settembre"


PERUGIA - Alla vergogna della protesta messa in atto dai calciatori, la beffa di chiamare “sciopero” questa messa in scena. Credo che sia umiliante per milioni di lavoratori che in Italia, per difendere o rivendicare i propri diritti, quando fanno sciopero devono conoscere una decurtazione dello stipendio spesso proibitiva per se stessi e per la propria famiglia, mentre i calciatori che non conoscono la stessa penalizzazione, guadagnano con lo stipendio di un mese quanto un operaio guadagna in dieci anni.

Sono spesso i lavoratori più attivi nella difesa dei diritti di tutti, che nella situazioni di crisi, pagano per primi le conseguenze del proprio atteggiamento con la perdita del proprio posto di lavoro. È proprio per questo motivo che considero ancora più grave che l’insulto alla crisi rappresentato dalla protesta dei calciatori, avvenga proprio nel momento in cui la manovra economica del governo, nel consentire alla contrattazione aziendale la deroga alla legge ed ai contratti nazionali, di fatto getta le basi per permettere anche la deroga all’articolo 18, che impedisce il licenziamento senza giusta causa.

Il mio pensiero, in qualità di Portavoce Regionale dell’Italia dei Valori, nonché in relazione alla delega assessorile alle Politiche del Lavoro presso la Provincia di Perugia, è di considerare che l’unico sciopero di cui in questi giorni è giusto che si parli è quello del 6 settembre.

Lo sciopero generale del 6 settembre è necessario per contrastare una manovra economica a carattere depressivo, iniqua, che chiede sacrifici ai lavoratori dipendenti che non possono certo evadere le tasse, ai pensionati, ai servizi che gli enti locali già hanno difficoltà a garantire alla comunità, ai diritti dei lavoratori.

Per le motivazioni di cui sopra, aderisco allo sciopero del 6 settembre, anche per evitare che una Governo incapace di colpire gli evasori fiscali, i possessori di grandi rendite finanziarie e patrimoniali, pensi di confondere le idee della gente con la proposta di chiudere qualche provincia e qualche comune e che magari approfitti anche della protesta dei calciatori per non far parlare della grave situazione in cui versa il paese.

Aviano Rossi

http://www.umbrialeft.it/notizie/rossiidvsciopero-calciatoriun-insultounico-sciopero-giusto-6-settembre


Se c'è Silvio a guardia del pollaio. - di Marco Travaglio


Silvio Berlusconi

Adesso il governo fa gli spot contro gli evasori, ma per anni Berlusconi ha spiegato agli italiani che non pagare le tasse era un 'diritto naturale'. E, tra condoni e leggine, lui ha risparmiato centinaia di milioni.

Il 15 ottobre 1996 Silvio Berlusconi, capo dell'opposizione, viene convocato come testimone a difesa di Marcello Dell'Utri, imputato a Torino nel processo Publitalia per false fatture e frode fiscale. E, dopo mesi di traccheggiamenti, si presenta in Tribunale.

"Lei, presidente", dice all'attonito giudice Costanzo Malchiodi, "sa bene come funziona il nostro sistema fiscale, lei sa che l'attuale sistema delle aliquote così elevate, le più elevate d'Europa è tale perché c'è la presunzione di un'elusione sistematica e di una evasione possibile. E quindi c'è un certo tipo di atteggiamento, anche morale, da parte del cittadino che guarda uno Stato che non gli rende in servizi ciò che prende e che ha dalle imposte che sono fuori dalla norma generale, dal diritto naturale che è dentro di noi... Quando lo Stato chiede al cittadino più di un terzo del frutto del suo lavoro, il cittadino si sente moralmente in contrasto con lo Stato. Quindi se ci fosse stata una cosa che poteva mettere Publitalia in un vantaggio, allora io non arriverei a pensare che non Marcello Dell'Utri, ma neanche gli altri dirigenti potessero eh... ritenere che in fondo c'era una giustificazione morale...". Risultato: Dell'Utri, intanto promosso deputato, è condannato a 3 anni, e dovrà patteggiarne 2 e mezzo in Cassazione per non finire in galera.

Otto anni dopo, tornato a Palazzo Chigi, Berlusconi dichiara a Radio anch'io: "L'evasione di chi paga il 50% dei tributi è un diritto naturale che è nel cuore degli uomini" (18.2.2004). E poi, in visita al Comando della Guardia di finanza: "C'è una norma di diritto naturale che dice che, se lo Stato ti chiede più di un terzo di quello che con tanta fatica hai guadagnato, è una sopraffazione nei tuoi confronti e allora ti ingegni per trovare dei sistemi elusivi o addirittura evasivi, che senti in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità, e che non ti fanno sentire intimamente colpevole" (11.11.2004). Casomai i contribuenti non avessero ancora capito, fu ancora più esplicito: "Ma se lo Stato mi chiede il 50% e passa, sento che è una richiesta scorretta e mi sento moralmente autorizzato a evadere per quanto posso" (17.2.2005).

Del resto, l'evasione è una specialità della casa. A proposito della tangente da 21 miliardi di lire versatagli dalla famiglia Rovelli quand'era ministro della Difesa, il 28 settembre 2002 Cesare Previti spiegò a Ilda Boccassini di aver mentito per non "scatenare il fisco nei miei confronti con effetti rovinosi". Boccassini: "Lei li ha dichiarati anche in Italia questi 18 milioni di franchi?". Previti: "No". Nel 2002, dopo averlo smentito, il governo Berlusconi vara il condono fiscale, ma lui giura: "Le aziende mie e della mia famiglia non vi faranno ricorso" (30.12.2002). Poi "l'Espresso" scopre che Mediaset ha fatto ricorso al condono, chiudendo con appena 62,2 milioni una vertenza col fisco da 191. E ne approfitta pure il Cavaliere, sanando le evasioni contestate dalla Procura di Milano (60 milioni e più) con la somma esorbitante di 1850 euro, in due rate. "Nessun condono tombale", minimizza lui a Porta a Porta, "ma una semplice operazione di routine come milioni di italiani per rimediare a eventuali inesattezze formali. Nessun risparmio di imposta da parte mia, han fatto tutto i miei commercialisti, io non ne sapevo nulla" (11.1.2006).

Un anno fa, dopo aver vinto i primi due gradi di giudizio, Mondadori rischia la condanna in Cassazione a pagare i 173 milioni (più un altro centinaio fra interessi e sanzioni) che da vent'anni le chiede l'Agenzia delle entrate per le tasse eluse nel 1991 con l'operazione Amef. Ma una leggina ad hoc imposta dal padrone di Mondadori consente all'azienda di chiudere il contenzioso pagando il 5%: appena 8,6 milioni. Intanto Mediolanum, per un terzo controllata da Berlusconi, si vede chiedere dall'Agenzia delle entrate e dalla Finanza 282 milioni sottratti al fisco grazie a un provvidenziale trasferimento di attività in Irlanda. Ora la presidenza del Consiglio diffonde uno spot tv contro gli evasori, che sciorina varie specie di animali parassiti e poi conclude: "Chi vive a spese degli altri danneggia tutti. Battere l'evasione fiscale è tuo interesse". Non è che, niente niente, la presidenza del Consiglio dà del parassita al presidente del Consiglio?


Ci strangolano e poi ci dicono: “Spreconi!” - Di Piero Sansonetti


C'è uno sport nel quale i giornali del Nord sono maestri. Tutti i giornali del Nord. Si chiama: “caccia al meridionale stupido, sfaccendato e sprecone”. Stavolta si è cimentato il “Corriere della Sera”, e ha mandato in campo uno delle sue penne migliori e più prestigiose, Sergio Rizzo , famoso per aver scritto (insieme a Gian Antonio Stella) “La Casta”, libro cult, vangelo dell’“antipolitica”, che ha segnato in modo robusto il dibattito politico degli ultimi tre o quattro anni.Rizzo ha scritto ieri sul “Corriere” un lungo articolo nel quale spiega come e perché il Sud butti dalla finestra i finanziamenti europei (miliardi di euro), come e perché sia questa la causa della sua povertà (meritata!), e come e perché Merkel e Sarkozy abbiamo ragione a chiedere che quei finanziamenti siano ritirati e il Sud d'Italia mandato a quel paese. Cosa sostiene Rizzo? Che i soldi stanziati dall'Europa per dare un impulso al Sud e attenuare il divario di ricchezza con il Nord non sono stati mai utilizzati e a fine dicembre andrannodefinitivamente perduti per “scadenza dei termini”. E sostiene che questa è la ragione per la quale le Regioni del Sud italiano stanno una ad una ricadendo nell'area della povertà, visto che il loro reddito è circa la metà del reddito del Nord Italia ed è in continua diminuzione dal 1975.
L'articolo di Rizzo - che indubbiamente è un ottimo giornalista - è pieno di dati e di considerazioni serie e interessanti. C'è però un punto debole, debolissimo, per colpa del quale tutto il ragionamento perde forza e anzi si rovescia. Vediamo come stanno le cose: è vero che esiste una grande quantità di soldi messi a disposizione dall'Europa per lo sviluppo del Sud? Sì, è vero. E che non sono stati utilizzati? E' vero anche questo. Perché non sono stati utilizzati? La risposta che fornisce Rizzo (e che è la stessa che danno molti ministri, e che dà il senso comune, un po' razzista, che domina al Nord), è questa: perché al Sud sono degli incapaci sfaccendati, dediti solo al clientelismo e alla corruzione, e quindi non sono in grado di mettere in piedi uno straccio di progetto di opere pubbliche che possa essere finanziato coi soldi europei. Quindi si meritano la loro miseria.
Ecco, non è così. Il motivo per il quale i fondi europei non possono essere utilizzati che in minima parte è un altro; e proviamo a spiegarlo (con pochissime speranze che questa spiegazione possa arrivare oltre il Volturno).
Perché una Regione o un Comune del Sud possano utilizzare i finanziamenti europei, bisogna che preparino un progetto e trovino -in casa propria - una parte consistente dei soldi che servono per realizzarlo. In genere circa il 50 per cento. Nel senso che i fondi europei vengono versati solo come “co-finanziamento” di un'opera, e di volta in volta viene stabilita la percentuale di questo co-finanziamento. Quindi se la Regione o il Comune vogliono realizzare - diciamo - un 'opera da 500 milioni, devono disporre più o meno di 250 milioni per poi ottenere i soldi dall'Europa. Altrimenti non beccano una lira. Ma esiste il famoso “patto di stabilità” e questo “patto di stabilità” proibisce alle Regioni e ai Comuni, quasi sempre, queste spese. Talvolta le proibisce anche quando i fondi, in teoria, sono a disposizione, ma non sono in cassa, perché il “patto” prevede che i fondi siano in cassa. In questo modo si blocca tutto e si bloccano anche i fondi europei. In sostanza l'Europa ti dice: “Ti do i soldi se tu hai i soldi; sennò fottiti”.
Da molto tempo le Regioni del Sud - tutte: di sinistra e di destra - chiedono che vengano esclusi dalla “gabbia” del patto di stabilità i finanziamenti alle opere pubbliche del Sud. Gli economisti hanno calcolato che se ci si decidesse a escludere le opere pubbliche del Sud dal “patto”, il Sud, in soli 12 mesi, potrebbe avere un aumento del Pil tra l'1 e il 2 per cento. Imprimendo un fortissimo impulso alla crescita di tutto il paese. Ma questi calcoli, queste richieste, queste proteste, sono serviti a niente. Nessuno ha ascoltato. Anche perché, in genere, chi si fa sentire è la stampa. E la stampa che conta è tutta al Nord. E invece di raccontare le cose come stanno, racconta solo le malefatte dei malfattori meridionali e se non le trova le inventa. Uno dei grandi problemi del Sud è proprio questo: non avere voce sua ed essere costretto a sentire e a subire le grida, spesso un po' ignoranti, che vengono dal Nord.
Piero Sansonetti


E' giunto il tempo di mettere le mani anche nelle tasche dei super-ricchi. - di Luca Marco Comellini



E adesso che è iniziata la discussione sull’ennesima manovra finanziaria di assestamento del bilancio dello Stato vedremo se alle tante chiacchiere dei giorni scorsi dei pidiellini e dei leghisti, come quelle dei frondisti, dei dipietristi o dei vendoliani e chi più ne ha ne metta, seguiranno i fatti concreti. Tassare i super tartassati ceti medi (ormai ex) oppure cominciare a mettere le mani anche nelle tasche dei super-ricchi? Credo sia questo il problema principale per quelli che fino ad oggi non hanno voluto vedere oltre il proprio naso limitandosi alle ovvietà di una politica che si regge su una cultura che la colloca nell’ambito delle cose fini a se stesse.


Eppure esistono altre strade, meno ovvie e più ardue perché richiedono una buona dose di coraggio, di legalità e di trasparenza. Tutte qualità che mancano all’autoreferenzialismo delle sparate o delle elucubrazioni mentali dei tanti che in queste ore cercano di galleggiare nell’attualità fino al punto di non rendersi conto di essere quasi patetici, come del resto è ancor più patetico il Presidente del Consiglio dei ministri. Berlusconi ha sempre cercato di nascondere agli occhi degli Italiani (di quelli che pagano le tasse) la vera entità della crisi e, forse, non è un caso che anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo aver rinunciato al suo incremento stipendiale mensile, che alcune voci stimerebbero nella stratosferica cifra di una sessantina di euro mensili, si sia finalmente reso conto che le cose vanno a “puttane”. Ma il capo dello Stato sostiene che i suoi poteri sono limitati alla "moral suasion", nonostante l'articolo 88 della Costituzione afferma che: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.».


Eppure eliminare lo spettro di “nuove tasse per tutti” potrebbe essere più semplice di quanto si voglia fare credere agli Italiani, a cominciare dal farle pagare a tutti, inclusa la chiesa, e non solo ai soliti lavoratori che le pagano direttamente con i prelievi in busta paga. Nel 2004 la Cassazione decise che le attività commerciali dovessero pagare l'Ici anche se gestite da ecclesiastici. Ma il Governo Berlusconi nel 2005 introdusse un'esenzione totale valida anche per il passato. Leviamoci dalla testa che tassare nuovamente i capitali scudati servirebbe a poco o che aumentare l'imposta per quelli che ancora non hanno fatto rientrare i propri capitali dalle fruttuose vacanze all'estero sarebbe un errore, o che si violerebbero degli accordi già stipulati fra evasori e Stato perché uno “Governo” civile, e soprattutto improntato alla legalità, non sarebbe mai dovuto scendere a patti con degli evasori - quindi con dei delinquenti-, né quelli occasionali, né quelli incalliti. Quindi a maggior ragione nell’attuale situazione proporre sanatorie e condoni di facciata servirebbe solo a favorire la permanenza di ampi bacini di illegalità. Diverso sarebbe applicare il principio secondo cui chi evade le tasse va in galera e paga il doppio di quanto evaso.


Vi siete mai domandati perché non è mai passata una legge che preveda la pena della reclusione per chi elude o evade le tasse, ma solo per quelli che commetto i reati di frode fiscale che è una cosa del tutto differente? Maliziosamente - ma poi mica tanto - si potrebbe rispondere che forse è perché nell’ambito delle istituzioni parlamentari i legami con chi è abituato a questi tipi di comportamenti illeciti sono stretti e assidui. Tra qualche giorno avremo l’ennesima conferma che noi Italiani un governo che punisca severamente chi evade le tasse e che sia improntato al rispetto delle regole e delle sue stesse leggi lo possiamo solo sognare.


Il Paese è sull’orlo del baratro oltre il quale c’è il fallimento e questo certamente grazie anche e soprattutto alla politica degli ultimi anni dove all’arroganza e impunità di un governo si è contrapposta la “mollezza indecisa e accondiscendente” di un’opposizione fantasma relegata al ruolo passivo da meccanismi che, nell’alternanza bipartisan, è stata capace si di dare solo una maggiore durata al governo del momento o dell’occasione in ossequio al principio di autoconservazione della specie. Per uscire da questa situazione ci vorrebbe uno scatto di orgoglio e soprattutto il coraggio da parte del popolo di ripetere quel 30 aprile del 1993, senza incertezze o timori di ripetere gli errori che seguirono a quel giorno, perché altrimenti il passo dal bordo del baratro al fondo sarebbe brevissimo.


I nostri rappresentanti del popolo, quelli nominati dalle segreterie di partito che premono i bottoncini a comando secondo gli interessi più o meno spinti al limite della liceità da cricche e comitati d’affari - per capirci i parlamentari -, avranno il coraggio necessario per restituire alla loro funzione istituzionale quella dignità che ormai si è definitivamente persa nella sessantennale occupazione partitocratica del Paese, oppure continueranno a far finta che tutto va bene e scivoleranno sull’ovvio per non toccare gli sprechi e le prebende che, oltre a essere ingiusti sono anche anacronistici? Io continuo a essere fiducioso perché in fin dei conti la speranza è sempre l’ultima a morire, ma per non farmi trovare impreparato ogni giorno mi alleno al lancio della monetina o del pomodoro troppo maturo. Un domani non vorrei sbagliare bersaglio.


http://notizie.tiscali.it/opinioni/Comellini/1793/articoli/E-giunto-il-tempo-di-mettere-le-mani-anche-nelle-tasche-dei-super-ricchi.html


Un camorrista in parlamento: la vera storia del poco onorevole Nicola Cosentino.



Tutti conoscono il nome d' “o' mericano”, in provincia di Caserta. Il suo è uno di quei nomi che non si pronunciano così per strada. Nicola Cosentino politico di Casal di Principe è conosciuto in ogni angolo di Terra di Lavoro, dai monti del Matese al litorale Domitio, da Sessa Aurunca a Maddaloni, passando per l'Agro Caleno. E si, l'Agro Caleno, un territorio formato da tanti piccoli paesi confinanti gli uni con gli altri: Sparanise, Calvi Risorta, Vitulazio, Pignataro Maggore, comune dove alle provinciali del 2005 Cosentino ottenne un numero di consensi in proporzione addirittura maggiore rispetto a quelli presi a Casal di Principe, suo paese natale.
Ma procediamo per gradi. Oggi Nicola Cosentino è Sottosegretario di Stato all'Economia e alle Finanze nel Governo Berlusconi, una carica istituzionale importante che giunge dopo una brillante carriera politica iniziata, da giovanissimo, alla fine degli anni settanta.
Dapprima diventa consigliere comunale in quella Casal di Principe che Roberto Saviano ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale con il suo best seller “Gomorra”, poi passa alla provincia come consigliere e, dall'83 all'85, all'età di soli 24 anni, è Assessore provinciale con delega ai servizi sociali. Sempre nell'85, alla nuova tornata elettorale, Cosentino viene nominato Assessore alla Pubblica Istruzione e, non c'è due senza tre, nel 1990 ricopre la carica di Assessore provinciale all'Agricoltura.
Secondo i magistrati che in questi giorni hanno richiesto misure cautelari nei suoi confronti, è a partire dagli anni '90 che Cosentino si avvale di consolidati rapporti con il clan dei casalesi per ricevere un consistente ritorno elettorale. Nel 1995 riportando il 31,50% dei voti di preferenza espressi nella sola Provincia di Caserta, viene eletto Consigliere Regionale della Campania e, l'anno dopo, finalmente, approda in Parlamento con i favolosi 35.560 voti riportati nel collegio Capua-Piedimonte Matese. Da allora è un susseguirsi di successi, è membro della Commissione Parlamentare per le questioni regionali e della Commissione Difesa ma, dalla fine degli anni novanta in poi, il suo impegno è per il partito a cui appartiene, Forza Italia, di cui diventa coordinatore per la Provincia di Caserta e, dopo aver ricevuto divina investitura direttamente dalle mani di Silvio Berlusconi, assume la carica di coordinatore Regionale nel giugno del 2005. Sotto la sua guida, Forza Italia fa un balzo di ben 16 punti percentuali: dall’11% dei consensi registrati nelle elezioni regionali dell’aprile 2005 al 27% delle politiche di appena un anno dopo.
E diviene il primo partito della Campania.
Cosentino tesse, grazie agli incarichi ricevuti in questi anni, una fitta rete relazionale con politici, consiglieri, sindaci e amministratori di comuni grandi e piccoli, divenendo un vero e proprio Deus ex Machina della politica che conta, sia nel suo territorio d'origine e vero e proprio feudo, la provincia di Caserta, sia nel resto del territorio campano. Si dice che nulla si muova, soprattutto nel settore dei rifiuti, che non passi per la sua approvazione. Ma non è solo con la politica e con i suoi rappresentanti che Cosentino esprime le sue doti di politico navigato, conosce l'importanza dell'immagine e della comunicazione ed in molti raccontano di quelle sue frequenti visite alla redazione di un noto quotidiano casertano, accompagnato dal suo fedele ed immancabile autista “don Peppe”.
Tuttavia sono i rifiuti, a giudicare da quanto emerge dalle inchieste giudiziarie e dalle proverbiali malelingue dei casertani che “dal basso” hanno già emesso la propria personale sentenza, ad interessare l'attività dell'imprenditore casalese. La munnezza, nelle parole di molti pentiti, è oro. È oro perché smaltirla illegalmente rende enormi profitti, è oro perché i consorzi hanno a che fare con tutti i comuni, con le istituzioni e sono capaci di determinare equilibri importanti spostando rilevanti somme di denaro, è oro perché attraverso la gestione dei posti di lavoro legati alla filiera dello smaltimento, legale ed illegale, si ha la possibilità di tessere una solida e pervasiva rete clientelare. Soldi, voti e potere.
Un mix del genere mal si concilia con la litania della lotta tra Stato e Anti-Stato che si fronteggiano in una battaglia senza quartiere per la legalità. E lo sanno bene quanti, in provincia di Caserta ma non solo, hanno subìto la dura repressione poliziesca per aver osato opporsi ai progetti criminali generati da questo diabolico intreccio di potere. Lo sanno bene, ad esempio, gli abitanti di Santa Maria La Fossa, che hanno lottato contro l'ennesimo inceneritore made in Campania e targato FIBE, necessario a risolvere il problema rifiuti secondo Commissari Straordinari, Prefetti e Questori ed ora al centro delle dichiarazioni di Gaetano Vassallo. Secondo il pentito che, insieme ad altri cinque, è bene ricordarlo, tira in ballo il sottosegretario Cosentino l’”individuazione dei terreni [avvenne] da parte della criminalità organizzata, [...]
vi fu una forte pressione da parte di Michele e Sergio Orsi, insieme all’onorevole Cosentino e all’onorevole Landolfi (al tempo in cui Landolfi era alla commissione vigilanza RAI) e al sindaco di Santa Maria La Fossa, affinché si costruisse il termovalorizzatore dopo che era fallito il progetto di realizzare una discarica nello stesso posto. Era il periodo subito prima che fosse nominato Catenacci Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti in Campania[...]”. E pensare che Cosentino, l'onorevole Coronella ed il Sindaco di Santa Maria La Fossa, Abbate, andavano pure ai cortei contro l'eco-mostro, ma questa è un altra storia.
Michele e Sergio Orsi, entrambi DS, sono gli imprenditori che gestivano l'ECO4.
Quest'ultimo è stato per anni il braccio operativo per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti del consorzio Ce4, consorzio che raggruppa 18 comuni dell'area casertana.
L'Eco4 è stato oggetto di diverse inchieste che hanno coinvolto boss della camorra, politici (anche di rilievo nazionale, come il mondragonese onorevole Mario Landolfi di AN), imprenditori ed anche uno dei tanti sub commissari all'emergenza rifiuti che si sono susseguiti nel tempo, Claudio de Biasio. Nel 2006 i fratelli Orsi finiscono in manette, accusati di essere il tramite tra la camorra e la politica casertana. Uno dei due, Michele, decide di collaborare con i magistrati. Lo fa cominciando a parlare di un vero e proprio sistema clientelare basato su assunzioni chieste da politici e personalità di vario genere, tra cui spunta anche il Cardinale Sepe, oltre che di irregolarità nel sistema di smaltimento. Michele fa nomi illustri e il 1 giugno 2007, mentre si reca al bar per comprare delle bibite, un commando lo trivella di colpi in una piazza di Casal di Principe. Lo Stato non aveva ritenuto opportuno affidargli una scorta. Al funerale non c'erano rappresentanti istituzionali, a trasportare il feretro un carro funebre di un'azienda sottoposta a sequestro (poi dissequestrata) in un'inchiesta
della Dda sul boss Francesco Bidognetti, «Cicciotto 'e mezzanotte», ras di Casale di Principe ora in carcere. Anche quando muori, in Terra di Lavoro, paghi la tangente.
Secondo il pentito Vassallo in realtà dietro il consorzio ECO4 ci sarebbe l'on.
Cosentino: “quella società song’ io”, avrebbe affermato in uno dei tanti incontri tra i due.Ormai noto è l'episodio della busta gialla, busta contenente la tangente da 50mila euro che i fratelli Orsi, mensilmente, avrebbero dovuto versare al clan Bidognetti.
Sempre secondo Vassallo, la tangente veniva consegnata direttamente nelle mani dell'onorevole di Casal di Principe, a casa sua.
Gaetano Vassallo, tesserato di Forza Italia, socio dell'Eco4 e referente, per sua stessa ammissione, del clan Bidognetti all'interno di tale struttura, è l'uomo che per vent'anni ha inondato la Campania di rifiuti di ogni genere. È uno di quei personaggi che ha permesso a decine, centinaia di aziende di tutta Italia di tagliare i costi per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi prodotti. In che modo? Sversandoli nei terreni della Campania Felix, nelle cave del casertano, devastando il litorale domitio, imbottendo ettari ed ettari di terreno coltivato di scorie, liquami e munnezza d'ogni sorta.
Inondando le discariche fatte per i rifiuti solidi urbani, il celeberrimo 'tal quale', di rifiuti speciali che non sarebbero mai dovuti finire li dentro. È chiaro allora, il motivo per cui le popolazioni campane da un certo punto in poi hanno cominciato a protestare contro un sistema che inquinava ed inquina la terra in maniera irreversibile, che trasforma la monnezza in oro, che fa schizzare il tasso di morti per tumore a livelli record in molti territori oramai al collasso. Ma risulta essere più chiaro anche il perché per più di 15 anni la gestione del ciclo dei rifiuti in Campania è avvenuto secondo logiche 'emergenziali', attraverso un commissariamento che con poteri speciali e molto poco trasparenti ha sollevato da ogni possibilità di controllo un settore che pare sia stato completamente gestito dalla camorra. Molte delle discariche abusive di cui parla Vassallo sono state direttamente o indirettamente legalizzate dallo Stato attraverso i Commissari di volta in volta succedutisi, in nome dell'emergenza, della salute pubblica e della legalità.
Vero eroe dei nostri tempi, mi verrebbe da dire, con un pizzico di umorismo noir, Gaetano Vassallo afferma di aver conosciuto il sottosegretario Cosentino prima della costituzione dell'Eco4 quando, su invito diretto di «Cicciotto 'e mezzanotte», alias Francesco Bidognetti boss di spicco del clan dei casalesi, si incontrò con il politico che, a dire suo e di altri pentiti, era stato prescelto dal clan come uomo da sostenere politicamente alle scadenze elettorali.
Vassallo, anche in questo caso, era l'uomo giusto nel momento giusto, una sorta di 'grande elettore' che con le sue conoscenze e la famiglia allargata di cui faceva parte, forniva sistematico appoggio elettorale agli uomini indicati dal clan dei casalesi.
Il quadro che emerge, insomma, rappresenta un sistema di potere che si fonda su una stretta commistione tra criminalità organizzata e politica all'insegna del profitto.
Montagne di soldi ricavati controllando l'intero sistema di smaltimento dei rifiuti, che andavano a finanziare investimenti e business sempre maggiori, specie in settori in cui l'appoggio delle istituzioni, per avere permessi e coperture legali, è fondamentale.
Una delle nuove frontiere del profitto assicurato è, per esempio, quella dell'energia.
Un recente caso giudiziario ha mostrato come, anche in questo settore, la corruzione e la longa manu dei clan si mescolano in un intrigo perverso. Parliamo del grande business delle centrali elettriche.
Il 28 Aprile del 2009 la Guardia di Finanza di Caserta esegue 23 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di soggetti responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, alla corruzione, alla rivelazione di segreti di ufficio ed alla realizzazione di falsità in atti pubblici. Oggetto dell'inchiesta è la realizzazione di una centrale a “Biomasse vergini” nel territorio del comune di Pignataro Maggiore, nell'Agro Caleno. La maggior parte degli indagati sono personaggi pubblici, la maggioranza legati al PD, che rivestono importanti cariche politiche, sia a livello provinciale che regionale: oltre a funzionari del Genio Civile di Caserta, assessori comunali e lo stesso sindaco PDL di Pignataro Maggiore Giorgio Magliocca, tra gli indagati figurano anche Gianfranco Nappi, capo della segreteria politica di Bassolino, l'assessore regionale Cozzolino e l'assessore con delega alle attività produttive della provincia di Caserta Capobianco. Secondo gli inquirenti, dietro la costruzione della centrale della “Biopower” ci sarebbe un complesso giro di tangenti. Quello che di inquietante emerge dalle intercettazioni è che con ogni probabilità il modus operandi per la realizzazione della centrale in oggetto fosse un vero è proprio sistema utilizzato consuetudinariamente per la attuazione di opere simili. Gli atti sono stati secretati, ma dalle indiscrezioni sembrerebbe che tale sistema possa aver riguardato la realizzazione di un altra, contestatissima, centrale elettrica stavolta a turbogas, entrata in funzione nel 2007 e realizzata sempre nell'Agro Caleno, nel vicino comune di Sparanise.
Sorta nell'area, ormai lottizzata, della ex Pozzi, una fabbrica di piena era fordista che occupava migliaia di lavoratori e che rappresentava il cuore non solo produttivo ed economico dell'area, la centrale termoelettrica di Sparanise è stato uno degli impianti più contestati e discussi realizzati in Campania negli ultimi anni. Eppure, nonostante le lotte della popolazione schiacciata tra la paura dei poteri forti e la preoccupazione per il proprio futuro, la centrale termoelettrica da 800 Megawatt è stata sostenuta da un impressionante schieramento bi-partisan. Ognuno ha fatto la sua parte, dal maresciallo dei carabinieri che intimoriva i giovani ambientalisti, agli uomini della DIGOS che si presentavano a bussare alle case degli agricoltori contrari, dal sindaco forzista d'allora Antonio Merola pronto a fornire il sito idoneo per un impianto del genere, fino all'assessore regionale DS Cozzolino che definì la centrale “un esempio di Campania positiva”.
Se come esempio di Campania positiva prendiamo un eco-mostro totalmente inutile che sorge in un luogo dove prima venivano impiegate migliaia di persone, se come modello di politica del territorio prendiamo un lembo di terra con un valore archeologico inestimabile sventrato dalla TAV, riempito di rifiuti e asfissiato dalle polveri sottili di mezzi pesanti e centrali, allora è alquanto evidente che ci troviamo sull'orlo del baratro.
Ma anche ora, con calma, procediamo per gradi. Per fortuna la storia non la fanno solo le Procure, la magistratura ed i giudici. Per fortuna, certe volte, la cronaca giudiziarie viene a valle di eventi molto più complessi di cui protagoniste sono le persone, i loro sogni, le loro lotte. E la storia della centrale termoelettrica di Sparanise fa parte di una più ampia storia che vede un gruppo di persone scegliere la strada dell'opposizione sociale, la strada dell'autonomia e dell'indipendenza praticate in un territorio che lascia poco spazio sia all'una che all'altra. Il centro sociale Tempo Rosso, occupato dal '99, nasce a Pignataro Maggiore e da subito entra in rotta di collisione con l'apparato politico che fin qui abbiamo visto descritto, tutto intento ad assicurarsi che gli affari, quelli degli amici soprattutto, vadano a buon fine.
In un articolo del 2003, a firma di uno sconosciuto Roberto Saviano per conto de “Il Manifesto” le dichiarazioni degli attivisti di Tempo Rosso, anticipatrici di quanto emergerà molti anni dopo in una inchiesta ad opera del settimanale “L'Espresso”: «Noi siamo contrari ad un sud che per rilanciarsi economicamente diventi l'immondezzaio d'Italia. Serve energia e quindi edifichiamo centrali che genereranno enormi danni [...]. La centrale a nostro avviso serve solo a far rimpinguare le tasche di alcuni esponenti del centrodestra che sono i proprietari delle terre [...]». Ed è così che ritorniamo là dove eravamo partiti.
Sul finire degli anni novanta l'Immobiliare 6C, di proprietà della famiglia Cosentino, acquista ad un prezzo di favore parte dei terreni dell'area industriale ex Pozzi dalla SCR, società con capitali provenienti dalla Campania ma con sede legale a Roma. Il prezzo di vendita di tali terreni è talmente basso (310 milioni di lire) che, nonostante la SCR sia una società anonima, la circostanza ingenera forti sospetti che abbia un legame con la famiglia Cosentino. Ma questo è solo un indizio, occorre andare oltre per farsi un'opinione più precisa.
La SCR, nel 1999, aveva acquistato in verità la totalità dei terreni dell'area ex Pozzi disponibili, per più di 2 milioni di euro, e nel 2001 rivende ad un prezzo molto elevato ciò che le resta dopo la cessione alla 6C dei Cosentino. Ad acquistare, questa volta, è una municipalizzata, la AMI, azienda municipalizzata di Imola.
Quest'ultima, però, pone una precisa condizione: pagherà a patto che le autorità permetteranno la realizzazione di una centrale termoelettrica turbogas su quei terreni.
Il caso ha voluto che, pochi mesi prima che tale accordo fosse stato stipulato, il sindaco di Sparanise, il forzista Antonio Merola notoriamente vicino a Cosentino, individua proprio quei terreni come idonei a costruire la centrale. Un raro esempio di lungimiranza della politica. L'affare è concluso, la Ami si fonde in Hera e, insieme alla SCR, nel 2004 mettono sul mercato il pacchetto di terreni ed autorizzazioni per la realizzazione dell'impianto. Il gruppo svizzero Egl compra tutto. Dall'operazione la SCR guadagna complessivamente ben 10 milioni di euro e si garantisce un flusso di 1 milione di euro l'anno grazie all'ottenimento di una partecipazione che vale il 5% degli utili prodotti dalla vendita dell'energia. A questo punto, arriva un secondo indizio: indovinate da chi si fa rappresentare l'anonima SCR nel consiglio di amministrazione di Hera Comm Med? Dall'imprenditore Giovanni Cosentino, fratello di Nicola.
Non sappiamo con certezza se in questa vicenda, oltre alla prontezza di riflessi della politica nell'assicurare il buon esito di affari che riguardano potentati economici legati a familiari dei politici stessi, vi sia anche un giro di tangenti. Quello che è certo è che il bene comune sembra essere sparito dall'agenda di amministratori del calibro di Merola. Così come resta evidente che, in tempi non sospetti, le denunce dei cittadini sono state ignorate e le autorità dello Stato, non solo quelle elettive e quindi politiche, si sono guardate bene non dico dall'intervenire ma finanche dall'assumere un atteggiamento imparziale.
Il caso dell'ex prefetto di Caserta Elena Maria Stasi, colei che fece avere il tanto agognato certificato antimafia all'Aversana Petroli, l'azienda madre della famiglia Cosentino, quella a cui erano diretti i serbatoi di gpl esplosi a Viareggio il giugno scorso, è emblematico a riguardo. Il certificato antimafia è indispensabile per
permettere alle aziende di avere rapporti con la pubblica amministrazione. Ed analizzando la posizione dei titolari dell'azienda, i fratelli Cosentino, la Prefettura di Caserta, nel 1997, la nega all'Aversana Petroli: Giovanni, è sposato con la figlia del boss defunto Costantino Diana, Mario è sposato con Mirella Russo sorella di Giuseppe Russo, alias 'Peppe 'u Padrino', condannato all'ergastolo per associazione mafiosa e omicidio e un terzo fratello, Antonio, è stato beccato nel 2005 in compagnia di un soggetto con precedenti per tentato omicidio, associazione mafiosa e tentata estorsione. Il Tar del Lazio, al quale i Cosentino presentano ricorso, conferma: “[...]ragionevolmente può dedursi che sussisteva il pericolo di infiltrazione mafiosa". Ma il nuovo prefetto, utilizzando una procedura usata molto raramente, sollecita il comitato per l'ordine e la sicurezza a riconsiderare il caso. L'Aversana Petroli ottiene il certificato antimafia senza il quale rischiava di vedere bloccata la propria espansione. Alle ultime elezioni Elena Maria Stasi viene candidata in un collegio blindato nelle liste del PDL e diviene Deputata con il sostegno esplicito del sottosegretario Cosentino.
A lei il compito di difendere gli interessi dell'abusivismo edilizio, altro terreno privilegiato della cosca cosentino: le sue proposte di legge spaziano infatti dalle "Disposizioni per accelerare la definizione delle pratiche di condono edilizio" alle "Disposizioni per la sospensione dell'esecuzione delle demolizioni di immobili nella regione Campania a seguito di sentenza penale di condanna".
Il 9 dicembre 2009 la Camera dei Deputati respinge la richiesta di arresto per concorso esterno in associazione mafiosa e salva Nicola Cosentino dal carcere. Tra i deputati del centro-destra che festeggiano l'esito del voto, l'ex-prefetto è lì, applaude felice, seduta al fianco del boss parlamentare.
Da T. L. per Spider Truman


Fenomenologia dei finlandesi. Ecco perché Helsinki vuole più garanzie per il salvataggio della Grecia. - di Giulia Crivelli.



HELSINKI - Nei prossimi giorni dovrà essere esaminato, per ricevere poi l'alt o l'ok da parte dei paesi dell'eurozona, l'accordo bilaterale tra Grecia e Finlandia sulle garanzie che la seconda ha richiesto per partecipare al nuovo pacchetto di aiuti ad Atene.

Secondo Moody's, tutti gli stati membri coinvolti nel salvataggio della Grecia, riuniti in una task force ad hoc che si occupa della messa in atto del secondo piano di assistenza finanziaria al Paese, dovranno valutare se quanto preteso da Helsinki e concesso da Atene sia in linea con gli impegni sottoscritti dai leader dell'Eurogruppo il 21 luglio scorso a Bruxelles. Ma cosa passa per la testa del Governo finlandese, guidato per altro da un partito eurocentrico? Come si giustifica quella che – in un momento in cui l'Europa e il mondo sembrano sull'orlo del precipizio – può sembrare una mossa suicida? Per capirlo forse è utile riflettere sull'unicità della Finlandia.

Helsinki è probabilmente l'unica capitale occidentale in cui non circolino Suv. E non perché il clima, per una volta, non ne giustificherebbe l'utilizzo. L'inverno in Finlandia dura praticamente otto mesi, le strade a partire da metà ottobre sono ghiacciate e i Suv sembrerebbero un'ottima soluzione per muoversi. Ma sono sicuramente una soluzione troppo cara per i finlandesi, che se proprio vogliono fare un'esperienza "da ricchi" possono farsi un giro in taxi, quasi tutti Mercedes o Bmw, uniche auto di lusso in circolazione. Il reddito pro-capite dei finlandesi è di circa 3.400 euro al mese, appena inferiore a quello dei tedeschi, ma l'idea di benessere – e di lusso – sembra essere molto diversa da quella della maggior parte dei Paesi europei.

Helsinki non è l'unica capitale senza Suv, è anche l'unica capitale senza le insegne della moda e del lusso globalizzate (ma a ben guardare italiane e francesi). Nella città dove vivono poco meno di 600mila persone, più del dieci per cento della popolazione totale (5.6 milioni), nella strada del centro più famosa, Pohjaisesplanadi, che per bellezza imperiale ricorda la berlinese Unter den Linden, l'unico negozio che riporta alle strade dello shopping delle altre capitali del mondo è Louis Vuitton. Tra gli italiani, spiccano le insegne del gruppo Max Mara, ma per trovare altri marchi del made in Italy bisogna iniziare una sorta di caccia al tesoro.

È pur vero che i negozi di abbigliamento hanno spesso nomi "italianeggianti", come Veromoda e Ginatricot, restiamo evidentemente il simbolo dello stile, ma i prezzi medi sono molto più bassi e i negozi più grandi con nomi familiari a noi consumatori occidentali appartengono alle catene del fast fashion, H&M e Zara in primis. Per gli alimentari è lo stesso: le insegne della grande distribuzione europea non sono riuscite a colonizzare il Paese, con l'eccesione della tedesca Lidl, che peraltro deve fare i conti con la concorrenza degli hard discount locali, disposti a macchia di leopardo in ogni centro abitato.

La Finlandia è il paese di Alvar Aalto, l'architetto e designer che trovò una sintesi affascinante tra razionalismo e architettura organica, senza mai dimenticare di inserire nelle sue opere gli elementi che considerava rappresentativi e identificativi del suo Paese, a partire dall'utilizzo di materiali naturali. Tutto, a Helsinki, ma anche nell'antica capitale Turku, echeggia di razionalismo "alla finlandese" e di nordica essenzialità. La locale idea di benessere, o se vogliamo di consumismo, ha poco a che vedere con la nostra: si vede da come sono vestite le persone, giovani o vecchie, e da come sono arredati negozi, appartamenti, ristoranti.

C'è tutto quello che serve – comprese connessioni wi-fi gratuite in ogni angolo della città e uffici postali aperti tutti i giorni fino alle 20 - e pure alcune cose che a molti europei possono sembrare superflue, come la sauna: in Finlandia ce ne sono due milioni per 5,6 milioni di abitanti. Manca il superfluo che noi siamo ormai abituati a considerare necessario. In compenso ci sono servizi pubblici efficientissimi e un welfare avvolgente: i cittadini finlandesi hanno diritto a un'istruzione gratuita compresa di libri scolastici fino all'università e ricevono una "paghetta" dallo stato fino al compimento del 17esimo anno.

Il congedo di maternità dura nove mesi. Un periodo in cui le madri ricevono il 100% dello stipendio. Poi possono scegliere di tornare al lavoro o di restare a casa per altri due anni e mezzo, senza essere pagate ma con la garanzia che il posto di lavoro resti loro. Il sistema scolastico è tra i migliori al mondo e lo stesso vale per quello sanitario, praticamente gratuito per tutti. La Finlandia è l'unico paese della terra ad avere istituito un registro delle malattie che hanno colpito ogni singolo suo cittadino a partire dal 1900, una pratica che consente studi statistici ed epidemiologici che in ultima analisi razionalizzano la spesa sanitaria. Tutto questo ha un costo, ovviamente: la pressione fiscale è altissima, ma i finlandesi sembrano aver sottoscritto questo solidissimo patto sociale con grande convinzione.

Lo stato li accudisce e si fida di loro e loro si fidano dello Stato. O viceversa. Non mancano le ombre, trattandosi pur sempre di un consesso umano e non dell'isola di Utopia: la disoccupazione giovanile ad esempio è piu' alta della media europea e i tassi di alcolismo e suicidio anche. Ma in tempi di recessione globalizzata la Finlandia sembra comunque un'isola felice, che vuole difendere la sua diversità e il suo modello – come dimostra l'atteggiamento nei confrontoi della Grecia – e che forse potrebbe insegnare qualcosa a tutti noi.

Nel museo dell'antica Turku (capitale fino al 1812, una città fondata ufficialmente nel 1229 ma dove i primi insediamenti risalgono alla preistoria), si ricorda che nel periodo del suo maggiore sviluppo, tra il 1600 e il 1700, le autorità locali cominciarono a preoccuparsi per l'eccessivo diffondersi di piccoli lussi quotidiani, come il consumo di dolci glassati e l'acquisto di sofisticate carte da gioco o, peggio ancora, di vestiti in tessuti pregiati: "L'economia della città era fiorente, anche grazie alla crescente presenza di mercanti di ogni genere, ma furono prese tutte le misure necessarie per frenare la corsa al consumismo, che si riteneva avrebbe minato la solidità finanziaria di Turku». Che sia una lezione ancora valida?