giovedì 8 giugno 2023

Dal riciclaggio agli stagionali. Pieno di infrazioni da Bruxelles. - Carmine Gazzanni

 

(La Notizia - Carmine Gazzanni) Il ministro Raffaele Fitto avrà sicuramente un bel da fare considerando che, tra le sue deleghe, non c’è solo la gestione del Pnrr ma anche gli affari di politica europea. Sembrerebbe una inezia ma invece non lo è. Specie dopo aver visto la mole delle procedure di infrazione che Bruxelles ha aperto contro il nostro Paese. Al momento, andando a visionare la banca dati ufficiale, ne risultano ben 82. E qui se ne trova di ogni. Basti pensare che la più “vecchia” risale addirittura al 2003. Venti anni fa. E riguarda la “non corretta applicazione delle direttive 75/442/CE sui ‘rifiuti’, 91/689/CEE sui ‘rifiuti pericolosi’ e 1999/31/CE sulle ‘discariche’”.

RISULTANO APERTE 82 INFRAZIONI CONTRO L’ITALIA. ALCUNE PROCEDURE AVVIATE DALL’UE E MAI CHIUSE RISALGONO A 20 ANNI FA

In pratica, l’Italia non ha rispettato le norme comunitarie in materia di gestione delle discariche. Un tema, come noto, scottante e per il quale – proprio in virtù di questa procedura – l’infrazione si è tramutata in una condanna milionaria che ancora paghiamo. Non è l’unica procedura giunta a sentenza pecuniaria, d’altronde. E i conti sono inverosimili. Altro che Pnrr. Secondo un recente dossier consegnato un mesetto fa alla Camera parliamo di circa un miliardo di euro che l’Italia ha pagato all’Ue per sei procedure di infrazione che gravano sul nostro Paese.

Nel dettaglio, la relazione quantifica in 877,9 milioni le sanzioni pecuniarie a nostro carico alla data del 31 dicembre 2021. Nell’elenco i 281,8 milioni per le nuove discariche in Campania e i 252,8 milioni sempre per discariche abusive su tutto il territorio nazionale (la procedura del 2003, per intenderci) e anche i 114 milioni per il mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia.

Ma gli esperti di palazzo Madama fanno notare che, “non essendo stata ancora archiviata nessuna delle infrazioni allo stadio di sentenza, le somme versate dall’Italia a titolo di sanzione risultano, per il protrarsi delle penalità di mora, sensibilmente maggiori rispetto a quelle indicate” dal documento governativo, che ha un orizzonte fino al 30 giugno 2022. Di qui la sollecitazione a presentare relazioni con dati aggiornati alla fine del semestre precedente a quello di presentazione.

Un salasso, dunque. E parliamo solo di sei infrazioni mai sanate e dunque giunte a sentenza. Immaginiamo se tutte le procedure oggi aperte – lo ricordiamo: sono 82! – finissero allo stesso modo cosa significherebbe per il nostro Paese. Ma, al di là delle sei infrazioni già menzionate, per cosa ci bacchetta l’Ue? Un po’ per tutto. Si va da una riguardante lo stabilimento ex Ilva di Taranto (risale al 2013) alle famosissime quote latte. Fino alle “condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Italia”. E anche qui ce ne sarebbe da dire considerando che la procedura risale al 2012. A spiccare, però, sono soprattutto le questioni ambientali. Si va dal livello delle Pm10 fino addirittura alla “cattiva applicazione della direttiva relativa alla qualità dell’acqua destinata al consumo umano”, relativamente ai “valori di arsenico”.

E ancora la mancata “programmazione nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi”, altro nervo scoperto del nostro Paese. Ma, come detto, ce n’è per tutti i gusti. Perché una procedura riguarda, ancora, la Xylella fastidiosa, un’altra la gestione dell’autostrada Civitavecchia-Livorno, un’altra la “normativa italiana relativa all’aliquota ridotta dell’imposta di registro per l’acquisto della prima casa non di lusso in Italia”. Fino addirittura ai ritardi nei pagamenti per le spese di giustizia. L’Italia certamente fa poco a quanto pare per rimettersi in regola, ma anche l’Ue ci mette del suo se pensiamo che ci contesta pure la “diffusione delle specie esotiche invasive”.

Il risultato, però, è che nel frattempo, sebbene qualche procedura sia stata chiusa, altre se ne affacciano all’orizzonte. Solo nel 2023 ne sono state aperte ben sei. Una, tanto per dire, riguarda il fatto che l’Italia – insieme peraltro ad altri 9 Paesi – non avrebbe pienamente recepito la direttiva comunitaria sui lavoratori stagionali. Procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia anche per il mancato corretto recepimento della direttiva dell’Unione in materia di antiriciclaggio. Il nostro Paese, insieme a Lettonia e Portogallo, “avevano notificato il pieno recepimento delle norme comunitarie, ma la Commissione europea ha individuato diversi casi di mancata conformità su aspetti ritenuti fondamentali – come, nel caso dell’Italia, la licenza o regolamentazione dei prestatori di servizi -, decidendo pertanto di inviare alle autorità nazionali una lettera di messa in mora”, si legge sul sito dell’esecutivo comunitario.

Finita qui? Certo che no. Bruxelles pochi mesi fa ha avviato un’ulteriore procedura d’infrazione contro Roma per non aver applicato correttamente le norme destinata eliminare ritardi eccessivi nei pagamenti pubblici. Nel mirino sono finite le disposizioni che consentono alla Regione Calabria di effettuare pagamenti nel settore sanitario al di là dei limiti temporali fissati dalla direttiva.

“I giovani non hanno più voglia di lavorare”. Quella storia (falsa) che i giornali scrivono da più di 60 anni. -

 

(di Charlotte Matteini – ilfattoquotidiano.it) – I giovani non hanno più voglia di lavorare. E’ ormai una delle affermazioni che ciclicamente impatta sul dibattito pubblico. Non passa giorno che sui media non sia presente un imprenditore che punta il dito contro questi presunti giovani che non vogliono più fare i camerieri, i cuochi, gli operai, gli artigiani, i commessi, gli scaffalisti e chi più ne ha più ne metta. Una tesi smentita da un recente rapporto Eures che racconta come fra gli under 35 domini il lavoro precario nel 67% dei casi e con retribuzioni decisamente più basse della media, meno di mille euro al mese per circa il 40% del campione. Non solo: secondo lo studio del think tank britannico Resolution Foundation, se i figli della generazione X (1966 -1980) hanno raggiunto i 30 anni con un reddito più alto del 30% rispetto ai baby boomers (1946-1965), per le generazioni successive il trend è totalmente invertito. Gli under 35 sono più poveri dei predecessori in media in ogni Paese Europeo. E in Italia questo gap è decisamente più marcato che altrove.

Lo studio di Fairie – Nonostante ogni studio a disposizione descriva una situazione drammatica per le nuove generazioni, la litania contro i giovani sfaticati sembra non avere fine, ma soprattutto sembra che fino a qualche hanno fa gli ex giovani, cioè i figli del baby boom o della generazione X, abbiano passato la loro vita a lavorare a qualsiasi condizione per il puro piacere di farlo, senza mai rifiutarsi. Ilfattoquotidiano.it ha dunque deciso di replicare l’esperimento del ricercatore Paul Fairie, che nell’estate 2022 pubblicò un lungo thread su Twitter raccontando “la breve storia del nessuno vuole più lavorare” attraverso gli screenshot di vecchi articoli giornalistici pubblicati nel corso dei decenni dalla stampa anglosassone. In questo caso la ricerca riguarda gli archivi storici de la Stampa e la Repubblica e il risultato non è diverso da quello di Fairie: già più di 60 anni fa i quotidiani accusavano le giovani generazioni di non aver alcuna predisposizione al duro lavoro. A quelle giovani generazioni appartengono i nostri nonni, i nostri zii, i nostri genitori.

“Nessuno vuole fare il cuoco” – L’8 settembre 1959, La Stampa pubblica un articolo intitolato “Pochi giovani vogliono apprendere l’oscura e raffinata arte del cuoco”, nel quale viene raccontato che i ragazzi in ambito alberghiero preferiscono fare i barman o i portieri d’albergo mentre gli aspiranti cuochi sono ormai una minoranza, nonostante sia un mestiere di estremo prestigio e con potenzialità di carriera non indifferenti. Facciamo un salto avanti fino al 29 ottobre 1977, sempre La Stampa lancia l’allarme: “In Italia sono 196 giovani disposti a lavorare in campagna”. Nell’articolo si racconta che su più di quarantaseimila posti disponibili, in tutto il Paese ci sarebbero solamente 196 giovani disposti a lavorare nei campi e che i mungitori, che possono guadagnare fino a 500mila lire il mese, arrivano dalla Jugoslavia. “A volte dicono di voler lavorare in campagna, poi si scopre che intendevano un lavoro da impiegato in qualche organizzazione agricola. Altri sono attratti da ragioni ideali, ma non immaginano le difficoltà, e al primo ostacolo scappano”, si legge.

“Garantiscono la scolarizzazione di massa” – Sempre nel 1977, viene pubblicato l’articolo: “I giovani premono per il posto ma in settori saturi”. “Non è vero che non ci sia offerta di lavoro da parte del sistema produttivo, ma è un tipo d’offerta che non s’incontra con la domanda, oggi costituita in massima parte da diplomati e laureati”, dichiarava all’epoca Renato Buoncristiani, vicepresidente di Confindustria. “Da anni vado dicendo che occorre una preparazione scolastica più adeguata alla vita. Invece si è garantita la scolarizzazione di massa, ma priva di prospettive, non programmata. Senza tanta demagogia, c’è un momento nella scuola in cui si dovrebbe imporre la selezione”, rilanciava il segretario nazionale della Cisl Luigi Macario.

“Rifiutano i lavori offerti” – Passiamo al 4 novembre 1978, sempre La Stampa si domanda: “Perché molti giovani rispondono negativamente alle offerte di lavoro dell’Ufficio di collocamento?”. “A Roma ci sono quasi 63 mila giovani senza occupazione: eppure di fronte a 296 posti messi a disposizione dal Comune hanno risposto soltanto in 67”, racconta il quotidiano, ponendo l’accento sulle ragioni dei rifiuti: non è una questione di mancanza di voglia di lavorare, il problema sono le condizioni proposte. “Occorre modificare la concezione assistenziale della legge sull’occupazione giovanile. E vanno riviste anche le penali per chi rinuncia all’incarico perché attualmente se uno rifiuta il lavoro che gli viene offerto, tutto ritorna normale e a breve distanza di tempo può presentarsi un’occasione migliore, un posto più sicuro e redditizio”, spiegava il direttore generale dell’ufficio del lavoro Bartolomeo.

“Non vogliono fare sacrifici” – Surreale l’approfondimento pubblicato nel maggio del 1980: “Giovani, belli e mendicanti. I nuovi miserabili che al lavoro preferiscono l’elemosina”. “Rifiutano i sacrifici, restringono i consumi, si avvolgono in un malinteso egocentrismo”, scriveva la cronista Lidia Ravera nell’articolo dedicato ai giovani che avevano scelto di vivere da senzatetto. “Lavorare non è una cosa da persone. Guarda: lavorare ammazza. Fai una cosa di cui non ti frega niente, che non ti fa star bene. E in cambio di cosa?”. “Di soldi”. “E’ una cosa da stronzi, fare in cambio di soldi”. “Allora gli operai sono stronzi”. “No, nun è che so’ stronzi. E’ che so’ poveracci. Non sanno vivere. Operaista non lo sono mai stata, ma reprimo a stento la voglia di pigliare a calci il mio giovane interlocutore”, chiosava Ravera.

La fabbrica dei disoccupati – Passiamo al 1983, con l’articolo: “La fabbrica dei giovani disoccupati”. Nell’articolo un lungo j’accuse contro i giovani da parte degli imprenditori: “Adagiarsi nella routine è uno del difetti del nostro Paese: i giovani che hanno trovato un posto vogliono essere certi che a una certa ora si va a casa, che il weekend è sempre e comunque sacro e Inviolabile”. Dichiarazioni pressoché identiche a quelle rilanciate dalla stampa odierna ogni qualvolta viene data voce alle lamentele dell’imprenditore di turno. “Purtroppo, spesso ci si trova di fronte a due categorie di giovani: una di spocchiosi, quelli cioè che sono convinti di aver appreso tutto sui banchi dell’università: un’altra di disillusi e rinunciatari a causa del lungo peregrinare olla ricerca del primo impiego”, conclude l’articolo.

La soluzione? Rivedere i sussidi – Ma facciamo un balzo in avanti e passiamo al 1994. Anche in questo periodo uno dei principali allarmi rilanciati dai quotidiani nazionali è quello relativo alla disoccupazione di giovani e donne. La soluzione? Rivedere i sussidi. “Un triste primato: troppi disoccupati tra giovani e donne”, titola La Repubblica. I governi devono intervenire riformando, in senso restrittivo, il sistema dei sussidi di disoccupazione, che in alcuni casi svolgono il ruolo di disincentivo al lavoro”, dichiarava l’Ocse, aggiungendo che sarebbe stato necessario rivedere la “durata dei sussidi, l’importo e le condizioni che portano alla concessione dell’aiuto”. Anche in questo caso, numerose sono le analogie con la battaglia per l’abolizione del reddito di cittadinanza. Nel 2002 da Roma parte l’allarme dei ristoratori che non riescono più a trovare cuochi. Si legge su La Stampa: “Cuochi, meno male che ci sono gli immigrati” e proseguendo riporta le dichiarazioni di Giuseppe Sinigaglia, Direttore della scuola alberghiera Enalc e Presidente nazionale dell’Associazione maitre d’hotel di ristoranti e alberghi: “Roma non ha bisogno solo di colf e badanti extracomunitarie, ma anche di addetti alla ristorazione per mantenere viva la tradizione che. diversamente, rischia di morire. E’ ormai dagli anni Settanta che la gran parte degli allievi che hanno frequentato corsi di ristorazione non riesce a inserirsi nel mondo del lavoro per motivi diversi che riguardano sia il livello di scolarizzazione che le complessità insite nel mercato del lavoro. Così mancano cuochi e, paradosso, proprio in Italia patria della cucina, gli operatori sono costretti a ricorrere ai cuochi giovani facendoli venire dall’estero”.

“Non vogliono lasciare casa” – Sempre nel 2002, esce il ritratto dei giovani romani in età da lavoro: “Vuole un “posto fisso”, è attaccato alle proprie abitudini, alla famiglia e agli amici, ha oltre 26 anni e cerca un lavoro. E’ il profilo del giovane di Roma e provincia. Conosce il computer e l’inglese, ma non vuole lavorare all’estero”, sosteneva il rapporto elaborato da Euraction. Nel maggio 2002 esce un rapporto Censis che dipinge in maniera ben poco gradevole i giovani degli anni 2000, ovvero gli attuali 40enni e dintorni: “I giovani italiani hanno sempre meno voglia di lavorare. Non è un pregiudizio ma il risultato di un accurato studio del Censis. Il patologico immobilismo dei giovani nei confronti del lavoro si celano fenomeni diversi intrecciati fra loro. Ad esempio la paura per una condizione strutturale d’ incertezza. Ma anche l’adagiarsi sul salvagente famigliare. In ogni caso la disponibilità a lasciare la cuccia calda del proprio circondario è molta bassa”, si legge su Repubblica.

Infine, per terminare questo breve excursus storico, concludiamo con le lamentele del preside di un istituto salesiano, diffuse da Repubblica nel 2003: “Non è un problema solo di mercato, ma di mentalità dei giovani che, in molti casi, non sanno accontentarsi del primo impiego per poi guardarsi attorno”, dichiarava Paolo Zuccarato, preside dell’ Edoardo Agnelli, storico istituto torinese. “Chi non ha un diploma, ha poche possibilità. L’importante è però entrare, accettare anche se non corrisponde subito alle proprie aspirazioni, magari come orario o salario. Dopo si fa sempre in tempo a cambiare”, concludeva.

https://infosannio.com/2023/06/08/i-giovani-non-hanno-piu-voglia-di-lavorare-quella-storia-falsa-che-i-giornali-scrivono-da-piu-di-60-anni/

Italia: il problema non sono i sussidi, ma i troppi precari. - Pasquale Tridico

 

L’IDEA DI RISPARMIARE È VECCHIA E PERDENTE – La malattia. Il Reddito di cittadinanza ha svelato che il nostro mercato del lavoro è malato di bassi salari, di economia nera e lavoro irregolare…
(DI PASQUALE TRIDICO – ilfattoquotidiano.it) – Nel 2008, un noto economista scomparso qualche anno fa, Paolo Leon, scriveva un libro straordinario (con R. Realfonso), che descriveva bene la deriva del nostro sistema economico e in particolare del mercato del lavoro: L’economia della precarietà.
L’economia della precarietà è caratterizzata da un mercato del lavoro iper flessibilizzato, con forme atipiche di lavoro, con precarietà diffusa, con continue interruzioni di rapporti e mancanza di stabilizzazioni. Una economia che non consente accumulazione di capitale umano, competenze, formazione e quindi produttività. Un mercato che si fonda astrattamente su parole chiavi come dinamismo e mobilità, ma che in realtà si basa su instabilità, su incertezze, che si riversano negativamente anche nelle relazioni umane e nella società, contribuendo a generare quella società liquida e impaurita come ebbe a scrivere Zygmunt Bauman. In quegli anni si contavano 48 tipologie di rapporti di lavoro, con contratti a tempo determinato, a chiamata, intermittente, in condivisione, a progetto, di collaborazione, in somministrazione, stagionali, occasionali, part-time, acausali, voucher, ecc. La gran parte di queste forme sono tuttora vigenti e in alcuni casi rafforzati rispetto a qualche anno fa, come il caso dei voucher e dei tempi determinati acausali dopo il dl Lavoro del 1º maggio 2023. Una impresa ha a disposizione un menu di forme contrattuali da applicare, sulla base unicamente del risparmio di costo. Il lavoratore è soggetto a uno scambio continuo, una mercificazione del suo lavoro, una temporaneità che rende impossibile la progettualità di vita, la serenità lavorativa e di riflesso la qualità della sua vita. Dopo il decreto Dignità nel 2018, il lavoro a termine ha avuto un calo, come dimostra il grafico riferito ai soli giovani, per poi riprendere a crescere nel 2022, e oggi Inps calcola 4,2 milioni di rapporti di lavoro temporanei, un record.
Queste forme di lavoro temporanee, insieme ai bassi salari orari, che colpiscono soprattutto giovani e donne, sono causa di impoverimento e generano working poor. In pratica, si rimane poveri pur lavorando, e allora viene meno l’incentivo a lavorare, perché alla fatica si aggiunge l’impoverimento e la mancanza di tempo che non rende liberi gli individui.
Non solo. A valle di questo impoverimento, lo Stato è chiamato a incrementare la spesa sociale per sostenere i redditi. In sostanza si crea precarietà per legge che richiede un aumento di spesa in sicurezza sociale per cercare di tutelare in qualche modo il lavoratore povero.
Le esigenze di flessibilità quindi, quando non necessarie e spurie, che creano povertà, richiedono il sostegno da parte dello Stato, con il paradosso che il costo è duplice: in termini umani di sfruttamento e instabilità, e in termini di spesa pubblica a carico della collettività e a beneficio di imprese evidentemente decotte che altrimenti non riuscirebbero a stare sul mercato, oppure che ci stanno galleggiando, facendo risparmi sul costo del lavoro.
L’economia della precarietà ha un impatto anche sui consumi e sulla domanda, sugli investimenti individuali, sulla crescita dell’economia. Non è un caso che alla vigilia della pubblicazione di quel libro, si andava incontro nel 2008-2009, alla più grave crisi di sottoconsumo, rispetto alla produzione, mai verificata dopo la Seconda guerra mondiale, che tra l’altro avrebbe richiesto uno sforzo pubblico straordinario, in sostegno alla domanda, come avvenne negli Stati Uniti all’indomani del crollo di Lehman Brothers, ma che in Europa al contrario portò, in modo miope, a programmi di austerità che approfondirono la crisi. Negli Usa, invece, Barack Obama varò all’epoca uno dei più grandi programmi pubblici della storia americana recente, il cosiddetto ARRA (American Recovery and Reinvestment Act) per circa 800 miliardi di dollari e l’inizio della diffusione dei cosiddetti green jobs.
Ma veniamo alla crisi attuale e all’impatto dell’economia della precarietà sulla vita delle persone.
Succede che negli ultimi anni, anche grazie al Reddito di cittadinanza, abbiamo scoperto che il nostro mercato del lavoro è gravemente malato. È malato di bassi salari e di precarietà (non di sussidi). È malato di economia nera e lavoro irregolare. E i fenomeni spesso sono correlati con infortuni e morti sul lavoro. Le persone, i giovani, in questo contesto, e giustamente, fanno fatica ad accettare un lavoro qualsiasi che venga loro proposto. Si prendono il legittimo lusso, da cittadini di un Paese avanzato, di rifiutare offerte di lavoro non congrue sotto un punto di vista economico, di competenze, di distanza, di condizioni e di qualità. I giovani sanno che lavorare con le tecnologie moderne porta più alti salari; sanno che lavorare con lo smart working rende più liberi; sanno che in un Paese avanzato non bisognerebbe emigrare per lavorare, lasciare i propri affetti e la propria casa, perché questo aumenta i costi del vivere, l’incertezza, ma anche le privazioni, e soprattutto, con la crisi pandemica del Covid, queste paure sono diventate più forti.
E allora che fare? Bisogna spingere imprese e Stato a investire nelle tecnologie moderne, a creare lavori buoni, da Paese avanzato, a lasciar perdere i settori “facili” e i cattivi lavori ad alta intensità di lavoro, che causano sfruttamento e bassi salari. Il turismo e la ristorazione, pur importanti, sono settori residuali in un Paese grande e avanzato, mentre bisogna sviluppare politiche industriali che creino segmenti produttivi ad alto contenuto tecnologico, far leva solo su innovazione, ricerca e sviluppo, e non sul costo del lavoro per aumentare la competitività. Questo permetterebbe di aumentare crescita, qualità della vita e sviluppo umano, piuttosto che rincorrere schemi obsoleti che fanno riferimento al mantra arcaico del “guadagnarsi da vivere”.

Anunnaki, Nibiru, Iraq, antica civiltà.

 

Sulla base di numerose scoperte archeologiche: manufatti, verbali e monumenti del passato, alcuni esperti, ritengono che gli Anunnaki, una civiltà estremamente avanzata di un pianeta sfuggente del nostro Sistema Solare, arrivò sulla Terra, atterrando nel Golfo Persico circa 435 mila anni fa.
Negli ultimi due decenni, numerose scoperte controverse sono state fatte, che sfidano i ricercatori mainstream e i loro punti di vista sulla storia e l'evoluzione umana.
L'antica teoria degli astronauti, presuppone che migliaia di anni fa, prima ancora che venisse registrata la storia del nostro pianeta, la Terra sia stata visitata da astronauti provenienti da un altro mondo, esseri molto intelligenti con una tecnologia talmente avanzata che la nostra al confronto, ci fa apparire ancora bambini. Molti archeologi di tutto il mondo considerano l'Iraq come la "culla della civiltà" e nel 4500 e il 1900 a.C il fiume Tigri e l'Eufrate erano la casa del popolo dei Sumeri che prosperarono in questa regione. Oggi, quando cerchiamo informazioni su Sumer e sugli Anunnaki o sulle persone che abitavano quella parte del mondo, ci si imbatte nel controverso autore Zecharia Sitchin . Nel 1976, Sitchin pubblicò le traduzioni di testi sumeri in una serie di libri chiamata " Le Cronache della Terra ". Secondo Sitchin, le tavolette d'argilla descrivono una razza aliena conosciuta come Anunnaki , che venne sulla Terra in cerca d'oro. Sitchin suggerisce in pratica, che degli extraterrestri visitarono la Terra in passato, perché il loro pianeta aveva bisogno d'oro per sopravvivere.
Sulla base di numerose scoperte archeologiche: manufatti, e monumenti trovati in passato dagli archeologi e linguisti, Sitchin mostra che gli Anunnaki, una civiltà estremamente avanzata venne sulla Terra, atterrando nel Golfo Persico 435 mila anni fa. Questa civiltà avanzata colonizzò il nostro pianeta, ma il loro unico scopo era quello di estrarre grandi quantità di oro.
Circa 250.000 anni fa, secondo Sitchin, degli scienziati Anunnaki fusero i loro geni con quelli dell' Homo Erectus trovato sul pianeta, e cosi crearono la specie Homo Sapiens, ottenendo, come risultato, una specie geneticamente migliorata. Tuttavia, gli esseri umani erano un ibrido e non potevano procreare. Dal momento che la domanda di esseri umani come lavoratori, era diventata più grande, e visto che la durata di vita degli Homo era breve, gli Anunnaki, fecero in modo che potessero riprodursi.
Nel sesto libro di Cronache della Terra di Zecharia Sitchin, questa è la vera cronologia storica del nostro pianeta:
Eventi prima del diluvio
450.000 anni fa, su Nibiru, un membro lontano del nostro Sistema Solare, la vita deve affrontare una lenta estinzione a causa dell'atmosfera rarefatta del pianeta. Deposto da Anu, il sovrano Alalu sfugge in una navicella spaziale e trova rifugio sulla Terra. Egli scopre che la Terra ha oro che può essere utilizzato per proteggere l'atmosfera di Nibiru.
445.000
Guidati da Enki, figlio di Anu, sulla Terra, si stabilisce ad Eridu la Stazione -Earth I - per estrarre l'oro dalle acque del Golfo Persico.
430.000 Più Anunnaki arrivano sulla Terra, tra i quali la sorellastra di Enki, Ninhursag, Capo Medical Officer.
416.000
Poiché la produzione di oro vacilla, Anu arriva sulla Terra con Enlil, il suo erede. Si è deciso di ottenere l'oro vitale per loro, con l'estrazione nell'Africa del sud. C'è un sorteggio, Enlil vince il comando della Missione Terra; Enki viene relegato in Africa. Sulla partenza Terra, Anu è sfidato dal nipote di Alalu.
400.000
Sette sono gli insediamenti funzionali in Mesopotamia meridionale, che dispongono di un porto spaziale (Sippar), Mission Control Center (Nippur), un centro metallurgico (Shuruppak). I minerali arrivano dalle navette dall'Africa; il metallo raffinato viene inviato in orbita dagli Igigi, poi viene trasferito su navi spaziali che arrivano periodicamente da Nibiru.
380.000
Il nipote di Alalu cerca di ottenere il sostegno del Igigi, e tenta di impadronirsi della Terra. I seguaci di Enlil vincono la guerra sui seguaci del nipote di Alalu.
300.000
Gli Anunnaki Igigi faticano nelle miniere d'oro e quindi si ammutinano. Enki e Ninhursag creano cosi i Lavoratori Primitivi attraverso la manipolazione genetica. Enlil fa irruzione nelle miniere, porta i Lavoratori Primitivi nell' Eden in Mesopotamia. Data la capacità di procreare, l'Homo sapiens comincia a moltiplicarsi.
200000
La vita sulla Terra regredisce durante una nuova era glaciale.
100.000
il clima si riscalda di nuovo. Gli Anunnaki (i biblici Nefilim), senza il consenso di Enlil, sposano le figlie degli uomini.
75.000
Una nuova era glaciale-inizio. Gli uomini regrediscono, e vagano per la Terra. Il Cro-Magnon sopravvive.
49.000
Enki e Ninhursag aiutano gli esseri umani e rimangono a governare in Shuruppak. Enlil è infuriato.
13.000
Rendendosi conto che il passaggio di Nibiru in prossimità della Terra attiverà un immenso maremoto, Enlil chiede agli Anunnaki di mantenere il segreto sulla la calamità incombente con il genere umano.
Eventi durante e dopo il diluvio
12.000 a C
Enki rompe il giuramento, istruisce Ziusudra / Noè di costruire una nave. Il Diluvio spazza tutto sulla Terra; gli Anunnaki ne sono testimoni dal loro veicolo spaziale orbitante. Dopo la catastrofe,
Enlil si impegna a concedere ai sopravvissuti gli attrezzi e i semi; l'agricoltura inizia negli altopiani. Enki addomestica gli animali.
10.500 a C
Ai discendenti di Noè vengono assegnate tre regioni. Ninurta, primo figlio di Enlil, fa dighe sulle montagne e drena i fiumi per rendere abitabile la Mesopotamia; Enki recupera la valle del Nilo. Nella penisola del Sinai gli Anunnaki costruiscono un spazioporto post-diluviale; un centro di controllo è stabilito sul monte Moriah (la futura Gerusalemme).
9.780 a C
Marduk, il figlio primogenito di Enki, divide il dominio dell'Egitto tra Osiride e Seth.
9.330 a C
Seth afferra e smembra Osiride, assume il potere esclusivo della valle del Nilo.
8.970 a C
Horus vendica suo padre Osiride con i mezzi da guerra, chiusi nella prima piramide. Seth fugge in Asia, dalla penisola del Sinai.
8.670 a C
Contro il controllo di tutte le strutture spaziali dai discendenti di Enki, i seguaci di Enlil lanciano la seconda guerra. Il vittorioso Ninurta svuota la Grande Piramide delle sue attrezzature e armi.
Ninhursag, sorellastra di Enki ed Enlil, convoca una conferenza di pace. La divisione della Terra è riaffermata. L'Egitto passa dalla dinastia Marduk a quella di Thoth.
8.500 a C
Gli Anunnaki stabiliscono avamposti alle porte delle strutture spaziali; Gerico è uno di loro.
7.400 a C
L'era della pace continua, Il Neolitico ha inizio. I Semidèi governano l'Egitto.
3.800 a C
La civiltà urbana inizia a Sumer come a cominciare da Eridu e Nippur.
Anu arriva sulla Terra per una visita. Una nuova città, Uruk, è costruita in suo onore; lui fa il suo tempio la dimora della sua amata nipote Inanna / lshtar.
3.760 a,C
All'umanità viene concessa la regalità. Kish è la prima capitale sotto l'egida di Ninurta.
3.450 a.C
Marduk proclama Babilonia "Porta degli Dèi." L'incidente "Torre di Babele". Gli Anunnaki confondono le lingue del genere umano.
Con un colpo di stato, ritorna Marduk in Egitto, depone Thoth, afferra il fratello minore Dumuzi che era fidanzato con Inanna. Dumuzi rimane ucciso accidentalmente; Marduk viene imprigionato vivo nella Grande Piramide. Liberato, va in esilio.
3,100-3, 350 a.C
anni di caos si concludono con l'insediamento del primo faraone egiziano a Memphis.
3.200 a.C
Regalità in Sumer trasferita a Erech. La civiltà della valle dell'Indo ha inizio.
2.650 a.C
La capitale reale di Sumer si sposta su. Enlil perde la pazienza con le moltitudini umane indisciplinate.
2.371 a.C
Inanna si innamora di Sharru-Kin (Sargon). Egli stabilisce nuova capitale. Agade (Akkad). L'Impero accadico è lanciato.
2.316 a.C
Con l'obiettivo di governare le quattro regioni, Sargon rimuove suolo sacro da Babilonia. Il conflitto Marduk-Inanna divampa di nuovo. Si conclude quando Nergal, fratello di Marduk, viaggia dal Sud Africa a Babilonia e convince Marduk a lasciare la Mesopotamia.
2.291 a.C
Naram-Sin sale al trono di Akkad. Diretto dalla bellicosa Inanna, penetra nella penisola del Sinai, e invade l'Egitto.
2.255 a.C
Inanna usurpa il potere in Mesopotamia; Naram-Sin sfida Nippur. Inanna gli sfugge. Sumer e di Akkad occupate da truppe straniere fedeli a Enlil e Ninurta.
2.220 a.C
La civiltà sumera sale a nuove altezze sotto sovrani illuminati di Lagash. Thoth aiuta il re Gudea a costruire uno ziggurat-tempio per Ninurta.
2.193 a.C
Terah, padre di Abramo, nasce a Nippur in una famiglia sacerdotale-reale..
2.180 a.C
Egitto diviso; seguaci di Marduk mantengono il sud; Faraoni si oppongono a lui e guadagnano il trono del Basso Egitto.
2.130 a.C
Come Enlil e Ninurta sono sempre più lontani, le autorità centrali si deteriorano anche in Mesopotamia. I tentativi di Inanna di riconquistare il regno per Erech non dura...... e qui ci fermiamo...

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La rivelazione del Washington Post: “Gli Usa sapevano da giugno 2022 di un piano ucraino per sabotare il gasdotto Nord Stream”.

 

(ilfattoquotidiano.it) – Nuove, pesanti, rivelazioni sul sabotaggio del gasdotto sottomarino Nord Stream, avvenuto lo scorso settembre con l’uso di esplosivi. Il quotidiano statunitense Washington Post scrive che tre mesi prima che avvenisse l’operazione, l’amministrazione Biden aveva saputo dai servizi di intelligence di un Paese alleato che l’esercito ucraino stava preparando un attacco segreto all’infrastruttura con l’impiego di una piccola squadra di sommozzatori che riferiva direttamente al comandante della Forze armate ucraine. I dettagli sull’operazione sono stati raccolti dal servizio di intelligence europeo e condivisi con la Cia nel giugno 2022 e forniscono prove circostanziate che ricollegano Kiev al sabotaggio. Il rapporto dell’intelligence è stato pubblicato sulla piattaforma di chat Discord, presumibilmente dal membro dell’Air National Guard Jack Teixeira, arrestato nelle scorse settimane. Il Washington Post ha ottenuto una copia da uno dei contatti online di Teixeira. I documenti visionati dal quotidiano rivelano anche serie preoccupazioni sui possibili sviluppi del conflitto e sulla reale capacità di Kiev di condurre una controffensiva di successo contro le forze russe.

Tornando al sabotaggio, i dettagli presenti nei files includono il numero di agenti e i metodi di attacco e mostrano che da quasi un anno gli alleati dispongono di elementi per sospettare Kiev. Questa pista però si è rafforzata solo nelle ultime settimane, dopo che gli investigatori tedeschi hanno scoperto alcuni indizi sull’attentato che riconducono all’Ucraina. Funzionari di più Paesi hanno confermato che il riepilogo dell’intelligence pubblicato su Discord riscostruisce con precisione ciò che il servizio di intelligenze europeo aveva comunicato alla Cia. Il Washington Post ha accettato di nascondere il nome del Paese europeo e alcuni aspetti del piano su richiesta dei funzionari governativi, i quali hanno affermato che esporre le informazioni avrebbe minacciato fonti e operazioni. Funzionari ucraini, che in precedenza avevano negato che il Paese fosse coinvolto nell’attacco al Nord Stream, non hanno risposto alle richieste di commento. Silenzio anche da parte della Casa Bianca.

Inizialmente si era ipotizzato un ruolo di Mosca. Sebbene il gasdotto sia stato costruito da Germania e Russia, e sia gestito Gazprom, il suo sabotaggio avrebbe aumentato l’insicurezza sugli approvvigionamenti energetici europei, spingendo ulteriormente al rialzo le quotazioni di gas e petrolio. Lo scorso febbraio il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh aveva però diffuso una ricostruzione, citando una fonte anonima, da cui emergeva un coinvolgimento di Cia e Casa Bianca nell’operazione. Il giornalista è stato oggetto di attacchi su una presunta mancanza di professionalità da parte di diversi opinionisti italiani. Il gasdotto Nord Stream 1 ha una capacità di trasporto di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno e corre sotto il mar Baltico dalle coste russe a quelle tedesche. A fine 2021 è stato completato il controverso raddoppio della condotta che però, a causa della guerra in Ucraina, non è mai entrato in funzione. Il progetto era apertamente osteggiato dagli Stati Uniti in quanto fattore di ulteriore avvicinamento tra Mosca e Berlino.

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