giovedì 1 ottobre 2020

A chi non piace la Raggi. La sindaca colpevole a prescindere

 















Non piace alla gente che piace. Nei salotti, ai piani alti, tra i notabili di Roma c’è un solo nome che mette d’accordo tutti: Virginia Raggi, la sindaca colpevole a prescindere, fosse anche dei peccati millenari della città. I trasporti, per dire, da quando c’è lei sono una piaga d’Egitto, e si fa una fatica inutile a spiegare che l’azienda dei bus ha chiuso il primo bilancio in utile dai tempi di Romolo e Remo, e perciò sta acquistando centinaia di nuovi mezzi, che andranno a sostituire quelli vecchi, pericolosi e spesso andati a fuoco. Incassato il colpo, per chiudere la discussione arriva sistematicamente chi sentenzia che la Capitale fa schifo!

Eppure non è che prima splendesse, ed è fin troppo ovvio che continuando a dare ai privati centinaia di milioni per il trattamento dei rifiuti – come si è sempre fatto in passato – poi non resta un soldo per la pulizia e il decoro affidati al servizio pubblico. Solo aver resistito al monopolio privato e alle intimidazioni di chi ha dato a fuoco gli impianti comunali e centinaia di cassonetti varrebbe una medaglia e può darci una possibilità di avere in futuro una città migliore. A questo punto diventa divertente guardare le facce di chi sta sudando per cercare nella memoria qualche altro disastro della prima cittadina, fin quando dai ricordi più lontani tornano le buche. Avete presente?

Fino a qualche anno fa erano proverbiali, ne scrivevano pure i giornali stranieri e ci si facevano più battute che sui carabinieri. Facendo un po’ di pulizia, togliendo sprechi e ruberie, nonostante i debiti ereditati dalle Giunte precedenti, l’amministrazione grillina ha riasfaltato gran parte delle strade, facendo lavorare un mucchio di imprese e riportando su livelli fisiologici i rischi della viabilità. A questo punto scatta quindi la domanda: ma perché una sindaca così non piace? E la risposta non è mai sincera. C’è chi farfuglia, chi ammette di poterci ripensare, chi continua a cercare il pelo nell’uovo, ma il motivo vero è uno solo: la Raggi ha un peccato originale, è dei Cinque Stelle, fa le cose sul serio e non fa rubare.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/a-chi-non-piace-la-raggi-la-sindaca-colpevole-a-prescindere/

Conte ha detto cose di sinistra. - Daniela Ranieri

 














I “moderni”. Eravamo abituati ad ascoltare “premier” che, citando a vanvera La Pira, parlavano col vocabolario della banca d’affari JP Morgan e del Centro Studi Confindustria e flirtavano con la finanza.

Se uno è povero e disoccupato è un po’ colpa sua. Bisogna lasciar fare al mercato. Il Reddito di cittadinanza crea un esercito di fannulloni. Dobbiamo aiutare le imprese, basta sussidi a pioggia. Quanto vi urtano queste asserzioni? Se poco, è perché ormai le abbiamo introiettate; ce le hanno somministrate per via intramuscolare per quarant’anni.

Il 27 settembre, in collegamento col Festival nazionale dell’Economia civile di Firenze, Giuseppe Conte ha fatto un discorso al cui centro erano invece queste parole: giustizia sociale; sviluppo sostenibile; spesa pubblica; valorizzazione della dignità del lavoro opposta al consumismo individualista. “Negli ultimi decenni – ha detto – il capitalismo si è avviluppato in una prospettiva neoliberale, inadeguata ad affrontare le crisi recenti”. Noi eravamo rimasti che il capitalismo era l’igiene del mondo e il neoliberismo lo Spirito del Tempo, e non bisognava mostrarsi schizzinosi ad abbracciarlo, altrimenti si finiva come in Cina.

“Distruzione del valore d’impresa, massimizzazione del profitto di breve periodo, l’uomo ridotto a una visione economicistica”, ha proseguito, impongono di “rimeditare il nostro agire in politica economica e sociale”, per rompere il “fallace incanto del benessere” secondo “l’obiettivo della giustizia sociale”. Sono parole da tempo impronunciabili, anche a sinistra; a parte Bersani, che infatti dal Pd è uscito, governanti e oppositori del centro(-)sinistra, dal D’Alema di Nanni Moretti in poi, si sono ben guardati dal dire “cose di sinistra”, convinti dai guru della comunicazione che ogni idea radicale fosse “massimalismo” e “pregiudizio ideologico” (del resto già De Gasperi, nel 1958, veniva accusato dai liberali e dal Sole 24 Ore di aver concesso all’opposizione, in nome della giustizia sociale e del solidarismo cristiano, troppe restrizioni all’economia di mercato); parimenti, i politologi spiegavano che “si vince al centro”, e intanto vinceva la Lega. Berlusconi ha insegnato a generazioni di servitori dello Stato che l’elettore appena sente l’espressione “giustizia sociale” pensa alla patrimoniale, e non bisogna spaventare il ceto medio produttivo, sennò poi quello si offende e porta i soldi all’estero (intanto i ricchi lo facevano lo stesso, impuniti o condonati, e la politica servile e cieca creava 8 milioni di poveri assoluti). Eravamo abituati a sentire “premier” che, citando a vanvera La Pira e vantandosi di guidare “il governo più di sinistra degli ultimi 30 anni”, parlavano col vocabolario della banca d’affari JP Morgan e del Centro Studi Confindustria e flirtavano coi magnati e gli squali apolidi della finanza, mentre la destra additava ai poveri i poverissimi quali causa della loro miseria, così da spezzare ogni solidarietà tra disgraziati. Non era solo questione di linguaggio: secondo alcuni leaks stranoti, la nostra Costituzione andava rivista in senso meno “socialista”, manovra peraltro tentata e per fortuna fallita. Norberto Bobbio, in Destra e Sinistra (1994), scrisse che la diade destra/sinistra va vista nell’ottica della dicotomia tra eguaglianza e diseguaglianza; per ironia crudele della sorte, l’edizione del 2014 uscì con un commento di Matteo Renzi, che dichiarava “superati” i confini stabiliti da Bobbio e li sostituiva con altri: “Aperto/chiuso”, come “dice oggi Blair. Avanti/indietro, chissà, innovazione/conservazione, movimento/stagnazione”. E invece no: la pandemia ha reso vieppiù chiaro che esiste una destra, nazionalista, individualista, antiscientifica, che difende il profitto a ogni costo ed è tarata sul singolo (persino sulla sua presunta libertà di infettare), e una sinistra che tutela la collettività e i diritti sociali, prevede l’intervento dello Stato in economia e a soccorso dell’indigenza e valuta le autonomie regionali nell’ottica di un’amministrazione pragmatica e funzionale, non di un’egemonia monetaria su questioni fondamentali di salute pubblica. Ci voleva un evento mondiale di portata catastrofica per demolire le farneticazioni su terze vie e “problemi né di destra né di sinistra”, perché se è vero che il virus non fa distinzioni di ceto, i suoi effetti sono diversi su fasce diverse della popolazione (e per fortuna il Reddito di cittadinanza dei “grillini” ha attutito il colpo per 3 milioni di cittadini), e le soluzioni per contenerlo e limitare i danni economici del lockdown sono eccome di destra o di sinistra. Ci sono gli squinternati, i minimizzatori devoti al Pil, Bolsonaro e Trump, Gallera e Fontana, “Milano non si ferma” e “Bergamo non fermarti”; oppure c’è la soluzione di Speranza e Conte di ascoltare gli esperti e adottare misure d’emergenza e di Sanità pubblica mettendo in secondo piano il Pil. Ogni terza via ambigua, come quella di Macron in Francia, si è rivelata non efficace. L’ha capito pure il premier inglese Johnson: “Non risponderemo a questa crisi con ciò che la gente chiama austerità”, e ha specificato: “Non sono un comunista”. Ci voleva tanto, per pronunciare l’indicibile: esiste un problema di distribuzione della ricchezza, di sfruttamento schiavistico del lavoro, di erosione del welfare e quindi dell’uguaglianza e della dignità umana. Questo perché la sinistra ha fallito proprio nell’interpretazione nel suo ruolo dentro la globalizzazione, omettendo di rappresentare la sua base d’elezione – i poveri, gli operai, i disoccupati, i precari, gli insegnanti – e consegnandola allegramente agli aguzzini dei finti contratti e dell’indegno salario, condividendone e ricalcandone pedissequamente il lessico e i non-ideali. Così la giustizia sociale, sotto la scure di una manipolazione progressiva, è diventata “invidia sociale”, mentre il lavoro è (ri)diventato una concessione dei padroni e il mero luogo della riproduzione della loro ricchezza, in una sudditanza psicologica che gli elettori hanno fatto pagare, da ultimo, al Pd di Renzi, il più alacre nel rinforzo ai forti col sacrificio dei deboli (vedi Jobs Act). La Lega di Salvini, che aveva preso i voti come forza di aggregazione dei popoli contro le élite e i poteri forti, si è rivelata invece una propaggine neoliberista del potere a guardia dello status quo, con, in più, innesti di furbo provincialismo finanziario. In un momento in cui i soliti rottweiler competitivisti (spesso “progressisti”) attaccano quotidianamente e con ferocia i lavoratori, il settore pubblico, il blocco dei licenziamenti e le misure di sostegno al reddito (anche con volgari spiritosaggini da bar, come fa il dottor Bonomi) e assolvono bonariamente gli imprenditori che hanno finto la Cassa integrazione per rubare soldi pubblici, Conte ha pronunciato parole-tabù, liberandole da decenni di interdizione; sarebbe bene che il M5S e il Pd le facessero proprie e le traducessero in politica vera, invece di allontanare sempre più il popolo con astratti bizantinismi identitari.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/01/conte-ha-detto-cose-di-sinistra/5950032/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-01

Da Natangelo...

 


Costituzione italiana.

 


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Coronavirus, Conte: 'Proporremo proroga dello stato d'emergenza'.

 















La proposta riguarda uno slittamento dei termini fino al 31 gennaio.

Il Governo starebbe valutando l'ipotesi di una proroga dello stato d'emergenza per il Covid-19 fino al 31 gennaio.
La proroga al momento scade il 15 ottobre, ma il perdurare dell'emergenza ha suggerito agli esperti del Cts di allungare i tempi dello stato d'emergenza.

E il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ha confermato quella che era fino a questa mattina solo un'ipotesi. "Andremo in Parlamento a chiedere la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio" ha detto il premier ai giornalisti a margine della visita alla scuola media 'Francesco Gesuè' a San Felice a Cancello (Caserta).

Il premier nella stessa occasione ha ribadito che per il Governo "Quota 100 scadrà nel 2021" e ha annunciato "altre formule per gestire un problema che è oggettivo". Rispondendo alla domanda di un giornalista, Conte ha detto: "Non è che ho rinunciato a quota 100, è che ho sempre annunciato che si tratta di una misura triennale, in scadenza nel 2021. Troveremo poi altre formule - ha proseguito - per gestire questo problema. Con il ministro Catalfo, siamo al lavoro sull" APE sociale e su altri provvedimenti". E sulla sua pagina Facebook, il presidente del Consiglio ha fatto sapere che "oggi entrerà in vigore la "Fiscalità di vantaggio" per tutte le aziende del Sud. Tutte le imprese che operano nelle regioni del Mezzogiorno potranno contare su un taglio del 30% del costo lavoro per tutti i loro dipendenti. I lavoratori non subiranno nessuna riduzione delle proprie retribuzioni". "E' una misura che abbiamo introdotto anche grazie all'impegno del Ministro Peppe Provenzano. Vogliamo rendere questa boccata di ossigeno stabile e duratura in modo da favorire la ripartenza e il rilancio produttivo del Sud. Un Sud più solido e competitivo renderà più forte l'Italia intera", aggiunge.

"Da quanto ho capito, si protrarrà". Così Roberto Fico, presidente della Camera, risponde in merito a una proroga dello stato di emergenza, legato alla pandemia da coronavirus. "È una cosa - ha affermato - di cui si occuperà il Governo. 

"Sulla proroga dello stato di emergenza discuteremo in Parlamento molto presto come è giusto che sia e io sarò in Aula all'inizio della settimana. Io sono sempre per la linea della massima prudenza e ho sempre mantenuto questa impostazione ma credo che sia corretto che ne discuta il Parlamento e che se ne discuta nel governo perchè in una grande democrazia si fa così". Lo ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza, in visita allo stabilimento Sanofi di Anagni, dove partirà la produzione del vaccino anti-Covid a cui stanno lavorando in collaborazione le multinazionali Sanofi e Gsk.

Il ministro della Sanità Roberto Speranza terrà nell'Aula del Senato comunicazioni sul nuovo DPCM sull'emergenza coronavirus nel pomeriggio del prossimo 6 ottobre. Sulle comunicazioni saranno votate risoluzioni dall'Assemblea. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama.

(Nella foto ANSA Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in visita alla scuola Francesco Gesue' di San Felice a Cancello)

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/10/01/ipotesi-di-proroga-dello-stato-demergenza-al-31-gennaio_5b4c2437-a8f2-4be7-b827-299e74275cc8.html

Il governo ha deciso: revoca Atlantia, 10 giorni per cedere. - Carlo Di Foggia


 










Rottura totale. I Benetton minacciano l’apocalisse finanziaria.

Nel dossier Autostrade per l’Italia ogni giorno ha la sua pena e il suo ultimatum. La strada però sembra tracciata verso una nuova escalation. Il governo ha deciso di procedere alla revoca della concessione ed entro 10 giorni porterà la decisione in Consiglio dei ministri. In questo lasso di tempo si attende da Atlantia, la holding controllata dai Benetton, un passo indietro. Dal canto suo il colosso ha reagito ieri paventando l’apocalisse finanziaria: “Una simile mossa causerebbe un default gravissimo per l’intero mercato finanziario europeo”, ha fatto filtrare alla stampa. È l’ultima trincea dei Benetton ed è anche l’aspetto che spaventa di più il governo. In ambienti finanziari filtra che Altantia stia facendo il diavolo a quattro per spingere la Commissione europea a intervenire, tanto più che al netto dei Benetton, il 70% della holding è in mano soprattutto ai grandi fondi esteri.

Andiamo con ordine. Ieri è servito un ennesimo vertice a Palazzo Chigi. Al tavolo, il premier Giuseppe Conte e i ministri di Tesoro e Infrastrutture Roberto Gualtieri e Paola De Micheli con i rispettivi capi di gabinetto. Ieri scadeva l’ultimatum dato ad Atlantia per accettare le condizioni previste dall’accordo del 14 luglio scorso per chiudere la ferita del Morandi con la vendita di Aspi e la presa di controllo da parte della Cassa Depositi e Prestiti. La trattativa si è arenata sulla richiesta di Cdp di essere manlevata dai rischi legati ai contenziosi giudiziari sul ponte di Genova, che possono ammontare a miliardi di euro. Atlantia martedì ha risposto che la manleva è inaccettabile e si può trattare solo sul prezzo. Poi ha bollato come “illegale” la decisione del governo di subordinare tutti gli atti amministrativi, necessari ad aggiornare la concessione e chiudere il contenzioso del Morandi, alla cessione di Autostrade alla Cassa Depositi e Prestiti. Mossa che la holding ha denunciato a Bruxelles.

A Palazzo Chigi, ministri, premier e tecnici hanno fatto il punto. Ne è uscita una lettera spedita ieri ad Atlantia in cui il governo respinge le accuse, e avverte che porterà gli atti conseguenti in un Cdm che sarà convocato entro dieci giorni. In serata il premier ha fatto il punto nel Consiglio dei ministri convocato, già previsto per approvare alcuni provvedimenti in scadenza.

Nelle stesse ore, Atlantia riuniva la stampa e paventava l’apocalisse finanziaria: “La revoca – ha fatto sapere – provocherebbe un default sistemico gravissimo, esteso a tutto il mercato europeo, per oltre 16,5 miliardi di euro (i debiti di Atlantia, ndr), oltre al blocco degli investimenti. Verrebbero così messi a serio rischio 7.000 posti di lavoro di Autostrade. Bisogna assolutamente evitare questo scenario nefasto”. Il colosso si appella “all’equilibrio del premier Giuseppe Conte”, ma conferma di non voler accettare le condizioni dettate dal governo, anche perché “gli azionisti di Atlantia, dei quali il 70% è rappresentato da fondi istituzionali, hedge fund, investitori internazionali, non sono disposti ad approvare in assemblea soluzioni che non siano trasparenti e di mercato”. È questa l’ultima trincea. I grandi fondi stanno premendo a Bruxelles perché intervenga inibendo l’esecutivo italiano. Tutti guardano a Margrethe Vestager, la commissaria europea alla Concorrenza, assai sensibile alle istanze francesi. Tra gli azionisti colpiti ci sarebbero anche gruppi d’oltralpe. Tra i soci di minoranza di Aspi, per dire, oltre ai cinesi di Silk Road c’è un altro 7% detenuto da un veicolo, Appia Investment, sottoscritto dal gruppo assicurativo tedesco Allianz e dal colosso francese Edf Invest e Dif, con due suoi fondi infrastrutturali. Nei giorni scorsi Atlantia ha fatto sapere che la Commissione le ha inviato una lettera in cui spiega di star monitorando attentamente la situazione. La speranza è che un intervento più deciso blocchi la strada al governo italiano.

La palla, come sempre, è nelle mani dell’esecutivo. Se manterrà fede alla minaccia, la prossima settimana sarà convocato un Cdm per decidere sulla revoca. Tecnicamente sarà un’informativa del premier, la revoca vera e propria arriverà con un decreto interministeriale firmato da Gualtieri e De Micheli. Servirà però sciogliere il nodo di cosa fare di Aspi e della gestione dei 3mila km di autostrade in mano al concessionario. In base al decreto Milleproroghe di fine 2019 dovrebbe passare in mano all’Anas, ma si ipotizza anche di commissariare Aspi. Un primo punto verrà fatto già lunedì, quando è in programma il Consiglio dei ministri che deve approvare la Nota di aggiornamento al Def e le modifiche ai decreti Sicurezza. Parte del governo, specie i 5Stelle, premono però per decidere già in quella data.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/01/il-governo-ha-deciso-revoca-atlantia-10-giorni-per-cedere/5950014/

Dalla D'Urso? - Massimo Erbetti

 



Eh si, non vi scandalizzate, c'è un motivo se la memoria difensiva è stata data alla D'Urso. Niente avviene mai per caso e niente è fatto con leggerezza, come vogliono farvi credere. Tutti a sorridere, a fare battute, tutti a prendere in giro il "soggetto"...dalla D'Urso? Eh si...ma ve lo siete dimenticato quell'altro che l'8 maggio 2001, cinque giorni prima delle elezioni politiche, nel corso della trasmissione televisiva Porta a Porta firmò il famoso "contratto con gli italiani"? Con esso l'allora capo dell'opposizione si impegnava, in caso di vittoria elettorale, a varare varie riforme riassunte in 5 punti e, in caso di mancata realizzazione di almeno 4 punti, a non ricandidarsi alle successive elezioni politiche. Ve lo ricordate vero?
E l'altro? Quello che per rispondere a The Economist che lo aveva ritratto in un fotomontaggio con un gelato, fece arrivare un carrettino dei gelati direttamente nel cortile di Palazzo Chigi? Che poi è lo stesso che per spiegare a un milione di insegnanti, a 600 mila precari e a venti milioni di famiglie, la riforma della scuola come un maestrino dalla penna rossa, pubblicò sul sito del Governo un video che lo ritraeva davanti ad una lavagna con i gessetti in mano? E ancora lui...quando per presentare la sua "svoltabuona" fece le famose slide..ma ve le ricordate? Quelle che realizzò per far vedere, tra le altre cose, che metteva in vendita su EBay 100 auto blu...poi ne vendette una sola...Vabbe...fa niente, mica le doveva vendere davvero, doveva solo farlo credere..
Ecco il nostro passato recente è pieno di Leader che per farsi notare, fanno cose che al momento sembrano ridicole, assurde, incomprensibili...fanno cose per cui vengono derisi per giorni e giorni...ma credete veramente lo facciano perché sono degli idioti? Eh no cari miei, è una scelta ben precisa: far parlare di loro e tutti ci sono riusciti, hanno fatto centro...se noi per due giorni parliamo della memoria difensiva del "soggetto", è solo perché lui lo ha dato alla D'Urso e visto che lo avremmo potuto dimenticare, ce lo ha anche ricordato su Twitter, con tanto di link per scaricarlo...sarei veramente curioso di sapere in quanti lo hanno scaricato e quanti italiani ha raggiunto questa notizia...sicuramente 100 volte in più di quelli che hanno seguito la puntata di Report di lunedì scorso...Capito come funziona la propaganda? Report lancia la bomba e non succede nulla..."l'essere" porta la memoria difensiva dalla D'Urso e tutto il paese ne parla...
Vi fa ancora sorridere sta cosa?...

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Storie horror: confindustria applaude un 5s. - Antonio Padellaro

 


Stentiamo a crederci, eppure è successo davvero. Martedì, a Roma, all’assemblea di Confindustria. Sono brutte storie di cui non vorremmo mai occuparci. Inaudite. Inconcepibili. Un segno inequivocabile del degrado dei tempi. Eppure, la cronaca del Corriere della Sera non lascia dubbi, e a essa ci affidiamo increduli ma, sia ben chiaro, declinando ogni responsabilità per ciò che siamo costretti a riportare. “I primi timidi applausi per Patuanelli sono arrivati quando il ministro ha detto: ‘che un terremoto si è abbattuto sul mondo delle imprese e ora lo Stato deve fare la sua parte’. Una volta rotto il ghiaccio per altre sette volte la platea ha battuto le mani”.

Fermiamoci qui per favore e riprendiamo fiato perché, non ci crederete, ma lo Stefano Patuanelli di cui si parla è un grillino. Sì, un ministro dello Sviluppo economico targato 5stelle, e già questo dovrebbe interrogarci sull’enormità dell’episodio. Poiché costui è un componente di quel cosiddetto movimento che non pago di aver fuorviato il settanta per cento degli elettori inducendoli a tagliare il numero dei parlamentari – e dunque a pugnalare al cuore la democrazia – si è reso ultimamente protagonista di comportamenti indecorosi che più che alla politica appartengono alla cronaca nera. Grillino è infatti quel Pasquale Tridico che ha arraffato la poltrona dell’Inps per raddoppiarsi gli emolumenti e incamerare i pingui arretrati (e anche se non è andata così non fa niente, sono cavoli suoi). Purtroppo lo spazio è tiranno e per comprendere di chi stiamo parlando – di una casta ancora più casta di quella casta che essi volevano aprire come una scatoletta di tonno (che poi hanno ingurgitato con tutta la confezione) – citeremo un paio di significativi episodi. La faccia tosta per non dire peggio di quell’Alessandro Di Battista che dopo aver rifiutato a più riprese una poltrona da ministro (ma chi si crede di essere?) apprendiamo che “vestirà i panni di ‘professore’ di giornalismo per la testata online Tpi, previo pagamento di 185 euro”. Previo, e abbiamo detto tutto. E non ci sono parole neppure per commentare quanto accaduto all’agriturismo Cobragor, in borgata Ottavia a Roma, dove al termine dell’allegra tavolata della nuova casta, “i ragazzi del governo un po’ distratti lasciano un totale di 50 euro di mancia. In trenta, 1,6 euro a testa” (Il Foglio). Pazzesco. Alle luce di tutto ciò gli otto applausi confindustriali a un esponente di questa conventicola di tirchi e incompetenti destano ancora più stupore. Ma ’sti industriali chi li paga?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/01/storie-horror-confindustria-applaude-un-5s/5950020/

Il “sussidistan” è il paese della confindustria. - Carlo Di Foggia

 












Soccorso agli industriali e memoria corta. Più di 50 miliardi. Bonomi attacca l’eccesso di sussidi. Ma nella crisi per il Covid, alle imprese è finita oltre la metà degli aiuti. E neanche prima andava così male…

Più o meno 90 anni fa, Antonio Gramsci ci spiegò il “cretinismo economico” degli industriali, che “non hanno mai compreso i loro veri interessi e si sono sempre comportati antieconomicamente”. Carlo Bonomi ce la sta mettendo tutta per provare a dargli ragione. Nonostante un crollo del Pil senza precedenti, in tempo di pace il neo presidente di Confindustria martedì, all’assemblea 2020 degli industriali, alla presenza del premier Giuseppe Conte, ha avvertito che i 209 miliardi del Recovery fund “non risolvono niente se se ne dà una goccia a tutti” e ha chiesto una “visione diversa dai sussidi” per “sostenere i settori in difficoltà” dopo il lockdown. “Non vogliamo diventare un Sussidistan”, ha avvertito. Il vicesegretario dem, Andrea Orlando, lo ha fulminato: “Quando li prendono gli altri si chiamano sussidi. Quando li prendi tu, contributi alla competitività…”. “Sono serviti a tutelare l’efficienza produttiva e il tessuto sociale”, ha spiegato Conte nel suo intervento. Bonomi, evidentemente, si porta avanti per intermediare la prossima tornata di sussidi previsti nella prossima manovra in cui, come al solito, la parte imprese la farà da padrona.

A ogni modo, la critica del leader degli industriali appare quantomeno ingenerosa. Una rapida rassegna è sufficiente a mostrare che alle imprese è infatti andata la fetta più grossa del “sussidistan”, senza che Bonomi se ne dolesse, anzi. Per settimane, per dire, ha chiesto (e ottenuto) il taglio dell’Irap, anche ad aziende che non avevano avuto cali di fatturato.

Vediamo i numeri. Dall’inizio della pandemia il governo ha destinato oltre 100 miliardi per contrastare gli effetti del virus, cifre divise tra i tre decreti: “Cura Italia”, “Rilancio” e “Agosto”. Se si contano anche le misure di sostegno alla liquidità, il conto sale. Secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, il costo totale delle misure dirette a sostegno delle imprese come “saldo netto da finanziare”, qui con un impatto sul deficit, è stato di circa 38 miliardi. Secondo le elaborazioni dell’Ufficio studi della Uil, il conto è però ben più alto. Alle imprese in senso stretto è andato il 48% dei 112 miliardi di euro messi in campo, pari a 53 miliardi, sotto forma di agevolazioni ed esenzioni fiscali, contributi a fondo perduto e garanzie pubbliche ai finanziamenti bancari. La lista è lunga: si va dall’esenzione per tutti del versamento dell’Irap, che costa 4,4 miliardi, ai 2 miliardi di euro di crediti d’imposta fino a 4 miliardi dati in dotazione al Fondo patrimonio Pmi, che deve aiutare a ricapitalizzazione le imprese di medie dimensione. C’è poi il capitolo dell’accesso al credito: sono stati rifinanziati il Fondo Sace, il Fondo Centrale di Garanzia Pmi e il Fondo Ismea che consentono di ottenere un finanziamento con la garanzia dello Stato. La garanzia pubblica non è detto che si trasformi in un costo effettivo, dipenderà dal debitore, ma lo Stato ha rifinanziato questi fondi con 35 miliardi, attraverso una stima di quanto può essere il tasso di insolvenza dei prestiti. A questi accantonamenti vanno aggiunti i 44 miliardi a valere sul Fondo patrimonio destinato della Cassa Depositi e Prestiti, messo in piedi per ricapitalizzare aziende di grandi dimensioni in difficoltà.

Fin qui parliamo delle misure a sostegno diretto delle imprese. Ci sono però anche gli stanziamenti per interventi “ibridi”, cioè destinati sia alle imprese che ai professionisti con attività di impresa. La Uil calcola che questo capitolo valga altri 13 miliardi: si va dalla rateizzazione dei versamenti fiscali sospesi con i primi due decreti ai contributi a fondo perduto per persone giuridiche e fisiche titolari di partita Iva al credito di imposta per i canoni di locazione e adeguamento dei luoghi di lavoro. Considerati questi, il totale arriverebbe a 67 miliardi, pari al 60% delle risorse stanziate, quota che fa impallidire il 10% destinato ai lavoratori dipendenti e autonomi, e il 26% dedicato alla Cassa integrazione e alle misure di sostegno al reddito. Quest’ultimo capitolo vale 29 miliardi come stanziamenti, anche se il tasso di utilizzo effettivo è stato inferiore al previsto e ha prodotto risparmi. Se si contassero anche queste risorse, il capitolo sussidi alle imprese sale ancora. È vero che le aziende non hanno potuto licenziare per via del blocco varato dal governo (fatta eccezione per il mancato rinnovo dei contratti precari), ma è altrettanto vero che circa un terzo delle ore Cig autorizzate è stato chiesto da imprese che non avevano registrato un calo dei ricavi, al punto che il governo nel decreto Agosto è dovuto intervenire imponendo un contributo a quelle che hanno avuto una minima riduzione del fatturato. I vari decreti contengono poi gli sgravi contributivi, destinati a incentivare nuove assunzioni, per chi non usa la Cig, o a ridurre il costo del lavoro già a carico del datore. Anche questi sono sussidi alle imprese (secondo l’Upb valgono almeno 13 miliardi nel 2020).

Tirate le somme, al comparto imprese sono state destinate più della metà delle risorse messe in campo. Secondo l’Upb, se si considerano anche gli accantonamenti per gli interventi della Cdp, “l’impatto sul saldo netto da finanziare ammonta a 104,5 miliardi nel 2020”.

Bonomi, a ogni modo, è in buona compagnia. Ai tempi di Giorgio Squinzi, per dire, la Confindustria dettava proprio le riforme (il Jobs Act è stato anticipato da un documento di lavoro dell’associazione, di cui ne riprese i capisaldi), mentre il governo Renzi destinava quasi 20 miliardi agli sgravi per le assunzioni in modo da gonfiare i dati e vendere meglio l’eliminazione dell’articolo 18. Il predecessore di Bonomi, Vincenzo Boccia, nel suo primo anno ottenne una manovra che nel triennio, tra industria 4.0, sgravi alle assunzioni, tagli all’Ires e via dicendo, valeva quasi 80 miliardi alle imprese. Anche nella prossima legge di Bilancio il capitolo sembra destinato a ricevere una quota considerevole di risorse. Confindustria si sente già in tasca la fine del blocco dei licenziamenti a dicembre. Parliamo di una misura che, ha spiegato il leader degli industriali, “ha impedito alle aziende di ristrutturarsi”, cioè di licenziare. Senza una nuova proroga, l’effetto sociale sarà dirompente e, ça va sans dire, lo Stato se ne dovrà fare carico. Forse gli industriali temono che questo distolga troppe risorse dagli incentivi alla mitica “competitività”. Nel dubbio, Bonomi si è già portato avanti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/01/il-sussidistan-e-il-paese-della-confindustria/5950016/

LEGGO TANTI CHE STANNO COMMENTANDO IL FALLIMENTO O MENO DEL RDC. - Stefano Lovati

 














Adesso dico la mia, perche’ io sono un percettore del RDC e so, perche’ vissuto, cosa c’e’ dietro a chi, per necessita’, lo ha chiesto. Ho 54 anni e fino a tre anni fa lavoravo.
Un bel lavoro, pagato il giusto, stavo fuori casa 14 ore al giorno per 8 ore di lavoro ma andava bene. Poi, io, assunto con il Jobs act, vengo lasciato a casa, non dopo aver cercato di fottermi parte della liquidazione, per fare posto ad uno stagista molto piu’ economico. Ecco bene, a 50 anni suonati, se non hai un curriculum da dirigente, un po’ di sano culo o qualche conoscenza, per il mondo del lavoro sei carne morta. Perche’ costi troppo e a nessuna azienda conviene assumerti. Ho mandato migliaia di curriculum in questi tre anni, niente, manco i benzinai mi prendevano in considerazione. Ho tirato a sopravvivere grazie a mio padre e mia madre, ottantenni e alla bonta’ di alcune persone, verso le quali provo una vergogna indicibile perche’ so che non riusciro’ mai a sdebitarmi.
Ho mangiato per mesi solo pasta da discount, 0,39 centesimi al chilo, niente frutta, niente verdura, niente carne ne pesce. Certo, ogni tanto, per fortuna qualche soldino saltava fuori dalle cucciolate, che mi permetteva di pagare bollette arretrate
si, perche’ sono stato anche con l’energia elettrica sospesa, per giorni, d’inverno. Non vado oltre perche’ lo scopo di quello che scrivo non e’ impietosire chi legge. Voglio solo far capire che il RDC non e’ un fallimento perche’ non trova lavoro alle persone, certo, quello e’ un limite che questo provvedimento ha ma nel frattempo, ha salvato tante persone dall’indigenza, quella vera che se non la provi non sai cosa voglia dire. Ha salvaguardato la salute delle persone perche’ quando sei indigente, mangi di merda, vivi sempre in ansia e sotto stress. Quindi evitate di criminalizzare il RDC, soprattutto per propaganda politica, E’ disprezzare chi lo utilizza. E’ vero e’ migliorabile e io stesso ogni giorni mi alzo con la speranza che la mia navigator mi chiami perche’ mi ha trovato lavoro ma la realta’ e’ che il lavoro non si trova non per colpa del RDC che e’ malfatto ma perche’ le aziende non investono su persone di 50 con un curriculum normale. Questa e’ la realta’. Ci sono un sacco di persone della mia generazione completamente dimenticate dallo stato e dal mondo del lavoro. Spero che il RDC venga migliorato, lo spero tantissimo ma intanto ricordatevi che anche cosi’ com’e’, salva le persone.

https://www.notizieinunclick.com/leggo-tanti-che-stanno-commentando-il-fallimento-o-meno-del-rdc/?fbclid=IwAR25TlI34N156OYNb3buGPiVqSAk5Cg4Vo8jXj2bP3sH0g_ELf67fdMBvaQ

Ottobre, finalmente. - Marco Travaglio

 


Non so per voi, ma per me l’arrivo di ottobre è un bel sollievo. Per tutto settembre ho temuto il peggio. Era dal lockdown che i profeti di sventura e i professionisti dell’apocalisse vaticinavano con aria voluttuosa e acquolina in bocca un autunno caldo, anzi caldissimo, con decorrenza da settembre: disordini sociali, sommosse popolari, rivolte di piazza, cacce all’uomo, assalti ai forni, barricate, violenze, forconi, machete, jacquerie e grand guignol contro il governo di incapaci che ci affama tutti con la scusa del Covid. Io, per non saper né leggere né scrivere, avevo piazzato cavalli di frisia davanti casa e sacchi di sabbia alle finestre. Amici meno ottimisti, appena accendevano la tv o aprivano un giornalone, svaligiavano un’armeria e correvano al poligono. “Conte teme la rivolta sociale” (29.3), “Ora è allarme disordini sociali: ‘Rivolte senza precedenti’” (22.5), avvertiva il Giornale. Repubblica vedeva lungo: “Col cuore in gola aspettiamo settembre!” (Francesco Merlo, 19.6), “Prepariamoci a settimane incandescenti e non per ragioni atmosferiche” (Stefano Folli, 21.8). La Verità, al solito, rassicurava: “Meridione affamato: tira aria di rivolta. A Benevento una donna minaccia Mastella. A Palermo tentata razzia in un supermarket” (29.3), “La tensione cresce, Giuseppi esita: è la ricetta per una stagione violenta” (29.8). Il Messaggero citava i “dossier dell’intelligence”: “Volantini invitano alla rivolta e al saccheggio’” (1.4). E il Corriere: “Timore di disordini ‘per il pane’. Sul web i messaggi per innescarli” (29.3). Per La Stampa era tutto già in atto: “Supermercati, frutta e verdura scarseggiano. Punti vendita presi d’assalto. A ruba anche uova, farina e lievito” (30.3).

Cronisti impanicati cercavano ristoro in Sassoli, ma invano: “Preoccupazione per l’autunno? No, terrore”. E guai a guardare i talk show. La Maglie, col suo eloquio al napalm, oracolava: “Cominciamo ad abituarci. Ne vedremo a centinaia di manifestazioni alla Pappalardo. Non sarà l’esorcizzazione di un salotto tv a impedire da qui a metà settembre esplosioni di rabbia violente” (6.6.). Capezzone faceva sì sì col capino. La Chirico pregustava “un autunno caldo di disordini sociali: abbiamo già tre politici sotto scorta” (28.5). E Minzolini, citando il moderato Casini, annunciava: “Conte sarà cacciato coi forconi” (20.5). Al confronto, Cacciari era di conforto: “In autunno la situazione economica sarà drammatica con pericoli per l’ordine sociale. Per stare a galla, il governo dovrà coprirsi dietro il pericolo della pandemia. Dittatura democratica inevitabile” (25.7). Ora che è ottobre, che dite: saremo fuori pericolo? Che faccio coi cavalli di frisia e i sacchi di sabbia: rimuovo o aspetto?

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