martedì 28 gennaio 2014

Alla Camera i deputati M5s cercano di salvare la Banca d'Italia dall'attacco concentrato dei nemici della indipendenza della Repubblica. Informarsi e informare è un dovere civico dell'intera cittadinanza. - Sergio Di Cori Modigliani


Insorgono tutti.
Ottimo segno.
L'intera classe politica parlamentare, dal PD a Forza Italia, da Lista Monti a Sel, stanno attaccando oggi il movimento a cinque stelle pretendendo, addirittura, che vengano presi provvedimenti contro per "vilipendio nei confronti dello Stato e delle istituzioni".
Tutto ciò, sta accadendo oggi, martedì 28 Gennaio 2014, perchè non sanno più come fermare il "costruzionismo" dei deputati pentastellati alla Camera, estrema soluzione consentita dalla Legge per impedire che la Banca d'Italia -la cassaforte della Repubblica Italiana e quindi dell'intera cittadinanza- venga regalata ai privati, alle banche, consegnando definitivamente il paese nelle mani di....non si sa. 
Di chi vogliono loro, di chi paga meglio le consorterie dell'oligarchia  medioevale del privilegio garantito..

Dirottati a chiacchierare sulla legge elettorale e su altre questioni, in questo momento minime, l'intera sinistra, centro, e destra parlamentare, sono schierate a difesa degli interessi privati di banchieri stranieri che stanno approfittando della neghittosità, negligenza, e autentico tradimento da parte della nostra dirigenza politica, per impossessarsi del forziere di Stato.

I deputati di M5s sono l'unica rappresentanza parlamentare che in questo momento, alla Camera, stanno difendendo il diritto del popolo italiano a non vendere la Banca d'Italia ai privati.
Il debito è pubblico, quindi la Banca d'Italia deve rimanere pubblica.
Lo capisce anche un bambino.

Ma di che cosa si tratta, in effetti?

Vediamo di spiegarlo con le parole di persone più esperte di me.


SIAMO ANCORA IN TEMPO PER FERMARLI!
LA PIÙ GRANDE PORCATA DELLA PARTITOCRAZIA ITALIANA ED EUROPEA


"Le quote della Banca di Italia che dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari.
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco nel sistema europeo delle banche centrali, immaginate quanto potrà contare se la sua banca centrale sarà di proprietà degli stranieri!" 

Lucio Di Gaetano

Ecco Il Passaparola di Lucio di Gaetano, ex-dipendente Banca d'Italia, già pubblicato sul blog di Beppe Grillo in data 13 dicembre 2013.

"Sono Lucio Di Gaetano, nella vita mi sono sempre occupato di banche, per cinque anni ho lavorato in Banca di Italia, per altri sette ho lavorato nel settore privato e ora faccio il consulente di azienda. 


Sono qui per parlarvi della fregatura che il governo Letta, di nascosto, mentre si dichiarava la decadenza di Berlusconi ha fatto a danno di tutti gli italiani, attraverso il decreto sulla rivalutazione delle quote della banca di Italia, per avere 900 milioni di Euro senza sforare il tre per cento del deficit. Ne regaleremo 450 all’anno agli azionisti della Banca di Italia, che come sapete sono privati. 


Ma facciamo un passo indietro, perché la banca di Italia nella governance ha azionisti privati? Perché c’è questa situazione da mondo di Oz dove un istituto di diritto pubblico è partecipato da banche private che sono detenute da fondazioni controllate dai partiti? 


La Banca di Italia nasce nel 1893 ed è completamente detenuta da azionisti privati, all’epoca si usava così. Nel '26 il governo fascista la pubblicizza e espropria i suoi azionisti.

Successivamente le quote del capitale della Banca di Italia vengono cedute alle banche, nel frattempo pubblicizzate a causa della crisi degli anni '30. Nel '93, a seguito della crisi finanziaria il governo Amato concepisce un mostro giuridico, la privatizzazione delle banche italiane mediante la'attribuzione delle loro quote di controllo alle fondazioni nominate dai partiti.
Il grosso del capitale viene quotato in borsa e di conseguenza oggi ci troviamo nell’azionariato della Banca di Italia, banche che agiscono con logiche di soggetti privati.

Per fortuna il mostro in passato è stato in qualche modo limitato, perché? Perché la ripartizione degli utili prodotti dalla Banca di Italia è sempre stata riservata in minima parte ai suoi azionisti privati, non più dello 0,5 per cento delle riserve, che ammontano più o meno a 22 miliardi di Euro. Per cui anni buoni e anni cattivi non hanno consentito agli azionisti di prendere più di 50 - 70 milioni di Euro all’anno dal capitale della Banca di Italia, che non si è mosso dalla cifra originaria di 156 mila Euro con cui era stato valorizzato.

Nel 2005 il governo Berlusconi fa per miracolo una legge giusta e stabilisce che le quote nel capitale della Banca di Italia, detenute da soggetti non pubblici debbano passare entro tre anni allo Stato. 
Sono passati otto anni e quella legge è rimasta inattuata.
Il 27 novembre notte tempo, mentre il Parlamento dichiara la decadenza di Berlusconi e tutti i cittadini sono distratti, Saccomanni fa una clamorosa marcia indietro, con un decreto leggestabilisce che la Banca di Italia non sarà più destinata a diventare un istituto di diritto pubblico detenuto dallo Stato, ma una public company, ovvero una società a azionariato diffuso con azionisti tutti privati.

Inoltre, il capitale della Banca di Italia passerà dagli attuali 156 mila Euro a 7,5 miliardi di Euro, con un forte vantaggio patrimoniale per tutti partecipanti, che saranno obbligati a pagare una imposta, per di più agevolata, del 12%, e avranno, poi, tutto il tempo per eseguire l’obbligo di vendita della quota eccedente il 5% eventualmente detenuta, con una fortissima plusvalenza.
E torniamo alla fregatura di cui parlavamo all’inizio, la cosa più importante è che fino a oggi la Banca di Italia non poteva distribuire un utile superiore al 10% dell’attuale capitale sociale, di 156 mila Euro, più una quota delle riserve, che per prassi non superava mai lo 0,5 per cento all’anno.

Nel progetto del governo Letta questo limite viene alzato al 6% del nuovo capitale sociale di 7,5 miliardi di Euro, vale a dire ben 450 milioni di utili distribuibili all’anno.
Non è cosa di poco conto, perché se i grandi banchieri possono brindare a champagne i cittadini non hanno proprio nulla da festeggiare! Quei 450 milioni, se non fossero dati ai banchieri privati andrebbero dritti nelle casse dello Stato. Come è stato fino a oggi.

Ma non finisce qui, anzi la fine è peggio dell’inizio, perché un’altra incredibile novità di questo magnifico progetto è che le quote della Banca di Italia che dovevano passare allo Stato potranno essere vendute e potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari.
Insomma, viviamo già oggi in un Paese che conta poco nel sistema europeo delle banche centrali, immaginate quanto potrà contare se la sua banca centrale sarà di proprietà degli stranieri! 
Interessa? Passate parola. testo di Lucio di Gaetano.

Qui di seguito, invece, ripropongo il post di Giorgio Gustavo Rosso, un imprenditore genovese di successo, attivo nel campo editoriale in quel di Cesena, che spiega con accalorata passione civica di che si tratta.


VOGLIONO REGALARE IL PATRIMONIO DI CENTINAIA DI MILIARDI DELLA BANCA D’ITALIA AI BANCHIERI PRIVATI ITALIANI E STRANIERI.

Dopo il Porcellum di Calderoli, Berlusconi e Casini del 2005domani 21 gennaio 2014 arriva LA PIU’ GRANDE PORCATA di Saccomanni con Letta, Alfano e Renzi.
Se oggi 28 gennaio 2014 la Camera dei Deputati approverà il Decreto Legge n. 133, il ministro dell’Economia Saccomanni, insieme a Letta Alfano e Renzi regaleranno centinaia di miliardi di euro degli italiani ai banchieri che non hanno alcun diritto sull’immenso patrimonio della Banca d’Italia, oro immobili e diritti di signoraggio inclusi.
Il Decreto 133 è in evidente contrasto con la Costituzione Italiana*
Il Decreto 133 è in contrasto con la legge n. 262 del 2005, che stabilisce il ritorno allo Stato Italiano delle quote della Banca d’Italia**

IL PIÙ GRANDE CONFLITTO D’INTERESSI VIENE DAL MINISTRO DELL’ECONOMIA FABRIZIO SACCOMANNI, infatti il Ministro dell’Economia e delle Finanze del Governo Letta è un banchiere, scelto dai banchieri a rappresentarli, e con questo Decreto Leggregalerà la Banca d’Italia e il suo patrimonio di centinaia di miliardi di euro ai banchieri che lo hanno scelto. Il Decreto Legge 133 è incostituzionale, è contro la legge 262 del 2005, va contro la natura pubblica della Banca d’Italia, va contro l’interesse degli italiani per favorire gli interessi dei banchieri privati e delle assicurazioni private italiane e straniere che hanno scelto Saccomanni prima come Direttore Generale della Banca d’Italia e poi come Ministro dell’Economia del Governo Letta. Fabrizio Saccomanni non è mai stato eletto e da decine d’anni è ai vertici del sistema bancario italiano e internazionalePer questo Fabrizio Saccomanni non può più fare il Ministro dell’Economia e non deve essergli consentito di regalare la Banca d’Italia ai suoi amici banchieri.

Dal sito della Banca d’Italia: la Banca d’Italia è la banca centrale della Repubblica italiana ed è parte del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e dell'Eurosistema. È un istituto di diritto pubblico.
Nell’esercizio delle proprie attribuzioni la Banca opera con autonomia e indipendenza, nel rispetto del principio di trasparenza, secondo le disposizioni della normativa comunitaria e nazionale.
Coerentemente con la natura pubblica delle funzioni svolte e consapevole dell’importanza dei propri compiti e responsabilità, l’Istituto cura la diffusione di dati e notizie con la massima ampiezza informativa.

Il patrimonio della Banca d’Italia, i suoi immobili, le tonnellate di lingotti d’oro (da soli valgono più di 100 miliardi di euro), le centinaia di miliardi di euro derivanti dalla stampa dei biglietti e delle monete sono degli italiani perché sono il risultato di oltre un secolo di attività pubblica della Banca d’Italia! Le banche e le assicurazioni private non hanno mai tirato fuori un solo euro per acquistare la Banca d’Italia, e quindi non hanno nessun diritto sulla Banca d’Italia!

In tutti i grandi paesi europei, Germania Francia Inghilterra e Spagna per prime, la banca centrale è di proprietà pubblica.
  • ** Il Decreto in discussione martedì alla Camera va contro la Costituzione perché:
-          I decreti legge devono avere requisiti di necessità e d’urgenza, altrimenti sono incostituzionali. La norma relativa al capitale della Banca d’Italia è evidentemente priva del requisito della necessità e urgenza, e quindi il Decreto 133 è incostituzionale.
-          I decreti legge devono trattare materie omogenee altrimenti sono incostituzionali. Il Decreto Legge 133 tratta della tassazione dell’Imu e delle regole per la cessione di immobili pubblici: sono materie che non hanno nulla a che fare con la proprietà della Banca d’Italia!
-          I decreti leggi non possono avere come argomento norme ordinamentali altrimenti sono incostituzionali. La norma relativa al capitale della Banca d’Italia invece è proprio una norma ordina mentale, e quindi non può essere oggetto di decretazione d’urgenza.
-          A partire dal 2014, grazie al Decreto Legge 133, ogni anno i banchieri potranno impadronirsi di decine di miliardi di euro, derivanti dalla stampa degli euro che invece spettano a noi italiani, se la Banca d’Italia rimane pubblica.
-          Mantenere la proprietà pubblica della Banca d’Italia è l’unica possibilità che abbiamo per potere ridiscutere il debito pubblico italiano e poi pagarlo.
-          Per tutti questi motivi, da più parti è stata fatta richiesta al Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni di stralciare la parte relativa alla Banca d’Italia dal Decreto 133, ma l’ex Direttore Generale della Banca d’Italia, in grave e evidente conflitto d’interessi, si è opposto!
  • * LEGGE 28 dicembre 2005, n.262 - Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari. 
  • TITOLO IV  DISPOSIZIONI CONCERNENTI LE AUTORITA' DI VIGILANZA Capo I PRINCIPI DI ORGANIZZAZIONE E RAPPORTI  FRA LE AUTORITA'
    Art. 19. (Banca d'Italia)  … 10. Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l'assetto proprietario della Banca d'Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della
    presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici.
PER SACCOMANNI E LETTA/ALFANO/RENZI DOPO LA BANCA D’ITALIA SARA’ IL TURNO DI POSTE ITALIANE, ENI, SNAM, TERNA, ENEL, FINMECCANICA, RAI, …

Dopo aver regalato la Banca d’Italia ai banchieri che lo hanno scelto, il banchiere Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha già progettato di “vendere” POSTE ITALIANE (inclusi i risparmi di milioni d’italiani) e poi  ENI, TERNA, ENEL, FINMECCANICA, RAI, SNAM, che gestisce la rete di distribuzione del gas, mentre stiamo già rischiando di perdere la rete telefonica dopo la svendita di Telecom, più immobili e terreni pubblici. In questo modo il banchiere Saccomanni sta proseguendo la svendita delle migliori aziende italiane già in parte realizzata dai suoi colleghi banchieri che lo hanno preceduto al Ministero del Tesoro, dell’Economia  o a capo del Governo, quando sono state privatizzate alcune delle più importanti aziende italiane nel campo alimentare, industriale e bancario a prezzi di saldo, e a tutto vantaggio dei paesi concorrenti dell’Italia.

Se non fermiamo Saccomanni e i banchieri che lo dirigono la rovina dell’Italia sarà completa e probabilmente irreversibile!
Non farti distrarre da Renzi e Berlusconi, difendi la Banca d’Italia da chi vuole rubarla agli italiani.

Queste informazioni sono disponibili anche in PDF. Puoi scaricare una copia da stampare e/o da divulgare ai tuoi contatti tramite questo link:

De Girolamo e incarichi Asl Benevento, “l’ex ministro nel registro degli indagati”. - Marco Lillo e Vincenzo Iurillo

De Girolamo e incarichi Asl Benevento, “l’ex ministro nel registro degli indagati”

L'avvocato: "Allo stato non risulta nessuna comunicazione in merito da parte della procura". L’improvvisa accelerazione di domenica sera, quando la deputata Ncd ha lasciato l’incarico di ministro delle Politiche Agricole, ha tenuto banco nei discorsi degli addetti ai lavori. Il motivo ufficiale traballava davanti a un dato: l’inchiesta della Procura di Benevento ha sterzato verso le vicende contenute nelle registrazioni di Felice Pisapia.

Non ci sono conferme ufficiali ma nemmeno smentite. L’ex ministro sarebbe indagato dalla Procura di Benevento. L’improvvisa accelerazione di domenica sera, quando Nunzia De Girolamo ha lasciato l’incarico di ministro delle Politiche Agricole, ha tenuto banco nei discorsi degli addetti ai lavori. Il motivo ufficiale (il governo non ha difeso la mia onorabilità) traballava davanti a un dato: l’inchiesta della Procura di Benevento sugli affari dell’Asl ha da giorni sterzato verso le vicende contenute nelle registrazioni a tratti difficilmente comprensibili di Felice Pisapia ma spiegate nei dettagli dalle inchieste del Fatto Quotidiano.
I magistrati hanno sentito una mezza dozzina di persone sulla storia del bar dell’ospedale Fatebenefratelli, infine affidato alla cugina e allo zio di Nunzia. E l’altro filone di indagine oggi dovrebbe entrare nel vivo. I pm Giovanni Tartaglia Polcini, Nicoletta Giammarino e Flavia Felaco hanno ascoltato la dirigente del Provveditorato Asl Emma Bianco e oggi sentiranno Giovanni de Masi, caposervizio provveditorato, sulla questione della gara da 4 milioni all’anno per il 118. Ed è stato anticipato a giovedì l’interrogatorio di Felice Pisapia. Forse porterà 30 ore di nuovi colloqui. In mattinata il procuratore capo Giuseppe Maddalena ha riuniti tutti gli inquirenti: i sostituti, il tenente colonnello della Finanza Luca Lauro, i due commercialisti Stefania Viscione e Massimo Zeno, firmatari della perizia sulle prime dodici pagine di trascrizioni delle conversazioni in villa De Girolamo ‘liberate’ dal segreto. Alcuni investigatori, di fronte alle domande dei giornalisti, lasciano filtrare ai cronisti consigli del tipo: “sarebbe più corretto scrivere che Nunzia De Girolamo non risulta indagata”.
L’avvocato dell’ex ministro, Angelo Leone, sottolinea però che “allo stato non risulta nessuna comunicazione in merito da parte della procura”. Nessuna comunicazione però non vuol dire che il deputato del Ncd non sia stato iscritto in segreto. Una cautela dovuta non solo al ruolo pubblico ma anche alle difficoltà dell’inchiesta che deve affrontare subito un paio di salite non da poco. Un investigatore, lontano dai taccuini, fa notare che c’è un problema di utilizzabilità della registrazione a tradimento che incastra l’ex ministro: è difficile usare una conversazione registrata di nascosto da un privato cittadino per ipotizzare reati contro un parlamentare. La legge non lo vieta. Ma sarebbe costituzionalmente dubbia un’interpretazione che permettesse di usare la registrazione ambientale fatta da un privato contro un deputato mentre certamente non è utilizzabile, senza autorizzazione della Camera, quella fatta da un pm. Ben diversa la posizione degli altri partecipanti alle riunioni del ‘direttorio’che non possono pretendere che si estenda alle loro parole l’immunità del deputato.
Quale reato potrebbe entrare in gioco? Il pm Giovanni Tartaglia Polcini nell’interrogatorio, mentre Felice Pisapia gli raccontava le manovre del cosiddetto (dal Gip Cusani) direttorio partitico-politico di cui facevano parte i collaboratori del ministro e i manager della Asl nel luglio 2012, ragiona ad alta voce con l’indagato sulle ipotesi di reato possibili: voto di scambio o almeno abuso di ufficio. C’è però un altro reato che potrebbe essere contestato: si chiama “induzione indebita a dare o promettere utilità”. È stato introdotto a novembre dalla legge Severino, n. 190 del 2012, che ha inserito dopo la concussione il nuovo articolo 319 quater che punisce “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità”. Grazie a una sentenza recente della Cassazione questo reato è ritenuto applicabile anche alle condotte precedenti al novembre 2012. Un magistrato che scrive sul Sole24Ore ha commentato quella sentenza: è proprio il pm Tartaglia Polcini. Se si considerasse applicabile quella norma, De Girolamo – è l’ipotesi -potrebbe essere considerata un pubblico ufficiale, in qualità di deputato, che abusa della sua qualità chiedendo di inviare i controlli all’ospedale per indurre il Fatebenefratelli a dare allo zio il bar.

MASTRAPASQUA IMPERMEABILE – IL BOIARDO NON SI DIMETTE.

SARA’ DURISSIMO PER LETTA FARLO SLOGGIARE - "I NAS NON SONO LA BIBBIA, LASCIAMO DECIDERE I TRIBUNALI" - "ATTUALMENTE HO 9 INCARICHI NON 25 COME SCRIVONO" (ALLORA CAMBIA TUTTO…)
Risponde al telefono Antonio Mastrapasqua e premette che lo fa solo per cortesia. Non ha nessuna intenzione di parlare. Non vuole essere intervistato. Poi si sfoga, rigetta le accuse e spiega le sue ragioni in questa conversazione con Repubblica.
Come sta, presidente?
«Come sto? Il mio umore dipende da voi»
Abbiamo pubblicato le accuse dei Nas. È tutto documentato. Ci sono le carte.
«Ho letto. Come ha visto non ho reagito e non mi lamento. Ho un buon carattere, forse troppo buono. Altri si dimenano, accusano, minacciano. Io non ho detto una parola. Non so se ho fatto bene o no».
Come fa ad essere sereno con le accuse che le muove la Procura di Roma? I reati ipotizzati sono truffa, abuso d'ufficio, falso ideologico.
«Mi dicono che la Procura stia chiudendo la cosa. Ecco perché sono sereno. Contrariamente a come mi dipingete sono un uomo mite e moderato. Taccio, sto fermo e aspetto».
Ma lei ha letto le contestazioni? Sono fatti precisi, documentati.
«Sì, le ho lette. Ma non riguardano me. Si vada a leggere il caso precedente. Sono due indagini fotocopia. La prima è durata quattro anni, un tempo enorme. E sapete come si è conclusa? Proclamando la mia totale estraneità. Poiché la seconda inchiesta è la fotocopia della prima, mi aspetto lo stesso esito».
Dunque, per questo lei è così tranquillo?
«Oddio, proprio sereno in questo Paese non è mai nessuno. Ma io sì perché sono cresciuto nella logica che se non fai nulla di male, non devi temere nulla di male».
Senta, ma quei venticinque incarichi che lei ricopre non sono un po' troppi? Molti sono tra loro in evidente conflitto di interessi. Non se n'è mai accorto?
«Dite pure che sono quarantacinque i miei incarichi! Chi dice e scrive questa cose non sa nemmeno leggere una visura camerale. Ma se non sanno leggerla dovrebbero andare da un commercialista e farsi spiegare le cose ».
Vuol dire che lei non è seduto su tutte quelle poltrone? Lei non ha tutti gli incarichi che risultano dalle visure camerali?
«Quegli incarichi sono veri. Ma le camerali si compilano a stratificazioni. E lì ci sono tutte le cariche che ho avuto negli ultimi quindici anni di lavoro. Ha capito bene? Tutte quelle che ho avuto in quindici anni di lavoro. Non quelle che ho oggi».
Quali le sono rimaste, allora? Dov'è seduto oggi?
«Sono il presidente dell'Inps e il vicepresidente di Equitalia, per effetto di patti parasociali, e di Idea Fimit, sempre per patti parasociali che risalgono a prima che arrivassi io all'Inps. Questo è».
Questo è? Ma lei è un collezionista di incarichi. Quali sono i collegi sindacali di cui è presidente o membro? Questi li considera? Qui ci sono anche i potenziali conflitti di interesse.
«Guardi, io faccio parte di uno studio professionale e non l'ho abbandonato. A differenza di quello che fanno tutti gli altri, anche personaggi famosi, quando assumono un incarico pubblico che intestano l'attività professionale alla moglie, io non l'ho fatto».
Perché non l'ha fatto?
«Perché la legge dice che non sono incompatibili e quindi non ho dovuto intestare nulla a nessun altro. Si informi! La legge non vieta al presidente dell'Inps di far parte di un collegio sindacale».
Così nascono tutti i suoi incarichi? Solo perché la legge non li vieta esplicitamente? Ci sono anche ragioni di opportunità.
«Il mio studio professionale ha sessanta anni. È lo studio della mia famiglia. I clienti hanno da noi i collegi sindacali e io ci sono ».
Di quanti collegi sindacali è membro o presidente? Se li ricorda?
«Di sei. Non di sessantasei o di seicentosessanta. E sono tutti incarichi che ho assunto dal 2004. Punto».
Allora me li dica i collegi. «Adr Engineering, Autostrade per l'Italia spa, Coni servizi, Loquenda, Mediterranean Nautilus Italy, Eur Tel. Ecco. Tutto qui. Ecco il mostro! Proprio stasera c'è chi mi ha detto che ho sbagliato a non ribattere, che avrei dovuto farlo. Ma io non sono capace. D'altra parte ciascuno di noi ha il proprio carattere. Io so leggere le visure camerali, ma non so scrivere due righe. Così nasce il mostro».
Presidente, devo insistere: ci sono accuse precise, altro che mostro.
«E io le ripeto che non riguardano me quelle accuse. Gliel'ho già detto».
In questa storia è coinvoltol'Inps, l'istituto delle pensioni di tutti gli italiani. È questo che colpisce l'opinione pubblica
«Non mi risulta che l'Inps sia coinvolto».
Ma se c'è stata una cessione di crediti inesigibili dell'Ospedale israelitico, di cui lei è il direttore generale, proprio all'Inps di cui lei è presidente. Le pare normale? Corretto? Regolare? Qui non vede il conflitto di interessi?
«Non è così. Me lo dovete dimostrare che questa vicenda riguardi l'Inps».
Ci sono i crediti inesigibili ceduti all'Istituto di previdenza. È scritto nelle carte.
«Le ripeto che non è così. Senta, tutte le fatture cedute hanno avuto una certificazione da parte delle Asl o della Regione Lazio. Tra l'altro sono cose che risalgono al ‘99, quando io avevo ancora i pantaloni corti...
Piuttosto, dica lei quanti istituti sanitari nel Lazio hanno certificato i crediti ceduti. Lo sa? Le rispondo io: sono zero su zero. Noi abbiamo certificato il 100 per cento. Vada al Santa Lucia o al Fatebenfratelli a chiedere quante fatture hanno certificato. La riposta gliela posso anticipare io: zero».
Ma c'è l'inchiesta, ci sono i risultati dell'indagine dei Nas dei carabinieri.
«I Nas fanno il loro mestiere, ma non sono la Bibbia».
Ha pensato di dimettersi in questi giorni? Da più parti le si chiede di fare un passo indietro perché non vi siano ombre nella gestione delle pensioni degli italiani.
«No, assolutamente no. Non ci ho proprio pensato. Perché dovrei farlo? Io ho il massimo rispetto per i Nas e i carabinieri ma non le sembra un po' eccessivo che per un'informativa dei Nas uno si debba dimettere o suicidarsi? Con questo sistema si manderebbe a casa il presidente del Consiglio o il presidente della Repubblica».
I fatti, presidente. I fatti per cui lei è indagato sono accaduti o no?. I Nas li hanno accertati.
«Abbia pazienza, questo è ancora uno Stato di diritto. Dunque lo decideranno i Tribunali non i Nas».
Lei ha parlato con il presidente del Consiglio Letta? Con il ministro del Lavoro Giovannini? Cosa le hanno detto? Le hanno chiesto di lasciare il suo incarico?
«Ma cosa mi chiede? Dove vuole arrivare? Ho risposto solo perché sono educato. Ma ora mi fermo qui».

GHEDDAFI HA STUPRATO CENTINAIA DI RAGAZZINI E RAGAZZINE NEL COVO SEGRETO, SOTTO EFFETTO DI ALCOL, COCA E VIAGRA.



Sono passati oltre due anni dalla cattura e dall'uccisione del dittatore libico Gheddafi. La sua brutalità viene scoperta lentamente e ora spunta fuori che tra le sue vittime ci sarebbero centinaia forse migliaia di ragazzine che nei suoi 42 anni di regno sono state picchiate, stuprate e costrette a diventare schiave di sesso.

Molte erano vergini rapite a scuola e all'università, tenute prigioniere per anni in un covo segreto nascosto nell'Università di Tripoli o in uno dei suoi tanti palazzi. Qui, dove violentava regolarmente anche quattordicenni, Gheddafi si è rintanato nei 26 mesi successivi alla sua deposizione. Il luogo viene mostrato per la prima volta nelle foto del documentario sulla BBC 4.
Qui dentro le ragazzine venivano educate alla pornografia prima di passare per le grinfie del capo e, quando riuscivano a scappare, venivano rigettate anche dai parenti "profondamente religiosi" perché era stato leso l'onore della famiglia.
Mentre per le strade si celebrava la morte di Gheddafi, il governo di transizione si sbrigava a isolare il posto, temendo che l'oscenità causasse ulteriore imbarazzo alla Libia e facesse inorridire l'Occidente.
In una stanza c'è un letto e una lampada, il decoro anni 70 e una jacuzzi sudicia, tutto rimasto così come il dittatore lo aveva lasciato. Peggiore è la stanza ginecologica, dove le giovani vittime venivano esaminate per accertasi che non avessero malattie, e dove abortivano se erano rimaste incinta.
Triste dire che queste erano le più fortunate, molte altre sono morte.
Il suo modus operandi era il seguente: Gheddafi faceva lezioni nelle università e nelle scuole, intanto identificava le ragazze più carine, poi, prima di andarsene, dava un buffetto a quelle che aveva selezionato. Più tardi le sue guardie del corpo le avrebbero rapite. Se la famiglia si fosse opposta, l'avrebbe sterminata.
Una insegnante ricorda che le ragazze erano molto piccole: «alcune avevano 14 anni. Sceglievano la ragazza che voleva lui. Non avevano pietà neanche se erano poco più che bambine».
Una madre racconta che la comunità nei pressi dell'Università di Tripoli viveva nel terrore quando veniva annunciata una visita del Colonnello: «Una non l'abbiamo più ritrovata, nonostante il padre e i fratelli la cercassero. Un'altra fu ritrovata tre mesi dopo essere stata prelevata, ferita, stuprata e lasciata in mezzo a un parco, praticamente morta».
Ancora oggi i libici hanno timore a menzionare la depravazione del vecchio leader, per via delle ripercussioni dei suoi seguaci.
Ma una ragazza, ripetutamente violentata dal despota quando aveva 15 anni e per sette anni, ha raccontato tutto. Fu scelta per portare dei fiori al colonnello quando si presentò nella sua scuola di Sirte, 350 miglia a est di Tripoli.
Lui le diede un buffetto che lei considerò un gesto paterno, ma il giorno dopo tre donne in uniformi militari, si presentarono dai suoi genitori dicendo che lei era stata scelta per fare altri omaggi floreali. Invece fu portata nel covo, dove lui ordinò alle soldatesse: «Preparatela».
La ragazza fu spogliata, le fecero le analisi del sangue, la depilarono tutta, tranne al pube. Le misero una minigonna e la truccarono, la condussero nella stanza dove Gheddafi la aspettava nudo sul letto. Quando lei provò a fuggire, le soldatesse la bloccarono e la sbatterono sul letto. Fu tenuta lì e violentata per sette anni, riuscì a fuggire quando una porta fu lasciata incidentalmente aperta.
Pieno di cocaina, alcol e viagra, Gheddafi la abusò senza pietà: «Non dimenticherò mai quella prima volta in cui violò il mio corpo e la mia anima» dice la vittima.
Ci sono voluti mesi di trattative affinché i documentaristi avessero accesso a tali informazioni.
Insieme ai dissidenti, le ragazze spesso venivano uccise e messe nei freezer, così poteva controllarli. Era anche molto paranoico e un chirurgo brasiliano ha raccontato di avergli fatto, in un bunker, di notte, un intervento di liposuzione e un altro che gli togliesse le rughe. Il Colonnello non volle l'anestesia per paura di essere avvelenato.
Creò anche un esercito di guardie del corpo, tutte donne, alcune facevano sesso con lui ed erano costrette ad assistere a barbare esecuzioni.
Una di loro ha ammesso:« Ci ha prelevato e ci ha costretto a testimoniare l'uccisione di 17 studenti. Non ci era concesso gridare. Dovevamo essere allegre. Li hanno uccisi tutti, uno ad uno».
Una volta passate per il dittatore, le ragazze erano cedute ai suoi figli e ad altri alti ufficiali, che potevano continuare ad abusarne. Qualcuna di loro si è poi suicidata.
Nel covo di Gheddafi ci finivano anche ragazzi, sempre abusati.
Nuri Al Mismari, al fianco del dittatore per 40 anni, racconta: «Era terribilmente deviato sessualmente. Andava con ragazzi giovani, chiamati "services group". Tutti ragazzi e guardie del corpo. Un harem per il suo piacere».
Baha Kikhia, la vedova dell'allora Ministro degli esteri libico, racconta che suo marito scomparve e, a regime caduto, trovò il suo corpo nel freezer:« Gli piaceva tenere le vittime in frigo. Spesso andava a fare loro una visita. Erano come dei souvenir macabri. Li toccava e si sentiva onnipotente. Alcuni sono rimasti lì dentro per 25 anni»
Storyville: Mad Dog - Gaddafi's Secret World andrà in onda sulla BBC4 il 3 febbraio alle 22.

Caso Mastrapasqua, Elsa Fornero: "Quando ero ministro cercai di sostituirlo ma ci furono troppe resistenze".

mastrapasqua fornero

Racconta di averci provato ma di essersi scontrata contro resistenze troppo forti. Una proposta di riorganizzazione della governance dell'Inps, avanzata ai tempi in cui era ministro del Lavoro, che si era arenata perché non piaceva a molti.
Elsa Fornero interviene così sul caso del presidente dell'ente previdenziale italiano Antonio Mastrapasqua, indagato dalla procura di Roma per abuso di ufficio e falso ideologico.
"L'obiettivo - spiega l'ex ministro a La Stampa - era una gestione più trasparente dell'Ente e a tal fine venne istituita una commissione ad hoc per rivedere la struttura. Purtroppo però, nonostante i vari impulsi ricevuti, la politica impedì il rinnovamento".
Il nuovo piano organizzativo dell'Inps voluto dal governo Monti prevedeva "una gestione più decentrata del potere, perché non si può avere troppo potere concentrato in una singola persona", spiega Fornero. "Fu proprio questa l'indicazione della commissione composta da personalità con competenze trasversali e specifiche. C'erano un giudice della Corte dei Conti, un membro del Consiglio di Stato e un professore della Bocconi. Il loro giudizio fu unanime: quello di Antonio Mastrapasqua era un ruolo 'monocratico'.