domenica 28 ottobre 2018

Il «quarto potere» nel ghetto di Borgo Mezzanone. - in Inchieste/Terre di migranti - Emma Barbaro

Nel ghetto di Borgo Mezzanone, Foggia

Baracche e rimessaggio nell’area nigeriana. A destra, due giovani nigeriane // Emma Barbaro

C’è una Puglia che non troverete nelle guide turistiche e nei percorsi mainstream. È la Puglia dei ghetti e dei caporali. La Puglia in cui lo Stato e l’anti-Stato sono un’unica: una realtà inscindibile.

Il 2 giugno scorso, festa della Repubblica, siamo rientrati nel gran ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia. Mentre altrove – sulle pubbliche piazze – si celebrava lo Stato che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo», che attribuisce «pari dignità sociale» e uguaglianza davanti alla legge, negli antri sperduti della nostra penisola si consumano quotidianamente crimini contro una porzione d’umanità che, ci piaccia o no, continua a esistere. Quella che stiamo per raccontarvi è la rapida evoluzione di ciò che gli esperti, quelli senza reticenze, definiscono «la più grande baraccopoli d’Europa.» Una vergogna a cielo aperto i cui numeri, oggi, sfiorano le 5 mila unità.
Nel ghetto di Borgo Mezzanone, Foggia
FOTO: PRIMI INSEDIAMENTI DELL’AREA NIGERIANA. SULLA DESTRA, MATERASSI ACCANTONATI // EMMA BARBARO
SODALIZI MAFIOSI.
Cumuli di rifiuti e plastiche dati alle fiamme. Il puzzo che sale dalla ex pista del ghetto di Borgo Mezzanone è insopportabile. Eppure, come abbiamo previsto questo inverno, i numeri dei reietti che vivono nel ghetto sono destinati ad aumentare. Così come i nuclei abitativi.
Ma chi fornisce a queste persone la materia prima per la costruzione delle baracche in mattoni e cemento? Chi alimenta lo spaccio di droga e la prostituzione, maschile e femminile, all’interno e all’esterno del ghetto? Chi contribuisce al giro d’affari criminale che si alimenta sulle spalle dei paria dell’umanità?
Le risposte sono inequivocabili. 
L’ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia – approvata nella seduta dell’8 febbraio scorso – parla specificatamente di un sistema criminale che, a Borgo Mezzanone, si autoalimenta attraverso il sodalizio tra mafia nigeriana e ceppi mafiosi locali. 
Realizzata col contributo dello scrittore ed etnografo Leonardo Palmisano – tra i primi ad analizzare e monitorare costantemente il fenomeno – la relazione censisce uno stato di fatto. Se la Sacra Corona Unita sembra vivere un momento di declino – la cui forza intimidatoria, tuttavia, continua a essere inversamente proporzionale alla necessità di esibirla – a stringere alleanze con la criminalità made in Nigeria ci pensa la mafia del Gargano. Una volta siglata la pax (provvisoria) tra i gruppi «dei montanari» – area garganica – e quelli «della pianura» – area Capitanata – l’interesse strategico delle cosche sembra essersi incanalato proprio verso l’ex pista di Borgo Mezzanone. Lì dove il traffico d’esseri umani e di stupefacenti sembra essere divenuto una realtà concreta attraverso il placet dei gruppi criminali stranieri.
Il «quarto potere» – così come viene definito dalla già citata relazione – si nutre di uomini e donne giovanissimi, importati direttamente dall’Africa come un tempo si faceva con le materie prime, allo scopo di garantire al sistema un flusso vitale minimo. Le più recenti relazioni della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna) e della Direzione distrettuale antimafia (Dda) arricchiscono di particolari quella che ormai si è trasformata in una realtà tangibile. Un segnale incontrovertibile del fatto che le istituzioni sanno, monitorano, controllano. Ma perché, allora, non re-agiscono?
Nel ghetto di Borgo Mezzanone, Foggia
FOTO: UNA CAMIONETTA DELL’ESERCITO MONITORA I FLUSSI AL DI LÀ DELLA RETE METALLICA DEL CARA // EMMA BARBARO
IL CARA.
A dispetto di quel che si può ipotizzare, il sistema criminale sembra innescarsi direttamente dal Cara che sorge a ridosso della baraccopoli. Ebbene sì. Le reti metalliche prontamente squarciate in prossimità dell’area nigeriana, assicurano ai bordelli del ghetto un flusso di “materiale umano” da gestire e smistare continuamente. Il numero delle baracche realizzate per assicurarsi il controllo della prostituzione, maschile e femminile, è salito a sei. Tre in più di quelle che avevamo censito non più tardi di qualche mese fa.
La più grande, quella che gli abitanti della baraccopoli definiscono «la discoteca», è il luogo prescelto per i festini a cui partecipano, spesso, i clienti abituali che costellano la provincia di Foggia. Vi si recano addirittura giovanissimi neolaureati per festeggiare “degnamente” la conclusione di percorsi di studio che avrebbero dovuto insegnare loro a vivere, prima ancora che ad assimilare concetti. Ma la pochezza morale, la bassezza delle intenzioni, sembra non avere limiti a Borgo Mezzanone. Il tutto, chiaramente, si svolge sotto lo sguardo vigile degli uomini dello Stato. Esercito, carabinieri e polizia, che non osano spingersi al di là della barriera metallica, osservano flusso e deflusso continuo di persone all’interno dei bordelli. Osservano anche me, mentre cerco di raccogliere elementi utili per tentare di dipanare la matassa. In silenzio, come si conviene.
Più in là, nell’area centrale della baraccopoli, sorge invece la più grande chiesa pentecostale del ghetto. È quello il luogo in cui i nigeriani esercitano una vera e propria azione coercitiva e morale sui ragazzi, innescando le dinamiche dello sfruttamento. Mentre sono lì il prete, appena arrivato sulla pista con un’Audi A5, somministra sermoni ai numerosissimi adepti seduti ad ascoltarlo. A giudicare dagli occhi vacui e dalle movenze di molti di loro, sembrerebbe che la chiesa sia uno dei luoghi cardine in cui avviene lo smercio e la somministrazione di droghe. Che divengono, così, lo strumento ideale per tenere imbrigliati i ragazzi nelle maglie di uno sfruttamento che non conosce distinzioni di sesso, né d’età.
Nel ghetto di Borgo Mezzanone, Foggia
FOTO: LE BARACCHE DELL’AREA SENEGALESE // EMMA BARBARO
“CAVALLO BIANCO”
Al ghetto la chiamano “cavallo bianco”. È una giovane donna, d’età indefinita, che si aggira ubriaca tra le baracche alla ricerca di “protezione”. Cavallo bianco è una zingara romena. Il colore del suo incarnato, dei suoi occhi, la rendono in questo contesto una merce tanto rara quanto pregiata.
«Sono più simile a te, ecco perché tutti questi negri mi vogliono. Così io posso guadagnare un poco di più, senza problemi.»
Sono queste le prime parole che pronuncia quando mi accompagna nella sua lurida stamberga, dove il nuovo protettore riposa indisturbato. Non so perché sceglie di raccontarmi la sua storia. Forse è troppo ubriaca persino per rendersi conto di infrangere la sacra regola del silenzio che vige nel ghetto.
«Cosa faccio per vivere? Ma è semplice. Faccio la puttana. Sono una puttana da quando avevo dodici anni. Non posso lavorare in campagna perché ho ernia sulla pancia, sono già stata operata cinque volte», mi dice scoprendosi il ventre. Osservo bene e scorgo una lunghissima cicatrice che dall’altezza dell’ombelico si dipana verticalmente, a forma di serpente, fino al basso ventre. Ne noto un’altra, più marcata e orizzontale, che quasi si congiunge alla prima.
«Come te la sei fatta questa?», le chiedo incuriosita.
«Questa ho fatto qualche anno fa, per mio bambino. Sai, io avevo un bambino piccolo. Lo avevo chiamato Antonio, come un poliziotto amico mio.»
«Dov’è adesso il tuo bambino?» insisto.
«Mio bambino è…mio bambino è…io ho dovuto vendere mio bambino. Mi hanno portato via Antonio quando stavo in altro ghetto, quello dei bulgari.» E piange, disperata. È in questo preciso momento che cade la maschera. Abbandona la sua risata sgangherata, le grida sguaiate che utilizza come richiamo per i suoi clienti abituali e torna a essere, semplicemente, un essere umano. Quell’umanità violata commuove anche me. Le accarezzo il volto costellato di lentiggini chiare mentre lei alza lo sguardo e mi sussurra dolcemente: «Come sei bella. Mai nessuno ha toccato me così.»
Mi vergogno. Mi vergogno di essere una donna che ha avuto la fortuna di nascere al di là della barriera. Mentre lei, rea di una colpa che non smetterà mai di espiare, è stata violentata dalla vita prima ancora che dal cugino di suo padre. L’uomo che, per la prima volta, le ha dato un mestiere.
Cavallo bianco ha già cambiato diversi protettori all’interno del ghetto. Il primo, un nigeriano, viene definito come «un grandissimo stronzo. Quello mi faceva fare ficki ficki con tutti, ma poi non mi dava i soldi. E allora vaffanculo, ho detto.» Poi è passata sotto l’ala protettiva di un senegalese che le consentiva di andare con chi più le piacesse allo scopo di dividere, a fine giornata, i guadagni incassati.
«Ora sto con amore mio», mi confessa. «Questo ogni tanto fa ficki ficki con me, ma ora troppo stanco per ramadan. Così io la sera vado alla discoteca, e faccio cazzi miei. Lui mi aiuta perché abbiamo costruito insieme baracca e dividiamo spese. Ma a me non mi frega un cazzo, se domani trovo uno con più soldi vado con quello.»
La sua baracca le è costata 400 euro. Più le spese, incassate direttamente dai nigeriani, per l’affitto del terreno su cui sorge.
«Ma chi vi dà i mattoni e il cemento per costruire le baracche più belle?» domando ancora.
«Vengono da Foggia. Noi chiamiamo e quelli ci portano mattoni, cemento, segatura…tutto quello che serve insomma. Nigeriani controllano che va tutto bene, poi noi costruiamo.»
Nel ghetto di Borgo Mezzanone, Foggia
FOTO: LA CHIESA PENTECOSTALE DI BORGO MEZZANONE // EMMA BARBARO
EVERY NIGGERS IS STAR.
Cavallo bianco mi accompagna in uno dei bordelli. Vorrebbe farmi entrare anche nella famosa discoteca, ma capisco subito che sarebbe troppo rischioso. Molti dei nigeriani del ghetto mi seguono, mi tengono sotto stretta sorveglianza. Mi sento quasi “scortata” da occhi invisibili, celati in ogni punto, pronti a reagire se dovessi fare anche la minima mossa sbagliata. Nella baracca, in cui troneggia un grosso televisore Samsung spento, scorgo un nigeriano steso su un divano in pelle. Non male, per chi vive in un ghetto. Poco lontano intravedo un esserino minuscolo, di due anni o poco più, che viene prontamente sottratto al mio sguardo. Tutti mi hanno sempre ripetuto che non ci sono bambini nel ghetto. Ma è difficile nascondere la verità quando, tra i cumuli di rifiuti non ancora dati alle fiamme, ci sono porta-enfant semi distrutti, passeggini sgangherati, giochi per bambini e pannolini. I bambini, ben nascosti, nel ghetto ci sono eccome. Me lo hanno confermato alcuni testimoni, che hanno voluto restare anonimi.
«Forse qualcuno lo portano poi a Foggia, non stanno sempre qua», mi hanno confessato sottovoce. «Ma noi li vediamo sempre. Se ci sono visite da fuori, li nascondono. Però ci sono.»
Sì, ci sono. Così come ci sono prostitute minorenni prontamente fatte passare per ragazze che hanno già raggiunto la maggiore età. Giusto per limitare i danni, se dovessero essere scoperti. Una di loro è seduta ai limiti della baracca, con uno sguardo impaurito. Non parla in italiano, non si muove, non alza lo sguardo. Provo a presentarmi mentre il suo protettore mi osserva con lo sguardo truce.
«Che lavoro fai?», mi chiede in inglese. So di non poter mentire. Se un bianco entra nel ghetto o è un medico, o è un giornalista o è uno che vuol andare a puttane. Il campo delle ipotesi è piuttosto ristretto. Non faccio in tempo a spiegarle che non sono lì per farle domande. I suoi occhi lanciano uno sguardo di terrore all’indirizzo del protettore che scatta in piedi, pronto a qualsiasi cosa. Vengo invitata gentilmente a lasciare la baracca. E lo faccio.
Nel ghetto di Borgo Mezzanone, Foggia
FOTO: IL PANORAMA DALLA FINESTRA DEL NUOVO RISTORANTE NIGERIANO // EMMA BARBARO
SOLUZIONI A CONFRONTO.
«Quel posto lì va chiuso. So da tempo che il ghetto di Borgo Mezzanone è un inferno, ma va chiuso, senza soluzione di continuità. Quel che posso fare è chiedere un confronto col ministero dell’Interno per verificare, insieme, le modalità con cui gestire lo sgombero.» Michele Emiliano sembra deciso sul destino del gran ghetto. Intervenuto, tra i consensi generali, a una manifestazione organizzata lo scorso 2 giugno da Casa Sankara Associazione Ghetto Out, a San Severo, non ha remore. Abbraccia i bambini, disciplina le folle, raccoglie larghi consensi. Nel corso del suo lungo monologo descrive l’Italia, e la Puglia in particolare, come l’isola felice dei diritti. Il luogo in cui, attraverso un’azione di governo ispirata dal compianto assessore regionale Stefano Fumarulo, si è dato respiro alla voglia di riscatto di tre ex schiavi che si sono ribellati al giogo del caporalato. Nel più comune plebiscito di consensi, il Governatore sembra quasi aver dimenticato che Casa Sankara, purtroppo, è una realtà unica nel suo genere. E che quella unicità non rende meno evidenti le lacune di un’azione di governo che da troppo tempo, ormai, sembra aver completamente bypassato le responsabilità nella gestione delle numerose criticità regionali. Basti pensare alla sospensione della convenzione con Emergency senza aver offerto, al contempo, soluzioni di continuità per la tutela dei diritti alla salute dei giovani migranti che, dal Salento alla Capitanata, soffrono l’impossibilità di poter accedere liberamente alle cure. Assistenza medica affidata, in contumacia, all’azione solitaria delle associazioni – come il Cuamm Medici per l’Africa o ai volontari dei medici col camper – che troppo spesso agiscono nell’impossibilità di coprire tutti i ghetti che costellano la regione. Le responsabilità istituzionali sono troppo evidenti. E non si possono mascherare con un abbraccio dato, a favore di fotografi, a uno dei ragazzi del ghetto giunto fino a Casa Sankara per avere l’opportunità di descrivere al Presidente, con toni accorati, la propria condizione di inumanità.
Più calibrata sulla realtà sembra invece la soluzione offerta dallo scrittore Leonardo Palmisano. Che, su Borgo Mezzanone, ha le idee fin troppo chiare.
«La presenza dello Stato lì è visibile. Lo Stato c’è, è armato fino ai denti, ma non interviene su situazioni che non sono semplicemente illegali, ma criminali. I veri “invisibili” sono loro. Traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, insediamento mafioso e traffico di cibarie, mattoni, cemento. E va chiarito che non si tratta di materiali di risulta, ma di materie prime che vengono trasportate direttamente all’interno del ghetto. 
I leader di Borgo Mezzanone hanno relazioni fitte e ben radicate con il territorio. Poi, parliamoci chiaro. Quel che succede all’interno del Cara, a me puzza. Infatti chiederò al Ministero dell’Interno un’inchiesta sulla gestione di quel centro. Perché non è possibile che nel ghetto vi siano ragazzi e ragazze del Cara che vengono sfruttati tanto nei campi quanto per la prostituzione. Chi gestisce il Cara e quali sono le spese? Quanto ci guadagnano? Gli operatori, sono all’altezza dell’accoglienza? Non è possibile che, ad oggi, non sia pervenuta alcuna denuncia da parte di chi gestisce il Cara. 
La verità è che lì Stato e anti-Stato sono la stessa cosa. In più, si deve pensare al destino di queste persone. Vogliamo consegnarle nuovamente alla mafia dei caporali anche quest’estate? Non penso. Penso invece che serva smantellare il Cara e conseguentemente pensare a una soluzione alternativa per chi vive nel ghetto, ma non è un criminale. I criminali, e quindi la gran parte dei nigeriani che gestiscono questi traffici, vanno consegnati alla giustizia. 
Se questo significa sgombero, ebbene che si pervenga a una soluzione praticabile. Quel posto va smantellato, è inevitabile. Non c’è alternativa. Il rischio di epidemie è altissimo, le violenze sono quotidiane e non possiamo tollerare che tutto ciò avvenga sul territorio italiano, sotto gli occhi impassibili delle forze dell’ordine. L’emergenza l’ha creata lo Stato, con la complice indifferenza della Regione Puglia. E allora, che lo Stato la gestisca, se è uno Stato di diritto.»
fonte: terradifrontiera del 4/6/2018

Noam Chomsky: "Il popolo si sta rivoltando contro le élite che lo hanno ingannato, il populismo non c'entra e ha anche una storia rispettabile"



Il professore e linguista descrive il tempo che viviamo: "La crescita economica ha favorito solo le istituzioni finanziarie, un danno per l'economia."


"I lavoratori si stanno rivoltando contro le élite e le istituzioni dominanti che li hanno puniti per una generazione. C'è stata una crescita economica e un aumento della produttività ma la ricchezza generata è finita in pochissime tasche, per la maggior parte a istituzioni finanziarie predatorie che, nel complesso, sono dannose per l'economia". 
Lo dice Noam Chomsky, professore e linguista e teorico della comunicazione, in una intervista al Manifesto. Partendo dall'analisi della situazione politica americana, per Chomsky: "in Europa è accaduto più o meno lo stesso, in qualche modo anche peggio perché il progresso decisionale su questioni importanti si è spostato sulla Troika che è un organismo non eletto. I partiti di centrodestra/centrosinistra si sono spostati a destra abbandonando in gran parte gli interessi della classe lavoratrice".
Secondo l'accademico "ciò ha portato alla rabbia, alla frustrazione, alla paura e al capro espiatorio. Poiché le cause reali sono nascoste nell'oscurità, deve essere colpa dei poveri non meritevoli delle minoranze etniche, degli immigrati o di altri settori vulnerabili. In tali circostanze le persone si arrampicano sugli specchi".
Negli Usa molti lavoratori hanno votato per Obama, credendo nel suo messaggio di speranza e cambiamento, e quando sono stati rapidamente disillusi, hanno cercato qualcosa'altro. Questo è terreno fertile per demagoghi come Trump, che finge di essere la voce dei lavoratori mentre li indebolisce di volta in volta attraverso politiche antisindacali della sua amministrazione, che rappresenta l'ala più selvaggia del Partito Repubblicano.
"Non ha nulla a che fare con il "populismo", un concetto con una storia mista, spesso piuttosto rispettabile", conclude Chomsky.
Fonte: huffingtonpost dell'8/9/2018

CHI È GEORGE SOROS E COS'È LA OPEN SOCIETY FOUNDATION - Diego Fusaro



Questa può definirsi una descrizione, abbastanza verosimile, della personalità di questo discusso personaggio.


Perché sto investendo 500 milioni di dollari in migranti. - George Soros



I governi devono svolgere il ruolo guida nell'affrontare questa crisi creando e sostenendo un'infrastruttura fisica e sociale adeguata per migranti e rifugiati. Ma anche il controllo del potere del settore privato è fondamentale.
Riconoscendo ciò, l'amministrazione Obama ha recentemente lanciato un "Call to Action" che chiede alle compagnie statunitensi di svolgere un ruolo più importante nel far fronte alle sfide poste dalla migrazione forzata. Oggi i leader del settore privato si stanno riunendo alle Nazioni Unite per prendere impegni concreti per aiutare a risolvere il problema.
In risposta, ho deciso di stanziare $ 500 milioni per investimenti che rispondono specificamente ai bisogni di migranti, rifugiati e comunità ospitanti. Investirò in start-up, aziende consolidate, iniziative di impatto sociale e imprese fondate da migranti e rifugiati stessi. Sebbene la mia principale preoccupazione sia quella di aiutare i migranti e i rifugiati che arrivano in Europa, cercherò buone idee di investimento che andranno a beneficio dei migranti di tutto il mondo.
Questo impegno di investimento equo andrà a integrare i contributi filantropici che le mie fondazioni hanno fatto per affrontare la migrazione forzata, un problema su cui abbiamo lavorato a livello globale per decenni e al quale abbiamo dedicato notevoli risorse finanziarie.
Cercheremo investimenti in una varietà di settori, tra cui la tecnologia digitale emergente, che sembra particolarmente promettente come un modo per fornire soluzioni ai problemi particolari che le persone dislocate spesso devono affrontare. I progressi in questo settore possono aiutare le persone ad accedere in modo più efficiente ai servizi governativi, legali, finanziari e sanitari. Le aziende private stanno già investendo miliardi di dollari per sviluppare tali servizi per le comunità non migranti.
Ecco perché ora i soldi si spostano istantaneamente da un portafoglio mobile a un altro, i conducenti trovano i clienti utilizzando solo un cellulare e come un medico in Nord America può vedere un paziente in Africa in tempo reale. Personalizzare ed estendere queste innovazioni per servire i migranti aiuterà a migliorare la qualità della vita di milioni di persone in tutto il mondo.
Tutti gli investimenti che facciamo saranno di proprietà della mia organizzazione no-profit. Sono destinati ad avere successo, perché voglio mostrare come il capitale privato può svolgere un ruolo costruttivo nell'assistere i migranti e qualsiasi profitto andrà a finanziare programmi presso le Open Society Foundations, inclusi programmi a favore di migranti e rifugiati.
Come campioni di lunga data della società civile, ci concentreremo sull'assicurare che i nostri investimenti portino a prodotti e servizi che avvantaggiano realmente i migranti e le comunità ospitanti.
Lavoreremo anche a stretto contatto con organizzazioni come l'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e il Comitato internazionale di salvataggio per stabilire i principi per guidare i nostri investimenti. Il nostro obiettivo è sfruttare, per il bene pubblico, le innovazioni che solo il settore privato può fornire.
Spero che il mio impegno ispiri altri investitori a perseguire la stessa missione.
Fonte: georgesoros pubblicato su: The Wall Street Journal, 20 settembre 2016



Nel brano scritto di suo pugno si nota lapalissianamente il tentativo di far passare un preciso intento di imprenditoria lucrativa pro domo sua e destabilizzazione di interi paesi, in atti di filantropia.

sabato 27 ottobre 2018

Tap, il governo ha deciso: “Il gasdotto si deve fare”. Conte: “Con stop costi insostenibili”. I comitati per il No: ‘Dimissioni’.

Tap, il governo ha deciso: “Il gasdotto si deve fare”. Conte: “Con stop costi insostenibili”. I comitati per il No: ‘Dimissioni’

Il governo getta la spugna: il gasdotto verrà completato e arriverà a San Foca, in provincia di Lecce. Il premier prova a rassicurare le comunità locali, che da anni avversano l'infrastruttura: "Strada senza via d'uscita: ci sono numeri che si avvicinano a quelli di una manovra economica. Prometto un'attenzione speciale per le comunità locali, la meritano". Di Maio: "Penali insostenibili". Salvini: "Avanti con i lavori". Opposizioni contro il M5s: "Ha preso in giro gli elettori". Malumori tra gli eletti nel Movimento, non solo pugliesi. Il sindaco di Melendugno: "Ce ne ricorderemo".

Il Tap non verrà fermato dal governo. La costruzione del gasdotto proseguirà e l’opera verrà completata con approdo a Melendugno, in provincia di Lecce. A gettare la spugna in una lettera indirizzata ai sindaci pugliesi interessati dal passaggio dell’infrastruttura che collegherà Azerbaijan e Italia è il premier Giuseppe Conte: “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, ma fermare l’opera comporterebbe costi insostenibili“. “Abbiamo fatto un’istruttoria per due mesi, abbiamo verificato tutti gli aspetti di quell’opera e ci sono fino a venti miliardi di euro di penali da pagare, cioè più del reddito di cittadinanza e di quota cento insieme. È questo il problema”, ha spiegato poi il ministro del Lavoro e vicepremier Luigi Di Maio.
Finisce così una delle battaglie storiche del Movimento Cinque Stelle, che si è sempre battuto per contrastare l’opera e nella primavera dello scorso anno aveva assicurato di poterla “fermare in due settimane”. E ancora a settembre con il vicepremier Luigi Di Maio ribadiva: “Eravamo e restiamo NoTap”. Ma la sensazione che il via libera fosse solo una questione di tempo era forte da luglio, quando rassicurazioni erano state fornite proprio dal presidente del Consiglio a Donald Trump durante un bilaterale alla Casa Bianca. Dopo l’ultima verifica sulla documentazione da parte del ministero dell’Ambiente, è arrivata la decisione definitiva.
“Abbiamo fatto di tutto” – “Gli atti sono legittimi”, ha scritto Sergio Costa a Conte ricordando come solo su quello bisogna basare le decisioni. E dopo aver letto la relazione del ministro, il premier ha ufficializzato la decisione: “Mi ero impegnato con le autorità locali e con i rappresentanti delle comunità territoriali, ivi compresi i parlamentari eletti in Puglia, ad effettuare un rigoroso controllo delle procedure di realizzazione dell’opera al fine di verificare tutti i profili di eventuale illegittimità che erano stati segnalati”, ricorda il premier. “Avevo altresì preannunciato che se avessimo riscontrato tali profili di illegittimità non avremmo esitato ad assumere tutti i conseguenti provvedimenti, compresa la decisione di interrompere i lavori – spiega – Da quando ci siamo insediati abbiamo fatto quello che non è mai stato fatto in precedenza. Abbiamo effettuato un’analisi costi-benefici, abbiamo dialogato con il territorio, abbiamo ascoltato le istanze e studiato i documenti presentati dalle autorità locali”.
I malumori nel Movimento – “Vendiamo l’anima alla Lega”, è uno degli sms che rimbalza su alcuni cellulari dei parlamentari M5S più imbestialiti per il via libera, secondo quanto riporta l’Adnkronos. A fremere non sono solo gli eletti salentini ma da tutto il Paese, “perché il ‘vaffa’ alla Tap era una nostra bandiera, ma la sacrifichiamo all’altare di un governo che ci sta cannibalizzando…”, lamenta un deputato campano. Sempre secondo quanto riporta l’agenzia di stampa, alcuni parlamentari, in queste ore, valutano di tirarlo in ballo Beppe Grillo, chiedendogli un intervento diretto “per salvaguardare il Movimento”. “Dopotutto – ragiona una deputata pugliese – Grillo è il nostro garante. E se è pur vero che ora siamo al governo, è altrettanto vero che questa è una battaglia del M5S”. Lo scorso week end, proprio il fondatore dal palco della festa al Circo Massimo aveva detto: “Vogliamo il gas che passa sotto quei cazzo di ulivi della Puglia o non lo vogliamo?”.
Conte: “Fermarla costa decine di miliardi” – Non ci sono spazi di manovra, assicura il presidente del Consiglio: “Ad oggi non è più possibile intervenire sulla realizzazione di questo progetto che è stato pianificato dai governi precedenti con vincoli contrattuali già in essere. Gli accordi chiusi in passato ci conducono a una strada senza via di uscita“. Perché “non abbiamo riscontrato elementi di illegittimità” e “interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili, pari a decine di miliardi di euro“. In ballo, sottolinea il premier, “ci sono numeri che si avvicinano a quelli di una manovra economica“. Ora però, conclude, “è arrivato il momento di operare le scelte necessarie e di metterci la faccia. Prometto un’attenzione speciale alle comunità locali perché meritano tutto il sostegno da parte del Governo”.
Di Maio: “Quelli di prima l’hanno blindato bene con le penali” – “Questo non vuol dire che abbasseremo la guardia, noi staremo attentissimi a quello che succederà con quest’opera”, ha aggiunto. “C’è addirittura una parte del cantiere sequestrato dalla Procura e non si faranno sconti a nessuno. Il tema vero è che dalle analisi che abbiamo fatto nell’istruttoria ci sono almeno venti miliardi di penale da pagare cioè che quelli di prima l’avevano blindata bene per fare in modo che, nonostante la sconfitta alle elezioni, potesse andare avanti”.
I capigruppo M5S: “Stop sarebbe danno economico per il Paese” – “Stoppare la Tap ci costerebbe miliardi di euro. Inoltre tutte le verifiche disposte dal governo non hanno fatto emergere alcuna irregolarità nelle procedure di autorizzazione dei lavori, il cui via libera alla realizzazione dell’opera, ricordiamo, è stato dato dai precedenti governi. Noi oggi ci ritroviamo davanti a contratti che se non venissero rispettati ci porterebbero a pagare cifre esorbitanti. Di sicuro vigileremo affinché l’iter dei lavori non arrechi danni alla comunità locale”, hanno detto Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, capigruppo M5S alla Camera e al Senato.
I comitati: “Andate a casa” – Dunque il gasdotto si farà, con buona pace del Movimento No Tap che nelle ultime settimane aveva pesantemente attaccato il governo ricordando le rassicurazioni delle scorse settimane e parlando di “tradimento” da parte degli esponenti pentastellati. Alle penali e ai risarcimenti danni evocati da Conte non crede la comunità salentina, anche perché – dicono da più parti – non sono mai state né quantificate né documentate. E quindi chiedono le dimissioni, perché la giravolta dei pentastellati rispetto alle promesse elettorali è ritenuta insostenibile. “Una perdita di tempo, una presa in giro per calmare gli animi”, dice Gianluca Maggiore, leader del movimento No Tap. “È chiaro – dice – che la nostra battaglia continuerà, come è chiaro che tutti i portavoce locali del M5S che hanno fatto campagna elettorale qui e che sono diventati addirittura ministri grazie ai voti del popolo del movimento No Tap, si devono dimettere adesso“. Il leader NoTap conclude: “Noi siamo qui, sui luoghi della Tap ad aspettare. Vogliamo vedere se gli eletti pentastellati saranno dalla parte della popolazione dimettendosi, o dalla parte di chi vuole imporre l’opera con la forza“.
Il sindaco di Melendugno: “Ce ne ricorderemo” – “Non abbiano chiesto a Conte o alla ministra Lezzi di essere i dottori dei nostri dolori. Ci cureremo da soli le nostre ferite, sapremo rialzarci e continuare a combattere. Conte con questo atteggiamento avalla quella che sarà una follia ingegneristica e la distruzione di un intero territorio. Nel Salento se lo ricorderanno bene“, attacca il sindaco di Melendugno, Marco Potì. Dicendosi “deluso e amareggiato”, l’amministratore locale più coinvolto dalla costruzione del gasdotto se la prende con il premier: “Sono ancora più deluso dalle dichiarazioni di Conte, che parla di ristori per le comunità e di vicinanza ai territori. Il primo ministro può starsene a Roma. Le comunità di questi territori – conclude – non vogliono essere ristorate, né vogliono vicinanza, perché non hanno trovato in questo Governo e nelle forze politiche che lo sostengono il coraggio e la volontà politica di cambiare rispetto a quest’opera verso cui si è dichiarato sempre e totalmente la contrarietà. Sono deluso da questa fretta e superficialità nel voler liquidare queste criticità che conoscevano bene tutti, specie i ministri e i deputati salentini del M5S”.
Salvini: “Avanti”. Pd: “È Ilva 2 la vendetta” – Già sabato, nel punto dove dovrebbero riprendere i lavori per la costruzione del micro-tunnel, è prevista una manifestazione del Comitato No Tap. E che la multinazionale possa aprire il cantiere nel mar Adriatico in tempi brevissimi è l’auspicio di Matteo Salviniche negli scorsi mesi aveva incontrato l’ambasciatore di Tap, Tony Blair, e ripetuto più volte la necessità di andare avanti: “Avere l’energia che costerà meno a famiglie e imprese è fondamentale, quindi avanti coi lavori“, ha detto subito dopo l’annuncio di Conte. La svolta decisa dal governo porta le opposizioni a criticare il M5s, che ha sempre contrastato la realizzazione del gasdotto. La capogruppo di Forza Italia, Maria Stella Gelmini, parlando di “un’ottima notizia” attacca: “Il M5s sapeva di non poter bloccare il gasdotto, ma in Puglia ha fatto la campagna elettorale gridando NoTap, prendendo in giro i cittadini. Che dice Alessandro Di Battista?”. Mentre il coordinatore regionale della Puglia e deputato Mauro D’Attis ironizza: “Frode ai danni degli elettori. Una fattispecie di reato che se esistesse porterebbe alla denuncia da parte di centinaia di migliaia di elettori che hanno votato il M5S”. Per il capogruppo Pd nella commissione Ambiente, Andrea Ferrazzi, “si ripete per Tap il film visto con l’Ilva. I 5Stelle dovranno rispondere ai loro elettori delle bufale raccontate in campagna elettorale. Prossima puntata la Tav, poi il Brennero”. Per l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, “Tap è Ilva 2 la vendetta – scrive su Twitter – E adesso Luigi Di Maio piantiamola con le perdite di tempo e le sceneggiate e andiamo avanti. Grazie”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 26/10/2018

Non riesco a comprendere per quale motivo i governi recedenti hanno stipulato contratti capestro con penali miliardarie da pagare in caso di recessione.
Sapevano che avrebbero perso le elezioni e "dovevano" mantenere saldi gli accordi presi con vincoli contrattuali da capestro?
E se è questo il motivo, perché "dovevano" mantenere saldi gli accordi presi??
E i rappresentanti del Pd e di Fi, colpevoli del misfatto, con quale coraggio inneggiano alla vittoria e ironizzano sulla impossibilità del governo di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale?
Cetta.

Jean-Claude Juncker killer d'Europa. - Paolo Biondani e Leo Sisti

Jean-Claude Juncker killer d'Europa

Favori giganteschi alle multinazionali. Mille miliardi all’anno di evasione ed elusione. Mentre i cittadini sono oberati di tasse. Inchiesta sul presidente della Commissione. E sulle politiche fiscali che hanno scatenato il populismo. In esclusiva con l’Espresso da domenica 28 ottobre.

Una voragine nei conti dei 28 Paesi dell’Unione europea: mille miliardi di euro all’anno, tra elusione ed evasione fiscale. Multinazionali che non pagano le imposte e smistano decine di miliardi di dollari dei loro profitti, accantonati grazie a operazioni finanziarie privilegiate in Lussemburgo, verso altri paradisi rigorosamente “tax free”. Stati membri dell’Unione che si fanno concorrenza sleale sulle tasse. È disastroso il bilancio che sta lasciando Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, nonché ex padre-padrone del Granducato, mentre imbocca l’ultimo anno del suo mandato, in scadenza dopo le elezioni del 2019: il suo viale del tramonto.

L'INCHIESTA INTEGRALE SULL'ESPRESSO IN EDICOLA DA DOMENICA 28 OTTOBRE

Ormai ogni giorno il numero uno della Ue deve incrociare i ferri con populisti e sovranisti, pronti a sfidare regole, limiti e vincoli europei. In Italia ad attaccarlo è soprattutto Matteo Salvini, con un avvertimento: «Pensi al suo paradiso fiscale in Lussemburgo». Dove Juncker è stato presidente del Consiglio dal 1995 al 2013 e, già prima, più volte ministro delle Finanze, esordendo con il primo incarico politico nel 1982, ad appena 28 anni. Ed è proprio il Lussemburgo il vero nodo del caso Juncker, di cui ora approfittano i nemici dell’Europa. Il nodo di un paese fondatore della Ue che spinge i ricchissimi a eludere le tasse.

L'Espresso, nel numero in edicola con La Repubblica da domenica 28 ottobre, pubblica un'inchiesta sul presidente della Commissione europea e sul problema strutturale dei sistemi fiscali nazionali che favoriscono le grandi aziende danneggiando i cittadini oberati di tasse. L'articolo documenta il ruolo centrale di Juncker nelle politiche che hanno reso il Lussemburgo il primo paradiso fiscale interno all'Unione europea. Uno scandalo svelato a partire dal novembre 2014, proprio mentre Juncker si insediava al vertice della Ue, dall'inchiesta “LuxLeaks”, firmata dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), di cui fa parte l’Espresso in esclusiva per l'Italia . Analizzando oltre 28 mila documenti riservati, i giornalisti del consorzio hanno rivelato i contenuti degli accordi fiscali privilegiati (tax rulings) con cui il Lussemburgo di Juncker ha garantito a 340 multinazionali, da Amazon ad Abbott, da Deutsche Bank a Pepsi Cola, di pagare meno dell’uno per cento di tasse.

Ora l'Espresso in edicola pubblica i documenti interni dei lavori delle due commissioni speciali d'indagine istituite dall'Unione europea dopo lo scandalo LuxLeaks. Oltre al Lussemburgo, i commissari hanno esaminato i sistemi fiscali di altri paesi che garantiscono fortissime riduzioni delle tasse per le multinazionali, dall'Olanda al Belgio, dall'Irlanda a Malta. Una concorrenza sleale tra Stati che, secondo le stesse autorità europee, provoca un danno complessivo, tra elusione ed evasione fiscale, quantificato nell'astronomica cifra di «mille miliardi di euro all'anno».

L'inchiesta dell'Espresso documenta anche le manovre politiche e le pressioni di singoli governi, tra cui spicca il Lussemburgo, per bloccare tutti i progetti europei di riforma fiscale. E per tenere segreti ai cittadini gli accordi privilegiati che da anni garantiscono enormi vantaggi tributari ai colossi mondiali dell'economia. L'articolo svela anche gli interventi diretti di Juncker, come capo del governo lussemburghese, a favore di multinazionali, come Amazon, che ora sono al centro delle indagini europee sull'elusione fiscale.

Fonte: espresso.repubblica del 26/10/2018

venerdì 26 ottobre 2018

L'inchiesta sulle ville abusive Palermo, c'è un errore nel Prg. - Riccardo Lo Verso

abusivismo edilizio palermo, errore piano regolatore palermo, inchiesta abusivismo palermo, inchiesta ville abusive palermo, pm indagano sulle ville abusive, ville sul mare a palermo, Cronaca

La scoperta nel 2017. L'indagine della Procura è partita da un immobile alla Bandita.

PALERMO - C'è un errore nel piano regolatore di Palermo. Resta da capire se e quante persone ne abbiano approfittato per costruire degli immobili abusivi. Ed è probabilmente anche su questo che sta indagando la Procura della Repubblica. Nei giorni scorsi LiveSicilia ha raccontato dell'esistenza di più inchieste che scuotono la burocrazia comunale. Una riguarda la costruzione di alcune ville sul mare.   

Procediamo per ordine. Nel 2017 un palermitano chiede il permesso di costruire una villa bifamiliare alla Bandita. Il Comune respinge l'istanza. L'uomo non si rassegna, chiede perché gli sia stato negato qualcosa che ad altri è stato consentito. Qualcuno, infatti, ha già costruito nel 2011. Strano, perché si tratta di un'abitazione che viola il divieto di edificabilità entro 150 metri dalla costa. All'edilizia privata fanno una verifica e scoprono che nel piano regolatore la zona in questione è identificata B1, e cioè edificabile. Come è potuto succedere?

La norma sulla inedificabilità assoluta entra in vigore con la legge 78 del 1976.L'articolo 15 stabilisce il divieto di costruire ad eccezione delle zone A e B. Nel 1991 la Regione fa una nuova norma che doveva spazzare via i dubbi. Non è così visto che nascono molti contenziosi. Nel 2001 ci pensa il Cga a mettere le cose in chiaro: le eccezioni sono limitate alle zone che già nel 1976 erano qualificate come A e B. Nessuna deroga per il futuro.

Il punto è che nel piano regolatore del 2002 si identificano nuove zone B, ad esempio alla Bandita e ad Acqua dei Corsari, e ci si dimentica di specificare che resta in vigore il 1976 come limite temporale massimo per le eccezioni alla inedificabilità assoluta.

Quante case sono state costruite approfittando dell'errore nel piano regolatore? E' questa la domanda a cui cerca di rispondere il Comune che nel 2017 ha segnalato in Procura di avere scoperto, grazie al cittadino che voleva edificare la bifamiliare alla Bandita, che qualcuno ha costruito abusivamente. L'amministrazione ha avviato un monitoraggio di cui non si conoscono ancora i risultati. Nel frattempo è partita anche l'inchiesta della Procura. Le nuove case abusive costruite negli ultimi anni nelle nuove zone B si conterebbero sulle dita di una mano.

Il punto è accertare cosa ha fatto il Comune per mettere a posto le cose e capire se ci sono immobili edificati dopo il 1976  e condonati nel 2003, dopo essere stati costruiti sfruttando l'errore del Prg del 2002. E qui potrebbe esserci stata una manina amica a sistemare le cose e a sanare qualche villa sulla costa.


Fonte: livesicilia del 26/10/2018

Coop scandalo a Rovigo, si paga per lavorare. Costretti a versare 100 euro al mese. - Giuliano Ramazzina



I dipendenti si rivolgono alla Cisl che avvia una procedura legale.

Rovigo, 25 ottobre 2018 - Il cda di una cooperativa sociale dice di essere in difficoltà finanziarie e senza passare per l’assemblea dei soci, documentando le difficoltà, decide di aumentare il capitale sociale per la terza volta in 3 anni infatti nel 2015 è stato chiesto un aumento di capitale di 312 euro, nel 2016 di 260 nel 2018 un ulteriore esborso di 1040.

Non solo, chiede ai lavoratori di sottoscrivere “per presa visione” l’informativa con cui la Cooperativa preleverà dalla loro busta paga 100 euro al mese e il 25% della tredicesima di dicembre. Lavoratori in gran parte donne ed inserite come operatrici socio sanitarie a Taglio di Po e Ariano nel Polesine. Pagare per lavorare. Trattenere una quota sociale minima facendo firmare aumenti di capitale senza l’approvazione dell’assemblea dei soci. Chiedendo sacrifici ai lavoratori per far fronte ad una situazione di difficoltà. Insomma, salvare l’impresa, con modalità che sono finite sul tavolo dell’avvocato Maria Enrica De Salvo, attivata dal sindacato Cisl Funzione Pubblica di Padova e Rovigo.

Quella che si è scoperchiata è una pentola ‘bollente’ che sta mettendo nei guai la ‘Corbola servizi plurimi società cooperativa’ con sede nel paese basso polesano , alla quale è giunta da parte dell’avvocato una diffida ad effettuare nuove trattenute allo stipendio di ottobre dei 116 lavoratori delle case di riposo di Corbola, Taglio di Po e Ariano Polesine (37 dei quali però non avevano accettato di sottoscrivere l’aumento di capitale ma si sono ritrovati con 100 euro di trattenuta in busta paga), intimando altresì di «provvedere immediatamente – si legge nell’atto di procedura legale – alla restituzione delle somme indebitamente trattenute». Inoltre il sindacato ha inviato una nota di protesta che è anche una denuncia agli assessorati regionali veneti al lavoro e ai servizi sociali e ai tre sindaci dei comuni coinvolti con l’obiettivo di fare chiarezza anche nei rapporti tra cooperativa e consorzio Ciass.

«E’ uno dei casi più gravi ai quali abbiamo assistito ed ha del clamoroso – afferma Franco Maisto – dirigente della Funzione Pubblica della Cisl che assieme alla collega Brenda Bergo ha illustrato ieri mattina alla stampa la delicata e complessa situazione che si è venuta a creare e che vede il sindacato in campo «perché i soldi tornino ai lavoratori». «Ci sembra incredibile – rimarca Maisto – che questa cooperativa, come sta dimostrando, agisca nel puro interesse di recuperare i soldi da chi lavora al servizio dei malati e disabili chiedendo loro di fatto di rinunciare ad una parte dello stipendio per ricapitalizzare i bilanci della Coop , non è così che si fa impresa». Maisto mette il dito nella piaga. «Mai visto – aggiunge – una simile spregiudicatezza nell’avviare colloqui individuali e far firmare moduli di versamento, azioni in base ai quali i lavoratori si impegnavano a sottoscrivere l’aumento sociale pari a 20 azioni del valore di 52 euro cadauna e a versare il valore di 1.040 euro scegliendo tre opzioni: o il versamento di 25 euro con trattenuta fissa in busta paga per i contratti part time, o il versamento di 30 euro con trattenuta mensile fissa in busta paga per i contratti full time o attraverso una quota mensile del Tfr in busta paga».

Fonte; ilrestodelcarlino del 25/10/2018

Whirlpool, c’è l’accordo con i sindacati: produzione delle lavatrici trasferita dalla Polonia e zero esuberi entro il 2021.

Whirlpool, c’è l’accordo con i sindacati: produzione delle lavatrici trasferita dalla Polonia e zero esuberi entro il 2021

L'intesa prevede incentivi alla mobilità su base volontaria o per accompagnamento alla pensione ed il ricorso alla cassa integrazione straordinaria che il ministero del Lavoro concederà per il 2019 ed il 2020, superando i limiti imposti dal Jobs Act. L'accordo, secondo i sindacati, scongiura l'ipotesi di 800 esuberi. Di Maio: "Lotta alle delocalizzazioni. Stiamo riportando lavoro in Italia".

Un piano industriale che prevede investimenti per 250 milioni in tre anni e l’azzeramento degli esuberi entro il 2021. È la base dell’accordo tra Whirlpool e sindacati firmato al ministero dello Sviluppo Economico. L’intesa prevede incentivi alla mobilità su base volontaria o per accompagnamento alla pensione ed il ricorso alla cassa integrazione straordinaria che il ministero del Lavoro concederà per il 2019 ed il 2020: così verrà garantito “un aumento dei volumi produttivi e l’azzeramento degli esuberi da qui al 2021”. L’accordo scongiura l’ipotesi di circa 800 esuberi (623 nella produzione e 169 negli uffici centrali) ed è stato ottenuto, sottolineano le sigle sindacali, grazie al finanziamento della cassa integrazione da parte del governo in proroga rispetto al termine del 31 dicembre posto dal Jobs Act.
Nel piano c’è, come atteso, il trasferimento dalla Polonia della produzione delle lavatrici e lavasciuga da incasso: il sito di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, diventerà, per questi prodotti, il polo produttivo del gruppo per tutta l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa). L’azienda conferma inoltre gli impegni presi per il completamento del progetto di reindustrializzazione del sito casertano di Teverola e “rilancia rilevanti investimenti a favore della specializzazione degli altri stabilimenti italiani”: da Cassinetta di Biandronno, in provincia di Varese, fino a Melano, passando per SienaNapoli e Carinaro.
L’intesa (sull’ipotesi di accordo sul piano industriale di Whirlpool per l’Italia per il triennio 2019-2021) è stata firmata da azienda, sindacati, rappresentanti delle amministrazioni regionali interessate, e dal ministro Luigi Di MaioPer il vicepremier l’accordo rappresenta “un cambio di passo per l’Italia” perché “appena giunti al governo abbiamo iniziato una dura lotta contro le delocalizzazioni”. Ora, dice, “sta succedendo qualcosa che va oltre: stiamo riportando lavoro in Italia. È un primo passo, ma molto importante”.
“Abbiamo raggiunto oggi un’ipotesi di accordo con Whirlpool sul piano industriale dei prossimi anni, grazie al ritorno in Italia della produzione di lavasciuga e alla disponibilità del Governo a prorogare gli ammortizzatori sociali“, evidenzia Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm responsabile dei settori auto ed elettrodomestici. “Per arrivare all’accordo di oggi è stata decisiva la disponibilità del Governo a prorogare gli ammortizzatori sociali oltre il termine del 31 dicembre posto dal Jobs Act, limite che – ricorda Ficco – più volte nel corso degli ultimi due anni abbiamo denunciato come capestro e assolutamente da rimuovere”.
Sul prolungamento degli ammortizzatori, la Fiom-Cgil parla di “importante misura di politica industriale”. “Nei prossimi giorni – aggiunge il sindacato – si terranno assemblee in tutti gli stabilimenti e i centri amministrativi per illustrare nel dettaglio il piano industriale 2019-2021 e i termini dell’ipotesi di accordo quadro, che sarà sottoposto al referendum fra tutte le lavoratrici e i lavoratori del gruppo”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 25/10/2018