giovedì 15 febbraio 2024

SCIENZIATI RIVELANO CHI HA EFFETTIVAMENTE COSTRUITO LE PIRAMIDI EGIZIANE


Dal papiro Chester Beatty I

 

* Stanza terza (donna)
Spera il mio cuore
di contemplare la su bellezza,
quando starò seduta nella sua casa.
Là, incontrerò Mehi
che passa a cavallo sulla strada,
coi suoi amici.
Non so come condurmi
davanti a lui,
passerò tranquillamente
davanti a lui?
Ecco, la strada è come un fiume, ignoro la sede dei mie piedi.
Sei molto ignorante, o cuor mio!
Perchè vuoi camminare
tranquillamente vicina a Mehi?
Ecco, se passo davanti a lui,
gli rivelo i miei sentimenti.
"Ecco, sono tua".
Ma lui si vanterebbe del mio nome,
e mi darebbe alla casa del primo
di quelli che sono al suo seguito.
* Stanza prima (uomo)
L'unica, l'amata, la senza pari,
la più bella di tutte, guardandola
è come la stella fulgente
all'inizio di una bella annata.
Lei, che splende di perfezione,
che raggia di pelle,
con gli occhi belli quando guardano,
le labbra dolci quando parlano,
per la quale non c'è
discorso superfluo;
lei, che lungo ha il collo,
il petto luminoso,
con una chioma di veri lapislazzuli,
le cui braccia superano
lo splendore dell'oro,
le cui dita sono come calici di loto,
lei, che ha languide le reni,
strette le anche,
le cui gambe diffondono la bellezza,
il cui passo è pieno di nobiltà
quando posa i piedi al suolo,
con il suo abbraccio
mi prende il cuore.
Essa fa che il collo di tutti gli uomini
si giri a guardarla.
Ognuno ch'essa abbraccia è felice,
si sente il primo degli uomini,
quando esce dalla sua casa
si pensa di vedere
"colei che è unica"! - (Hathor)

La poesia o lirica d'amore fiorì in Egitto nel Nuovo Regno, ci sono giunte otto raccolte di liriche amorose conservate alla libreria Chester Beatty I di Dublino e ci rammentano che:
L'amore...è un sentimento che non passa mai di moda, è rimasto uguale in ogni epoca e ad ogni latitudine!

Il mistero dei giganteschi crateri scoperti in Siberia: di che si tratta? - Valerio Novara

 

Gli scienziati stanno indagando su alcuni giganteschi crateri coperti di permafrost, in Siberia. Ecco cosa hanno scoperto.

Otto giganteschi crateri profondi 50 metri nel permafrost siberiano hanno sconcertato gli scienziati sin dalla loro scoperta, più di dieci anni fa. Una nuova teoria potrebbe finalmente spiegare come si sono formati. I crateri si trovano nelle penisole russe di Yamal e Gydan e non ne esistono altri come questi nell’Artico. Nel corso degli anni i ricercatori hanno proposto diverse spiegazioni, dagli impatti dei meteoriti alle esplosioni di gas naturale.

Una recente teoria suggerisce che i crateri si siano formati dove un tempo c’erano laghi che ribollivano di gas naturale proveniente dal permafrost sottostante. Questi laghi potrebbero essersi poi prosciugati, esponendo il terreno a temperature gelide che hanno letteralmente sigillato la fuoriuscita di gas. Il conseguente accumulo di gas nel permafrost potrebbe essere stato poi rilasciato attraverso esplosioni che hanno successivamente creato questi giganteschi crateri.

Cosa hanno scoperto gli scienziati.

Il permafrost, cioè lo strato di terreno perennemente gelato che si trova anche nelle penisole di Yamal e Gydan, varia nel suo spessore: da pochi metri a quasi mezzo chilometro. Probabilmente il suolo si congelò più di 40mila anni fa, imprigionando antichi sedimenti marini ricchi di metano che gradualmente si trasformarono in gigantesche riserve di gas naturale. Queste riserve producono calore, che scioglie il permafrost dal basso, lasciando sacche di gas alla base.

Anche il permafrost si sta sciogliendo.

Anche il permafrost in Russia si sta sciogliendo a causa del cambiamento climatico. Nei luoghi in cui è già sottile, lo scioglimento di entrambe le estremità e la pressione del gas potrebbero anche causare il collasso dello strato di permafrost rimanente, innescando future esplosioni. Questo “effetto champagne” spiegherebbe la presenza di crateri più piccoli attorno agli otto crateri scoperti, poiché enormi pezzi di ghiaccio espulsi dalle esplosioni hanno ammaccato il terreno. Il rilascio di gas naturale e metano durante queste esplosioni potrebbe attivare un pericoloso circolo vizioso climatico se le temperature globali continuassero ad aumentare e se si accelerasse lo scioglimento del permafrost.

https://www.passioneastronomia.it/il-mistero-dei-giganteschi-crateri-scoperti-in-siberia-di-che-si-tratta/

«L’ignorante sa molto. L’intelligente sa poco. Il saggio non sa niente, ma l’imbecille sa sempre tutto». - Guendalina Middei

 

Qualche giorno fa avevo scritto un post su Dante e Ulisse, citando la celebre frase: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Al che un signore mi scrive: «Ignorante! Si scrive conoscenza non canoscenza (con la a)!» Non contento mi snocciola l’etimologia della parola conoscenza, seguita da tutta una serie di insulti e dall’invito a tornare sui banchi di scuola.
Ecco, anche i bambini sanno che Dante usò la parola «canoscenza» ma non ci fu verso di convincere il signore che era in errore. E non è la prima volta che mi capitano questi episodi. Una volta usai la parola «scancellare» per rendere omaggio alla Morante, e di di nuovo il saccente di turno con la massima arroganza possibile mi diede dell’ignorante.
Vedete, con il tempo ho notato una cosa. Le persone che magari hanno letto migliaia di libri, ma non hanno un diploma sono sempre umili. E lo stesso vale per i grandi. Ti parlano con semplicità, non si vantano mai di ciò che sanno. «È curioso a vedere» diceva Leopardi, «che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici.» Sono quelli convinti di sapere già tutto che sono presuntuosi. E pericolosi. Con i paladini delle grandi certezze non puoi ragionare. Non puoi dialogare.
Ecco, voi potete potete credere in ciò che volete, potete leggere, studiare, e aumentare di giorno in giorno la vostra conoscenza, ma siate sempre pronti a rimettervi in discussione. Siate umili soprattutto! Non c’è nessuna vergogna nel dire «credo, non so». Chi spara sentenze invece spesso finisce per essere come il signore di cui vi ho parlato prima: uno sciocco presuntuoso.

IL MISTERIOSO CRONIDE DI CAPO ARTEMISIO. - OLGA GIORDANO

 

Il Cronide di Capo Artemisio è un perfetto connubio tra possanza fisica e armonia anatomica. Con i suoi oltre due metri di altezza, campeggia in una delle più affollate sale del Museo archeologico di Atene, costituendo uno dei pochi esemplari bronzei risalenti all'antica Grecia giunti fino a noi. Poche sono le notizie relative alla storia di questa eccezionale scultura: fu rinvenuta nel 1926, nelle acque del mare Egeo, prospicienti al comune di Artemisio, sull'isola di Eubea, nei pressi del relitto di una nave, probabilmente diretta a Roma, e trasportante manufatti artistici, intorno al 200 a.C.. Sempre accanto al relitto, fu rinvenuta un'altra grande scultura bronzea, nota come "Fantino di Artemision", raffigurante un bambino su un cavallo in corsa. Le operazioni di recupero di queste opere furono funestate dalla morte di un sub e tale evento condizionò tanto negativamente gli animi, che l'impresa fini per languire. L'identità stessa della divinità rappresentata è oggetto di pareri discordi tra gli studiosi, in una ormai decennale querelle, tra chi sostiene si tratti di Zeus, nell’atto di scagliare la sua letale saetta, e chi invece sostiene l'identità di Poseidone, colto anch'egli nell’atto di lanciare il suo tridente. Probabilmente, l’oggetto che potrebbe dirimere la questione, giace ancora sepolto tra i fondali sabbiosi del mar Egeo. Tuttavia, la posizione delle dita della statua farebbero propendere per l’identità di Poseidone: infatti, mentre la mano di Zeus, solitamente, impugna la folgore a piena mano, piegando tutte le cinque dita, nel caso della nostra statua, le dita piegate sono solo tre, compatibili con il lancio calibrato di un oggetto più lungo. 


Questi dubbi, unitamente al fatto che le due divinità sono rappresentate spesso con sembianze e pose simili, ha fatto preferire agli archeologi il termine "Cronide", cioè figlio di Crono, ascendenza comune ad entrambe le divinità in questione. Zeus e Poseidone, infatti, erano entrambi figli di quel Crono, dio del Tempo, tristemente noto nella mitologia greca, per l'abitudine di divorare i suoi figli, nati da Rea, ossessionato dal timore di venire detronizzato e ucciso da uno di essi, come gli era stato profetizzato. Cosa che, puntualmente accadde, poiché neanche gli dei possono sfuggire al proprio destino, quando Rea invece del neonato Zeus, nascosto a Creta e affidato alle cure dei Cureti, che ne coprivano i vagiti con le loro rumorose danze, offrì in pasto al marito una pietra avvolta in fasce. Così, Zeus una volta adulto, costrinse il padre a rigurgitare i numerosi fratelli maggiori, meraviglia mitologica, e lo sconfisse nella Titanomachia. Ma questa è un’altra storia. Il Cronide è stato datato al 480,-470 a.C., e viene annoverato tra i migliori esempi dello stile severo, una fase artistica di transizione tra l’età arcaica e il pieno classicismo, in cui si fa strada un nuovo concetto di movimento dove la staticità e la rigidità statuarie si evolvono verso pose più rilassate e di plastico realismo. In questa fase si afferma il "chiasmo", una formula risolutiva della rigidità della figura, che grazie alla flessione di arti corrispondenti e allo schema compositivo inverso, teorizzato da Policleto, ricorda la lettera "chi" (x) dell'alfabeto greco, conferisce una fluidità di movimento alla scultura mai sperimentata in precedenza e che trova l'espressione più sublime nel pieno classicismo dei Bronzi di Riace. Cosi, pur essendo immobile, il Cronide vibra di un sotterraneo dinamismo, che percorre la muscolatura perfetta, cristallizzata nella tensione del lancio e nel saldo appoggio podalico, su cui si distribuisce l'intero peso del corpo. Il volto, chiuso in un atarassico distacco, e incorniciato da capelli ricci e corti e da una barba lunga e curata, connotazione di maturità, ha orbite vuote, un tempo impreziosite con avorio, argento e rame per rendere lo sguardo più vivido. Non c’è traccia del tradizionale sorriso arcaico, presente nelle statue dei kouroi, i giovani ideali (e che ritroviamo nelle sculture etrusche, ad esempio l’Apollo di Veio) Tuttavia, si coglie la concentrazione dello sguardo lungo la direttiva del braccio teso, evocante una potenza inesorabile. Non conosciamo l’autore dell’opera ma, certamente, fu realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, tipica della lavorazione bronzea. È il prototipo perfettamente rappresentativo della divinità, la cui bellezza atletica, lontana dalle contingenze umane, è fonte di meraviglia e ammirazione e al contempo di timore e sgomento reverenziale. Un’emozione antica che attraverso i secoli giunge fino a noi.

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