mercoledì 17 aprile 2024

L'Epopea di Gilgamesh: caratteristiche e significato del poema.

Storia e significato del mito di Gilgamesh, nella cui epopea è narrata la ricerca dell'immortalità. Di cosa parla il poema mesopotamico

  1. L'Epopea di Gilgamesh
    1. Riassunto
      1. Il mito dell'immortalità
        1. Chi era Gilgamesh

        L'Epopea di Gilgamesh

        Statua di Gilgamesh
        Fonte: Getty-Images

        L’Epopea di Gilgamesh è uno dei poemi epici più antichi della storia dell’umanità, ed è ambientata nella città sumerica di Uruk. Il poema di Gilgamesh risale, infatti, al III secolo a.C., molto prima dei poemi di Omero (Iliade e Odissea).

        Le versioni iniziali dell'Epopea di Gilgamesh si fanno risalire intorno al 2000 a.C. e sono state originariamente redatte in forma numerica. Un gran numero di tavolette che narrano le gesta di Gilgamesh sono state scoperte in varie regioni della Mesopotamia e nelle terre di quelle culture che hanno avuto interazioni con l'impero assiro-babilonese. Il documento più antico che menziona Gilgamesh è datato tra il 2200 e il 2400 a.C. ed è stato scoperto nella biblioteca di Ebla, situata nell'odierna Siria. Sono state inoltre scoperte altre tavolette in Anatolia, scritte in lingua elamita, così come in Palestina e in altre aree della Mesopotamia.

        Le versioni dell'Epopea di Gilgamesh che possediamo oggi non sono in realtà originali del XII secolo, ma sono state trascritte nuovamente dagli scribi nel corso dei secoli. La versione più famosa e meglio preservata consiste in 11 tavolette d'argilla, che sono state ritrovate nella Biblioteca del Palazzo Reale di Assurbanipal, re assiro dal 669 a.C. al 628 a.C., nella città di Ninive. Oggi, questa epopea è riconosciuta come un tesoro culturale per l'intera umanità, al livello di opere immortali come la Divina Commedia, l'Iliade, l'Odissea e il Faust di Goethe.

        Riassunto.

        L’Epopea narra le gesta di Gilgamesh, sovrano sumero della città di Uruk (città sorta nelle vicinanze del Golfo Persico, oggi Iraq) alle prese con il più drammatico problema dell’uomo: la morte.

        All’inizio dell’opera, Gilgamesh viene descritto come possente ed eroico sovrano che si comporta da tiranno con il suo popolo fino a quando intervengono gli dèi che decidono di opporgli Enkidu. Enkidu è una creatura selvaggia ed animalesca, in contrasto con la cultura e la raffinatezza di Gilgamesh; forte e robusto quanto il dio sumero, vive sulle montagne con gli animali selvatici e non ha mai conosciuto un essere umano. Un giorno, incontrandosi con una donna perde la sua forza selvaggia e acquisisce intelligenza e sapere. Enkidu si reca ad Uruk per combattere contro Gilgamesh: lo scontro finisce in parità e tra loro nasce un forte legame di amicizia che li porterà ad essere inseparabili e a superare molte avventure eroiche insieme.

        Enkidu e Gilgamesh sono invincibili: insieme combattono ed uccidono Khubaba e il Toro Celeste. Gli dèi contrari alla morte di queste figure decidono di far morire Enkidu. Enkidu viene colpito da una misteriosa malattia e muore.

        Il mito dell'immortalità.

        Gilgamesh addolorato per la perdita del suo caro amico si trova per la prima volta ad affrontare il problema della morte: teme la morte e decide di cercare l’immortalità. Il sovrano sumero inizia un viaggio in cerca di risposte e si rivolge a Utnapishtim, unico uomo sopravvissuto al Diluvio Universale, a cui gli dèi hanno concesso la vita eterna.

        Utnapishtim gli rivela l’esistenza della pianta della giovinezza: il re di Uruk la trova in fondo al mare ma sulla via del ritorno la pianta viene mangiata da un serpente. Gilgamesh sconfitto, torna ad Uruk e accetta il suo destino di uomo mortale e muore.

        Chi era Gilgamesh.

        Gilgamesh era il più noto e celebrato sovrano di tutta la Mesopotamia e apparteneva alla prima dinastia di Uruk e il quinto re secondo la Lista Reale sumerica. “Il divino Gilgamesh suo padre è uno sconosciuto signore di Kullab, regnò 126 anni; Urlugal, figlio di Gilgamesh, regnò 30 anni”: Gilgamesh è visto dagli scribi sumerici come un essere divino, suo padre è uno sconosciuto, egli ha un figlio Urlugal che regna dopo di lui.

        Altre fonti parlano dell'eroe Lugalbanda come il marito della dea Ninsun e il padre di Gilgamesh. In altri documenti, Gilgamesh e Urlugal appaiono ancora assieme come padre e figlio. In altre iscrizioni si attribuisce a Gilgamesh la costruzione delle mura di Uruk.

        La lista reale sumerica proviene da Fara, una località dove Gilgamesh era annoverato tra gli dei sumerici. Quindi, il più antico documento a nostra disposizione caratterizza Gilgamesh come un essere divino, spesso invocato nelle iscrizioni reali in qualità di protettore in battaglia.

        https://www.studenti.it/gilgamesh-l-epopea.html#:~:text=Gilgamesh%20era%20il%20pi%C3%B9%20noto,secondo%20la%20Lista%20Reale%20sumerica.

        ANUNNAKI - Leslie Moonves

         

        Una tavoletta d'argilla che porta un testo filosofico molto profondo dell'Epica di Gilgamesh dalla Mesopotamia, e la traduzione del testo è la seguente:

        Dove stai cercando, Gilgamesh?
        Non troverai la vita che cerchi, perché quando gli dei crearono gli umani, decretarono la morte su di loro, e presero il controllo della vita. Quanto a te, Gilgamesh, abbi sempre lo stomaco pieno, sii felice giorno e notte, festeggia ogni giorno della tua vita, balla e gioisci giorno e sera. Rendi i tuoi vestiti puliti e luminosi, lavati con acqua, coccola il bambino tenendoti la mano e rendi felice la moglie tra le tue braccia. Questa è la parte dell'umanità.

        La tavoletta si trova al museo Pergamon, Germania

        LA "MONTAGNA DI MARMO" -

        A Napoli abbiamo la scultura antica più grande del mondo: la cd. "Montagna di marmo".
        Questo straordinario ed imponente gruppo scultoreo, meglio conosciuto come il "Toro Farnese" ma definito "la montagna di marmo" perché ricavato da un unico blocco ed inconsiderazione delle sue grandi dimensioni, rappresenta il supplizio di Dirce, legata ad un toro inferocito da Anfione e Zeto come punizione per le angherie ripetutamente inflitte alla loro madre, Antiope. Al centro campeggia l'immagine del toro, enorme ed imbizzarrito, trattenuto per le corna da uno dei due fratelli, mentre l'altro tiene la fune con la quale la sventurata Dirce sarà ancorata all'animale; ai piedi del gruppo centrale, a destra un cane ed un pastore osservano la scena, mentre alle spalle emerge la figura di Antiope, stante, con il tirso in mano. Il soggetto, con una forte connotazione dionisiaca che viene dalla presenza del toro e dalla raffigurazione di Antiope come baccante, è frequentemente adoperato in pittura, e riecheggia una famosa opera di due artisti rodii, Apollonio e Taurisco, trasferita a Roma, stando alla testimonianza di Asinio Pollione, alla fine del II sec. a.C. La colossale opera fu rinvenuta durante gli scavi nelle Terme di Caracalla, il Toro giunse a Napoli via mare, nel 1788 per volontà del Re Carlo di Borbone fu destinato come fontana meravigliosa a impreziosire le bellezze di Napoli capitale del Regno delle Duesicilie ! Attualmente si trova nel Museo Archeologico di Napoli.