domenica 10 marzo 2019

PdB, il Partito del Buco. - Anna Lombroso



Nell’ipotesi non remota che venga lanciato un concorso di idee per dare un nuovo nome al principale partito di opposizione che segni la ri-partenza, il ri-nascimento, il ri-sorgimento, amici intelligenti ed arguti vorrebbero proporre PdB, Partito del Buco. Non BdB, Banda del Buco, come qualche malizioso sarebbe portato a pensare, perché ha ben altra statura istituzionale la priorità data agli scavi dell’Alta Velocità, promossa da volano occupazionale, da necessario adempimento degli obblighi comunitari, da inderogabile sfoggio della persistenza nel consesso dei grandi e nel teatro della competitività globale, a obbligo ideale e morale della Nazione.
Lo ha dimostrato la sommessa ma tenace campagna elettorale del primario, le sue prime uscite pubbliche, la mobilitazione caparbia dei sopravvissuti impegnati a ritrovare un’unità di intenti intorno all’opera. E pare di vederlo questo ceto dirigente che non ha mai conosciuto lavoro e fatica affaccendarsi sia pure virtualmente intorno  a macchinari e attrezzi, ruspe, picconi, bulldozer proprio come altri prima di loro che addirittura si facevano immortalare nei cinegiornali dell’Istituto Luce. Sostituito egregiamente  dalla stampa peraltro, schierata nel dipingere le resistenze dei 5Stelle come le dispute in campo delle squadre di calcetto  celibi contro ammogliati  del governo, un totem propagandistico, cito il Corriere, davanti al quale l’esercizio della razionalità, declinata come buon senso o come semplice logica, non è previsto, schernendo l’analisi costi-benefici parziale  del professor Marco Ponti, un feticcio, scrivono,  smontato nell’ultimo mese dall’intero mondo accademico italiano (stessa fonte),    ridicolizzandone l’attendibilità  per via dello scoop dello spassionato Mentana  che estrae dal cassetto della Commissione Europea una delle innumerevoli e superpagate relazioni cui hanno collaborato, così sostiene il nuovo adepto del giornalismo investigativo, anche alcuni esperti in libro paga della società di consulenza della quale è presidente quello che  prima era un autorevole scienziato diventato d’improvviso un burattino nelle mani di un ministro spregiudicato.
Si, Banda del Buco ci starebbe bene per gli attori di questa allegoria mariuola dell’era post-tangentopoli, emblematica quasi come il Mose e il suo Consorzio di gestione, della privatizzazione della committenza pubblica, attraverso l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione di un intervento ad una società di diritto privato (Spa), ma con capitale tutto pubblico (TAV Spa appunto, ma anche Stretto di Messina Spa, e le migliaia di Spa di questo tipo), in modo che il contraente principale possa demandare tutte le attività  sottraendole alle regole della gestione degli appalti pubblici, anche  grazie alla concretizzazione di istituti contrattuali creativi (il project-financing, il global-service, il contraente generale, il contratto di disponibilità, il leasing immobiliare), pensati e realizzati per ostacolare la rintracciabilità delle operazione nella filiera della sub contrattazione e degli incarichi, ma anche per rendere inapplicabili le misure di contrasto della mafia, della corruzione o di tutela del lavoro, laddove la competizione,  anche nella piccola e media impresa, è basata sullo sfruttamento del lavoro nero, grigio, precario, atipico.
C’è ben poco di audace nel colpo che vogliono fare a tutti i costi i Soliti Noti (Consigli di Amministrazione delle Spa, nominati dai partiti, amministratori, tecnici e imprenditori, insieme controllori e controllati intercambiabili) per scassinare la nostra cassaforte, mettendoci paura con il ricatto e la minaccia di sanzioni e salassi, come se l’impianto messo in piedi,  e nel quale le tangenti sono un di più, un simbolo di affezione e fidelizzazione non necessario, non fosse stato creato per permettere la moltiplicazione e la reiterazione di reati patrimoniali, grazie alla creazione di condizioni che offrono opportunità criminali a quei soggetti che, oltre a disporre di denaro a costo zero, hanno l’esigenza di riciclare capitali di provenienza illecita, o che possono di volta in volta ricontrattare i loro debiti, scaricando gli oneri dell’oggi su quelli di domani.
Gratta gratta, se nel sottofondo di certe ostensioni di ideali e di certe professioni di fede si sente un gran tintinnar di monete, figuriamoci che concerto con tanto di trombe, tamburi e grancassa accompagna l’interpretazione odierna del mito del progresso, incarnato da mostri giuridici pronubi di interessi criminali, copia grottesca del dinamismo futurista, delle magnifiche sorti della velocità, delle promesse visionarie della modernità, versione accelerata e  suicida dello sviluppo illimitato e dissipatore.
In tanti anni di governo il fronte progressista non ha mai messo a punto una politica dei trasporti a favore del riequilibrio modale delle persone e delle merci, al contrario, mentre proseguiva con terze corsie e nuove tratte, sovvenzionate con risorse pubbliche, l’incremento della capacità autostradale, gli investimenti sulla ferrovia, concentrati esclusivamente sull’alta velocità per i passeggeri, costringevano  le merci sulle linee storiche, in una difficile convivenza con i servizi per i pendolari e con i problemi ambientali degli attraversamenti urbani. In tanti anni di governo il fronte progressista ha trattato la pressione ambientale delle azioni e delle opere dell’uomo come una molesta ubbia che ostacolava profitti della libera iniziativa. In tanti anni di governo il fronte progressista ha guardato alla corruzione, e alla corruzione delle leggi, come ad un inevitabile e fisiologico effetto del “fare”, il cui contrasto presentava forti controindicazioni, quei lacci  e laccioli che era opportuno sciogliere così come era stato preferibile sciogliere la rete dei controlli e della vigilanza.  In tanti anni di governo il fronte progressista ha messo mano ai diritti del lavoro per ridurli a uno solo, quello di faticare, alle conquiste e ai valori ottenuti per dare loro il prezzo del disonore, quello di goderne a pagamento, coi fondi, l’assistenza e la previdenza privata, alle competenze, al talento e all’esperienza, come merci poco redditizie in un mercato che richiede un esercito mobile di servi da collocare dove il padrone chiama.
Buchi nei monti e buchi nei conti, ci fanno sperare che ci cadano dentro e non vederli più.

Puglia come le Maldive: scoperta la prima (meravigliosa) barriera corallina in Italia.

Puglia come le Maldive: scoperta la prima (meravigliosa) barriera corallina in Italia, a Monopoli
Una scoperta inaspettata, eccezionale: nel mare Adriatico, al largo di Monopoli, in provincia di Bari, c’è una piccola e meravigliosa barriera corallina. Una vera e propria distesa di coralli finora rimasta celata all'uomo. La notizia è stata pubblicata sulla rivista scientifica Scientific Reports. A scoprire la barriera corallina in Puglia sono stati i ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, guidati dal direttore Giuseppe Corriero.
Barriera corallina scoperta a Monopoli (Bari), in Puglia.
E' lunga almeno 2,5 chilometri - anche se si pensa che possa avere un’estensione maggiore, da Bari a Otranto, con alcuni tratti di interruzione - e si trova a una profondità compresa tra i 30 e i 55 metri sotto il livello del mare, dunque maggiore rispetto a quelle delle barriere coralline caraibiche o delle Maldive. La barriera, simile a quelle che si trovano in Australia, alle Maldive o nel Mar Rosso, sarebbe il primo esempio di questo genere nel mar Mediterraneo.
Serviranno ulteriori esplorazioni per definire i confini di questa 'muraglia' di spugne e coralli che, secondo alcune ipotesi, potrebbe arrivare fino al Salento. Sulla base delle ultime osservazioni e della recente mappatura del fondo, i ricercatori hanno stimato che la nuova barriera scoperta abbia una lunghezza notevole, seppure non in modo uniforme, pari ad almeno 135 km: in direzione del capoluogo pugliese, da un lato, e fino a Otranto, dall'altro.
Puglia come le Maldive: scoperta la prima barriera corallina in Italia.
Se il modello sembra identico a quello di marca equatoriale, a rendere unica la barriera corallina pugliese sarebbero almeno due peculiarità. La prima: la profondità di circa 50 metri, stando a quanto riferisce il professor Corriero a La Gazzetta del Mezzogiorno. Quindi l'habitat e i suoi colori: "Nel caso delle barriere delle Maldive o australiane, continua Corriero, i processi di simbiosi tra le madrepore (animali marini che costituiscono i banchi corallini) sono facilitati dalla luce, mentre la nostra barriera vive in penombra e quindi le madrepore costituiscono queste strutture imponenti di carbonato di calcio in assenza di alghe". Ecco, dunque, i colori più "soffusi, dati da spugne policrome con tonalità che vanno dall'arancione al rosso, fino al viola".
barriera corallina pixabay-2
http://www.today.it/attualita/barriera-corallina-puglia.html?fbclid=IwAR2y8vicSqWXCh3TyPtO4kDpHalKOWRWz71cikhqL7jjvY_oUoPwKAgK0Gs

Honduras, dove abortire è illegale. “Ho interrotto la gravidanza perché violentata. Io in cella, l’aggressore libero”. - Monica Pelliccia

Honduras, dove abortire è illegale. “Ho interrotto la gravidanza perché violentata. Io in cella, l’aggressore libero”

Maria e le altre: tre storie su un tema tabù in America Latina da uno dei paesi in cui l'interruzione di gravidanza è proibita in ogni circostanza e punita con fino a dieci anni di carcere. Reportage realizzato in Honduras, con il supporto dell'International Women’s Media Foundation, iniziativa Adelante. (I nomi sono stati cambiati per tutelare la privacy delle intervistate).


Jessica è stata la prima donna del suo Paese ad andare in carcere per delitto di aborto. Vive nel cuore dell’Honduras, dove si incrociano le rotte del narcotraffico che arrivano fino agli Stati Uniti. Durante i quattro mesi che ha passato dietro le sbarre ha condiviso una cella di pochi metri con altre private di libertà. “Dormivamo su delle pedane di legno, fino a tre persone sulla stessa, mentre i ratti entravano dai buchi nelle pareti”, racconta Jessica, “Le altre carcerate mi picchiavano, mi tiravano i capelli, mi chiamavano assassina di bambini e la polizia mi diceva delle cose orribili: ho sofferto delle molestie fisiche e psicologiche”. Jessica è uscita dal carcere perché la pena è stata commutata in una multa pagata racimolando soldi con la famiglia. Al ritorno a casa è stata insultata per strada e nei social media, con fotomontaggi su Facebook e offese dirette ai familiari. “Non sono stata l’unica donna ad abortire, nel mio Paese lo hanno fatto molte ragazze, ma sono stata la prima ad andare in carcere”. Jessica, quando rimase incinta per la terza volta a 27 anni, era già madre single e capofamiglia, come succede in un terzo delle famiglie del paese, secondo la Commissione Nazionale di Diritti Umani dell’Honduras (Conadeh). Il partner, un uomo violento, la lasciò quando scoprì la gravidanza. Non fu facile decidere di abortire. Passarono mesi di incertezze, non aveva risorse economiche per crescere un altro figlio o figlia. Un pomeriggio decise di andare in farmacia a comprare delle pillole abortive che aveva visto su internet. Una vicina la scoprì e la denunciò. Due ore dopo arrivò la polizia a casa: la ammanettarono e la portarono in carcere.
L’Honduras è uno dei paesi dove l’aborto è proibito in ogni circostanza -anche in caso di pericolo per la vita della madre o del feto- secondo la mappa che illustra le leggi in materia, pubblicata dalla ONG Centro di Diritti Riproduttivi (CRR). La stessa situazione si vive anche in altre parti dell’America Centrale come Nicaragua, El Salvador e Repubblica Dominicana. L’articolo 126 del Codice penale dell’Honduras prevede pene da tre a dieci anni. Le donne honduregne, come Jessica, ricorrono a metodi casalinghi e insicuri: dalle pasticche comprate su internet e altri farmaci per combattere l’ulcera gastrica o l’artrite che contengono un principio attivo abortivo fino all’uso di infusi di erbe e oggetti contundenti. È un segreto che corre di bocca in bocca: come abortire, dove comprare le pillole, come utilizzarle per non farsi scoprire dalla polizia o dal personale medico, che fare se ti senti male e devi andare all’ospedale. E dove comprare la pillola del giorno dopo (PAE) che è totalmente proibita, ma si può acquistare illegalmente in alcune farmacie o mercati della città, per una media di 200 lempiras (7 euro). Nel 2016, ci sono stati 14.021 aborti nel paese, secondo dati del Ministero della Salute dell’Honduras.

Dopo la denuncia del personale, la polizia è arrivata in ospedale e si sono portati via Támara con le manette a mani e piedi.
Nascoste in prigione, violentatori in libertà. Nel carcere femminile di Támara, localizzato a circa mezz’ora dalla capitale del paese, Tegucigalpa, l’estate passata c’era solo una detenuta per delitto di aborto, da quattro mesi. Lavorava come collaboratrice domestica, fino a quando non è più riuscita a nascondere la gravidanza ed è stata licenziata. Ha abortito di nascosto e la proprietaria di casa l’ha denunciata alla polizia. Dal cortile del carcere, le altre detenute la chiamano a gran voce. Scandiscono il suo nome durante una decina di minuti, per annunciarle che ha ricevuto delle visite. Nessuno la conosce e lei non risponde ai richiami, nascosta in prigione. È comune che le donne cambino il nome dopo essere entrate in carcere, specialmente quelle che potrebbero soffrire discriminazioni e violenze, come nel caso delle condannate per aborto. Anche se sono poche quelle che vengono arrestare per questo motivo. La Procura Generale dell’Honduras ha ricevuto 33 denunce per delitto di aborto, tra il 2016 ed i primi mesi del 2017, nella maggior parte dei casi, sporte dai vicini o dai medici che le curano in ospedale. “Come Ordine dei Medici dell’Honduras siamo contrari alla legalizzazione dell’aborto in qualunque circostanza”, spiega Suyapa Figueroa, la presidente dell’entità. Quando il personale medico scopre che una donna ha usato il medicinale abortivo deve informare l’ufficio legale dell’ospedale. Come è successo a Maria che è stata arrestata dopo la denuncia di un medico, quando aveva solo 17 anni.

Lei in prigione, l’aggressore che l’ha violentata in libertà.
“Vorrei solo poter dimenticare”, racconta Maria, “Come ogni giorno tornavo dall’università, in autobus. Sulla strada di casa, una persona mi ha seguita, minacciata con una pistola e poi mi ha violentata“. Maria non ha raccontato a nessuno dello stupro, volevano abusare anche della sorella, un anno più piccola di lei, ma non ci sono riusciti. Ha tenuto per sé il segreto senza mostrare a nessuno i lividi sulle gambe. Fino a quando non si è resa conto di essere incinta. “Non volevo un figlio da una persona che mi ha violentata: così ho deciso di abortire. Un’amica mi ha procurato le pillole, spiegandomi come prenderle. Nelle tre ore successive mi sono sentita male e mia mamma mi ha portato all’ospedale”. Dopo la denuncia del personale medico, la polizia è arrivata all’ospedale. “Se la sono portati via, con le manette a mani e piedi e l’hanno rinchiusa nel carcere femminile di Támara”, spiega la madre di Maria, in lacrime. “L’hanno arrestata senza che potesse prendere le medicine. L’aggressore, un presunto narcotrafficante è ancora in libertà ed è riuscito a scappare illegalmente negli Stati Uniti“. Maria è uscita di prigione una settimana dopo, in libertà condizionale. Sono passati quattro anni e sta ancora aspettando la sentenza del processo, che potrebbe farla tornare dietro le sbarre.
Come nel caso di Maria, nei primi sei mesi del 2018 ci sono stati 1358 casi di violenza sessuale sulle donne, secondo ultimo rapporto dell’Osservatorio della Violenza dell’Università Autonoma dell’Honduras. Tra loro, tre donne su quattro avevano tra i 5 e i 19 anni. Si tratta di quasi otto aggressioni al giorno e nel 75 per cento dei casi l’aggressore è una persona conosciuta: un parente, un amico o un ex-partner. “La violenza è un messaggio di possesso scritto sui corpi delle donne”, dichiara Migdonia Ayestas, direttrice dell’Osservatorio della violenza dell’Università Nazionale Autonoma dell’Honduras (UNAH), “Negli ultimi tre anni è diminuita la violenza sulle donne perché è sceso il numero di crimini totali nel paese, però manca ancora tanta formazione necessaria a favorire l’uguaglianza di genere”.

Dopo il taglio cesareo, praticato per togliere il feto morto per una complicazione, Nancy è stata arrestata dalla polizia
“Mi sono resa conto di aspettare un bebè quando lo avevo già perso” Nancy tira fuori il cellulare dalla tasca e mostra la foto che ha scattato alla tomba del figlio. Lo hanno chiamato Jesus Antonio e lo hanno sepolto nel cimitero del paese, prima che la polizia venisse a prenderlo per effettuare l’autopsia. Anche lei è stata denunciata dai medici dell’ospedale di Tegucigalpa, convinti che si fosse provocata un aborto. “Mi sono resa conto di aspettare un bebè quando lo avevo già perso”, racconta la giovane di 21 anni. Appena diplomata all’istituto tecnico, lavorava come assistente di persone diversamente abili per aiutare sua sorella e sua madre con cui vive in una casa in campagna, in una zona senza asfalto e illuminazione pubblica. Nancy, si è resa conto della gravidanza solo al sesto mese perché non le era cresciuta la pancia, in quanto era di tipo extra-uterino, di alto rischio per la madre e per il feto. Fino a quando ha sentito dei forti dolori. Mentre la portavano all’ospedale ha iniziato a stringersi forte l’addome con le braccia, per sopportarli. Così ha perso il bebé, causando il distacco della placenta e rimanendo due giorni tra la vita e la morte. “Quando ero andata dal medico, durante gli esami che mi avevano fatto nei mesi precedenti, non avevano neppure accennato all’ipotesi di una possibile gravidanza”, racconta Nancy. Una settimana dopo averle praticato il taglio cesareo per togliere il feto, Nancy è stata arrestata. Anche lei sta aspettando che si concluda il processo e potrebbe essere condannata fino a sei anni di carcere, secondo la sua avvocatessa.
Prima delle elezioni politiche che si sono tenute a novembre 2017, nel Congresso Nazionale dell’Honduras era in discussione una legge per legalizzare l’aborto in tre casi: pericolo per la madre, malformazioni del feto e violenza sessuale. A differenza del Cile, dove l’anno scorso si approvò la depenalizzazione dell’aborto per le stesse motivazioni, il Congresso dell’Honduras non ha avallato questa modifica del Codice Penale. Le organizzazioni femministe continuano a lottare perché si approvi questo cambio. “Ho conosciuto molte donne e bambine che hanno vissuto violenze, abusi e che sono state criminalizzate. Per adesso, stiamo parlando di una legge che protegga la vita e la salute della donna”, spiega la pastora Ana Ruth García, dell’organizzazione Ecumeniche per il diritto di decidere (EDD). “Dopo aver partecipato a un dibattito televisivo sul tema ho ricevuto 104 minacce di morte via internet. Sono venuti a cercarmi sotto casa, due veicoli senza targa hanno bloccato il passaggio della mia macchina. Ho avuto molta paura ma come ho spiegato alla mia famiglia devo continuare a lottare, per una nuova legge per l’aborto. Nel frattempo continueremo a offrire appoggio legale e psicologico alle donne che vivono queste esperienze dolorose”
Tra cui Nancy e Maria. Entrambe continuano ad aspettare che si concludano i loro processi, le cui udienze sono state rimandate di continuo durante l’ultimo anno. Nel frattempo lavorano con le madri nelle pulperias, come si chiamano i chioschi che vendono generi alimentari in Honduras. A Nancy e Maria piacerebbe trovare un altro lavoro ma non possono, le fedine penali sono sporche e tutti i venerdì devono andare a firmare al Tribunale di Tegucigalpa, perché sono in libertà condizionale. Jessica, dopo aver perso vari lavori, licenziata appena scoprivano che era stata in prigione, adesso fa la commessa in un negozio di vestiti e guadagna 2800 lempiras al mese (100 euro). Il suo desiderio è andare all’università e iniziare a studiare per diventare un’avvocatessa.
L'uomo, quando tradisce la compagna è un simpatico mascalzone; quando uccide viene compatito perché in preda ad una "tempesta emotiva"; quando violenta una donna, dopo essere stato rifiutato, lo fa per la frustrazione subita.
Quando una donna tradisce è una puttana, quando uccide deve essere punita, quando violenta....no, non lo fa.
Ma la colpa iniziale di questo iniquo trattamento tra maschi e femmine dove trae origine? 
DAL VANGELO! 
Il vangelo che pone la donna in una situazione di sottomissione nei confronti dell'uomo in quanto afferma che sia stata creata da una sua costola e perché spinse l'uomo a peccare mangiando la mela proibita...
Diciamocelo, tutto questo "millantato credito" profuso dalla chiesa, religione misogina per eccellenza, è frutto di pura invenzione maschilista. Niente altro!
Le religioni, tutte, vanno abolite o, almeno, revisionate.
bycetta

Tav, Palazzo Chigi scrive a Telt: rinviati i bandi. Conte: “I gruppi di potere non ci condizionano. Ora tavolo con Parigi e Ue”.

Tav, Palazzo Chigi scrive a Telt: rinviati i bandi. Conte: “I gruppi di potere non ci condizionano. Ora tavolo con Parigi e Ue”

La lettera del premier chiede di bloccare i capitolati di gara. La società risponde: "La pubblicazione relativa ai lavori principali è stata fermata, ma un nuovo rinvio oltre il mese di marzo comporterebbe la riduzione dei 300 milioni di fondi Ue". Poi propone la clausola di dissolvenza, ovvero la possibilità per il governo di revocare la procedura in qualunque momento.

” Telt mi ha appena risposto confermandomi che i capitolati di gara non partiranno senza l’avallo del mio governo e del governo francese e che, al momento, si limiteranno esclusivamente a svolgere mere attività preliminari, senza alcun impegno per il nostro Stato”. Così su Facebook il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, pubblicando la lettera da lui inviata alla società italo-francese sul Tav e la risposta ricevuta da Telt, chiarisce che i bandi per i 2,3 miliardi di lavori del tunnel di base della Torino-Lione sono stati rinviati e non partiranno lunedì: è il frutto del compromesso giuridico trovato per mediare tra le posizioni di M5s e Legacon i due vicepremier che ora si intestano entrambi la vittoria politica. “Lavoriamo in piena trasparenza perché non ci lasciamo condizionare dalle pressioni opache di gruppi di potere o comitati di affari. Fino a quando questo Governo sarà in carica, per quanto mi riguarda, sarà così. Sempre”, rivendica il premier. E così, insieme ai bandi, sembra rinviato anche lo scontro tra i due partiti di maggioranza. Di sicuro, la crisi di governo è ora lontana.

Conte aggiunge anche che il governo ha intenzione di “interloquire con la Francia e con l’Unione europea alla luce delle più recenti analisi costi-benefici da noi acquisite. Ovviamente non vogliamo che nel frattempo si perdano i finanziamenti europei già stanziati”, spiega il premier. È propria questa infatti la richiesta che inserisce nella sua lettera a Telt in cui invita a “evitare di assumere impegni di spesa gravanti sull’erario italiano” ma allo stesso tempo a “non pregiudicare gli stanziamenti finanziari posti a disposizione dall’Unione europea“. Da qui la risposta della società: “La pubblicazione dei bandi di gara relativi ai lavori principali è stata rinviata“, ma “un nuovo rinvio di tali pubblicazioni oltre il mese di marzo comporterebbe la riduzione della sovvenzione europea di 300 milioni di euro“.
Conte scrivendo a Telt cita prima il contratto di governo e poi l’analisi costi-benefici effettuata dagli esperti nominati dal Mit. Alla luce del fatto che “la corrispondenza all’interesse pubblico” dell’opera “non appare affatto scontata”, il premier invita la società “a soprassedere dalla comunicazione dei capitolati di gara“, ovvero la prima fase di raccolta delle disponibilità delle imprese. Richiesta a cui Telt risponde appunto positivamente, seppur ricordando il limite del 31 marzo. Per questo motivo, si legge nella replica della società, “il Consiglio di amministrazione fissato per l’11 marzo 2019 (lunedì, ndr)” autorizzerà la direzione a pubblicare gli inviti a presentare candidatura ma solo “relativamente agli interventi dei lotti francesi del tunnel di base”.
Nel concludere la sua risposta al governo italiano, Telt ripropone poi quanto aveva già avanzato in precedenti lettere del dicembre e del febbraio scorso: da una parte “l’avvio della prima fase di candidatura“, quindi sbloccare almeno l’avvio dei bandi, sottoponendo poi “all’avvallo dei due Governi” la “successiva fase di trasmissione dei capitolati per la presentazione delle offerte”. Dall’altra parte propone anche quella che viene definita clausola di dissolvenza e che inizialmente Sole 24 Ore e Huffington Post avevano erroneamente attribuito a un’iniziativa del premier Conte. È la “facoltà per la stazione appaltante in qualunque momento di non dare seguito alla procedura senza che ciò generi oneri per la stazione appaltante stessa, né per gli Stati”, si legge nella lettera di Telt. In pratica, consentirebbe all’Italia di ritirarsi in qualsiasi momento se sono venute meno le volontà politichedi procedere.

L’opposizione – La lettera di Palazzo Chigi invita Telt “a non fare i capitolati d’appalto, lasciando aperto uno spiraglio non chiarissimo. Vedremo lunedì”, commenta il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, a margine del flash mob delle madamin a favore della Torino-Lione. “È come se il governo dicesse di far partire le manifestazioni d’interesse, sapendo già che i capitolati d’appalto non saranno mai affidati – aggiunge – una roba da Repubblica delle banane”. Il neo-segretario Pd Nicola Zingaretti parla di “un pasticcio indecente e un danno immenso alla credibilità dell’Italia. Così si distrugge la fiducia. Il governo si tiene insieme solo per un patto per la gestione del potere. Spero provino vergogna. È tempo di cambiare”.
La clausola di dissolvenza – Era una delle ipotesi messa in campo venerdì dal leghista Armando Siri. La clausola di dissolvenza consente di dichiarare all’occorrenza “senza seguito” una procedura di gara già pubblicata, ma per cui nel frattempo siano venute meno le volontà politiche di procedere. La facoltà è prevista nel capitolo 5 del nuovo codice unico degli appalti francese, senza onori né obblighi per la stazione appaltante, né per gli azionisti, né per gli Stati. Seguendo questa via, in pratica il governo non ostacolerebbe la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea dell’avvio della ricognizione tra le aziende, ma allo stesso tempo chiederebbe alla Ue e alla Francia di aprire il tavolo per rivedere il trattato. Invitando il cda di Telt a mettere nero su bianco la clausola di dissolvenza, prevista dal diritto francese, i bandi “nonostante la pubblicazione, possono essere revocati in qualsiasi momento“, aveva spiegato Siri.