martedì 8 giugno 2021

Il grillino buono. - Marco Travaglio

 

La scena di Marcello De Vito, grillino della prima ora, presidente del Consiglio comunale di Roma prima, durante e dopo l’arresto per corruzione, che passa a Forza Italia in una solenne cerimonia officiata da Tajani e Gasparri e confessa di sentirsi finalmente a casa perché “Berlusconi è decisamente meglio di Grillo”, conferma due cose. 1) I 5Stelle sbagliano classe dirigente almeno una volta su due. 2) I forzisti non la sbagliano mai. Se non sei imputato o almeno indagato per tangenti, non ti calcolano proprio. Se poi addirittura ti arrestano e ti processano, fai proprio al caso loro. Noi abbiamo sempre nutrito seri dubbi sull’arresto di De Vito su richiesta della Procura di Roma, che sui 5Stelle capitolini non ne ha mai azzeccata una. Gli incarichi professionali affidati a De Vito dal costruttore Parnasi che trattava col Campidoglio per lo stadio della Roma, configurano un plateale conflitto d’interessi che avrebbe dovuto provocarne l’espulsione dal M5S per opportunità politica, non penale. Ma che siano tangenti, in mancanza di contropartite, è piuttosto opinabile, infatti la Cassazione bocciò i suoi tre mesi e più di custodia cautelare. De Vito notoriamente è un avversario interno della Raggi e non ha alcuna influenza sulla giunta, che anzi fa regolarmente l’opposto di quel che dice lui.

Ma queste sottigliezze ai forzisti interessano poco: sono uomini di principio. Un principio semplice ed elementare: ogni grillino è, per definizione, un incompetente populista giustizialista manettaro pauperista e pure comunista, insomma feccia umana (“li manderei tutti a pulire i cessi di Mediaset”, disse B. a corto di stallieri); ma, se lo arrestano e/o lo processano, diventa un tipo interessante. Infatti i talent scout berlusconiani avevano adocchiato Marcello fin dal giorno delle manette. Vuoi vedere – si dicevano – che non è onesto come gli altri grillini? Vedi che, scava scava, può esserci del buono anche in quel covo di pericolosi incensurati? Figurarsi la delusione quando la Cassazione definì il suo arresto “immotivato” e frutto di “congetture”: fu un duro colpo, che frenò per un bel po’ le loro avance. Con tutti i problemi che ha FI, manca solo quello di mettersi in casa un innocente. Creando, fra l’altro, un pericoloso precedente. Poi arrivò la richiesta di rinvio a giudizio e i contatti ripresero festosi, sino al lieto fine di ieri: se qualcuno protesta, si risponde che il nuovo acquisto è imputato, quindi ha tutte le carte in regola. Almeno come soldato semplice. Se poi arriva la condanna (che sarebbe proprio l’ideale), ma anche la prescrizione (che fa comunque punteggio), scatta la promozione. Se invece lo assolvono, il codice etico forzista non perdona: espulsione immediata.

IlFQ

L’inesorabile declino di Alitalia tra ritardi e mancanza di liquidità. - Gianni Dragoni

 

La compagnia non ha i soldi per saldare gli stipendi di maggio e per pagare la quattordicesima di giugno. Il negoziato del governo con la Ue per il decollo di Ita non è concluso. Guadagnano terreno i vettori stranieri.

I dipendenti di Alitalia hanno ricevuto solo metà dello stipendio di maggio e i commissari dell’azienda non sanno quando avranno i soldi per saldare l’altra metà. I commissari avvertono che non ci sono i soldi per pagare la quattordicesima insieme allo stipendio di giugno, servono “22-23 milioni di euro”, secondo il commissario Giuseppe Fava. Gli aerei, pochi, continuano a volare. Il decollo di Ita, la nuova società pubblica che dovrebbe prendere il posto di Alitalia, è rimandato a dopo l’estate. In realtà nessuno sa quando potrà partire e con quale flotta, manca l’autorizzazione della Commissione europea sugli aiuti di Stato.


Parziale ripresa del trasporto aereo.

Mentre il trasporto aereo si sta lentamente riprendendo dopo la mazzata del Covid, la Iata stima che i passeggeri globali nel mondo quest’anno saranno il 52% rispetto all’anno precedente la pandemia, il 2019. Per la compagnia italiana invece la situazione è sempre più critica. Gli aerei sarebbero stati messi a terra alla fine di aprile, se non fosse arrivato un nuovo salvagente del governo, con il decreto legge “Riaperture” che consente l’anticipazione dei 53 milioni residui di indennizzi Covid, stanziati per il 2020. Di questi fondi solo 12,83 milioni sono stati quindi versati alla compagnia, che in totale finora ha ricevuto 310 milioni, sui 350 milioni stanziati per il 2020. Con il decreto “Sostegni bis” di fine maggio il governo ha concesso altri 100 milioni alla compagnia, formalmente un prestito oneroso per non interrompere l’attività, ma questi soldi non sono arrivati sul conto corrente di Alitalia presso Intesa Sanpaolo.


Senza soldi.

Senza nuovi finanziamenti pubblici i tre commissari di Alitalia non saranno in grado di pagare né il saldo del 50% degli stipendi di maggio né di versare le buste paga di giugno, che comprendono la quattordicesima, hanno detto in audizione il 3 giugno alla commissione Bilancio della Camera. «È vitale per noi avere un'iniezione di liquidità. Non solo per garantire gli stipendi ma anche tutti gli altri servizi collaterali al mantenimento in servizio dell'attività di Alitalia», ha detto Fava.


La mazzata del Covid.

Ai guai cronici si è aggiunta la mazzata del Covid. «Nel 2020 i ricavi da passeggeri sono crollati da 2.673 milioni a 590 milioni. Abbiamo avuto un sostegno di 272 milioni, che di fronte a uno choc sui ricavi di circa due miliardi non è una cifra congrua, se si considera anche l’intervento, per multipli di miliardi, fatto da altri Stati europei per le loro compagnie», ha spiegato il commissario Giuseppe Leogrande. Con erogazioni successive quest'anno Alitalia ha ricevuto ulteriori 37,5 milioni. Pertanto ad oggi ha ottenuto 310 milioni, sui 350 stanziati dal governo precedente per il Covid. «Abbiamo ancora una dotazione di circa 40 milioni nel fondo stanziato per il 2020 per l'indennizzo Covid. Abbiamo già presentato le relative richieste, ma l'erogazione dipende da Bruxelles», ha detto Leogrande. Il Covid ha messo ko una compagnia che non era virtuosa, già perdeva 600 milioni all’anno.


L’annuncio di Conte a maggio 2020.

Per quale motivo non si fa il passaggio da Alitalia alla nuova società? Ita è stata costituita il 10 novembre 2020, ma è una scatola vuota, una società di carta, con 39 dipendenti, nove consiglieri di amministrazione e molti consulenti. Nel maggio 2020 il governo Conte ha annunciato la nascita di Ita con uno stanziamento di 3 miliardi, per dotarla del capitale necessario a operare e rinnovare la flotta. Finora sono stati versati 20 milioni. I successivi versamenti potranno avvenire per tranche, solo dopo che la Commissione Ue avrà approvato il piano industriale di Ita. Dopo il primo annuncio, il governo Pd-M5S ha perso 5 mesi a litigare sui nomi dei vertici di Ita, nominati solo il 20 ottobre. Il piano industriale è stato approvato dal consiglio di Ita il 18 dicembre. Ma l’8 gennaio scorso il piano è stato bocciato dalla Ue.


Intesa di massima.

Con Bruxelles è stata raggiunta solo un’intesa di massima, annunciata il 26 maggio dalla Ue e dal governo dopo quattro mesi di scontri tra Roma e la Commissione. Ma c’è tutto un negoziato a livello tecnico da completare e i dettagli sono fondamentali. Insomma, non si sa quando si concluderà «questa benedetta negoziazione con Bruxelles», parole di Leogrande. Poi Ita dovrà ridefinire il piano industriale e l’offerta da presentare ai commissari per l’acquisto del ramo d’azienda di volo di Alitalia, che potrà avvenire con un passaggio diretto, senza una gara. Secondo l’ultima versione del piano, Ita partirà con 47 aerei passeggeri e fra 3.000 e 3.500 dipendenti, rispetto a un totale di Alitalia di 10.106 dipendenti, questa la cifra aggiornata comunicata dall’avvocato Fava. Ita sarebbe una microcompagnia, avrebbe la metà della flotta di Alitalia, che è “più di 95 aerei” secondo un comunicato della Ue di un mese fa.


I bandi di gara e lo spezzatino.

L’accordo di massima tra i ministri Giorgetti e Franco e l’eurocommissaria Vestager prevede che le altre attività di Alitalia saranno messe in vendita con bandi di gara “aperti e trasparenti”. Ita potrà partecipare alle gare per il marchio e il logo. Ci sarà lo spezzatino delle attività di manutenzione e dei servizi aeroportuali, il cosiddetto handling: verranno create due nuove società. Ita potrà avere la maggioranza dei servizi aeroportuali, ma nella manutenzione potrà avere solo una partecipazione di minoranza. Il potenziale candidato alla maggioranza della manutenzione è la società Atitech di Napoli.


Incertezza sui tempi.

Ma in quali tempi si realizzerà questo programma? Nessuno lo sa. Dipende quando si chiuderà l’accordo con la Ue. Il negoziato potrebbe richiedere ancora diverse settimane. E, quando ci sarà l’autorizzazione di Bruxelles, occorreranno «da 60 a 90 giorni per dare il via operativo a Ita», ha detto l’amministratore delegato di Ita, Fabio Lazzerini. Pertanto Ita non potrà decollare prima della fine di settembre. Ma si potrebbe anche andare oltre.


Nuovo volo per Tokyo.

Il problema è che intanto Alitalia non ha le risorse per poter programmare i voli per l’estate. La compagnia ha annunciato un aumento dei voli per le mete delle vacanze, anche un secondo collegamento intercontinentale, da Roma per Tokyo, da luglio; adesso vola solo da Roma a New York. Ma le altre compagnie che volano in Italia fanno molti più voli. E sono pochi i clienti che comprano i biglietti di Alitalia. Se la compagnia dovesse arrivare al collasso e mettere gli aerei a terra, i biglietti sarebbero carta straccia. Non potrebbero neppure essere usati per la nuova società Ita, la Ue non vuole perché ci deve essere discontinuità economica.


In maggio venduti biglietti per 29,7 milioni.

In maggio Alitalia ha trasportato 483.616 passeggeri, sono quasi sei volte quelli del maggio 2020 (erano 86.295), ma sono solo circa un quarto rispetto al livello pre-Covid, nel maggio 2019 erano stati 1,83 milioni. I ricavi dalla vendita di biglietti in maggio sono stati 29,7 milioni, il triplo dell’anno scorso (9,38 milioni), ma una frazione del livello pre-Covid, erano 223,8 milioni nel maggio 2019, dunque -87 per cento.


Ita partirà “a ottembre”.

«Il problema è che tutto è stato posticipato. Doveva partire a ottobre 2020, poi a gennaio, ad aprile, a luglio, ma non so più se questa data sia valida...», ha detto Leogrande riferito a Ita. Leogrande ha detto che c'è totale incertezza «sulle date, sul perimetro e sulle modalità» dell'accordo tra governo e Ue per il trasferimento delle attività a Ita. Tra alcuni osservatori del dossier circola una battuta, “Ita partirà a ottembre”. Di quale anno, non si sa...

IlSole24Ore

L'Italia ammaina la bandiera in Afghanistan.

 

Si avvia a conclusione la missione del contingente che accelera il ritiro dal Paese.

Si avvia a conclusione la quasi ventennale presenza del contingente italiano in Afghanistan. Ad Herat è arrivato oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, per il saluto finale ai militari e la cerimonia dell'ammaina-bandiera alla base di Camp Arena, che sarà consegnata alle forze di sicurezza locali.

Le operazioni di rimpatrio di uomini (erano 800 a inizio anno) e mezzi, avviate a maggio, si concluderanno a breve, in sintonia con l'accelerazione impressa dagli Usa che intendono lasciare il Paese entro metà luglio, in anticipo sulla data simbolica dell'11 settembre annunciata dal presidente Joe Biden.

"Non vogliamo che l'Afghanistan torni ad essere un luogo sicuro per i terroristi.

Vogliamo continuare a rafforzare questo Paese dando anche continuità all'addestramento delle forze di sicurezza afghane per non disperdere i risultati ottenuti in questi 20 anni", ha spiegato Guerini.

"Non abbandoniamo il personale civile afghano che ha collaborato con il nostro contingente ad Herat e le loro famiglie: 270 sono già stati identificati e su altri 400 si stanno svolgendo accertamenti. Verranno trasferiti in Italia a partire da metà giugno", ha spiegato il ministro della Difesa parlando della sorte dei collaboratori afgani che rischiano ritorsioni da parte dei talebani una volta che il contingente Nato avrà lasciato l'Afghanistan.

I Paesi che stanno ritirando le loro truppe dall'Afghanistan dovrebbero accelerare i programmi per il reinsediamento di ex interpreti afghani e altri dipendenti di truppe o ambasciate straniere minacciati di ritorsioni dalle forze talebane: è l'appello di Human Rights Watch rivolto in particolare agli Stati Uniti e a tutti quei Paesi che si apprestano a ritirare ogni loro presenza nel Paese entro l'11 settembre di quest'anno. "Gli afghani che hanno lavorato con truppe o ambasciate straniere affrontano enormi rischi di ritorsioni da parte dei talebani", ha affermato Patricia Gossman, direttore associato per l'Asia di Human Rights Watch. "I Paesi con le truppe in partenza dovrebbero impegnarsi ad assistere chi si trova ad affrontare un pericolo per aver lavorare per loro".

Foto: "La cerimonia dell'ammaina-bandiera a Herat" - Ansa

ANSA

Confermata in appello la condanna all'ergastolo per Mladic.

Ratko Mladic in Aula © ANSA/EPA

La sentenza è definitiva. I giudici dell'Aja hanno confermato le accuse di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità.

Il Tribunale dell'Aja ha confermato oggi in appello la condanna all'ergastolo per Ratko Mladic, il boia di Srebrenica. La sentenza è definitiva, senza ulteriori possibilità di ricorsi. 

Respingendo il ricorso della difesa, i giudici dell'Aja hanno confermato le accuse di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità a carico dell'ex capo militare dei serbi di Bosnia, ribadendo il carcere a vita per l'ex generale.

Mladic (78 anni) era presente in aula e ha seguito con le cuffie della traduzione la lettura del lungo dispostivo della sentenza.

In giacca scura e cravatta azzura, affiancato da due agenti della sicurezza, l'ex generale è apparso in buone condizioni, accigliato e perplesso per tutte le accuse confermate a suo carico.

Ratko Mladic, ultimo criminale di guerra eccellente giudicato dalla giustizia internazionale, è stato riconosciuto responsabile in particolare per il genocidio di Srebrenica, dove nel luglio 1995 furono massacrati 8 mila bosniaci musulmani, e per il lungo assedio di Sarajevo durante il conflitto armato in Bosnia del 1992-1995.

Ansa