giovedì 17 ottobre 2019

Scoperti venti sarcofaghi a Luxor, l'antica Tebe: sono intatti e dai colori sgargianti.

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Una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni, secondo il Ministero delle Antichità.

Venti sarcofaghi in legno in buone condizioni, probabilmente risalenti a un periodo fra il XX secolo e il IV secolo avanti Cristo, sono stati scoperti nel sito dell'antica Tebe, a Luxor. Le autorità egiziane hanno definito il ritrovamento come "una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni" ma le notizie sono ancora scarne in attesa della conferenza stampa in programma sabato. I sarcofaghi sono stati scoperti nella necropoli di Asasif, sulla riva occidentale del Nilo, vicino alla Valle dei Re, dove si trovano alcune delle tombe dei più conosciuti Faraoni risalenti a diversi periodi dell'antico Egitto, dalle dinastie del Medio Regno, al Nuovo Regno, fino al Periodo Tardo, e quindi lungo un vastissimo arco di tempo che va dal 1994 al 332 avanti Cristo. Le tombe sono disposte su due livelli sovrapposti e sono ben conservate come si vede dalle iscrizioni e dai dipinti che le ricoprono, ancora di colori vivi. Una condizione non impossibile visto il clima asciutto dell'Egitto. Le autorità egiziane danno sempre grande evidenza alle scoperte nelle aree archeologiche, fiduciose che ciò possa facilitare anche la ripresa del turismo, tra le voci più importanti dell'economia nazionale, che sebbene abbia goduto di buoni risultati negli ultimi anni non è ancora tornato ai livelli precedenti al periodo turbolento cominciato con la rivoluzione del 2011 e i pericoli di attacchi terroristici. Dal dicembre 2017 è in corso nella Valle dei Re una missione archeologica alla ricerca delle tombe della regina Nefertiti e di sua figlia, che era la vedova del re Tutankhamon. I ricercatori stanno anche cercando i siti di sepoltura di tre grandi faraoni - Ramses VIII, Re Thutmose II e Re Amenhotep. Recentemente è stato presentato ai giornalisti egiziani e stranieri un antico sarcofago restituito all'Egitto dal Metropolitan Museum di New York, al quale era stato venduto per quattro milioni di dollari in seguito a una serie di passaggi, dopo essere stato esportato illegalmente dall'Egitto. La bara, datata tra il 150 e il 50 avanti Cristo, appartiene a Nedjemankh, un sacerdote del dio-ariete Heryshef. Il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukri, che si trovava negli Usa per partecipare all'Assemblea generale dell'Onu, ha partecipato personalmente insieme con il procuratore generale di New York alla cerimonia di consegna del reperto. 

http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Scoperti-venti-sarcofaghi-a-Luxor-l-antica-Tebe-sono-intatti-e-dai-colori-sgargianti-12a42af7-a67a-47b0-a156-fe876b5b0c40.html?fbclid=IwAR3bOMJL30wsbTm9pumoMYYKBT_ad-VKdg9B8BZ7NdS1ND_H_IJmjoXiiPE#foto-4

Quello che giornaloni e giornalai, che mentono, non vi diranno mai. - Giuseppe Stelluti

Politica, politici, caos.

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Ascoltare i politici che parlano dei propri antagonisti è devastante, come devastante è sentirli parlare di politica. Da ogni loro dire traspare come e quanto tengono al potere personale, e come e quanto poco tengono ad assolvere il compito loro assegnato, che è: lavorare per fornire ai cittadini i servizi essenziali per la loro sopravvivenza dignitosa.
Io spero che il governo attuale riesca, anche in minima parte, a regolamentare la politica e l'approccio ad essa.
Siamo stanchi di ciarlatani che, avendo assaporato il potere, non hanno alcuna intenzione di mollarlo e di rinunciare, pertanto, ai privilegi che si sono arbitrariamente ed indebitamente attribuiti, privando noi che, per mantenere loro ed i loro privilegi, dobbiamo rinunciare, talvolta, anche all'essenziale.
Sono così distanti da noi, sono intoccabili, fanno leggi che non rispettano, sono assurti al ruolo di dei e si sono barricati sull'Olimpo, ben lontani da chi ha creduto in loro, ben lontani dal voler assolvere ai propri doveri, almeno quello di mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale!
E chi ancora razzola nell'aia, fuori dall'Olimpo, ma senza rinunciare ai privilegi che si è attribuito indebitamente, lo fa solo per alimentare il proprio ego; ego smisurato e mai sazio, per cui ama circondarsi di inutili marionette ignare anche del motivo per cui vengono chiamate a fare caciara, che è quello di attirare l'attenzione di scribacchini in cerca di scoop allettanti...per essere sempre in prima pagina, sempre in bellavista e, pertanto, sempre presente nella mente di chi vede e ascolta,, lanciando slogan accattivanti per assicurarsi consensi.
Far parlare di se li tiene in vita, e in Parlamento a bivaccare.
Nel frattempo, il viscidume primario - il politico arrogante - si accoppia al viscidume secondario - la calca di marionette insipienti e di scribacchini pronti a cogliere l'attimo - creando una pozza di mota puzzolente che inquina l'area circostante.
Puniscono i lavoratori che timbrano il cartellino e vanno via, mentre loro non hanno neanche l'obbligo di timbrare il cartellino, anche se dovrebbero farlo per rispetto nei confronti di chi li manteniamo nel lusso;
cambiano casacca tradendo le aspettative di chi li ha scelti, guardandosi bene dal dimettersi dalla carica prima di farlo.
Tra clero e politica siamo messi molto male, oltre ai danni ambientali, qui soffriamo di altri mali, forse ancor più gravi, quello di non voler pensare, di non usare quel bel dono del quale madre natura ci ha dotato: la materia grigia.
Se la mettessimo in moto riusciremmo a vedere ciò che di strano succede e potremmo anche decidere di rimettere ogni cosa al suo posto.
Ma questa è un'altra storia.
Cetta.

Viva le manette. - Marco Travaglio 13 ottobre 2019

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La nostra copertina dell’altroieri, sulla bozza del ministro della Giustizia per le manette agli evasori, non è piaciuta a Gad Lerner che è personcina sensibile e l’ha riprodotta su Twitter con un commento affranto: “Manette sbattute così in prima pagina, non c’è buona causa che giustifichi questa perversione. Con tutto quel che succede nel mondo… e ora datemi pure dell’amico degli evasori”. Sotto, comera prevedibile, una raffica di leggiadre contumelie al sottoscritto e al Fatto Quotidiano (i famosi “hater” e “odiatori” che, quando odiano dalla parte giusta, diventano boccioli di rosa). Insulto per insulto, potremmo rispondere che è quantomeno inelegante, per un giornalista di un gruppo edito da due famiglie fiscalmente a dir poco discutibili, dare del pervertito a chi chiede che gli evasori vadano in galera, come in tutto il mondo civile. Ma non ci abbassiamo a tanto, anche perché non pensiamo che sia la sua frequentazione con editori-evasori a suscitare in Lerner cotanta repulsione per le manette a chi le merita. Non è un fatto personale, ma culturale. Che nasce nei due filoni del pensiero purtroppo dominante, molto diversi fra loro, ma accomunati dall’allergia al senso dello Stato e allo Stato di diritto, cioè per il principio di responsabilità: chi sbaglia paga e chi delinque viene punito.
Il primo è quello da cui proviene Gad: quello dei gruppettari di ultrasinistra anni 60 e 70, così abituati a fuggire dalle forze dell’ordine e dai magistrati da non riuscire a liberarsene nemmeno dopo 40-50 anni. L’altro è l’impunitarismo dei ricchi e dei potenti, abituati a una giustizia di classe forte coi deboli e debole coi forti, ai quali Gad è estraneo, ma che nel suo mondo hanno pescato a piene mani per sostenere sui rispettivi giornali le loro battaglie contro la legge uguale per tutti. Queste due culture, che partono dagli antipodi ma si uniscono nella comune avversione alla legalità, si sono saldate negli anni del berlusconismo, quando molti ex-extraparlamentari di sinistra (che già flirtavano con Craxi per la sua guerra ai giudici) si ritrovarono al servizio di B.. Oppure, anche se stavano sulla sponda opposta (come Gad), invocavano continue amnistie e indulti, intimando alla sinistra di guardarsi dalla “via giudiziaria”: pareva brutto che un amico dei mafiosi, un frodatore e un corruttore di giudici, finanzieri, senatori, testimoni e minorenni finisse a processo e poi in galera. Ora, confidando nella smemoratezza sulle stragi politico-mafiose e sulle retrostanti trattative, insigni esponenti di quelle due culture applaudono insieme le sentenze di Cedu e Grande Chambre contro l’ergastolo “ostativo”.
Quelle che regalano agli stragisti insperate aspettative di resurrezione. Naturalmente ciascuno è liberissimo di pensarla come gli pare. Ma è davvero paradossale che chi difende la legalità e lo Stato di diritto sia chiamato continuamente a giustificarsi dai sedicenti “garantisti” per il sol fatto di chiedere l’applicazione della legge. I “pervertiti”, caro Gad, non siamo noi: siete voi. Le manette sono uno strumento previsto dalle norme per assicurare alla giustizia i criminali: quelli di strada e quelli in guanti gialli e colletto bianco. Ti dirò di più: negli Stati Uniti, e non solo là, gli evasori e i frodatori fiscali, come i corrotti, i corruttori, i bancarottieri e i falsificatori di bilanci, vengono condannati a pene detentive molto pesanti, che regolarmente scontano nei penitenziari di Stato accanto ad assassini, stupratori, terroristi e trafficanti di droga, non solo con le manette ai polsi, ma anche con le catene ai piedi. Per evitare che scappino o che commettano altri reati (le manette salvano anche vite umane, come ha appena dimostrato la strage alla Questura di Trieste: i due agenti assassinati, se avessero ammanettato il ladro appena fermato, sarebbero ancora vivi). Ma anche perché servano di lezione a chi sta fuori, affinché gli passi la tentazione di delinquere. Perciò, non di rado, arrestati e detenuti – poveracci e white collar – vengono esibiti in manette e in catene: perché le pene, quando sono certe e vere, non finte come da noi, hanno una funzione deterrente prim’ancora che rieducativa. E quella rieducativa dipende anch’essa dalla certezza della pena: se uno sa di poter delinquere facendola franca, non si rieduca mai. Anzi si diseduca vieppiù.
Quindi no, non penso affatto che Lerner abbia orrore per le manette perché sia un evasore o un amico degli evasori. Penso che Gad e quelli come lui non abbiano senso dello Stato e non abbiano ancora introiettato il principio di responsabilità che regge lo Stato di diritto, cioè l’unica forma di convivenza civile che trattiene i cittadini dal farsi giustizia da soli come nel Far West. Non vorrei beccarmi altri tweet e insulti. Ma confesso che mi prudono le mani quando ogni anno pago fino all’ultimo euro di tasse e poi penso che, grazie al centrosinistra e al centrodestra, milioni di evasori vivono alle mie spalle senza mai rischiare la galera. E neppure un’indagine, se hanno cura di non superare le soglie di impunità gentilmente offerte nel 2015 da Renzi & C.: 250 mila euro di omesso versamento Iva; 1,5 milioni non dichiarati di frode fiscale; 150 mila euro di dichiarazione infedele; 10% di false valutazioni; 50 mila euro di omessa dichiarazione. Ecco, io questi ladri vorrei vederli in manette (e magari pure in catene), come accadrebbe se queste somme, anziché all’erario, le rubassero in un portafogli, in una borsetta, in un’abitazione, in una banca, in un negozio. Solo le manette possono spaventare gli evasori fino a indurli a rinunciare ai loro enormi guadagni per versare il dovuto allo Stato. Quindi continuerò a pubblicare manette in prima pagina finché non troverò un governo che tratta tutti i ladri allo stesso modo. O lascia rubare tutti, o non lascia rubare nessuno.


https://www.facebook.com/giberto.gnisci/posts/2941647542518768

La bavbàvie. - Marco Travaglio IFQ 17 OTTOBRE 2019.

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L’altra sera avevo appena finito di discutere a Otto e mezzo con due colleghi sulle manette agli evasori (“barbarie!”, anzi “bavbàvie!”), quando ho visto Andrea Orlando, vicesegretario del Pd ed ex ministro della Giustizia, a Cartabianca. Anche lui ripeteva la litania che aumentare le pene agli evasori per mandarli in carcere non serve a niente e non spaventa nessuno: molto più dissuasivo confiscar loro il maltolto. Ora, a parte il fatto che soltanto un mese fa il Pd ha sottoscritto un programma di governo che prevede l’aumento delle pene agli evasori, una simile sciocchezza la può sostenere solo chi non sa nulla delle norme sull’evasione, che già prevedono il sequestro e la confisca delle somme evase. E non dissuadono nessuno dal continuare a evadere. Per un motivo semplice. L’evasione, ancor più della corruzione, è un reato seriale. Nessuno evade un anno e poi basta: chi evade lo fa sempre. Ogni anno mette da parte un bel bottino a spese di quei fessi che pagano le tasse. E sa benissimo che gli accertamenti a campione toccano meno del 10% delle dichiarazioni dei redditi, quindi ogni anno ha il 90% di probabilità di farla franca. Può pure scrivere in dichiarazione “Viva la gnocca” e 9 volte su 10 nessuno se ne accorge. Se poi, una volta nella vita, ha la sfiga di essere scoperto, già sa che potrà tenersi il resto del maltolto (le vecchie evasioni cadono in prescrizione alla velocità della luce); e, quanto all’evasione accertata, lo Stato riesce a riscuotere solo il 12%. Quindi chi evade ha 12% del 10% delle probabilità di dover restituire la refurtiva: cioè l’1,2%. A questo punto, se può evadere e non lo fa è un santo da calendario. O un emerito coglione. E chi pensa di dissuaderlo con la minaccia di levargli un anno di malloppo è come chi crede di dissuadere un pesce minacciando di gettarlo nell’acqua, o una talpa di seppellirla sottoterra.
Martedì dalla Gruber il collega di Radio24 citava Mani Pulite come prova del fatto che le manette di Tangentopoli non hanno dissuaso corrotti e corruttori. Piccolo particolare: nessuno dei condannati per Tangentopoli, a parte tre o quattro sfigati, ha scontato la pena in carcere. Intanto perché le pene per la corruzione sono basse e fra sconti, attenuanti e amnistie portano a condanne perlopiù inferiori ai 3 anni (che in Italia non si scontano in galera, ma ai domiciliari o ai servizi sociali). Eppoi perché, appena partirono i processi, i governi di destra e di sinistra si attivarono per mandarli in fumo con varie leggi salva-ladri spacciate per “garantismo”. Una invalidava le prove e le confessioni raccolte dai pm. Una depenalizzava l’abuso d’ufficio non patrimoniale.
Altre allungavano i tempi dei processi. L’ex Cirielli dimezzava i tempi della prescrizione. L’indulto triennale votato nel 2006 da destra, centro e sinistra salvò i pochi condannati superstiti. Perciò le manette di Mani Pulite non dissuasero nessuno dal ricominciare a smazzettare: perché erano finte. Virtuali. Scritte nei Codici, ma mai scattate se non per brevissime custodie cautelari (e non per gli eletti, protetti dall’immunità-impunità-omertà parlamentare). Quanto alle “manette esibite in pubblico” ai tempi della “bavbavie!” di Mani Pulite, è una leggenda metropolitana: l’unico imputato di Mani Pulite ripreso in vinculis fu il dc Enzo Carra quando fu giudicato per direttissima per falsa testimonianza (e regolarmente condannato). Era – ed è – prassi delle forze dell’ordine accompagnare gli imputati detenuti dai cellulari al Tribunale con le manette ai polsi collegate da una catena per evitare fughe, atti di violenza o di autolesionismo. A quegli schiavettoni erano lucchettati ben 50 imputati, sotto gli occhi di tutti nel corridoio del Palazzo di giustizia. Poi quelli dei casi più semplici (quasi tutti spacciatori extracomunitari) furono via via sganciati per i vari processi e restò solo Carra, giudicato per ultimo. Naturalmente fece notizia e scandalo solo un caso su 50: quello del politico (“bavbavie!”). L’indomani, mentre la casta strillava alla Gestapo e alla tortura, un gruppo di detenuti di Asti scrisse una letterina alla Stampa: “Siamo tutti ladri di galline, eppure in tutti i trasferimenti veniamo incatenati ben stretti, per farci male, e restiamo incatenati in treno, in ospedale, al gabinetto, sempre. Anche noi appariamo in catene sui giornali prima di essere processati, ma nessuno ha mai aperto un dibattito su di noi. Ci domandiamo quali differenze esistano fra noi e il sig. Carra. Al quale, in ogni caso, esprimiamo solidarietà”.
Oggi come allora i garantisti all’italiana non si occupano di loro: si danno pena per i politici (sempreché siano del partito giusto: l’anno scorso Marcello De Vito del M5S fu ripreso e fotografato durante l’arresto, fra l’altro poi annullato dalla Cassazione, senza che nessuno facesse una piega o gridasse alla “bavbavie”) e i ricchi (molto popolari nel mondo dell’editoria perché pagano gli stipendi). È bastato che Conte&C. evocassero le manette agli evasori perché il consueto cordone di protezione si dispiegasse su giornali e talk show. Fiumi di parole sulla nostra copertina con le manette (“perversione”, “bavbavie”, “ovvove”!), ovviamente senza i volti dei destinatari (anche se qualcuno in mente ce l’avremmo). Gargarismi da finti tonti sulla “presunzione di innocenza”, che non c’entra una mazza, visto che non abbiamo mai titolato “Manette ai non evasori”. Balbettii benaltristi sulle “vere armi di lotta all’evasione”, che sono sempre “altre” ma nessuno dice mai quali, anche perché in tutti i Paesi civili chi evade finisce in galera senza che nessuno strilli alla “bavbavie”, e guardacaso quei Paesi hanno meno evasione di noi. Mark Twain diceva: “Se votare servisse a qualcosa, non ce lo farebbero fare”. Ecco: se il carcere agli evasori non servisse a niente, sarebbe previsto da sempre.

Clima, ecco le 20 aziende che producono un terzo delle emissioni mondiali. - Alberto Magnani

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Il 35% di tutte le emissioni di anidride carbonica e metano dal 1965 al 2017 è stato prodotto da 20 colossi del settore petrolchimico. In testa Saudi Armaco (il 4,38% del totale), la multinazionale statunitense Chevron (il 3,2% del totale) e la russa Gazprom (3,19%). Lo rivela un’indagine del Climate accountability institute rilanciata dal Guardian.

Oltre un terzo delle emissioni di anidride carbonica e metano, i cosiddetti gas serra, è stata prodotta da appena 20 colossi internazionali dell’oil&gas. Nel complesso si parla di 480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (una misura che indica l’impatto di gas serra diversi), pari al 35% di tutte le emissioni da combustili fossili e cemento prodotte su scala globale dal 1965 al 2017. Sul “podio” svettano la compagnia nazionale saudita Saudi Aramco (il 4,38% del totale), la multinazionale statunitense Chevron (il 3,2% del totale) e la russa Gazprom (3,19%), responsabili da sole di più di un decimo delle emissioni generate su scala internazionale negli ultimi 50 anni circa.

I dati emergono da un report pubblicato dal Climate accountability institute, un istituto di ricerca, e rilanciato dal quotidiano inglese Guardian. «Basandoci sulla teoria che i produttori di combustili fossili hanno una responsabilità per gli effetti negativi dei loro prodotti - si legge nel report - Abbiamo determinato in che misura i combustili fossili delle singole aziende abbiano contribuito all’aumento delle emissioni».
Le 20 aziende che producono più emissioni.


Quei miliardi tonnellate di CO2 e metano emessi in 50 anni.
480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente attribuite alle 20 aziende in classifica, di cui 12 a controllo statale, incidono sul totale di 1.354 tonnellate prodotte nel periodo sotto esame (1965-2017) dalle stesse fonti. L’intera serie storica analizzata dall’istituto rivela che un totale 103 realtà aziendali ha prodotto il 69,8% di tutte le emissioni registrate dal 1751, con un’incidenza sul 30% netto delle emissioni solo da parte delle 20 società in cima al ranking. «Metà di tutte le emisisoni da combustibili fossili e cemento dal 1751 ad oggi - si legge nel report - sono state prodotte dal 1990 ad oggi. Queste aziende hanno significative responsabilità morali, finanziarie e legali sulla crisi climatica». Oltre alla triade Saudi Aramco, Chevron e Gazprom, la classifica include nomi come ExxonMobile (3,09%), National iranian oil (2,63%), Bp (2,51%) e Royal Dutch Shell (2,36%).