venerdì 2 ottobre 2020

La tangente di Angelucci. E i pm volevano arrestarlo. - Valeria Pacelli e Vincenzo Bisbiglia

 

Roma - Il deputato di FI indagato: “Promise 250mila euro all’assessore alla Sanità del Lazio”. Respinti i domiciliari per una presunta evasione.

La tegola giudiziaria che cade sulla testa del deputato di Forza Italia, Antonio Angelucci, porta la firma di Alessio D’Amato. È l’assessore alla Sanità della Regione Lazio che ha denunciato una presunta offerta da parte dell’editore dei quotidiani Libero e Il Tempo, di una mazzetta (rifiutata) da 250mila euro. Così Angelucci ora rischia il processo per istigazione alla corruzione e per un episodio di corruzione. Accuse che il deputato respinge, dichiarando la propria totale estraneità ai fatti contestati. L’indagine intanto è stata chiusa, atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio.

Ma a Roma il deputato ha anche un’altra grana da risolvere: nei suoi confronti c’è stata, nei giorni addietro, anche una richiesta di rinvio a giudizio per un’ulteriore vicenda, quella che lo vede indagato di associazione per delinquere finalizzata alla omessa dichiarazione. È questa un’altra vicenda per la quale, come ricostruito dal Fatto, più di un anno fa la Procura aveva addirittura chiesto gli arresti domiciliari per Angelucci, rigettati dal gip dopo molti mesi. Ma procediamo con ordine.

Partiamo dunque dall’accusa di istigazione alla corruzione. La vicenda rientra nell’ambito di un “tavolo di conciliazione” avviato dell’allora prefetto di Roma alla luce di una “crisi occupazionale minacciata dal Gruppo San Raffaele, che non vedeva riconosciute le proprie pretese economiche”. Secondo i pm, il deputato “in quanto esponente della famiglia Angelucci, proprietaria di numerose strutture sanitarie accreditate con la Regione Lazio facenti capo al ‘Gruppo San Raffaele’”, nel 2017 durante un incontro in Regione, ha promesso a D’Amato il pagamento di 250mila euro, di cui 50mila “consegnati subito” qualora il dirigente avesse avallato la sua richiesta. Ossia quella di sbloccare il pagamento di pretesi crediti del San Raffaele di Velletri al quale la Regione aveva revocato l’accredito “a causa di gravi irregolarità”, “cui era conseguito – riporta il capo di imputazione – un procedimento penale, allora pendente”. Una richiesta che D’Amato riteneva “infondata e irricevibile”. Ed è proprio l’assessore che denuncia la presunta tangente promessa: “Sono convinto – spiega D’Amato – che quando un pubblico ufficiale viene a conoscenza di una notizia di reato, peraltro di tale gravità, debba sempre rivolgersi alle autorità”.

In questo caso la corruzione quindi non si concretizza. A differenza, secondo i pm, di un altro episodio contestato ad Angelucci. Stavolta sotto accusa ci è finito pure Salvatore Ladaga, indagato per corruzione per l’esercizio della funzione. Si tratta del coordinatore di Forza Italia a Velletri, suocero, tra l’altro, di Gabriele Bianchi (dal quale ha preso le distanze), il giovane accusato assieme ad altri tre dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte. Per i pm, Ladaga, allora consigliere comunale di Velletri, in attesa di riconferma alle elezioni del 2018, avrebbe agito per “favorire le iniziative imprenditoriali di Angelucci e in particolare la riapertura della casa di cura San Raffaele Velletri”.

A Roma però Angelucci risulta indagato anche per un’altra vicenda, per la quale la Procura più di un anno fa ha chiesto i domiciliari, rigettati dal gip Maria Paola Tomaselli. In questo caso i pm prospettano l’esistenza di “una associazione per delinquere transazionale promossa e capeggiata da Antonio Angelucci finalizzata a commettere reati (…) in relazione alla omessa dichiarazione in Italia dei redditi delle società denominate Spa di Lantigos Sca e T.h.S.A”. Si tratta di società di diritto lussemburghese che, secondo i magistrati, avrebbero “il carattere di capogruppo della holding Angelucci” e che non dispongono di “un’autonoma organizzazione ” e che “consentirebbero di occultare il patrimonio di Angelucci operando all’occorrenza, – come ricostruisce il gip – tramite un complesso meccanismo, il finanziamento delle società del gruppo secondo le decisioni assunte dall’indagato”.

Il deputato non risulta avere ruoli in nessuna società né in Italia né all’estero. In ogni modo, secondo i magistrati, l’evasione risalirebbe agli anni di imposta dal 2008 al 2013 “sia in relazione alla omessa dichiarazione dei redditi” delle società lussemburghesi “sia in relazione alla dichiarazione delle persone fisiche”. Ma per il giudice non ci sono elementi per dimostrare la reiterazione del reato e quindi la richiesta di domiciliari è stata rigettata.

(foto: ilFQ)

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Caso Becciu, intrighi e dossier: lo scandalo finanziario è una resa dei conti tra prelati. E spuntano 700mila euro finiti in Australia. - Francesco Antonio Grana

 

Accuse di dossieraggi fabbricati ad arte con lo scopo di mettere alla gogna mediatica i propri nemici: in Vaticano è iniziata una stagione di veleni. A parlare è uno degli indagati, monsignor Alberto Perlasca, coinvolto nell’inchiesta sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue: ha deciso di collaborare coi magistrati vaticani puntando il dito contro il cardinale Angelo Becciu, al tempo degli avvenimenti contestati sostituto della Segreteria di Stato, ovvero suo diretto superiore.

Dagli intrighi finanziari alla stagione dei veleni. L’inchiesta sugli scandali economici della Segreteria di Stato si infittisce e appare sempre più come una vera e propria resa dei conti all’interno del Palazzo Apostolico Vaticano. Accuse di dossieraggi fabbricati ad arte con lo scopo di mettere alla gogna mediatica i propri nemici. A parlare è uno degli indagati, monsignor Alberto Perlasca, coinvolto nell’inchiesta sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenueall’epoca dei fatti capo ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato. Licenziato e cacciato via dal servizio diplomatico della Santa Sede, il prelato, però, non è tornato nella sua diocesi di Como e ha deciso di collaborare coi magistrati vaticani puntando il dito contro il cardinale Angelo Becciu, ex prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ma al tempo degli avvenimenti contestati sostituto della Segreteria di Stato, ovvero diretto superiore di Perlasca.

Immediata la replica del porporato che, attraverso il suo legale, ha fatto sapere che “esprime estremo stupore e dolore, denunciandone la plateale falsità. Pur compatendolo, umanamente e cristianamente, per il difficile momento personale che sta attraversando a causa dell’indagine che lo vede coinvolto ed in relazione alla quale con tali presunte dichiarazioni si starebbe difendendo, Sua Eminenza respinge decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa, che si vorrebbero utilizzati a fini diffamatori nei confronti di alti prelati. Trattandosi di fatti scopertamente falsi, – ha aggiunto il legale di Becciu – ho ricevuto espresso mandato di denunciarne la diffamatorietà da qualunque fonte provengano, a tutela del suo onore e della sua reputazione, innanzi alle competenti sedi giurisdizionali”. Il segnale eloquente che ormai la guerra, anche fra gli indagati, ha raggiunto l’apice.

Ma non è tutto. Ai magistrati del Papa, infatti, Perlasca ha parlato anche di un bonifico di 700mila euro su un conto australiano effettuato proprio mentre il cardinale George Pell, ex prefetto della Segreteria per l’economia, veniva processato per pedofiliaAccusa dalla quale l’Alta Corte del suo Paese lo ha assolto all’unanimità. Ad ammettere, però, che qualcosa, nella gestione delle finanze vaticane, non è andata è proprio il successore di Pell, l’attuale prefetto della Segreteria per l’economia, padre Juan Antonio Guerrero Alves. “È possibile – ha spiegato il sacerdote gesuita – che, in alcuni casi, la Santa Sede sia stata, oltre che mal consigliata, anche truffata. Credo che stiamo imparando da errori o imprudenze del passato. Ora si tratta di accelerare, su impulso deciso e insistente del Papa, il processo di conoscenza, trasparenza interna ed esterna, controllo e collaborazione tra i diversi dicasteri. Abbiamo inserito nei nostri team professionisti di altissimo livello. Oggi esiste comunicazione e collaborazione fra i dicasteri di contenuto economico per affrontare queste questioni. La collaborazione è un grande passo in avanti. Segreteria di Stato, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e Segreteria per l’economia collaborano di buon grado. Possiamo certamente commettere errori, sbagliare o essere truffati, ma mi sembra più difficile che questo accada quando collaboriamo e agiamo con competenza, trasparenza e fiducia fra noi”.

Il riferimento, nemmeno tanto velato, è alla rete di finanzieri che hanno lucrato sugli investimenti della Segreteria di Stato. Un giro di affari di milioni di euro tra consulenze fittizie, società aperte per far lievitare i costi, soldi portati in Svizzera, truffe, ricatti e corruzioni. Per i pm della Santa Sede, un personaggio chiave è sicuramente Fabrizio Tirabassi, all’epoca dei fatti minutante dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato e poi licenziato durante l’inchiesta. Per l’accusa, è lui che “ha fornito il suo contributo alla realizzazione dell’operazione Gutt Sa che si è conclusa con un esborso di 15 milioni di euro senza alcuna plausibile giustificazione economica”. È lui ad aver seguito in prima persona le manovre della società lussemburghese posseduta da Gianluigi Torzi e i magistrati non gli credono quando sostiene di essere stato raggirato.

Perché Tirabassi, da 30 anni al servizio del Vaticano, è un commercialista competente, oltre a essere “molto attivo nel proporre investimenti con i fondi della Segreteria di Stato ai vari gestori patrimoniali, stabilendo con essi attività anche a titolo personale”. Un funzionario con tanto di conto allo “Ior (saldo pari a 700mila euro) alimentato esclusivamente dagli emolumenti a lui liquidati dalla Santa Sede ma che egli non ha mai movimentato”. Disponibilità patrimoniali che, per i magistrati, “non solo appaiono sproporzionate rispetto alla retribuzione a lui erogata dalla Segreteria di Stato, ma che, alla luce delle investigazioni, rendono plausibile l’ipotesi che Tirabassi abbia commesso il reato di corruzione o concorso in appropriazioni indebite”. A cui si aggiunge quello di peculato, perché “sono evidenti le collusioni con Enrico Crasso, con il quale era certamente d’accordo per utilizzare i fondi per finalità diverse da quelle istituzionali”. Ed è proprio Crasso a introdurre, nel 2012, il finanziere Raffaele Mincione in Vaticano. Secondo i pm, “nonostante la Segreteria di Stato sia stata messa in guardia nell’ultimo anno circa l’attività di Crasso, continua a dargli fiducia e a non togliergli la delega a operare sui propri conti correnti”.

Un giro di finanzieri che, all’ombra del Cupolone, speculava sui soldi della Segreteria di Stato, compresi quelli dell’Obolo di San Pietro destinato alla carità del Papa. Intanto, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha pagato l’ultima tranche di 45 milioni, su 150, per riscattare il palazzo di Sloane Avenue. Ciò mentre, come ha spiegato padre Guerrero Alves, la Segreteria di Stato “ha portato tutti i suoi fondi allo Ior e all’Apsa e parteciperà al processo di centralizzazione degli investimenti, con una gestione più tecnica e professionale”. Precisando che non è esatto parlare di “perdita del portafoglio” da parte della Segreteria di Stato: “La gestione sarà fatta in altro modo, come accade agli altri dicasteri che hanno un portafoglio. In questi mesi ho visto che in Vaticano, come nel resto della Chiesa, c’è un sacro rispetto per la destinazione dei fondi, per la volontà espressa dai donatori. Quando una donazione è stata accettata per uno scopo specifico, questo viene rispettato. Molti dei fondi gestiti dalla Segreteria di Stato sono stati ricevuti per uno scopo specificato, sempre naturalmente legato alla nostra missione. Se i fondi saranno gestiti da un altro ente, dovranno rimanere associati a quello scopo, con gli stessi beneficiari”.

Twitter: @FrancescoGrana

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Il “Pastrocchium” di Zinga sembra la riforma di Renzi. - Giacomo Salvini

 


Scontro giallorosa sulla legge elettorale.

Tanti saluti alle riforme puntuali della Costituzione come il taglio dei parlamentari. Anzi: sì alla riproposizione di alcune – le peggiori – modifiche volute dalla coppia Renzi-Boschi nel 2016 e già bocciate dagli elettori. Sta tutta qui la riforma costituzionale presentata ieri al Nazareno dai vertici del Pd. Ma di nuovo nella proposta ispirata da Enzo Cheli e Luciano Violante c’è solo il ruolo del Parlamento che si riunirà in seduta comune sia per dare e togliere la fiducia al governo, sia per votare il Bilancio che per le comunicazioni del premier prima e dopo il Consiglio Europeo. Sul resto la grande riforma Pd è una minestra riscaldata di proposte ripescate dal ddl Renzi-Boschi e nuove regole per rafforzare il ruolo del governo legando di fatto le mani al Presidente della Repubblica con il meccanismo della sfiducia costruttiva alla tedesca.

Dalla riforma Renzi questo progetto ripesca un Senato depotenziato e che dovrebbe fare da collegamento con le Regioni. In primo luogo, con un nuovo “bicameralismo temperato”, le due Camere avranno un potere diverso sul processo legislativo: la supremazia spetterà all’aula di Montecitorio che avrà l’ultima parola sulle leggi ordinarie, mentre resta il bicameralismo paritario per le leggi elettorali e costituzionali. I senatori avranno il potere d’inchiesta e sulle politiche pubbliche con impatto sui territori, mentre nel processo ordinario saranno praticamente inutili: potranno esaminare le leggi approvate a Montecitorio entro 15 giorni e fare delle modifiche, ma la parola finale spetterà comunque alla Camera. Al Senato tornerebbe anche il dopo-lavoro per i consiglieri regionali: ai 200 senatori si aggiungono 21 consiglieri eletti dalle assemblee locali che dovrebbero fare la spola tra Rome e i capoluoghi. Ma ancora una volta il loro mandato sarebbe legato a quello dei consigli regionali (creando molta confusione).

Il presidente del Consiglio poi sarà rafforzato: avrà il potere di proporre al capo dello Stato la revoca di un ministro, ci vorrà la maggioranza assoluta per la sfiducia e viene introdotto il meccanismo della sfiducia costruttiva come in Germania indicando nella mozione chi dovrebbe guidare il prossimo governo. Problema: questa modifica rischia di esautorare i poteri del Capo dello Stato di nomina del premier visto che nella forma di governo italiana, rispetto a quella tedesca, il presidente non ha solo un potere formale ma sostanziale. La proposta non piace al M5S: “No alle riforme monstre e agli annunci di parte” dice il capogruppo alla Camera Davide Crippa e lo scontro continua anche sulla legge elettorale. Zingaretti ha detto che la soglia del 5% “non è in discussione” facendo arrabbiare LeU e che alle preferenze preferisce i “collegi uninominali sul modello delle province” incontrando l’ostilità di Italia Viva: “Sì alle preferenze, no al Provincellum” dice Maria Elena Boschi. Risultato: per il primo voto si dovrà aspettare il 2021.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/il-pastrocchium-di-zinga-sembra-la-riforma-di-renzi/5951358/

A me sa tanto che alla base di tutto ci sia ancora lo zampino di Napy. Ma, forse, è solo una mia fissazione.

Manganello penna e calamaio. - Gaetano Pedullà

 













Se ci fossero ancora dubbi sull’urgenza di vietare i conflitti d’interessi degli editori di tv e giornali, l’ultima richiesta di rinvio a giudizio per il re delle cliniche private Antonio Angelucci (nella foto) chiarisce tutto. La Procura di Roma (leggi l’articolo) accusa l’imprenditore e deputato di Forza Italia di aver tentato di corrompere l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, in cambio di un mucchio di soldi pubblici per una delle sue case di cura. Che i rapporti tra i due fossero pessimi lo avevamo capito tutti, perché da settimane i giornali di Angelucci – Il Tempo e Libero – bombardano D’Amato, riesumando persino inchieste di 15 anni fa e prescritte. Articoli in prima pagina che non ha ripreso nessun altro giornale, tanto era evidente che si trattasse di un regolamento di conti.

Lo stesso Tempo, d’altra parte, ha aumentato gli attacchi a Zingaretti, oltre quelli di sempre alla Raggi, da quando Angelucci ha assunto come vice direttore l’ex presidente della Regione, Francesco Storace, che nel precedente ruolo autorizzò enormi flussi di denaro pubblico verso il Gruppo del suo attuale editore. Di questa vicenda La Notizia ha già scritto (leggi l’articolo), ottenendo da Storace la minaccia di un’azione legale (per cosa?) invece che le dimissioni dal Tempo per una palese inopportunità. Questa storia, niente affatto diversa da mille altre, testimonia quanto la stampa sia usata come una clava dai suoi editori e dai giornalisti che per fare carriera li devono compiacere.

Nessuno però si scandalizza se RepubblicaStampa e Secolo IXX siano della Fiat, Il Sole 24Ore della Confindustria, Il MessaggeroIl Mattino e Il Gazzettino di Caltagirone e così via, con pochissime eccezioni come questo giornale, non a caso più piccolo e spesso maltrattato (ci vedete più nelle rassegne stampa?). Un discorso che si fa ancora più scabroso se guardiamo alle tv, dove al conflitto d’interesse economico si aggiunge quello politico, per l’evidente linea editoriale delle reti Mediaset (Berlusconi) e della lottizzazione nei canali Rai. Possiamo perciò meravigliarci che tutti i giornali e tutte le tv siano schierati contro chi non si piega agli interessi dei loro padroni? Così si sono convinti milioni di italiani che il vecchio sistema è buono e dalla loro parte, mentre l’unico obiettivo è bloccare ogni cambiamento e restaurare la politica che vuol finire di spolparci.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/manganello-penna-e-calamaio/

La Ue ci rimprovera sull’informazione (e ha le sue ragioni). - Peter Gomez


 


Visto che la stragrande maggioranza dei giornali e delle tv, certamente a causa di un’incolpevole svista, ieri non ve l’ha raccontato, oggi ve lo raccontiamo noi. Quasi fossimo un’Ungheria qualsiasi, la Commissione Ue dice che “l’indipendenza politica dei media italiani” è e “resta un problema”. Ricorda che a 15 anni di distanza dai primi allarmi ufficiali, l’Italia non ha ancora una vera legge sul conflitto d’interessi e, nel suo primo rapporto sullo Stato di diritto nell’Unione, ci colloca tra i Paesi a rischio “medio” in materia di libertà di stampa.

Per Bruxelles, da noi “l’influenza politica continua a farsi sentire in modo significativo nel settore audiovisivo” (vedi Berlusconi) e, sia pure in “misura minore”, in quello “dei giornali, a causa dei rapporti indiretti tra gli interessi degli editori e il governo, a livello nazionale così come a livello locale”.

Traduzione: nel nostro Paese la maggior parte degli editori non stampa quotidiani e riviste perché spinta da una sana capitalistica voglia di guadagnare. In Italia invece i grandi editori sono spesso dei signori che fanno i soldi in altro modo: ad esempio con le costruzioni (Caltagirone), con la sanità privata (Angelucci), con le auto (Agnelli-Elkann). Le loro fortune non dipendono dal numero di copie vendute, ma da altri affari molto più remunerativi che dipendono, quelli sì, dalle scelte della politica. Decidere se rendere edificabili o meno delle aree, se accreditare a livello regionale una clinica o se tassare i veicoli più inquinanti fa parecchia differenza nei loro bilanci. Essere proprietari di mezzi d’informazione permette così di blandire gli amministratori nazionali o locali più vicini ai propri interessi e di stangare gli altri. Come? Non solo con opinioni e commenti, ma anche scegliendo quali notizie pubblicare o non pubblicare, o quale rilevanza dare agli articoli. Nelle scorse settimane, ad esempio, prima Il Tempo e poi Libero (editi da Angelucci) hanno dato ampio spazio a una notizia riguardante l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato: l’apertura di un’indagine da parte della Corte dei conti su 275mila euro versati nel 2006 e 2007 dalla Regione a un’associazione a lui riconducibile. Sulla vicenda c’era stata pure un’inchiesta penale per truffa da cui Amato era uscito grazie alla prescrizione.

Attenzione: la notizia era vera ed è giusto che sia stata pubblicata. Quello su cui si deve invece riflettere è la tempistica. La campagna stampa contro D’Amato parte dopo che l’assessore revoca l’accreditamento alla residenza per anziani San Raffaele Rocca di Papa del gruppo Angelucci. Nella Rsa c’erano stati 43 morti per coronavirus e 168 contagiati. E D’Amato, dopo aver constatato che il dirigente sanitario non aveva i titoli per quel ruolo, che le “violazioni dei protocolli”, peraltro redatti da un infermiere, erano state gravissime, era passato all’azione. Un bel danno per il “re delle cliniche romane” Antonio Angelucci, 76 anni, deputato di Forza Italia. In passato, secondo un avviso di chiusura indagini notificato proprio ieri, Angelucci aveva già avuto problemi con D’Amato. Nel 2017, sostengono i pm di Roma, aveva tentato inutilmente di corromperlo con 250mila euro, 50mila dei quali “asseritamente” da consegnare subito, per ottenere l’ok a dei pagamenti in favore di un’altra clinica di Velletri a cui era pure stato revocato l’accreditamento. Vedremo come finirà l’istruttoria. Ma già ora possiamo dire che, con editori così, in Italia tra le mazzette dei giornali e quelle vere è sempre più arduo cogliere le differenze. E in Europa lo sanno.

(foto: da "Silenzi e Falsità" tramite internet)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/la-ue-ci-rimprovera-sullinformazione-e-ha-le-sue-ragioni/5951392/

La Luna Blu e Marte protagonisti del cielo di ottobre.

 














La Luna Blu e Marte, il pianeta più luminoso della prima parte della notte, sono i protagonisti del cielo di ottobre. Entrambi sono pronti a dare spettacolo e la Luna piena, osserva l'Unione Astrofili Italiani (Uai), si affaccerà nel cielo due volte, a salutare l'inizio del mese, e il 31 ottobre a rischiarare la notte di Halloween. La seconda Luna piena in un mese è note per essere la Luna Blu, ma non è prevista nessuna variazione nei colori del nostro satellite naturale: il nome deriva dall'espressione popolare anglosassone "once in a blu moon" ("una volta ogni luna blu"), usata per indicare un evento raro.

L'altro protagonista del cielo di ottobre, Marte, raggiungerà la minima distanza dalla Terra, pari a 62 milioni di chilometri, il 6 ottobre, mentre il 13 il pianeta sarà in opposizione, cioè nella posizione opposta al Sole, rispetto alla Terra, e sarà quindi nelle condizioni migliori di osservazione: visibile per tutta la notte e per alcune settimane sarà il pianeta più luminoso della prima parte della notte. L'opposizione significa infatti che Sole, Terra e Marte sono allineati: al tramonto del Sole dalla parte opposta della volta celeste sorge Marte, che si potrà osservare ad Est nel corso della sera, culminante a Sud nelle ore centrali della notte, ad occidente prima dell'alba.

Nella prima parte della notte saranno visibili anche Giove e Saturno, nella costellazione del Sagittario. Venere resta ancora protagonista del cielo del mattino, luminoso ad Est nelle ore che precedono il sorgere del Sole. Anche il pianeta Urano, sarà in opposizione, il 31 ottobre, e anch'esso sarà nella migliore condizione di osservazione per l'anno in corso, ma è comunque necessario un telescopio, perché non è visibile ad occhio nudo. Il corteo di pianeti luminosi visibile in orario serale genere una sequenza di suggestive congiunzioni con la Luna: Marte e Luna per esempio si incontrano due volte, il 2 e il 29 ottobre, mentre Giove e Saturno formeranno uno spettacolare terzetto con la Luna, il 22 e il 23 ottobre. Durante il mese, infine, saranno visibili numerosi transiti in orario serale della Stazione Spaziale Internazionale.

(foto: Rappresentazione artistica della Luna Blu (fonte: pixy.org ANSA)

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/10/01/la-luna-blu-e-marte-protagonisti-del-cielo-di-ottobre-_21db7675-8821-4ba2-8f4f-7b1a7406f133.html

Natangelo - ilFQ del 2-10-2020

 


Picchiato perchè non li invita a festa, perde un occhio.

 

L'aggressione a Ladispoli, vicino Roma, arrestati dai carabinieri due fratelli pugili.

Aggredito e picchiato davanti alla fidanzata da due fratelli pugili per non averli invitati a una festa. Vittima un 28enne di Ladispoli, vicino Roma, che per le botte ricevute quella sera ha perso un occhio. L'episodio è accaduto il 20 luglio scorso. I due fratelli, insieme al cognato, sono stati arrestati stamattina dai carabinieri della compagnia di Civitavecchia per lesioni personali gravissime. A quanto ricostruito, la vittima conosceva gli aggressori poiché iscritti alla stessa palestra.

Le indagini sono scattate dalla denuncia presentata dalla vittima a fine luglio ai carabinieri della stazione di Ladispoli. Gli investigatori, anche tramite le dichiarazioni di alcuni testimoni, hanno accertato che la vittima conosceva gli aggressori poiché iscritti alla stessa palestra. Quella sera il ragazzo era in compagnia della fidanzata quando ha incontrato la sorella degli aggressori che li ha avvisati di essere in compagnia del 28enne. Così i due fratelli si sono recati sul posto e l'hanno aggredito improvvisamente mentre la sorella (indagata per violenza privata) impediva alla fidanzata di intervenire in suo aiuto. A quanto ricostruito, uno dei due fratelli nutriva rancore nei confronti del 28enne oerché, dopo aver interrotto il rapporto di amicizia con lui per i suoi comportamenti, non li avrebbe invitati a una festa. Dopo tale "affronto" uno dei fratelli avrebbe minacciato con messaggi la vittima, fino alla sera del pestaggio. Uno degli arrestati ha precedenti per reati conto la persona, contro il patrimonio e per uso di stupefacenti. Stamattina i carabinieri della compagnia di Civitavecchia hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Civitavecchia su richiesta della locale Procura, nei confronti dei tre fratelli e del cognato, ritenuti responsabili di lesioni personali gravissime.

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/lazio/notizie/2020/10/02/picchiato-perche-non-li-invita-a-festa-perde-occhio_ded1a217-9b48-45a2-a9f0-aa9ee464b282.html

Reddito di demenza. - Marco Travaglio















Gli storici chiamati fra cent’anni a raccontare l’Italia del 2020 si arrenderanno subito, in preda a terribili emicranie, e cederanno il passo agli psichiatri. Solo un esperto in patologie mentali potrà tentare di spiegare il dibattito pubblico del nostro manicomio quotidiano. Appena sopita, per manifesta demenzialità, la polemica sullo stipendio del presidente dell’Inps, che guadagnava un quarto di decine di suoi dirigenti e ora va a prendere poco più della metà, s’è riaccesa quella sul Reddito di cittadinanza, che dà da mangiare a 3 milioni di persone alla fame più alcune migliaia di ladri e truffatori che risultano sul lastrico e invece guadagnano benissimo in nero e aggiungono pure i 500 euro al mese del Rdc ai loro introiti clandestini. Le perdite per lo Stato, che vanno comunque recuperate con controlli a campione (chi sgarra rischia fino a 6 anni di carcere), sono irrisorie: una manciata di milioni. Nulla al confronto dei danni fatti da altri furbastri, come gl’imprenditori che potrebbero riaprire l’attività, ma preferiscono arraffare i soldi pubblici della cassa integrazione: l’Inps ne ha già beccati 2.700, per un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro (un quarto della spesa annua del Rdc). Ma di questi non si parla mai perché sono amici e colleghi dei padroni dei giornali. Molto meglio continuare a riempire paginate sul tal ladrone o assassino o mafioso col Reddito e dedurne che “i controlli non ci sono o non funzionano” (“Verifiche mancate. La bandiera della legalità sacrificata per il consenso”, Carlo Nordio, Messaggero). Oh bella: ma se i controlli non ci fossero o non funzionassero, non sapremmo mai che il tal ladrone o assassino o mafioso percepiva il reddito. Ogni caso che finisce sui giornali è un controllo che ha funzionato e per giunta è già chiuso: con la sospensione del sussidio e la restituzione del maltolto.

Siccome poi la madre dei cretini è sempre incinta, la polemica si concentra su altri aspetti, ovviamente negativi anzi nefasti, del Reddito: “Non fa trovare lavoro” (Pietro Garibaldi, La Stampa) e lo prende “chi non lavora” (Messaggero). Oh bella: ma, se uno lavora, si suppone che guadagni, dunque non ha diritto all’assegno. Il guaio è che il lavoro non c’è, o è scarso, e proprio per questo esiste il Rdc: per chi il lavoro non ce l’ha e non lo trova. Siccome però ci sono pure quelli che non ce l’hanno perché non lo cercano, il Rdc è stato studiato anche per collegare i disoccupati ai centri per l’impiego, assistiti dai navigator, per “attivarli” con proposte di lavoro (quando ce n’è) e, se le rifiutano, escluderli dal sussidio. I sabotaggi di molte Regioni e i ritardi dell’Anpal, dell’Inps, delle Regioni e degli ex-uffici di collocamento sono noti.

E tutt’altro che scandalosi: la misura è in vigore da 17 mesi appena. Eppure hanno già trovato lavoro – stabile o precario – 196mila percettori del Reddito. Mica pochi, vista la stagnazione del mercato del lavoro (-500mila posti in un anno). Ma non passa giorno senza che qualcuno chieda di abolire il Reddito perché qualcuno ne approfitta. Come se lo Stato fosse un negozietto e potesse affiggere il cartello: “Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”. Ma, se la logica (si fa per dire) è quella, abolire solo il Rdc sarebbe riduttivo.

Un mio amico la mattina accompagna sulla sua Smart la figlia alla scuola materna, per cui paga la retta intera, e viene regolarmente sorpassato da altri genitori col Suv, a cui vorrebbe tanto forare le gomme perché la retta non la pagano, risultando nullatenenti. Per non indurlo in tentazione, io abolirei il bonus-asilo per i non abbienti.

Il bonus di 80 euro al mese inventato dall’Innominabile andava a tutti i lavoratori con redditi inferiori ai 28mila euro annui e ora va fino a 40mila. Ma siccome un conto è quanto guadagni e un altro quanto dichiari, milioni di evasori lo intascano senza diritto. Quindi aboliamo gli 80 euro.

Siamo pieni di gente in cassa integrazione o in disoccupazione che arrotondano con lavoretti da idraulici, elettricisti, carpentieri, falegnami ecc. Dunque aboliamo Cig e sussidio di disoccupazione.

I falsi invalidi con pensione ad hoc non si contano: ergo cancelliamo le pensioni di invalidità e non ne parliamo più.

Ospedali, scuole, strade, autostrade, caserme, posti di polizia, autobus, discariche ecc. sono finanziati dalle tasse. Ma molti non le pagano e beneficiano ugualmente dei servizi pubblici: chiudiamoli tutti.

Le truffe più diffuse sono quelle sui fondi europei: quindi l’Italia li rifiuti, compresi i 209 miliardi del Recovery Fund (per non parlare del Mes, che andrebbe alla sanità, gestita dalle Regioni: brrr), e il problema è risolto alla base.

E le truffe alle assicurazioni? Via anche le assicurazioni, mica si può andare avanti così.

E la corruzione negli appalti, nelle nomine e nei concorsi? Via, aboliamo tutto: appalti, nomine e concorsi.

Gli sportelli bancari sono spesso teatro di rapine a mano armata: chiudiamoli tutti, così i rapinatori imparano.

Alla fine, quando avremo abolito tutto, con la stessa logica di Angelina Jolie che si amputa i seni per fregare il cancro alla mammella, ci accorgeremo che il problema non sono questa o quella norma: siamo noi italiani, popolo più avvezzo di altri all’illegalità per la certezza dell’impunità. E a quel punto avremo due strade: o combattere finalmente l’illegalità e l’impunità; o abolire l’Italia.

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